Nel 2008 l’antropologo Marc Augé pubblicava un pamphlet dal titolo Où est passé l’avenir? in cui si chiedeva che fine avesse fatto il futuro evidenziandone i principali paradossi. L’ intento di questo panel è quello di ripartire dal paradosso secondo cui ogni individuo vive in un tempo che è successivo alla sua nascita e precedente alla sua morte (finito e infinito) per giungere all’idea secondo cui nonostante la finitudine degli individui questi possano comunque immaginare una dimensione futura del tempo e di conseguenza accelerare o decelerare l’agire.
È da evidenziare che esistono differenti modelli e pratiche sociali inerenti al tempo: richiamando la tradizione filosofica si afferma che esiste un tempo cronologico (chrónos) costituito da una concezione triadica misurabile: passato (ieri), presente (oggi) e futuro (domani). Questa concezione nella società digitale - pur restando misurabile il tempo nel suo scorrere - si è ridotta quasi ed esclusivamente al presente. Il passato non è più dunque, una fonte di risorsa su cui si andavano a consolidare e a ricostruire le identità collettive e, quindi, da qui la domanda se sia ancora possibile pensare al futuro. Questo quesito scaturisce dal fatto che l’incertezza nelle biografie degli individui li spinge a non disegnare un progetto a lungo termine determinando una contrazione della “durata” degli orizzonti temporali che fa concentrare gli individui sul presente che diventando egemonico rende difficile il godimento di quanto si agisce. Ed è proprio l’azione che caratterizza l’altra concezione del tempo, kairós (tempo dell’azione) che consiste in quell’occasione che si può presentare in un dato momento, il cosiddetto “tempo debito, il tempo per”.
Questo porta all’affermazione che nell’esperienza delle persone (singole o in collettivo) il tempo non è uniforme: ci sono spazi sociali contemporanei caratterizzati dall’accelerazione temporale e altri caratterizzati dalla decelerazione e in entrambi i casi ci sono aspetti su cui è necessario porre l’attenzione: da una parte, la necessità di rideterminare la relazione tra tempi biografici e sociali all’interno di società in cui il governo è demandato alla “cultura dell’immanenza” che appiattisce tutto al presente; dall’altra parte, l’utilizzo che si fa del tempo “liberato” dalle costrizioni, cioè il tempo decelerato.
Una dimensione futurista del tempo da parte degli individui vede la fusione dei due modelli di culture temporali (chrónos e kairós). In altre parole, le esperienze del tempo nell’esercizio e nella pratica della vita quotidiana - al di là di aspetti comuni quali la misurazione - influenzano in maniera differente gli individui poiché si pongono quale mediazione simbolica tra la soggettività dell’individuo e la società, determinando di volta in volta un nuovo disegno degli orizzonti temporali in base ai quali prendere decisioni per i progetti futuri.
Questi elementi rappresentano il filo conduttore di questo panel e si ritrovano − in maniera più o meno esplicita – negli interventi che seguono una logica a “imbuto”, dal più generale ai casi specifici così come si evidenzia dagli abstract che seguono.
La duplice natura delle piattaforme: empowerment e libertà di espressione alla prova del tempo
Daniele Battista1 & Lucia Picarella2
1 Università degli Studi di Salerno – 2 Università degli Studi di Foggia
L’evoluzione delle piattaforme digitali ha ridefinito il panorama della comunicazione pubblica, incidendo profondamente sulla partecipazione democratica e sulla libertà di espressione. Da strumenti di empowerment, capaci di amplificare voci marginalizzate e favorire nuove forme di attivismo, esse si sono progressivamente trasformate in spazi in cui si giocano anche dinamiche di esclusione e controllo del discorso pubblico. Questa ambivalenza è oggi più che mai messa alla prova dal tempo e dai cambiamenti sociali e politici, rendendo necessario interrogarsi sul ruolo delle piattaforme nel lungo periodo e sulla loro capacità di garantire un equilibrio tra partecipazione e pluralismo. In questo contesto, la cancel culture rappresenta uno dei fenomeni più controversi dell’era digitale. Nata come strumento per correggere ingiustizie e riequilibrare rapporti di potere attraverso la pressione sociale, si è progressivamente trasformata in una pratica che solleva interrogativi sui limiti della libertà di parola e sulla polarizzazione del dibattito pubblico. Se in un arco temporale breve può apparire un mezzo efficace di mobilitazione sociale, in un arco temporale