Tempi e Pratiche di cura tra le generazioni e supporto sociale: uno studio qualitativo con caregiver giovani -adulti nel contesto italiano
Maria Letizia Bosoni, Donatella Bramanti, Marco Carradore
Università Cattolica di Milano, Italia
La letteratura sul caregiving e sul supporto sociale sottolinea il ruolo critico delle reti sociali nel benessere dei caregiver. Il caregiving, in particolare per le persone con malattie croniche, disabilità e non autosufficienti, può essere un'esperienza estremamente impegnativa e impattare negativamente sulle reti sociali del caregiver, soprattutto se si tratta di un giovane. Gli studi evidenziano che il supporto sociale percepito può influenzare in modo significativo la salute mentale e la qualità di vita complessiva dei caregiver. Le dinamiche del sostegno sociale sono complesse e possono variare in modo significativo a seconda della fase della vita del caregiver e del suo coinvolgimento nella cura della persona che assiste.
Questo compito spesso coinvolge giovani e adulti: i caregiver giovani-adulti (Young Adult Carers) sono persone tra i 18 e i 24 anni che prestano cure e assistenza a un altro membro della famiglia gratuitamente e in modo continuativo (Bramanti, Bosoni 2023). La persona bisognosa di assistenza è spesso un genitore, un fratello, un nonno o un altro parente disabile, affetto da una malattia cronica, da un problema di salute mentale o da un'altra condizione legata alla necessità di cure, supporto o supervisione. Questo comporta dei rischi rispetto alla transizione alla vita adulta poiché i caregiver sperimentando una forte ambivalenza tra organizzare la propria vita in modo autonomo (costruzione di una propria famiglia, investimento sul lavoro…) e il mantenimento della responsabilità di cura (Dearden, Becker 2004; Warren 2007; Casu et al. 2021). Un ruolo decisivo nella buona riuscita della transizione alla vita adulta è giocato dalle reti di supporto formali e informali, disponibili per i giovani carers.
Il presente contributo discute i risultati di uno studio sul supporto ricevuto dai giovani carers, attraverso interviste diadiche condotte nel 2024 ad un campione di 10 caregiver di età compresa tra 18 e 37 anni, che in modo differente si prendono cura di un familiare (un figlio piccolo, un fratello/sorella, un genitore, un nonno/a). La metodologia utilizzata (interviste diadiche in cui viene coinvolto il caregiver e una persona da cui riceve aiuto da lui indicata) ha consentito di evidenziare le dinamiche relazionali dello scambio e del supporto sociale.
In generale viene sottolineata la necessità di un maggior riconoscimento del ruolo del caregiver, in primis, ed anche un maggior supporto dalla rete formale dei servizi e dalle istituzioni, per consentire ai giovani che si trovano a vivere questa esperienza di alleggerire i loro compiti permettendogli di concentrarsi su sé stessi e sulle proprie aspirazioni. Rilevanti sono le ricadute sulla salute mentale e il benessere: essere un giovane caregiver è un fattore di rischio per la salute mentale e, in generale, per il benessere delle persone.
Celebrity e Nostalgia nel pubblico senior. Primi risultati di una analisi field
Antonella Mascio1, Mario Tirino2
1Università di Bologna, Italia; 2Università di Salerno, Italia
La (ri)scoperta della terza età a livello mediale, fortemente connessa al mutamento sociale contemporaneo, chiama in causa una riflessione sui discorsi e i prodotti dedicati al tema che vanno dai programmi di approfondimento, alle questioni politiche, fino allo spettacolo e allo sport. Protagonisti di questi momenti di visibilità sono soprattutto le celebrità anziane che sempre di più si configurano come indici e catalizzatori di tendenze, ma anche come motori o creatori di contro-tendenze, con effetti rilevanti a livello collettivo.
Obiettivo del nostro intervento è quello di presentare i primi dati della ricerca ****, focalizzata sulla celebrità sia in quanto dispositivo socio-culturale, sia come possibile elemento valorizzatore dell’esperienza di fruizione nel pubblico senior. Le domande che hanno guidato la nostra ricerca possono essere così sintetizzate: in che modo la presenza di “vecchie” celebrità favorisce la ricontestualizzazione dei prodotti mediali da parte degli spettatori più anziani? In quali forme e attraverso quali processi questi prodotti - e i relativi significati - vengono riadattati al presente (Mason, 1996)? Quanto la nostalgia associata alla fruizione dei prodotti mediali funziona da meccanismo di attivazione di una visione del futuro (Smith e Campbell, 2017)? La tensione a recuperare e rivivere nostalgicamente il proprio passato può alimentare percorsi di auto-formazione mediale per riuscire ad utilizzare in modo pieno e consapevole dispositivi e ambienti digitali, per accedere a materiali audiovisivi e per condividerli e socializzarli? La nostalgia per un passato che, tuttavia, resta “a portata di clic”, può favorire la condivisione intergenerazionale delle proprie passioni, conoscenze e miti (Bolin, 2016; Baxter, 2016; Wildschut et al., 2018)?
