Da più prospettive interpretative e ambiti di ricerca, la dimensione della crisi ha assunto una centralità inedita (Touraine 2010). Le forme contemporanee della crisi rinviano a piani molteplici: interessano l’azione dei sistemi economici di stampo neoliberista e le loro implicazioni sul fronte delle istituzioni politiche e sociali, ma configurano anche nuovi e vecchi scenari, quali quelli climatici e sanitari, e quelli, che pensavamo relegati nel passato, dei conflitti bellici. Anche il rapporto con il tempo e lo spazio assume oggi un carattere di crisi (Harvey 1990). Le città sono diventate i luoghi in cui la crisi si materializza spazio-temporalmente, creando nuove forme di ingiustizia sociale e conflitti che si giocano nello spazio e a causa dello spazio (Soja 2009), e l’accelerazione sociale (Rosa 2015) pervade non solo i tempi-spazi delle istituzioni sociali (economiche, politiche, educative, famigliari), con l’effetto di generare un distacco crescente dagli attori sociali, ma permea le stesse biografie dei soggetti sempre più alienate e orientate all’individualismo (Elliott, Lemert 2009; Lasch 1981). La crisi della temporalità, mentre compromette la capacità del soggetto e delle istituzioni di rielaborare una memoria sociale e collettiva - elemento strategico per i rapporti intergenerazionali e per saldare i legami sociali –, pregiudica anche il rapporto con il futuro, tempo per definizione del possibile ma le cui potenzialità si fanno oggi più contratte (Adam 2007; Appadurai 2013; Coleman 2017; Sharma 2012).
Muovendo da queste premesse, il panel intende focalizzarsi sul nesso tra crisi e vita quotidiana inteso come tempo-spazio della reiterazione ma anche della possibilità, ossia come terreno - in cui il tempo non è distinguibile dallo spazio – dove l’ordine sociale si riproduce ma dove al contempo quello stesso ordine (temporale, spaziale, di genere, generazionale e così via) può essere messo in discussione a favore di nuove forme del vivere sociale.
La vita quotidiana, come già la fenomenologia sociale e autori come Goffman, Garfinkel, Lefebvre ma anche Simmel ed Elias hanno evidenziato, lungi dall’essere un’appendice residuale della vita sociale, ne rappresenta il cuore pulsante, lo spazio-tempo della costruzione sociale della realtà, dell’intersoggettività e delle pratiche, dell’edificazione magmatica di significati, visioni, valori, aspettative, modelli culturali su cui la società si regge. In ragione del suo carattere plastico e generativo la vita quotidiana si configura pertanto anche come lo spazio-tempo dell’innovazione e del mutamento sociale. Assumendo la fertilità dello spazio-tempo della vita quotidiana, si intende riflettere sui processi di riposizionamento e re-intepretazione, finanche di resistenza che i soggetti compiono di fronte alla (e in ragione di) rigidità delle strutture temporali, all’azione di controllo che svolgono e ai meccanismi di esclusione sociale che producono e legittimano. Lo si vuole fare prendendo in esame ambiti sociali che costituiscono le strutture portanti delle società contemporanee al centro di questo panel: gli spazi-tempi del lavoro e della sfera intima, delle istituzioni educative, del tempo libero e della partecipazione politica informale. In particolare, i processi di riposizionamento e ri-significazione dei soggetti che qui intendiamo distillare sono processi a tutti gli effetti creativi (Joas 1996; Pink 2012), sia nei termini della reinvenzione informale del quotidiano fatta dagli attori sociali (De Certeau 2010; Appadurai 2004), sia nella forma più codificata dell’arte come strumento di critica e insieme di resistenza al dominio economico-politico, culturale-simbolico, alle disuguaglianze sociali e al deturpamento del benessere sociale e collettivo.
Da prospettive differenti, i paper mostrano le potenzialità della vita quotidiana, sotto il profilo delle capacità generative, innovative, emancipatorie. Ancor più chiaramente, rivelano come, osservando la dimensione creativa dei processi di risignificazione da parte degli attori sociali, si possa comprendere il potenziale immaginifico di una società e la sua capacità, parafrasando Rosa, di riappropriarsi di un “tempo buono”.