più lungo emergono le sue contraddizioni: il rischio di rafforzare meccanismi di censura, la radicalizzazione delle opinioni e la creazione di bolle informative sempre più impermeabili al confronto democratico. Le piattaforme digitali si sono evolute da spazi di espressione aperta a ecosistemi sempre più regolamentati, dove gli algoritmi e le dinamiche di engagement influenzano ciò che viene amplificato o silenziato. Se da un lato queste tecnologie favoriscono la partecipazione e democratizzano l’accesso all’informazione, dall’altro hanno il potere di escludere voci scomode o di orientare il discorso pubblico in modo selettivo. Questa ambiguità si manifesta in modo evidente nelle campagne elettorali, dove la tempistica degli eventi, esercita una forte pressione sociale e le dinamiche di cancel culture possono condizionare la narrazione politica e l’immagine pubblica dei candidati. Lo studio si propone di analizzare questa duplice natura delle piattaforme tenendo conto proprio di un arco temporale relativamente breve, cioè la campagna elettorale presidenziale statunitense del 2024, caratterizzata prima dal ritiro di Joe Biden e poi dalla candidatura di Kamala Harris. Attraverso l’ausilio di software in grado di elaborare il parlato digitale applicato ai social media (X, Instagram, Facebook), verranno individuate le principali meta-narrazioni emerse tra giugno e agosto 2024, evidenziando il ruolo delle piattaforme nella costruzione dell’opinione pubblica in quest’arco temporale. I risultati permetteranno di comprendere se le piattaforme, con il trascorrere del tempo, abbiano rafforzato processi democratici o contribuito a limitare il dibattito attraverso pratiche di esclusione e polarizzazione. In un’epoca in cui la comunicazione digitale evolve rapidamente, interrogarsi sulla tenuta nel tempo di questi fenomeni diventa cruciale per capire se la libertà di espressione possa ancora essere garantita all’interno di un ecosistema mediatico dominato dalla logica delle piattaforme.
Bibliografia minima di riferimento
Balkin, J. M. (2017). Digital Speech and Democratic Culture: A Theory of Freedom of Expression for the Information Society. In R. Sherwin (Ed.), Popular Culture and Law (pp. 325-382). Routledge.
Bouvier, G. (2020). Racist call-outs and cancel culture on Twitter: The limitations of the platform’s ability to define issues of social justice. Discourse, Context & Media, 38, 100431.
Clark, M. D. (2020). Drag Them: A brief etymology of so-called "cancel culture". Communication and the Public, 5(3-4), pp. 88-92.
Mangone, E. & Picarella, L. (2024). Guerre culturali e società frammentata. Dalla cancel culture al woke capitalism. Paolo Loffredo.
Morlino, L., & Sorice, M. (2021). L’illusione della scelta: come si manipola l’opinione pubblica in Italia. LUISS University Press.
Picarella, L. (2024) Intersections in the digital society: cancel culture, fake news, and contemporary public discourse. Frontiers in Sociology, 9:1376049.
Sorice, M. (2020). La «piattaformizzazione» della sfera pubblica. Comunicazione politica, 21(3), pp. 371-388.
Il “prima” e il “dopo”: la comunicazione delle emergenze come agente di resilienza
Francesca Cubeddu
IRPPS-CNR di Roma – E-mail: francesca.cubeddu@irpps.cnr.it
Negli ultimi anni si è assistito, a livello nazionale e internazionale, a eventi emergenziali (per esempio, disastri naturali o la pandemia da Covid-19) che hanno comportato dei mutamenti del sistema culturale e sociale. Solitamente con il termine emergenza si racchiudono anche le situazioni di rischio e quelle di crisi, pur trattandosi di tre concetti differenti e, soprattutto, che si riferiscono a eventi ben precisi, che necessitano di essere comunicati in modo diverso poiché con caratteristiche culturali distinte. Se il concetto di rischio caratterizza le società fin dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, nella nostra società contemporanea le culture della crisi e dell’emergenza assumono, forse, maggiore rilevanza rispetto al rischio alla luce di nuovi e più pervasivi fenomeni che si stanno registrando (si veda, per esempio, la pandemia). Analizzando queste differenze concettuali è possibile comprendere le dinamiche sociali, la loro comunicazione, e, pertanto, la loro costruzione culturale anche perché una società senza rischi, crisi ed emergenze non è possibile. Si può immaginare una società in cui gli effetti e le conseguenze negative di questi siano ridotti o addirittura evitati con l’ausilio di specifici sistemi di comunicazione come i “warnings”.
