Programma della conferenza

VII “Non c’è più tempo!” Crisi ed emergenze nella società contemporanea / Cagliari, 19/20 giugno 2025

In un’epoca segnata da crisi ricorrenti e da un senso di urgenza perpetua, il concetto di tempo emerge come una lente imprescindibile per analizzare e comprendere la società contemporanea. Il convegno SISCC 2025, organizzato dalla “Società Scientifica Italiana di Sociologia, Cultura e Comunicazione”, intende riflettere sulle molteplici declinazioni del tempo nel contesto delle crisi odierne, esplorando come l’accelerazione dei ritmi di vita e la proliferazione delle emergenze stiano ridefinendo dimensioni fondamentali dell’educazione, della comunicazione e della vita quotidiana.

 
 
Panoramica della sessione
Sessione
Sessione 2 - Panel 09: Immaginari urbani e turistici
Ora:
Giovedì, 19/06/2025:
15:15 - 17:15

Chair di sessione: Emiliano Ilardi
Luogo, sala: Aula 12 (A1-B)

1°piano. Edificio A (Palazzo Baffi) Campus Sant'Ignazio. Via Sant'Ignazio da Laconi, 74 (CA)

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Presentazioni

I tempi lenti del turismo alternativo e del cooperativismo di piattaforma: l’esperienza delle cooperative di comunità abruzzesi

Antonio Opromolla1, Francesca Belotti2, Fabio Virgilio3, Giulia Candeloro4, Luciana Mastrolonardo4, Stefania Parisi5

1ENEA; 2Università degli Studi dell'Aquila, Italia; 3Legacoop – CulTurMedia; 4Università degli Studi Chieti–Pescara; 5Sapienza Università di Roma

Il paper dà conto dei risultati di una ricerca-azione svolta con alcune cooperative di comunità abruzzesi, con cui abbiamo co-progettato una piattaforma digitale, “AbiTerrò”, che riflettesse nel design i loro valori e dinamiche sociali, così da comprendere -in una prospettiva emica- le pratiche culturali legate al turismo alternativo e al cooperativismo di piattaforma.

Le cooperative di comunità che nascono in contesti marginali come l’Abruzzo (Vendemmia et al., 2021) promuovono il recupero di un tempo meno frammentato e più radicato nella quotidianità dei luoghi (Mori, 2014; Sforzi, Burini, 2020), proponendo attività ricreative non convenzionali e attente alla popolazione locale (Hannonen, 2018; Giampiccoli & Mtapuri, 2021) che favoriscono la condivisione autentica di esperienze (Gursoy et al. 2010; Triarchi & Karamanis, 2017). In questo senso, le cooperative possono essere considerate come comunità di resistenza (Sivanandan, 1981; Aiken, 2015) alle forme di turismo “mordi e fuggi” che dominano la scena globale (Becker, 2016; Neef, 2021). Esse adottano specifiche modalità sia di tutela e promozione del territorio, sia di accoglienza ed ospitalità, che rispondono criticamente all’intensificazione dei flussi turistici nelle grandi città (Triarchi & Karamanis, 2017; Dodds & Butler, 2019), favorita da piattaforme di settore come AirBnb e Booking (Nilsson, 2020; Celata & Romano, 2022).

Il cooperativismo di piattaforma ben si presta a questa operazione giacché prova a risignificare la sharing economy sottesa alle piattaforme digitali in termini di maggiore tutela del lavoro, cura delle relazioni umane e protezione dei beni comuni (Papadimitropoulos, 2021; Rose, 2021). Facendo leva sul modello cooperativo tradizionale basato su legami di fiducia, relazioni di lavoro strutturate, e valori condivisi, le sperimentazioni realizzate finora in questo campo hanno provato (non sempre efficacemente, Bunders & De Moor, 2024) ad annodare i valori dell’innovazione sociale e della solidarietà alla profittabilità (Scholz, 2016; Di Maggio, 2019), per allentare la presa del capitalismo digitale, che tende sempre più ad uniformare i tempi e le esperienze delle persone.

Questi due framework informano il disegno della nostra ricerca, improntato sulla Design Sociology (Lupton, 2018). Abbiamo applicato il Design Thinking come strategia creativa e collaborativa di risoluzione di problemi reali incentrata sull’utente e orientata alle comunità (Brown, 2019; Goi & Tan, 2021), e il Design Sprint come protocollo operativo per l’identificazione di obiettivi e soluzioni innovative da prototipare e validare con i/le partecipanti (Knapp et al., 2016). Nello specifico, abbiamo organizzato cinque workshop con i/le portavoce di otto cooperative di comunità abruzzesi che, al momento della ricerca, già lavoravano insieme su progetti di turismo alternativo attivati nei borghi di provenienza.

L’analisi dei materiali raccolti durante le attività mostra che, nelle fasi iniziali e più “concettuali” del co-design, le cooperative di comunità si posizionano come appartenenti ad un unico territorio, con valori e pratiche condivise internamente che devono poi essere riconoscibili all’esterno. Pertanto, AbiTerrò è pensata sia come un ambiente digitale di backstage che le riunisce e che dà protagonismo alle comunità locali, sia come frontstage rivolto ai/alle guest in entrata, a cui propone un’offerta turistica lenta che favorisce un’immersione rispettosa nella cultura autoctona.