Paper 1:
Verso nuovi scenari temporali? Alienazione e reinvenzione del quotidiano nelle pratiche di cura-lavoro degli e delle smart workers
Caterina Satta, Università di Cagliari
La narrazione del lavoro su scala locale, nazionale e globale, sostenuta da innumerevoli rapporti sullo stato del mercato del lavoro, è contrassegnata dalla crisi. Disoccupazione, specialmente fra giovani e donne, peggioramento delle condizioni lavorative, crescita di lavoro a basso reddito, messi in relazione alla crisi del quadro macroeconomico, rendono indissolubile il binomio crisi-lavoro (cfr. su tutti Rifkin 2002) e hanno favorito la nascita di immaginari utopici di società senza lavoro (Thompson 2018; Aronowiyz, DiFazio 1995).
Ugualmente, sul fronte delle relazioni intime, le trasformazioni dei legami familiari vengono ciclicamente descritte nel senso comune, ma anche nel discorso specialistico di una parte del sapere esperto, come manifestazioni della crisi della famiglia a causa del cambiamento di valori, norme e aspettative sociali (Smart, Neale 1999; Roseneil, Budgeon 2004), vale a dire a causa del fluire del tempo. All’interno di questa tendenza, l’accelerazione dei ritmi di lavoro e l’orientamento iperproduttivista delle società del tardocapitalismo neoliberale stanno generando insieme alla crisi del lavoro anche una crisi dei lavoratori e delle lavoratrici trasversale alle classi sociali, ben rappresentata negli ultimi anni da fenomeni come le dimissioni di massa o il cosiddetto quiet quitting (Frayne 2015; Coin 2023).
La proposta, interna al Progetto PRIN 2022 (XXX) indaga, e rileva, la crisi concentrandosi proprio sul senso del lavoro nella vita delle persone che lo svolgono da remoto. La sovrapposizione tra i tempi della produzione e quelli della riproduzione, lo sconfinamento della pressione temporale dell’impiego nei ritmi e nelle dinamiche della sfera privata e domestica sono ciò che infatti caratterizza il lavoro da remoto (Azzolari, Fullin 2022; Bertolini et al. 2022; Bromfield 2022; Chung 2022; Gregg 2011).
A partire da interviste, elicitate con l’uso di metodi visuali e creativi (Harper 2002; Pauwels 2015; Lury, Wakeford 2012; Holmes, Hall 2020), a lavoratori e lavoratrici impiegati/e nel settore del terziario avanzato, il paper evidenzia il malessere causato dalle nuove configurazioni spazio-temporali del lavoro e dall’erosione dei confini spazio-temporali tra casa e ufficio. Nelle storie di vita, affermava già Franco Ferrarotti nel 1981, si ritrovano le interazioni tra ciò che è privato e ciò che è pubblico, ed è pertanto in questi resoconti individuali sulle implicazioni della remotizzazione nel loro quotidiano che si possono cogliere le tracce della strutturazione alienante del tempo, così come quelle della riappropriazione soggettiva da parte dei lavoratori e delle lavoratrici.
Se la sovrapposizione ha portato a un’espansione delle logiche efficientiste e a una dilatazione dell’orario lavorativo nella sfera privata, al contempo sta generando forme di resistenza con l’emergere di pratiche di cura interstiziali (materiali, relazionali, corporee) in grado di creare delle sospensioni nel flusso temporale e di generare spazi di consapevolezza verso nuove costruzioni biografiche sempre più svincolate da una concezione identitaria del lavoro, finanche dal lavoro. Tali pratiche, seppure embrionali e non ancora confluite in rivendicazioni collettive, prefigurano nuovi scenari temporali e differenti ricomposizioni nel rapporto tra sfera produttiva e sfera riproduttiva.
Paper 2:
Carespaces. Dispositivi progettuali di cura nel tempo della vita quotidiana
Michele Bassanelli, Politecnico di Milano
Le crisi contemporanee, siano esse di natura economica, sociale o ecologica, influenzano profondamente il modo in cui viviamo e abitiamo gli spazi della nostra quotidianità (Bassanelli 2022). Negli ultimi decenni, la società ha subito trasformazioni significative, soprattutto in relazione alla diversificazione dei modelli familiari, ridefinendo il concetto stesso di abitare. Ciò sta determinando, per esempio, una riflessione su nuove configurazioni abitative che siano in grado di soddisfare una richiesta crescente di spazi capaci di adattarsi alle esigenze mutevoli delle persone. Parallelamente, l’innovazione tecnologica ha introdotto nuovi strumenti e modalità di interazione che hanno trasformato la nostra percezione dello spazio e del tempo. Il lavoro da remoto e lo sviluppo delle piattaforme digitali hanno modificato radicalmente le dinamiche lavorative, favorendo la nascita di luoghi alternativi a quelli tradizionalmente preposti per tale attività. Oggi il lavoro può essere svolto in caffetterie, biblioteche, spazi pubblici, ma anche in casa o persino in strada, nel caso dei lavoratori della gig economy. Oltre alle trasformazioni sociali ed economiche, la crisi ecologica ha imposto un ripensamento del significato dell’abitare. Il rapporto con il territorio e il concetto di ‘genius loci’ assumono un ruolo fondamentale nella progettazione contemporanea, ponendo l’accento sulla dimensione collettiva dell’esistenza (Carrado 2020).