La “comunicazione di allerta” deve essere specifica per avviare la prima fase di fronteggiamento dell’evento attraverso la comprensione del tipo di minaccia utile a definire il piano di comunicazione. L’uso dei social media, fortemente diffuso nella società digitale, consente non solo una rapida diffusione delle informazioni ma anche una rapida comunicazione e selezione dei messaggi (velocità e contenuto del messaggio sono ugualmente importanti). I sistemi di allerta si differenziano a seconda della fase temporale dell’evento (prima, durante e dopo) permettendo di formare la popolazione e di creare una cultura della resilienza rispetto a tali eventi. Lo stesso evento – indipendentemente dalla sua natura – si differenzia nel momento di rischio o in quello di emergenza. Se i sistemi di allerta sono collegati al rischio (il “prima”), i processi informativi e comunicativi, invece sono collegati alla successiva fase di emergenza (il “dopo”), ossia quando il fenomeno si verifica.
I processi di comunicazione, in emergenza, devono essere in grado di spiegare, persuadere ma anche assistere la parte politica nel processo decisionale lungo l’arco temporale della gestione dell’evento (prima, durante e dopo): dall’allerta (prima) all’informazione continua (durante e dopo) soprattutto diffusa attraverso i media che la società digitale offre, nonché dai classici sistemi della comunicazione istituzionale. A tali processi è attribuito il compito di lavorare per indirizzare la cittadinanza verso la gestione della situazione di emergenza, con il riconoscimento e la comprensione dei differenti sistemi di allerta, nonché per favorire una risposta che consenta la messa in atto di strategie di resilienza per l’adattamento positivo alla significativa condizione avversa per facilitare non solo la ricostruzione delle cose materiali ma soprattutto la ricostruzione del tessuto sociale. Per raggiungere tale obiettivo, la comunicazione durante un’emergenza è di fondamentale importanza come agente promotore della risposta della comunità e, pertanto, delle azioni di resilienza. Per tale motivo è possibile parlare di una cultura della resilienza che è proposta dalla stessa comunità e che favorisce l’investimento in programmi, comunicazione e politiche, anche con l’attivazione di risorse latenti nelle relazioni fra i differenti soggetti. A supporto di ciò, saranno esaminati casi di studio internazionali e nazionali in cui si illustreranno le forme di comunicazione adottate nel “prima” (rischio) e “dopo” (emergenza post evento).
Bibliografia minima di riferimento
Barbieri, A.S.A., & Mangone, E. (2015). Il rischio tra fascinazione e precauzione. FrancoAngeli.
Comunello, F., & Mulargia, S. (2017). Tra risposte protocollate e «social sensing». L’uso dei social media per la comunicazione d’emergenza nelle istituzioni locali italiane. Sociologia e ricerca sociale, 112, pp. 111-137.
Cubeddu, F. (2024). Culture, comunicazione, resilienza. La società tra rischi, crisi ed emergenze. Paolo Loffredo.
Cubeddu, F. (2024). La fiducia come “variabile interveniente” nella costruzione di una resiliente cultura dell’emergenza. CSI Review, 8, pp. 20-36.
Cubeddu, F., & Mangone, E. (2024). From Risk to Emergencies: Changes in Cultural and Communication Systems in the Digital Society. Sociologia Italiana, 24, pp. 79-96. http://doi.org/10.1485/2281-2652-202424-3
Massa, A., & Comunello, F. (2024). La comunicazione del rischio “Made in Italy”. Riflessioni a partire da una literature review. Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, 3, pp. 1-30.
Mangone, E. (2020). La comunicazione del rischio: la pandemia da COVID-19. Mediascapes, 15, pp. 132-142.
Mohammad Mushtuq H. (2019). Emergency Risk Communication Training Manual (three modules, ten lessons). Consultant, World Bank.
Reynolds, B., & Seeger, M.W. (2014). Crisis and Emergency Risk Communication 2014 Edition. Centers for Disease Control and Prevention.
Wright, K. (2022). Community Resilience: A Critical Approach. Routledge.
Zuccaro, A. (2021). La comunicazione nella gestione delle emergenze: come operare nel pre - durante - post evento. Dario Flaccovio Editore.
