Attori e luoghi del racconto giornalistico della ‘ndrangheta
Grazia Enerina Pisano
Università degli Studi di Perugia, dottoranda in “Legalità, culture politiche e democrazia”
La ‘ndrangheta è oggi la mafia glocal più potente al mondo. Presente carsicamente dalla Calabria alla Lombardia, lungo tutto lo stivale e oltre i confini nazionali (dalla Germania al Canada, fino all’Australia), l’organizzazione calabrese si è rivelata capace di colonizzare nuovi territori non a tradizionale presenza mafiosa, lontana dai riflettori dei media. Infatti, mentre in Campania scorreva il sangue delle mattanze delle camorre e Cosa nostra compariva tra le pagine dei quotidiani nazionali e stranieri – prima con la stagione dei “cadaveri eccellenti” degli anni Ottanta e poi con le Stragi degli anni Novanta – la ‘ndrangheta riusciva ad allargare i propri affari su scala locale e globale. Fatta eccezione per la stagione dei “sequestri di persona”, che per il calibro delle persone coinvolte – da Paul Getty III alla “mamma Coraggio” – attirarono l’attenzione dei media di tutto il mondo, l’organizzazione calabrese ha da sempre preferito la strada del silenzio e degli affari, diventando oggi la prima mafia per forza e prestigio, ma anche la meno studiata e conosciuta.
Le immagini del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta che scende dall’aereo di ritorno dal Brasile, del boss Totò Riina alla sbarra del processo di Palermo o di Matteo Messina Denaro al momento dell’arresto fanno parte dell’immaginario collettivo. Allo stesso modo, grazie al successo internazionale di “Gomorra” – nonostante le rappresentazioni fortemente stereotipate – le camorre sono oggi note al grande pubblico. Quali sono, invece, i principali boss dell’organizzazione calabrese? Quali i personaggi del racconto giornalistico? Se della mafia siciliana e campana si conoscono i “cattivi” e i tantissimi “buoni” che vi si opposero, lo stesso si potrebbe affermare della ‘ndrangheta?
Tale contributo nasce proprio da queste domande di ricerca, nel tentativo di comprendere quali siano i principali attori e luoghi del racconto giornalistico della ‘ndrangheta. Sulla base della ricerca quantitativa realizzata con il software "WordStat", questo intervento esamina i principali protagonisti delle narrazioni mediali dell'organizzazione calabrese. Lo studio è stato condotto attraverso l’analisi del coverage degli articoli riportanti la parola “‘ndrangheta” dal 2000 al 2023, sulle principali testate di tipo generalista: “Corriere della Sera”, “La Repubblica”, “La Stampa” e “Il Giornale”. A queste, per l’attenzione dedicata al tema della criminalità organizzata di stampo mafioso, si aggiungono i giornali “L’Avvenire” e “Il Fatto Quotidiano”, in un corpus totale di 29594 articoli.
L’obiettivo di questo intervento è di comprendere, tramite lo studio delle occorrenze, se i principali nomi che emergono dal corpus selezionato siano connessi a personaggi politici, magistrati, vittime innocenti o boss mafiosi. A riguardo, un dato rilevante è la presenza del procuratore della Repubblica Nicola Gratteri, “volto pop” dell’antimafia calabrese, secondo per numero di occorrenze dopo Berlusconi. Oltre agli attori, verranno poi analizzati i principali luoghi, per capire se la narrazione della ‘ndrangheta si riveli ancora oggi fortemente ancorata ai territori di origine dell’organizzazione o rifletta, invece, la colonizzazione di aree non a tradizionale presenza mafiosa.
Luoghi e attori sono componenti fondamentali delle narrazioni mediali che, costituite da protagonisti e riferimenti culturali facilmente identificabili dal lettore, permettono al grande pubblico di orientarsi nella complessità dell’evento raccontato. Da qui l’idea di questo contributo che, attraverso l’analisi delle rappresentazioni giornalistiche, si interroga sulla costruzione dell’immaginario collettivo e percezione della ‘ndrangheta.
