La fotografia, che storicamente ha rappresentato uno strumento per cristallizzare il presente e documentare il passato, oggi si confronta con una trasformazione radicale, causata dall’avvento delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale (IA). Queste evoluzioni pongono interrogativi cruciali riguardo al nostro rapporto con il tempo e la memoria, sfidando la nozione stessa di "archivio fotografico". Le immagini, un tempo fissate su supporti fisici che conferivano loro una temporaneità definita, oggi fluttuano in un universo digitale in continuo mutamento. Da un lato, la digitalizzazione ha amplificato la riproducibilità infinita delle immagini, dilatando il tempo e rendendo accessibile e modificabile ogni frammento di passato; dall’altro, l’intervento sempre più determinante dell’IA ha introdotto nuove modalità di creazione e manipolazione visiva, dove il confine tra ciò che è reale e ciò che è costruito diventa più sfocato. Il concetto di “archivi imperfetti”, evocato da Fausto Colombo (Gli archivi imperfetti. Memoria sociale e cultura elettronica, 1986), diventa fondamentale in questo contesto, riflettendo la fragilità e la fluidità della memoria visiva. Se la fotografia analogica custodiva il passato stabilmente, la fotografia digitale e quella generata dall'IA pongono nuove sfide legate alla veridicità e all’autenticità delle immagini. In questo scenario, l'archivio non è più solo un deposito statico di ricordi, ma una rete in continua espansione che, interagendo con le infinite possibilità dell'IA, diventa un campo di significati in divenire, dove il tempo non è solo un ricordo del passato, ma una costruzione costante del presente. La fotografia non è semplice testimone del passato, ma pratica di ricostruzione e reinterpretazione che interroga la nostra comprensione storica e sociale. L’introduzione di algoritmi che manipolano le immagini e la possibilità di generare “memorie” artificiali spingono a ripensare il rapporto con la memoria collettiva, sfidando la possibilità di un archivio stabile e definitivo. La fotografia diventa chiave per interrogarsi non solo sul tempo passato, ma anche sulla sua continua ricostruzione, attraverso una pratica che intreccia memoria, identità e storia in modi imprevedibili.
Il panel affronterà il discorso attraverso 4 focus specifici.
1. Le immagini stanno evolvendo con i Generative Visual Media, ridefinendo la fotografia nell’era digitale. La ricerca esamina 762 immagini AI-generated sul conflitto israelo-palestinese, analizzando la relazione con gli standard visivi della fotografia documentaria. L’analisi individua tre elementi chiave: la continuità con l’estetica fotogiornalistica, l’influenza della virtual photography dei videogiochi e le nuove possibilità di staged photography. Lo studio evidenzia le implicazioni degli archivi digitali nella costruzione della memoria sociale e la crescente ambiguità tra documentazione fotografica e immagini sintetiche.
2. Il progetto Paragraphica di Bjørn Karmann esplora il rapporto tra fotografia e AI, generando immagini senza obiettivo ottico, basate su dati ambientali. Questo processo riflette la trasformazione semantica della fotografia nell'era della machine vision e delle reti generative. Se la fotografia analogica fissava l’attimo effimero su un supporto permanente, l’AI ridefinisce il concetto di memoria visiva attraverso immagini riproducibili e rielaborabili. Analizzando artisti come Chatonsky e Paglen, questo intervento indaga la relazione tra realtà e simulazione, ridefinendo il valore della permanenza nell'immagine e il ruolo dell’archivio nell’era digitale e dell’intelligenza artificiale.
3. Le IA operano più come strumenti predittivi che mnemonici, generando contenuti attraverso modelli statistici. Il progetto Synthetic Memories mostra come queste tecnologie possano ricreare immagini del passato attraverso la previsione artificiale. Analizzando il training ricorsivo delle IA, emerge un'alterazione del concetto lineare di tempo e una degenerazione della memoria visiva. Questo fenomeno invita a ripensare il ruolo conservativo della memoria nella società contemporanea, interrogandosi se tali tecnologie rappresentino un'opportunità per la rielaborazione del passato o un semplice collasso dell'archivio visivo collettivo.