La comunità del detox digitale e la necessità di “disconnettersi”: il tempo del social eating tra offline e online
Marianna Coppola
Università Giustino Fortunato di Benevento – E-mail: m.coppola@unifortunato.eu
L’avvento di Internet e la diffusione della comunicazione online hanno rappresentato uno dei maggiori cambiamenti socioculturali degli ultimi decenni anche per quanto riguarda la dimensione del tempo. Se da un lato la proliferazione di spazi digitali e contesti virtuali - in cui tracciare forme aggregative e processi di identificazione sociale - ha ampliato la gamma dei possibili processi di socializzazione degli individui, le esperienze faccia a faccia hanno visto progressivamente eroso il ruolo primatista del processo di costruzione dell’intersoggettività. Tuttavia, soprattutto nel periodo post-pandemia da Covid-19, si è assistito a una controtendenza da parte di alcuni gruppi di persone che hanno avanzato nuove esigenze e bisogni: la riappropriazione della socializzazione faccia a faccia. Il fenomeno - definito digital detoxification, ovvero la purificazione dai social media e da Internet per un periodo temporaneo di durata variabile - coinvolge una crescente comunità di persone in tutto il mondo che attraversa genere, età e classe. Le comunità di disintossicazione digitale sono in crescita in tutto il mondo occidentale, uno studio ha recentemente evidenziato che negli Stati Uniti negli anni 2020-2021 circa il 15% della popolazione americana ha cercato almeno una volta sui motori di ricerca consigli o modi per “staccare” dalla rete, e che nello stesso arco di tempo le iscrizioni ad app o community siano aumentate del 75%. È proprio su questa nuova esigenza che alcuni sviluppatori di app per incontri hanno avviato una nuova progettazione, cercando di sviluppare una forma di ibridazione tra l’esigenza di “creare occasioni di aggregazione nel digitale” e la possibilità di incontrare e connettersi con ipotetici amici, partner e nuove conoscenze solo - ed esclusivamente - attraverso l’esperienza faccia a faccia. Si tratta - quindi - di una nuova frontiera delle app per il dating, che mixa funzionalità ed esigenze diverse per creare occasioni di incontro e di connessione attraverso esperienze reali e tipicamente “analogiche” come, per esempio, la partecipazione a mostre, concerti, gite fuori porta o eventi culturali a seconda delle proprie inclinazioni e passioni.
La crescente richiesta di esperienze “digital detox” pone una riflessione e un’analisi anche sul concetto sociale di “tempo” e delle interconnessioni che si verificano tra l’“online time” e il “life time”, generando implicazioni sia sul processo di significazione e costruzione dei rapporti sociali sia in termini di percezione del tempo e della continuità dello stesso tra online e offline.
Di recente è nata una nuova app per incontri, Tabloo, che rappresenta una vera e propria app di aggregazione in quanto per potersi scambiare i contatti telefonici e restare in contatto le persone “devono” partecipare a un’esperienza conviviale in modalità face-to-face, ritagliandosi del tempo nella propria organizzazione della giornata e del proprio timing nella vita offline. Lo scopo di questo contributo è quello di analizzare le motivazioni, le modalità relazionali e gli usi dello spazio digitale degli utenti iscritti all’app “Tabloo” cercando di evidenziare anche gli aspetti di percezione e di rappresentazione nell’immaginario del tempo e delle relazioni con le esigenze di digital detox. Per raggiungere tale scopo è stata condotta un’esperienza di ricerca mixed methods, combinando diverse metodologie di ricerca: in una prima fase un’analisi di etnografia digitale con l’analisi dei profili, le interazioni e la “vita sociale” della comunità iscritta all’app; in una seconda fase, sono state condotte interviste in profondità a 25 users che utilizzano regolarmente Tabloo.
Bibliografia minima di riferimento
Ansari S, Iqbal N, Azeem A, Danyal K. Improving Well-Being Through Digital Detoxification Among Social Media Users: A Systematic Review and Meta-Analysis. Cyberpsychol Behav Soc Netw. 2024 Nov;27(11):753-770. doi: 10.1089/cyber.2023.0742. Epub 2024 Sep 30. PMID: 39348315.
Bauman, Z. (2008). Vite di corsa, come salvarsi dalla tirannia dell’effimero, bologna, il mulino, 2008.
Bourdieu, P. (2002). Una teoria del mondo sociale, Padova, CEDAM, 2002.
Gasparini, G. (1994). La dimensione sociale del tempo, Milano, Franco Angeli Editore, 1994.
Marchetti, C. (2007). Lo spazio della società, in Tempo, spazio e società. La ridefinizione dell’esperienza collettiva, a cura di D. Pacelli e C. Marchetti, FrancoAngeli, Milano, 2007, p. 141.
Radtke, Theda & Apel, Theresa & Schenkel, Konstantin & Keller, Jan & von Lindern, Eike. (2021). Digital detox: An effective solution in the smartphone era? A systematic literature review. Mobile Media & Communication. 10. 205015792110286. 10.1177/20501579211028647.
Syvertsen, T., & Enli, G. (2020). Digital detox: Media resistance and the promise of authenticity. Convergence, 26(5-6), 1269-1283. https://doi.org/10.1177/1354856519847325.