Rethinking Media Trust and News Efficacy in the Contemporary Information Ecosystem
Augusto Valeriani1, Sergio Splendore2, Diego Garusi3
1Università di Bologna, Italia; 2Università di Milano, italia; 3Universität Wien, Austria
This study leverages a survey to be administered to a representative sample of the Italian population in February 2025 to propose novel measures for investigating news media trust and the underexplored yet pivotal concept of news efficacy. Empirically, it explores the relationship between these two dimensions, aiming to shed light on their interplay within today’s information ecosystem.
Recent advancements in news media trust research challenge traditional definitions of trust as a mere attitude, suggesting instead that trust entails a decision to suspend vulnerability and uncertainty toward news media (Blöbaum, 2021). While prior studies employing this conceptual shift have predominantly relied on qualitative methods (Garusi and Juarez Miro, 2024), this paper extends the approach to a quantitative framework. Specifically, respondents are asked to evaluate the extent to which their decisions across various domains—including economics, health, environment, politics, lifestyle, and entertainment—have been taken by relying on the news consumed.
The current media environment is characterized by contested truths and misinformation (Waisbord, 2018) and the rise of novel actors, like the so-called “newsfluencers” (Hurcombe, 2024), establishing novel relational patterns with their audiences. Hence, we hypothesize that individuals’ self-perception of “news efficacy” plays a central role in shaping trust decisions.
To date, journalism studies have primarily conceptualized news efficacy through its internal dimension—i.e., an individual’s belief in their ability to comprehend and engage with news content (Park and Kaye, 2021; Hopp, 2022). However, drawing on the political science construct of political efficacy, which encompasses both internal and external dimensions, we argue that incorporating an external dimension of news efficacy could enrich both the explanatory potential of the concept and our broader understanding of news trust. We thus define—and measure accordingly—external news efficacy as a person’s belief in their capacity to influence the newsmaking process and their perception of the media system’s responsiveness and utility for them.
By integrating this external perspective and advancing novel measures of news media trust, the study contributes both empirically and theoretically to the field of news media trust research, offering a comprehensive framework for analyzing trust dynamics in the contemporary information ecosystem.
C’era una volta il giornalista del futuro. Un’indagine nazionale su IA e giornalismo tra opinioni, timori e aspettative dei professionisti dell’informazione
Simone Mulargia, Raffaele Lombardi, Francesco Nespoli, Mael Bombaci
LUMSA Università, Roma
Il giornalismo e tutte le professioni dell’informazione sono direttamente coinvolti dalla rivoluzione avviata nell’ultimo decennio con la crescita esponenziale dell’intelligenza artificiale (IA). L’intero processo di raccolta, elaborazione e distribuzione delle informazioni viene profondamente modificato, sino a una ridefinizione della struttura pratica e teorica del giornalismo (Tariq, 2024). Lo sviluppo tecnologico, già in passato, ha stimolato riflessioni critiche sulle pratiche giornalistiche e sul ruolo dei professionisti (Wellman, 2001), rendendolo un'entità in continua evoluzione (Splendore, 2023).
Da un lato, l'IA sembra presentare vantaggi nel giornalismo, automatizzando compiti ripetitivi e supportando l’analisi dei dati, permette ai professionisti di dedicarsi ad attività creative (Brennan et al., 2018; Sjøvaag, 2024). Dall’altro, studi evidenziano i potenziali rischi, tra cui la messa a repentaglio della job security (Kieslich, 2024; Lawal, 2024), la trasformazione delle aspettative a questa collegate (Ferrari, 2024; Vicsek, 2024) e l’introduzione di barriere all’adattamento alle nuove tecnologie (Jang et al., 2024).