Questa condizione ormai consolidata determina un modo diverso di intendere il progetto architettonico, non più come generatore di uno spazio statico, interpretato come eterno e immutabile, ma come uno spazio dinamico ossia uno spazio che si sviluppa in relazione alla dimensione temporale della quotidianità o del “tempo reale” (Bassanelli 2024). Si passa quindi da una visione tradizionale, centrata sulla creazione di spazi definitivi e permanenti, a una prospettiva più fluida e adattiva. Gli spazi vengono concepiti come elementi in continua trasformazione, capaci di adattarsi ai ritmi della quotidianità e alle esigenze degli individui. L’architettura diventa così un sistema dinamico che interagisce con il tempo reale. Un ruolo centrale in questa nuova visione è assunto dal concetto di “dispositivo”, inteso come un sistema in grado di attivare processi e di generare nuove relazioni spaziali. Il dispositivo architettonico non si limita a definire uno spazio fisico, ma lo rende attivo, stimolando interazioni e connessioni con l’ambiente circostante. Può trattarsi di un intervento a scala urbana, oppure di una trasformazione che riguarda l’interno di spazi esistenti in stato di abbandono, ma capace di ridefinire lo spazio in funzione delle nuove esigenze espresse dal contesto sociale. Questo approccio implica una progettazione basata su piccole trasformazioni, che non mirano a creare strutture rigide e definitive, ma a instaurare un dialogo costante con il contesto.
Il progetto architettonico si configura così come un’azione di cura, intesa non solo in senso pratico, ma anche simbolico e relazionale. L’architettura diventa uno strumento per migliorare la qualità della vita, rispondendo alle esigenze mutevoli delle persone e promuovendo un uso più consapevole e sostenibile dello spazio. A partire dall’esperienza del laboratorio Carespaces, sviluppato all’interno del progetto PRIN2022 (XXX), si presenta una riflessione su nuovi spazi di lavoro, cura e servizi negli edifici esistenti che possano diventare un’infrastruttura a supporto della comunità (Saraceno 1980, 2020; Forino 2011, 2022), per esempio ospitando una cucina e un’aula per il doposcuola con la possibilità di collaborazioni intergenerazionali (nonne/i-nipoti). Il metodo utilizzato è quello della research by design condotta all’interno di un’esperienza didattica (workshop intensivo di due settimane) sviluppata in sinergia tra i dipartimenti di architettura e studi urbani e design di XXX.
Paper 3:
Ripensare lo spazio-tempo del quotidiano attraverso l’arts-based education
Ilenya Camozzi e Zenia Simonella, Università di Milano-Bicocca
Nella contemporaneità, lo spazio-tempo del quotidiano e i soggetti che lo abitano sono sempre più imbrigliati in forme di ingiustizia e disuguaglianza sociale ed interessati da dinamiche di esclusione della diversità. Ciò si accompagna a una progressiva cedevolezza delle istituzioni sociali (Dubet 2002; Touraine 2010). In particolare, il potenziale emancipatorio e democratico delle istituzioni educative sembra aver ceduto il passo a logiche di mercato di tipo neoliberista, votate al merito, alla concorrenza e alla quantificazione (Sandel 2020; Gunter et al. 2016). L’esito è quello di un generale indebolimento delle istituzioni educative sul fronte della loro capacità di guidare il cambiamento sociale. Se le sperimentazioni, i saperi e le pratiche educative che hanno prefigurato società eque e giuste si sono dissolti di fronte al dominio di posture economiciste, diventa urgente - anche nel senso di una sociologia pubblica (Burawoy 2005) - continuare a pensare, e plasmare, gli spazi-tempi educativi come spazi-tempi di possibilità, di dissenso e trasgressione (hooks 1994). Così intesi, gli spazi-tempi educativi possono ritornare ad essere cruciali nella ridefinizione del senso di comunità, di cura, di inclusione della diversità e di fabbricazione di soggettività agentive (Spanò, Romito, Pitzalis 2023). Di fronte ai processi di impoverimento e crisi dell’esperienza quotidiana degli spazi-tempi educativi, che in quanto spazi-tempi integrati alla struttura sociale (Elias, 1978) veicolano nell’esperienza dei soggetti la crisi, l’arte rappresenta una pratica di reinvenzione del quotidiano stesso: attraverso essa il soggetto è potenzialmente capace di rielaborare il senso, dando vita a nuove forme di riflessività e pratiche di convivenza e cura. Le arti sono assunte come creatrici di ambienti di apprendimento aperti e orizzontali, in cui i giovani esplorano la loro soggettività (Vecchi, 2010). Adottare entro i contesti educativi l’arts-based education significa catapultare, con un salto gestaltico, le nuove generazioni in quella “sub-provincia di significato” che è l’arte, per rileggere il mondo della vita quotidiana, intesa anch’essa come “provincia finita di senso”, a partire dal loro universo simbolico e dalla loro esperienza (Schütz, 1945).