Diventare madre? Immaginari cronemici della genitorialità nelle web communities
Masullo Giuseppe1 & Emiliana Mangone1
1 Università degli Studi di Salerno – E-mail: gmasullo@unisa.it
I dati statistici nazionali e internazionali sulle tendenze demografiche nelle società europee indicano un preoccupante calo dei tassi di natalità e fertilità in Italia, spingendo sociologi e demografi a prevedere un "inverno demografico". Gli studiosi riferiscono che la società odierna è sempre più incentrata sul bambino, ovvero si concentra sull'importanza dei bisogni e dei diritti dei bambini nelle società occidentali. Tale valore permea la coscienza collettiva sia degli uomini che delle donne. Uomini e donne, quindi, affrontano l'imperativo culturale, sociale e ora istituzionale di procreare, come fase essenziale del loro percorso di vita, ma si scontrano anche con i costi personali, sociali ed economici che la genitorialità richiede sempre più. Questo problema colpisce in particolar modo le donne, da sempre sottoposte a forti pressioni sociali verso la maternità, anche se i movimenti femministi hanno sempre più sottolineato che l'identità sociale delle donne non si esaurisce con la genitorialità, ma risiede piuttosto nella capacità di conciliare questa esigenza con altri obiettivi fondamentali di autorealizzazione (come avere una carriera appagante, ad esempio). In risposta a tali pressioni, le donne adottano diverse strategie, alcune delle quali variano a seconda dei determinanti sociali che predispongono (o meno) alla maternità (come età, status sociale, livello di istruzione, reti di supporto adeguate, ecc.). Tra queste, le donne che scelgono di diventare madri, spesso anticipando i tempi, o che rinunciano alla carriera per potersi occupare dei loro figli e quelle che al contrario preferiscono posticipare questa possibilità, ritardandola nel tempo (per esempio, dopo aver completato gli studi e raggiunto la realizzazione professionale), o che decidono di rinunciarvi del tutto, sottolineando sempre di più come la decisione di diventare madri sia anche una questione soggettiva e non solo il risultato di condizioni strutturali favorevoli. Sulla base di questa premessa, si presentano qui i risultati di una ricerca che ha voluto indagare gli immaginari che le donne esprimono sulla genitorialità in due web community (una di neomamme e un’altra di donne childfree). Dall’osservazione e dalle storie di vita (raccolte attraverso alcune interviste in profondità) emerge come la scelta di diventare (o non) genitore è collegata ad alcuni eventi biografici del passato e dunque alle relazioni costruite nell’ambito dei processi di socializzazione e risocializzazione al genere e anche ai tentativi di resistenza ad una cultura che identifica l’equazione “donna = madre” come un fatto spontaneo e naturale per tutte le donne. Sono pertanto descritti e prese in esame le principali narrative che accompagnano la scelta (o non) di diventare madri, chiarendo con più precisione i legami fra queste predisposizioni, la cultura che le orienta, e a come questo rapporto muta nel tempo anche in relazione ai principali vincoli strutturali che le donne incontrano lungo la loro strada.
Bibliografia minima di riferimento
Agrillo, C., & Nelini, C. (2008). Childfree by Choice: A review. Journal of Cultural Geography, 1, pp. 347-363.
Bertone, C. (2024). Il familiare è politico. Attrezzi di ricerca per uno sguardo posizionato. Meltemi.
Blackstone, A., & Stewart, M.D. (2012). Choosing to be Childfree: Research on the Decision Not to Parent. Sociology Compass, 6, pp. 718-727.
Charnley, J., & Lazzari, L. (2016). To Be or Not to Be a Mother: Choice, Refusal, Reluctance and Conflict. Motherhood and Female Identity in Italian Literature and Culture. Intervalla, Special Vol. 1, pp. 1-7.
Chicco, F. (2019). Decostruzione del simbolico materno É. Badinter, B. Duden, A. Rich: un dibattito femminista tra “seconda” e “terza ondata”. Post-Filosofie, pp. 181-204. https://doi.org/10.15162/1827-5133/1181
Yazid, A., Karimullah, S.S., & Sugitanata, A. (2023). Comparative Study on Childfree Marriage in Some Selected Countries. Jurnal Al-Hakim: Jurnal Ilmiah Mahasiswa, Studi Syariah, Hukum Dan Filantropi, 5(2), pp. 267-84. https://doi.org/10.22515/jurnalalhakim.v5i2.7869
Tantunni, M.L, & Mencarini, L. (2008). Childless or childfree? Paths to voluntary childlessness in Italy. Population and Development Review, 34(1), pp. 51-77.