È quindi cruciale considerare non solo le sfide industriali ed economiche che l’IA pone, ma anche le conoscenze e le competenze dei giornalisti circa le tecnologie di IA, nonché il loro atteggiamento verso l'innovazione introdotta nelle redazioni (Paulussen, 2016; Noain-Sánchez, 2022). La letteratura ha fornito finora indagini soprattutto qualitative focalizzando l’attenzione su specifici contesti organizzativi - redazioni giornalistiche - o indagando lo stato dell’arte e le principali linee di sviluppo anche a livello globale (De Rosa, & Reda, 2023; Fubini, 2022).
Questa ricerca, che grazie alla collaborazione con l’Ordine Nazionale dei Giornalisti può configurarsi come la prima indagine nazionale rivolta a tutti i giornalisti italiani, ha l’obiettivo di valutare: il livello di familiarità e di utilizzo delle tecnologie di IA; atteggiamenti, benefici e rischi associati all'adozione dell'IA; le attese in termini di competenza e formazione professionale. Più analiticamente, due domande di ricerca hanno guidato la costruzione del questionario:
(RQ1) Qual è il livello di conoscenza dei giornalisti riguardo l’IA e in che misura viene utilizzata nelle loro pratiche professionali quotidiane?
(RQ2) Quali sono i giudizi dei giornalisti sull'impatto dell'IA nel loro lavoro e quali sono le esigenze formative per un uso efficace di queste tecnologie?
Il questionario è stato distribuito via e-mail dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti a tutti gli iscritti per un periodo di tre mesi concluso nel Gennaio 2025, raccogliendo l’opinione di 972 giornalisti. L’indagine evidenzia una scarsa conoscenza degli strumenti di IA tra i giornalisti. L’unico ambito con una discreta diffusione è la traduzione automatica, probabilmente per la sua utilità in contesti sempre più globali. Non a caso, la maggior parte dei giornalisti non ha mai utilizzato strumenti di IA nonostante la crescente disponibilità degli stessi. I giornalisti mostrano un atteggiamento ambivalente nei confronti della tecnologia: se da un lato la maggior parte dei rispondenti ne riconosce il potenziale nell’ottimizzazione della produzione di contenuti e nella raccolta delle informazioni, solo un giornalista su cinque ritiene che possa migliorare il processo di verifica delle fonti. Emergono inoltre preoccupazioni rilevanti, in particolare rispetto alla possibilità che l’IA contribuisca alla diffusione di contenuti di bassa qualità (50,2%) e all’aumento delle fake news, così come al rischio di un ampliamento del divario generazionale nelle redazioni.
Approfondendo la dimensione etica, la maggioranza dei giornalisti (80,7%) sottolinea l’importanza di regolamentare l’uso dell’IA e garantire trasparenza, anche segnalando esplicitamente quando viene impiegata. Tuttavia, permane la convinzione che il giornalismo debba mantenere il suo ruolo critico e investigativo, con l’IA vista più come uno strumento di supporto che come un potenziale sostituto. Infine, emerge una forte domanda di formazione: il 90% dei rispondenti si dichiara interessato a una formazione specifica sugli strumenti di IA, specialmente per: raccolta e analisi dei dati, fact-checking automatizzato e implicazioni etiche dell’uso del fenomeno.
“Media capture”: un framework teorico utile per l’analisi dei media oggi?
Rita Marchetti, Anna Stanziano, Roberto Mincigrucci
University of Perugia, Italia
L’European Media Freedom Act, approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio d’Europa nell’aprile 2024[1], ribadisce il ruolo che i media svolgono nel “promuovere il dibattito pubblico e la partecipazione civica, in quanto un’ampia gamma di fonti affidabili di informazione e di giornalismo di qualità consente ai cittadini di compiere scelte informate, anche in merito allo stato delle loro democrazie”. Allo stesso tempo, il documento mette in guardia dai rischi che tale obiettivo possa essere disatteso a causa di quello che esplicitamente viene definito “media capture”, intendendo il rischio di una scarsa indipendenza dei media. Il documento fa riferimento in particolare ai “fornitori di servizi di media”, specificando di intendere i professionisti che svolgono un servizio pubblico, in altre parole i giornalisti e le testate giornalistiche. Se questi ultimi sono “captured” e forniscono informazione distorta, i cittadini tenderanno ad informarsi tramite fonti alternative di notizie, disponibili soprattutto sulle piattaforme digitali.