4. La ricerca esplora gli immaginari della cucina italiana contemporanea attraverso le creazioni di chef emblematici, analizzandone gli archivi visivi. L’intervento indaga il ruolo delle fotografie gastronomiche nella costruzione della memoria storica e culturale, evidenziando la frammentarietà della loro ricezione. Attraverso il caso di Opere/Works di Marchesi, si riflette sulla trasformazione delle immagini in segni disgiunti, reinterpretati dagli chef contemporanei come materiali onirici. Il contributo propone un approccio sociologico e mediologico, connettendo concetti di collezione, archivio e immaginario per ridefinire la storia culturale della gastronomia italiana attraverso l’uso delle immagini fotografiche.
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Immagini post-fotografiche della guerra a Gaza: tra archivi fotografici e generazione AI
Laura Gemini e Chiara Spaggiari, Università di Urbino Carlo Bo
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Le dinamiche contemporanee di datafication e platformization (Mackenzie, Munster 2019; Taffel 2021) hanno ridefinito il ruolo e l’utilizzo delle immagini tecniche. In questo scenario, l’immagine fotografica sta subendo un’importante trasformazione epistemologica, pratica e tecnologica, per cui alcuni studiosi hanno teorizzato la svolta post-fotografica (Grazioli 2024). Con la popolarizzazione dei Generative Visual Media - GVM - (Arielli, Manovich 2024) dal 2022, si è infine diffusa la possibilità di generare immagini sintetiche in grado di riprodurre estetiche fotorealistiche e fotografiche (Hausken 2024).
In questo contesto si collocano le agenzie stock come Adobe oggetto di questo contributo, che si situano in maniera competitiva nella visual content industry. L’integrazione dei GVM nelle piattaforme stock viene incontro alle differenti esigenze di compravendita delle immagini, proponendo la possibilità di usufruire di un archivio vario e infinito di rappresentazioni visive digitali (Frosh 2003). Nell’ottica della teoria sulla memoria sociale (Esposito 2001) si possono leggere questi archivi come dei repository, cioè dei media in cui si trattiene almeno una parte della riserva di temi di cui la comunicazione visiva contemporanea dispone.
Un aspetto interessante del sito di Adobe è che permette la compravendita sia di immagini fotografiche che di immagini AI-generated fotorealistiche. il fotorealismo AI-genereted da un punto di vista tecnico dipende dal dataset su cui i GVM sono stati trainati. Questi, come dimostrano Crawford e Paglen (2021), sono archivi prevalentemente organizzati su fotografie.
Su queste basi questa proposta si concentra sul rapporto tra immagini sintetiche fotorealistiche e immagini fotografiche, a partire dalla controversia scaturita nel novembre 2023 dalla vendita, da parte dell’archivio Adobe Stock, di immagini AI-generated del conflitto israelo-palestinese. La polemica si è concentrata sulla confusione tra fotorealismo fotografico e AI-generated, suscitando preoccupazioni sulla possibile manipolazione dell’informazione visiva in quanto testimonianza documentaria.
La ricerca si interroga su quanto le immagini AI-generated fotorealistiche vendute da Adobe Stock siano in continuità con gli standard visivi consolidati del fotogiornalismo e della fotografia documentaria di guerra (Rose 2022). A tal fine, sono state raccolte manualmente 762 immagini dal sito, utilizzando le keyword “Gaza war”, “Israeli-Palestinian conflict” e “Israeli-Hamas war”. Dalle immagini analizzate, 481 risultano essere AI-generated e fotorealistiche. Tali immagini sono state successivamente clusterizzate utilizzando i Vision Large Language Models (VLLM) (Arminio, Rossi 2024): sono stati quindi ottenuti 9 gruppi di immagini in relazione alla rilevanza e coerenza semantica. L’analisi qualitativa dei cluster ha permesso di individuare tre elementi chiave:
● La ricorrenza di specifici standard visivi, tipologie di soggetti e tematiche convenzionali, che collocano le immagini AI-generated in continuità con le fotografie fotogiornalistiche award winning prize.
● La sopravvivenza di estetiche di virtual photography, tipica degli ambienti digitali, che richiamano gli immaginari bellici dei prodotti videoludici.
● Nuove possibilità per l’elaborazione di immagini staged, che se in parte riprendono le caratteristiche standard della fotografia di stock, dall’altro sanciscono un diverso tipo di improbabilità della scena come fotorealistica.