A partire da queste riflessioni, il paper presenta i primi risultati del progetto Horizon XXXX (2024-2027) che mira allo studio del ruolo dell’arte nei processi educativi, formali e non formali, sotto il profilo dell’inclusione dei e tra i giovani. Si darà conto di due casi-studio focalizzati sui contesti educativi non formali, ossia due organizzazioni non profit che operano in quartieri periferici e multiculturali della città di Milano. Questi due casi – che si contraddistinguono per la centralità assegnata all’arte nei processi educativi – vedono il coinvolgimento di giovani di età compresa fra i 10 e i 13 anni, in un caso, e tra i 15 e i 18 anni, in un altro. Tra febbraio e maggio 2025, sono state realizzate interviste con i responsabili e ideatori di questi progetti di arts-based education e osservazioni etnografiche durante le attività. Sono stati inoltre realizzati focus groups con i giovani coinvolti nei progetti. Per la realizzazione di questi ultimi sono state adottate tecniche creative (Pizzolati et al, 2021) finalizzate a decolonizzare il rapporto asimmetrico tra il/la ricercatore e i soggetti coinvolti nonché considerate eticamente rispondenti al coinvolgimento di soggettività marginali (Hulsbosch, 2010; Chappell et al, 2013); alle tecniche di rilevazione tradizionale “testo-centriche” si aggiungono così anche quelle legate all’arts-based research. A partire dai dati raccolti, si presenterà il modo in cui l’arte viene “usata” dagli educatori e dai giovani come lente per rileggere e risignificare gli spazi-tempi educativi e per pensarsi co-produttori di sapere, di forme di resistenza e di cura, non da ultimo di pensarsi attori nei processi di costruzione di società democratiche, proprio a partire dalla loro esperienza quotidiana (Dubet e Duru-Bellat 2020).
Paper 4:
Attivismo come cura: pratiche di partecipazione giovanile tra quotidianità e prefigurazione
Ilaria Pitti, Università di Bologna
Tra il 2012 e il 2017, una caserma abbandonata situata nel cuore di Bologna (Italia) è stata occupata e ristrutturata da un collettivo di giovani, dando vita a Làbas, un centro sociale autogestito. All'interno di Làbas sono stati sviluppati diversi progetti sociali (un asilo, un rifugio per persone senza dimora, una biblioteca, una pizzeria e un microbirrificio) e organizzati eventi pubblici (tra cui concerti, seminari, proiezioni di film e documentari) con l'ambizione di "restituire una piazza alla città”. Basandosi su dati etnografici, tra cui appunti di campo e interviste con attivisti e attiviste, l’intervento analizza Làbas come un esempio di utopia della cura (Fano Morrissey, Serughetti 2024) in cui nel quotidiano si manifesta una risposta alla crisi. In particolare, si propone di far luce sulle quotidiane "pratiche di cura" attraverso cui lo spazio è stato gestito e di esaminare l'uso strategico delle "narrazioni della cura" per difendere l'occupazione e le sue attività. In questa analisi, il paper attinge a prospettive femministe, riconoscendo la cura, l'amore e la solidarietà come "residui culturali di speranza" (Lynch, 2021) e il loro ruolo chiave nella politica prefigurativa.