Il concetto di “media capture”, ripreso nel documento, è stato concepito inizialmente per descrivere la situazione dei media nei paesi dell’Europa centro orientale dopo la caduta del muro di Berlino in relazione alle interazioni dei media con la politica, le imprese e altri “interessi acquisiti”, in particolare (ma non esclusivamente) durante le transizioni da regimi autocratici a regimi democratici (Mungiu-Pippidi 2008, 2012). Oggi viene utilizzato per descrivere i media in varie parti del mondo che sono sotto il controllo diretto o indiretto di interessi politici/commerciali, anche se non sono più formalmente e pubblicamente sotto il controllo dello Stato (Dragomir 2024, Bajomi-Lázár 2024). Formulato prima dell’avvento di Internet, il concetto è stato recentemente esteso agli spazi digitali. Alcuni autori (Nielsen 2017, Shiffrin 2021) lo applicano anche alle piattaforme digitali, mentre altri propongono la definizione alternativa di “media environment capture” (Sevignani et al. 2025). Tuttavia, la letteratura attuale tende a limitare l’analisi all’interazione tra media tradizionali e piattaforme digitali, senza considerare pienamente le dinamiche proprie dell’ecosistema informativo attuale. L’informazione non è più esclusivamente appannaggio dei giornalisti professionisti e dei media tradizionali: attori politici, pubblicitari, influencer, cittadini privati e media alternativi contribuiscono alla formazione dell’agenda pubblica sui social media. Tra questi vi sono anche agenti malevoli che favoriscono la diffusione di disinformazione e misinformazione. Di conseguenza, il fenomeno della “media capture” può manifestarsi in forme diverse e per scopi eterogenei, coinvolgendo una molteplicità di attori.
A nostro avviso il concetto di “media capture” è stato utilizzato nel tempo per indicare fenomeni diversi e necessita di una maggiore precisazione teorica. L’obiettivo del paper è problematizzare il concetto e proporre una nuova definizione attingendo ad altre tradizioni di ricerca sul giornalismo e sui media. Seguirà una proposta di operativizzazione del concetto del rischio di “media capture”, che cercherà di andare oltre le misure tradizionalmente individuate fin qui, quali ad esempio la garanzia del pluralismo dei media, l’indipendenza editoriale e la trasparenza della proprietà e dei finanziamenti alle testate giornalistiche. Sebbene queste condizioni siano necessarie, non sono tuttavia più sufficienti per garantire la promozione del dibattito pubblico e la partecipazione civica indicate dall’Unione europea.
[1] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A32024R1083
“Migration Narratives” e “Non-Migration Narratives on Migration”: un’analisi diacronica delle narrazioni mediatiche e politiche sulla migrazione in Europa
Francesco Vigneri1, Giulia Daga2, Luca Barana2
1Universitas Mercatorum, Italia; 2Istituto Affari Internazionali (IAI), Italia
Negli ultimi vent’anni, la migrazione è diventata una delle questioni più dibattute nell'UE, ampiamente presente nel discorso mediatico e politico europeo. Gli studi su media e migrazioni evidenziano l’interazione tra politica e media nel costruire specifiche narrazioni migratorie, con implicazioni significative sul piano socio-politico (Eberl et al., 2018; Goodwin e Milazzo, 2017; Heidenreich et al., 2020; Van Klingeren et al., 2015). Lo studio, finanziato dal Programma Quadro UE per la Ricerca Horizon 2020, indaga in che misura e in che modo le narrazioni mediatiche sulla migrazione permeano il dibattito politico e decisionale dell'UE e quali variabili intervengono nel renderne alcune “egemoniche”. L’analisi diacronica include due eventi cruciali: la crisi dei rifugiati del 2015 e l'ingente sfollamento ucraino conseguente all’attacco russo nel 2022.