Attraverso una serie di focus group con persone di più di 65 anni, svolti a Bologna e Salerno, il nostro obiettivo è stato quello di intercettare che tipo di ricordi, meccanismi, processi vengono attivati dalle celebrità del passato sul pubblico senior. Il quadro metodologico è stato progettato in funzione della capacità dei focus group di restituire una notevole quantità di informazioni rispetto alle forme di conservazione e rielaborazione della memoria collettiva (Coupland, 2015; Obradović, 2016). Se è vero, infatti, che la nostalgia apre “uno spazio di negoziazione tra memoria personale e collettiva” (Fortunati, 2008), attraverso i focus group abbiamo cercato di mettere a fuoco in che misura questo sentimento possa essere considerato di natura sociale, richiamando un passato comune e un’attenzione al presente che tenga conto di quel passato (Espinoza et al. 2014). Attraverso l’analisi dei dati empirici è possibile affrontare le dimensioni ambivalenti della nostalgia: da un lato, si evidenziano i processi e le dinamiche socio-culturali che trasformano il passato in una fonte di valore per il presente e il futuro (“nostalgia per un futuro a sua volta perduto: ciò a cui quel passato aveva teso” (Jedlowski, 2017; Laks 2021, Niemeyer e Siebert, 2023); dall’altro, c’è sempre il rischio che la rievocazione del passato possa generare bolle nostalgiche, in cui il pubblico più anziano si sente protetto e a suo agio (comfort zone), ma che lo rendono più chiuso verso il presente e il futuro (Zannoni, 2023).
Continuità e fratture: growing older together
Pier Paolo Bellini
Università del Molise, Italia
«Il tempo è la sostanza di cui un sé umano è costruito» (Luckmann 1983). Il contributo che si intende presentare si pone l’obiettivo di documentare da una parte la validità di questo assunto (quello cioè del legame strutturale tra tempo/tempi e costruzione dell’identità), e, dall’altra parte, le condizioni nuove in cui questo processo deve essere attentamente gestito dal soggetto in “tempi moderni”.
Uno dei problemi fondamentali, in questo quadro di ricerca, è certamente la questione della “continuità”, fattore essenziale per una definizione stessa di identità: occorre poter far affidamento su un nesso, anche minimo, tra le circostanze presenti e passate, sul fatto che tale nesso sia destinato a una certa durata, sulla fiducia che esista un ordine che assicura una stretta somiglianza tra le cose come sono ora e come erano solite essere in passato (Giddens 1979). Questo ordine è variabile in quanto esito di processi culturali che danno forma e nutrimento alle idee del passato e del futuro (Appadurai 2004).
Nella modernità il rapporto tra il passato il futuro si è palesemente trasformato (Koselleck 1979): un passato più lontano, così come un futuro più lontano, diventano per noi oggi “irrilevanti” per lasciare spazio a una forma peculiare di “accelerazione” che caratterizza i tempi moderni.
Da questa trasformazione degli stili temporali collettivi prende forma la “cultura dell'immediatezza”: mode, stili di vita, cicli di produzione, lavoro, relazioni matrimoniali e partner sessuali, convinzioni politiche e religiose diventano sempre più contingenti e instabili (Rosa e Scheuerman 2009).
Comincia così ad affermarsi la sorprendente idea che possa esistere una strategia razionale e persino sicura per preferire l’insicuro al sicuro (Luhmann 1976). Il tempo cambia la sua definizione metaforica: non è più un fiume, ma un insieme di pozzanghere e piscine (Bauman 1999). Conseguentemente, la biografia come dimensione unitaria cede il passo a una narrazione per frammenti: la grande impresa identitaria non è più quella di scoprire o inventare un’identità, ma evitare che questa “si appiccichi”.
Due fenomeni legati alle nuove prassi narrative e comunicative possono dare spunti riflessivi sugli sviluppi attuali di questi mutamenti, in merito alla dimensione della “continuità” nei processi identitari .
Sulla piattaforma Tik Tok si sta diffondendo a macchia d’olio la prassi del cosiddetto Reality Shifting, un passaggio della coscienza dalla “realtà corrente” alla “realtà desiderata” (opportunità che, secondo molti osservatori, esploderà nel Metaverso): si tratta, al fondo, di una forma di evasione durante la quale il soggetto che la pratica si astrae dalla realtà per catapultarsi in un mondo immaginifico, plasmato sui propri desideri e le proprie fantasie, rendendo “disponibile” la dimensione temporale.