Questa ricerca contribuisce al dibattito sulla fotografia nell’era dei GVM, evidenziando il modo in cui le immagini AI-generated si relazionano agli standard visivi tradizionali nella dialettica tra il loro utilizzo presente (a corredo delle notizie o come strumenti narrativi) e le possibilità di sedimentarsi come memoria sociale.
Riferimenti bibliografici
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Taffel, S. (2021). Google’s lens: Computational photography and platform capitalism. Media, Culture & Society, 43(2), 237–255.
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L’effimero e il permanente. L’intelligenza artificiale e la nuova semantica dell’immagine fotografica
Federico Tarquini, Università degli Studi Niccolò Cusano
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Nel 2023 l’artista e designer danese Bjørn Karmann ha realizzato Paragraphica, un dispositivo fotografico context-to-image che, utilizzando dati di posizione e intelligenza artificiale, è capace di produrre delle “fotografie” di un luogo specifico pur non avendo un obiettivo ottico. Dati riguardanti la posizione, il clima, il meteo, l’orario e i vari punti di interesse vengono “letti” dal dispositivo ed elaborati dall’algoritmo al fine di produrre un’immagine su uno schermo digitale, similare a quello di un qualsiasi smartphone. Tuttavia, come sostiene Karmann: “The resulting 'photo' is not just a snapshot, but a visual data visualization and reflection of the location you are at, and perhaps how the AI model 'sees' that place. Interestingly, the photos do capture some reminiscent moods and emotions from the place but in an uncanny way, as the photos never really look exactly like where I am.”
Una simile pratica artistica, pur nella sua specificità speculativa, riflette i noti processi trasformativi che l’intelligenza artificiale sta favorendo nell’ambito della fotografia: l’ingresso nel campo semantico di questo medium di modelli produttivi “altri” rispetto a quelli fondati sull’interazione tra uomo e dispositivi visivi, ovvero la machine-vision (Arieli, Manovich, 2024); la centralità degli sconfinati dataset di immagini già prodotte nella creazione di nuove fotografie tramite istruzioni testuali elaborate da reti generative antagoniste (GAN) (Pinotti, Somaini, 2022).
Il presente intervento, più che descrivere tecnicamente il funzionamento di tali nuove modalità produttive, mira ad analizzare le trasformazioni che queste ultime stanno favorendo nel campo semantico della fotografia. In tal senso, si proporrà una ricostruzione storico-genealogica del medium fotografico e delle sue forme esperienziali, attraverso il prisma della coppia concettuale dell' “effimero” e del “permanente”.
La fotografia, fin dai suoi albori, ha costantemente ridefinito il senso e l’operatività di queste nozioni, trasformando il mondo in un’immensa antologia di immagini fotografabili (Sontag, 1977). Superando i limiti della scrittura e rispondendo con maggiore efficienza all’accelerazione della vita metropolitana, la fotografia analogica ha costruito il senso delle proprie immagini proprio in una paradossale valorizzazione dell’attimo, sulla superficie permanente del supporto cartaceo (Abruzzese, Borrelli, 2000). Codificando così uno specifico senso del rammemorare attraverso l’archiviazione di attimi fissati in oggetti, pertanto consultabili in maniera postuma.
L’era digitale, e ancor di più quella dell’intelligenza artificiale, sembrano alterare nuovamente il dialogo tra effimero e permanente, giacché ne stravolgono radicalmente il significato e l’operatività concettuale. Se la fotografia analogica congelava l’attimo effimero sulla superficie permanente del supporto cartaceo, le immagini generate dall’IA e dalle reti generative antagoniste (GAN) attingono a un archivio digitale collettivo, dove la permanenza non è più legata alla materialità dell'oggetto, ma alla capacità di essere continuamente riprodotte e rielaborate. Il presente intervento, attraverso l’analisi critica del lavoro di Bjørn Karmann e delle pratiche artistiche di Grégory Chatonsky e Trevor Paglen (Somaini 2022), cercherà di mostrare come il valore di permanenza — nelle immagini, negli sguardi, nelle visioni, nelle esperienze e nelle memorie — costituisca il nucleo di un nuovo campo semantico della fotografia. Un campo oggi dominato da modalità percettive e generi fotografici che si fondano sulla machine vision e sull’intelligenza artificiale, dove la relazione tra il reale e il simulato, l’effimero e il permanente, è continuamente rinegoziata.