Il quadro teorico si fonda sulla distinzione di Schmidt (2008) tra sfera comunicativa (che include media e dibattito politico) e sfera coordinativa (arena decisionale o policy-making). Per valutare il dominio di una narrazione nelle arene considerate, adottiamo il Migration Narrative Success (MNS) di Garcés-Mascareñas e Pastore (2022), secondo cui una narrazione è egemonica se pervasiva in entrambe le sfere e trasformativa in termini di politiche adottate. Inoltre, per analizzarne l’evoluzione, integriamo il Narrative Policy Framework (NPF) di Jones e McBeth (2010), che traccia variazioni nei componenti narrativi: characters (villains, victims, heroes), narrator (chi produce o riproduce la narrazione), moral of the story (soluzione proposta) e setting (contesto storico e geografico della narrazione).
La metodologia si basa su una triangolazione di approcci. La prima fase identifica le principali narrazioni mediatiche sulla migrazione tramite un’analisi qualitativa di dati tratti dalla ricerca condotta da Smellie e Boswell (2024) sui principali quotidiani di cinque Stati UE (Francia, Germania, Ungheria, Italia, Spagna) e Regno Unito. L’analisi ha permesso di costruire un codice analitico, applicato per la discourse analysis di 108 documenti UE, selezionati per la rilevanza coi due eventi. Sono state realizzate, inoltre, nove interviste semi-strutturate con funzionari UE attivi nei due periodi temporali considerati.
Come emerso dallo studio, nel 2015 la narrazione mediatica dominante sosteneva la solidarietà intra-UE, ma si è confrontata con narrazioni concorrenti, riflettendo la polarizzazione del dibattito sulla crisi migratoria. Inoltre, pur prevalendo nel dibattito politico e decisionale europeo non ha trovato riscontro nelle policies adottate, che hanno privilegiato l’esternalizzazione. Tale narrazione, sebbene pervasiva, non è risultata trasformativa e dunque, secondo l’MNS, non egemonica.
Nel 2022, invece, emerge una maggiore coerenza narrativa: la solidarietà (qui soprattutto esterna perché rivolta ai profughi ucraini) ha permeato tutte le arene senza resistenze, fino a tradursi nell’attivazione della Direttiva sulla Protezione Temporanea. In tal caso, la narrazione della solidarietà è stata non solo pervasiva, ma anche altamente trasformativa, e quindi, secondo l’MNS, ampiamente egemonica.
Il confronto diacronico tra i due casi evidenzia il ruolo cruciale del setting nel determinarne il successo delle narrazioni. Il setting si riferisce al contesto storico e geopolitico, cui sono strettamente connesse le percezioni collettive consolidate sulla migrazione. Queste percezioni contribuiscono alla definizione dei frame attraverso cui la questione migratoria viene narrata, determinando così le fondamenta sulle quali si sviluppano e si articolano le diverse narrazioni migratorie.
Nel 2015, la migrazione è stata inquadrata come “crisi” (Triandafyllidou, 2018), generando molteplici narrazioni polarizzanti che hanno ostacolato il raggiungimento di un consenso unanime. Nel 2022, invece, la migrazione è stata inserita in una più ampia cornice geopolitica, come parte di un conflitto alle porte dell’Unione, sia in senso geografico che ideologico (Barana et al., 2023). Ciò suggerisce che quando il setting inserisce le narrazioni in frame non esplicitamente migratori, si generano quelle che definiamo “non-migration narratives on migration”, le quali hanno maggiori probabilità di diventare egemoniche rispetto a narrazioni esplicitamente migratorie.
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