Il secondo fenomeno è quello altrettanto diffuso su tutti i social network, particolarmente quelli frequentati dai più giovani: il ghosting è la pratica attraverso la quale, nonostante i vari modi di connetterci l’uno all’altro, diventa più facile sparire, non rispondere più, soprattutto nelle relazioni “calde”. Identità cancellabili.
Una riflessione finale su questo stato di cose ci suggerisce di riconsiderare una intuizione diametralmente opposta: Alfred Schütz (1951) analizzando una particolare esperienza temporale (quella legata alla performance musicale), aveva individuato in essa particolari forme di rapporti sociali “which necessarily precede” ogni tipo di comunicazione. In quell’esperienza, esecutore e ascoltatore sono “sintonizzati” l'uno con l'altro, vivono insieme attraverso lo stesso flusso: con una sola espressione, “they are growing older together”. Questo “invecchiare insieme”, questa “mutual tuning-in relationship” coincide con la relazione sociale precomunicativa sulla quale è fondata ogni comunicazione: «It is precisely this mutual tuning-in relationship by which the “I” and the “Thou” are experienced by both participants as a “We”», attraverso la semplice “condivisione del tempo”.
Divario digitale e alfabetizzazione sanitaria negli anziani: strategie di mediazione intergenerazionale
Sara Petroccia
Univesità degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, Italia
La presente proposta si inserisce nel progetto PRIN PNRR 2022 Ageing, Health Literacy and Digital Skills Through the Pandemics, condotto dall’Università degli Studi di Cassino e dall’Università di Verona. Questa ricerca indaga la relazione tra il divario digitale, inteso come disuguaglianza nell’accesso e nell’uso delle tecnologie digitali (Van Dijk, 2020), e le tensioni temporali che caratterizzano la società contemporanea. In particolare, si analizza come la trasformazione digitale determini le dinamiche di inclusione ed esclusione, con un focus specifico sulle fasce di popolazione più vulnerabili. La pandemia da Covid-19 ha ulteriormente esacerbato tali disuguaglianze (Esposito, 2022), accelerando un processo di digitalizzazione che ha contribuito a rafforzare le barriere di accesso, accentuando la discrepanza tra il ritmo dell’innovazione tecnologica e le capacità di adattamento della popolazione anziana.
In questo quadro, il tempo si configura come una variabile analitica centrale per la comprensione delle dinamiche di esclusione digitale e della crescente vulnerabilità sociale. In particolare, si intende indagare in che modo il divario digitale in ambito sanitario possa rappresentare un’espressione di marginalizzazione temporale determinata dall’accelerazione sociale (Rosa, 2013; 2019), dai processi digitali e dall’urgenza nell’accesso ai servizi sanitari online. Tale fenomeno risulta ulteriormente aggravato dalla carenza di percorsi di apprendimento adeguati alle esigenze della popolazione anziana, contribuendo ad amplificare le disuguaglianze nell’uso delle tecnologie e nell’accesso alle risorse sanitarie digitali. In dettaglio, l’analisi si articola intorno a due interrogativi:
- In che misura la pressione temporale imposta dalle trasformazioni digitali condiziona l’accessibilità ai servizi sanitari per gli anziani?
- Come il tempo e la fiducia influenzano la percezione della tecnologia da parte della popolazione anziana?
La presente proposta si basa su una prima analisi qualitativa condotta attraverso 20 interviste a testimoni privilegiati in due regioni italiane (Lazio e Veneto), coinvolgendo operatori sanitari, assistenti sociali e formatori digitali. I risultati evidenziano due principali frame concettuali:
- Accessibilità e usabilità, che descrivono le difficoltà tecniche e cognitive legate alla rapidità dei cambiamenti digitali;
- Supporto e fiducia, che sottolineano il ruolo cruciale delle reti sociali e della formazione intergenerazionale nel facilitare l’adattamento tecnologico.
L’analisi delle interviste evidenzia come la principale barriera all’inclusione digitale non risieda unicamente nell’accesso alle tecnologie, ma anche nel tempo necessario per apprenderle che diventa un elemento di disallineamento sociale rispetto alle scadenze istituzionali e alle urgenze sanitarie, accentuando le difficoltà della popolazione anziana. La continua evoluzione delle piattaforme digitali in ambito sanitario, unita alla necessità di aggiornamenti costanti, contribuisce a generare insicurezza, ansia e quel senso di alienazione poco funzionale al processo di adattamento alle innovazioni tecnologiche.
In risposta a questa accelerazione, la formazione intergenerazionale emerge come una strategia efficace per mitigare il disallineamento. L’apprendimento mediato da giovani formatori non solo contribuisce alla riduzione delle disuguaglianze digitali (Marmot, 2006), ma si configura anche come un modello di accompagnamento che consente agli anziani di acquisire competenze digitali in modo più sostenibile e rassicurante.