Riferimenti bibliografici
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Re-generate or collapse: tempo, memoria e immagini nell’epoca delle Intelligenze Artificiali generative
Stamatia Portanova, Università degli Studi di Napoli L’Orientale
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Le IA hanno scarsa memoria: nonostante la molteplicità di modelli esistenti, esse si definiscono generalmente attraverso un carattere predittivo, più che mnemonico. Una IA non memorizza ma riparte ogni volta da zero, procedendo dall’assorbimento iniziale di dati statistici al calcolo finale di modelli probabilistici. D’altro canto, tale capacità di prevedere futuri statistici a partire da passati datificati si esplica, nel caso delle IA generative, nella generazione di nuovi contenuti attraverso una previsione del testo o dell’immagine più verosimile: in tal modo, queste tecnologie intervengono nella costruzione della memoria sia individuale che collettiva, costituendo una sorta di archivio artificiale. (Gonsalves 2020; Mazzini 2025) Ciò che emerge da questi esperimenti è quindi un nuovo modo di relazionarsi con il tempo e di ricreare il passato, passando attraverso il futuro o, più precisamente, attraverso la sua previsione artificiale. (Ferreira da Silva 2020) Non c’è forse, in questa traiettoria algoritmica, qualcosa di paradossale? Uno strano ritmo, una anomalia crono-cognitiva sembra attraversare l’attuale panorama tecno-socioculturale. (Avanessian e Malik 2016).
La tesi principale di questo intervento è che la cognizione crono-logica predominante nelle società occidentali contemporanee sospende la nozione preconcetta di un tempo lineare, elaborandone una più trasversale e complessa. Da questo punto di vista, la memoria si dispiega come un attraversamento tra passato e futuro: come se il passato, o meglio la sua immagine, ci venisse incontro da un futuro che nessuno, né umano né macchina, ha ancora mai visto. Sfasamento che si afferma, in maniera significativa e contorta, nel modo in cui le IA intaccano la concezione del tempo come inesorabile flusso entropico, del passato come un presente scomparso, e della memoria come traccia. (Parisi 2018) Per esplorare questa tesi, l’intervento rifletterà in particolare sulla procedura generativa dell’inpainting, ossia l’utilizzo di un algoritmo predittivo per il completamento di una immagine con frammenti mancanti. In questo esempio, come teorizzato da L. Manovich ed E. Arielli nella loro definizione di ‘media predittivi’, la mente artificiale trasforma la creazione di immagini passate in una previsione probabilistica sempre più minuziosa ed esatta: ciò che vediamo è ciò che più si avvicina a quello che è probabilmente accaduto, secondo i calcoli della IA. Tale procedura verrà quindi sottoposta a un test teorico, per verificarne la comprensibilità attraverso strumenti concettuali quali la definizione di R. Barthes dell’immagine fotografica come una peculiare articolazione di presente, passato e futuro (Mesquita Duarte 2019), o la cecità dell’algoritmo frattale della foto (Laruelle 2011; Galloway 2014; Parisi 2021)
Per concludere, l’intervento si soffermerà su quello che è forse l’aspetto più interessante dell’inpainting, ossia la possibilità di applicare tale tecnica in maniera ricorsiva (Hui 2019; Parisi e Dixon-Roman 2020), utilizzando l’immagine ricostruita come punto di partenza per una ulteriore previsione e ricostruzione di frammenti minori, e così via ad infinitum. Esperimenti nel campo del training ricorsivo di IA come Stable Diffusion indicano, in realtà, come la sostituzione dell’immagine originale con quelle artificiali porti a una progressiva degenerazione, o ‘collasso del modello’. (Conde et al. 2024; Shumailov et al. 2024) Un vero e proprio collasso della memoria visiva, come se la previsione della macchina si allontanasse sempre più, attraverso la sua autonomizzazione ricorsiva, dall’esperienza umana. Tale allontanamento evidenzia la necessità di una radicale modifica della concezione lineare di tempo (Portanova 2021), e di un ripensamento o ri-generazione della funzione conservativa che ha caratterizzato la nozione di memoria nelle società occidentali moderne. Senza tale ri-generazione, ogni interpretazione non può che portare all’idea di un semplice fallimento, o degenerazione mnemonica, da parte di queste tecnologie.