In questa prospettiva, la ricerca propone un cambio di paradigma: il tempo non deve funzionare da vincolo, ma come una risorsa educativa essenziale. La rapidità delle trasformazioni tecnologiche e l’urgenza di accesso ai servizi digitali generano nuove forme di esclusione, rendendo imprescindibile l’adozione di modelli di inclusione funzionali ai tempi di apprendimento delle fasce più vulnerabili della popolazione. I risultati della ricerca evidenziano la necessità di politiche pubbliche mirate a promuovere un’alfabetizzazione digitale sostenibile (Esposito E. et al., 2021), prevenendo così la trasformazione del divario digitale in una frattura strutturale. Ciò risulta cruciale per garantire un accesso equo e inclusivo ai servizi sanitari pubblici, riducendo le disuguaglianze e favorendo l’autonomia digitale della popolazione anziana.
Inattivi o iperconnessi? Superare l'ageismo digitale durante e dopo l’emergenza Covid-19
Simone Carlo
Università Cattolica del Sacro Cuore, Italia
Il concetto di “active ageing” (invecchiamento attivo) è emerso nel discorso pubblico come una strategia valida per affrontare le sfide socio-economiche poste dall'invecchiamento della popolazione, incoraggiando una visione della vecchiaia come un periodo che può/deve essere ancora produttivo e attivo.
Tuttavia, come hanno notato diversi studiosi (Cappellato - Mercuri, 2023), i discorsi istituzionali spesso promuovono un modello liberista di "invecchiamento di successo," dove la responsabilità individuale degli anziani nel "dover essere attivi" è celebrata con poca considerazione per i fattori contestuali (Colombo, 2017) ed è sintomo del tentativo di scaricare sugli anziani le difficoltà del welfare nel garantire a tutti i servizi essenziali: a fronte di una rischiosa crescita della spesa pubblica e di arretramento dello Stato, emerge la necessità di avere anziani sempre più produttivi (e sani) e che badino in primis individualmente al proprio benessere.
L'invecchiamento attivo è una narrazione culturale che prescrive anche come gli anziani dovrebbero usare le tecnologie della comunicazione e i servizi pubblici digitali (Bonifacio, 2021). A partire dalle premesse delle ricerche sul divario digitale, che sostengono che una maggiore alfabetizzazione digitale dovrebbe migliorare il benessere e l'inclusione sociale degli anziani (Ragnedda, 2018), un numero crescente di studi empirici ha esaminato l'adozione delle tecnologie digitali come strumento per promuovere il buon invecchiamento. Il modello normativo dell'invecchiamento attivo e dell'uso della tecnologia tra le persone anziane ha favorito la diffusione di una serie di discorsi che hanno visto gli "anziani non digitalizzati" come una categoria "per sé" svantaggiata e, possibilmente, da superare. Infatti, se le tecnologie digitali aiutano a mitigare alcuni problemi legati all'età, le persone anziane non tecnologizzate rischierebbero di perdere queste opportunità (Sagong - Yoon, 2022).
L'emergenza Covid-19 ha moltiplicato la pressione sugli anziani per l'uso dei media e dei servizi digitali, con un brusco cambiamento nel discorso pubblico nel nostro Paese: gli anziani sono passati rapidamente dall'essere “strutturalmente” inadatti a usare le tecnologie all'essere costretti a usarle per dimostrare di essere ancora attivi e connessi nonostante le restrizioni dovute alla pandemia.
La nostra ricerca qualitativa longitudinale (2020-2024), condotta intervistando un panel di 40 anziani italiani, cerca di ricostruire le strategie adottate dagli anziani per sfidare gli stereotipi che collegano l'uso/non uso delle tecnologie digitali ai processi di invecchiamento.
In particolare, la ricerca porta alla luce il tentativo degli anziani di trovare una propria “strada” nell'uso delle ICT, che superi sia gli stereotipi ageistici di anziani naturalmente lontani dal mondo digitale, sia gli stereotipi di anziani che per rimanere attivi, affrontare l'emergenza Covid-19, vivere a pieno la propria vita hanno bisogno di essere iperconnessi.
Nonostante la generale spinta all’inclusione digitale degli individui anziani, la ricerca mostra una interessante capacità di resistenza della popolazione anziana, in grado spesso di scegliere tempi e modi di utilizzo delle ICT, nonostante la pressione alla digitalizzazione. Le forme di disconnessione volontaria, negoziazione, rifiuto da parte della popolazione anziana all’utilizzo di tecnologie digitali hanno reso le traiettorie di utilizzo delle ICT da parte degli over 65 spesso sorprendenti e non scontate.
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