Riferimenti bibliografici
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In frammenti.
Problemi teorici e metodologici sull’uso della fotografia nella ricomposizione di una storia culturale della gastronomia italiana
Tito Vagni, Università Mercatorum
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L’intervento scaturisce da una ricerca volta a ricostruire gli immaginari della cucina italiana contemporanea, dedicandosi, in prima istanza, alle creazioni gastronomiche di cuochi che il food system, in particolare le guide gastronomiche e i periodici specializzati, hanno eretto a emblemi della cultura gastronomica italiana. In questo contesto, sono prese in considerazione come fonti primarie i libri di cucina pubblicati dai cuochi (biografie e ricettari) selezionati e gli archivi visuali delle loro opere gastronomiche, senza una distinzione tra foto professionali e foto amatoriali. L’intento è quello di individuare le linee sotterranee che annodano cuochi e momenti storico-sociali, per restituire la trama delle risonanze e la mappa delle tendenze culturali in atto nella gastronomia italiana. Tale obiettivo appare oggi più che mai indispensabile alla luce della centralità della gastronomia in ambito culturale (Montanari 2006), politico (Fabris 2019; Russo 2025), comunicativo (Lupton 2018; Lewis 2020; Vagni 2021) ed estetico (Perullo 2013; Marrone 2022).
L’intervento si concentra sui problemi teorici e metodologici sollevati dall’uso delle fotografie nell’analisi storico-culturale e sulla pertinenza epistemologica del ricorso al concetto stesso di “storia”, come formulato nella domanda di ricerca originaria. La strettissima relazione tra fotografia e tempo è stata uno dei primi frame teorici con cui si è analizzato il medium fotografico, esplorata minuziosamente da Walter Benjamin (1931) e Roland Barthes (1980), e più recentemente da Belting (2002), Didi-Uberman (2004) e Fiorentino (2017). Il rapporto che la fotografia intrattiene con la storia è più controverso (Ginsberg 2006; Muzzarelli 2014; Agnese 2018), e nel corso della ricerca è emerso come problematico. L’indagine ha preso avvio analizzando le memorie gastronomiche di Gualtiero Marchesi, concentrandosi in particolare sul suo libro Opere/Works, pubblicato nel 2016 da Cinquesensi editore. Il libro è una successione di 133 piatti, privi di titolo e didascalia: l’intento precisato dall’autore è “documentare senza retorica”. I nomi dei piatti e il loro commento esteso sono in realtà presenti, ma sotto forma di appendice: sono quindi riservati al lettore per una seconda visione, successiva rispetto a una flânerie nell’archivio. Il libro, come scrive Marchesi nell’introduzione, vuole mostrare al lettore l’esito di processi creativi diversificati, che hanno condotto al piatto finito, partendo di volta in volta da un pensiero, un oggetto, un libro o un incontro. Ma l’esperienza della visione non può separarsi dal contesto della sua ricezione: ecco allora che oggi le fotografie gastronomiche invece di documentare, come avrebbe voluto l’autore, appaiono prive di una identità a causa di un divario temporale molto ampio tra lo scatto e la sua fruizione, che compromette l’intellegibilità della fotografia. L’impossibilità della sua immediata comprensione, fa dell’immagine un caleidoscopio di segni, che assumono valore non come totalità ma come frammenti. La frammentarietà dell’immagine corrisponde, questa è la tesi che si vuole perorare, agli usi e ai riusi frammentari dei dettagli che la compongono. Lo si può vedere nitidamente nei piatti che i cuochi italiani contemporanei hanno proposto come memorie esplicite e memorie inconsce di questo archetipo della cucina italiana: le creazioni di Marchesi non sono quasi mai replicate come totalità, ma sono usate come materiali onirici, come pezzi di memoria. Pertanto ciò che si intende discutere è la definizione di una storia culturale della gastronomia italiana frutto di una prassi e di un metodo derivanti da un confronto serrato tra i concetti di “collezione” (Benjamin 1937), di “archivio” (Foucault 1969), di “immaginario” (Morin 1962; Abruzzese 1979) e di “craft consumption” (Campbell 2005), ognuno dei quali sposta l’attenzione dalle sequenze temporali alle esperienze del fruitore, fornendo quindi i prodromi di una via sociologica e mediologica all’uso della fotografia nella ricerca culturale.
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