Tuttavia, durante le fasi di ideazione, prototipazione e test della piattaforma, emergono difficoltà nel mantenere tale assetto “bifronte”. Entrare nelle maglie dell’architettura e dei meccanismi di funzionamento di AbiTerrò solleva questioni etiche, legali e gestionali tra i/le partecipanti circa la capacità effettiva della piattaforma di rispondere ai fabbisogni della popolazione locale mentre si rivolge ai flussi turistici in entrata. Ciononostante, i valori iniettati nella discussione restano saldamente ancorati alla necessità di evitare forme di consumo bulimico dei luoghi e favorire l’integrazione dei/delle guest nella vita delle comunità locali, allungando il loro tempo di permanenza nei territori e superando così la dicotomia ospite-abitante.



Immaginario dell’autenticità e mediatizzazione delle pratiche di consumo nei borghi italiani

Enrico Mariani

Università di Urbino, Italia

Il dibattito sui borghi delle aree interne italiane ha conosciuto una rinnovata attenzione durante la pandemia da Covid-19, in parte alimentato dal desiderio di fuga dai centri urbani densamente popolati (Fenu 2020, Bindi 2021). Questo contributo si concentra sugli immaginari mediali relativi ai borghi italiani, assunti come caso di studio all'interno della più ampia questione delle aree interne, caratterizzate da marginalizzazione economica e politica (Lucatelli, Luisi, Tantillo 2014). L'obiettivo è individuare le caratteristiche degli immaginari mediali dei borghi, in relazione ai fenomeni di cambiamento sociale e culturale catalizzati e amplificati dall’emergenza pandemica da Covid-19 (Boccia Artieri, Farci 2021, Bartoletti, Paltrinieri, Parmiggiani 2022). Tali immaginari sono strettamente connessi ai criteri di classificazione che valutano l’autenticità dei borghi (Sassatelli, Arfini 2024). Il contributo è rivolto a comprendere il coinvolgimento della categoria di autenticità all’interno di alcuni oggetti mediali, selezionati in ragione delle loro condizioni di produzione e diffusione presso i pubblici (Ciofalo, Pedroni 2022), sono in grado di raccontare l’immaginario dei borghi in modo particolarmente efficace ed influente. La costruzione del corpus di analisi è dunque orientata dal ruolo cardine di alcuni centri di produzione del discorso, tra cui in particolare quelli nati in seguito alla collaborazione tra l’associazione “Borghi più belli d’Italia” e il gruppo Deloitte. Per questa ragione il corpus di analisi è costituito da un cortometraggio prodotto da Deloitte intitolato Presto sarà domani (Placido 2022) e dalle recenti edizioni della trasmissione televisiva “Il borgo dei borghi”, in onda su Rai 3. L’autenticità raccontata da questi oggetti mediali verrà presa in considerazione in quanto dispositivo narrativo di costruzione del valore (Boltanski, Esquerre 2019), ovvero in quanto dispositivo che produce degli effetti sul piano della giustificazione e della legittimazione del valore dell’esperienza che è possibile fare nei borghi italiani, la quale rappresenta un caso particolare di esperienza, nel più ampio campo delle pratiche di consumo turistico (Gemini 2008, Zukin 2008, Urry, Larsen 2011, Sassatelli, Arfini 2017). Il modello prevalente di brevi soggiorni nei borghi promuove non solo la visita al patrimonio storico, culturale e naturale, ma riflette anche una recente tendenza a narrare l’incontro con le comunità locali attraverso registri comici e ironici. Tale rappresentazione mediale contribuisce a veicolare un'idea specifica dell’esperienza offerta dai borghi delle aree interne italiane, trascurando le problematiche legate alla marginalizzazione attraverso la celebrazione di una quotidianità idealizzata. L’analisi delle trasformazioni nei processi di autenticazione osservabili negli oggetti mediali consente di sviluppare una prospettiva critica sulle principali tendenze delle pratiche di consumo turistico nelle aree interne contemporanee, osservando continuità e discontinuità legate ai diversi periodi della pandemia.



Cronotopie contese del nuovo turismo urbano. Narrazioni digitali ed esperienza dei luoghi in tre quartieri romani

Stefania Parisi1, Ellenrose Firth1, Milena Cassella1, Fabio Virgilio2, Laura Tedeschi1

1Sapienza Università di Roma, Italia; 2CulTurMedia LegaCoop

Le grandi città sperimentano oggi forme inedite e voraci di abitare temporaneo, di norma (ma non esclusivamente) legate al turismo, che generano ricadute critiche sulla qualità della vita dei residenti e sull’esperienza stessa dei visitatori (Dodds & Butler, 2019). A Roma, dopo le aree di interesse artistico, il processo coinvolge quartieri semicentrali in cui da tempo si registrano trasformazioni nella composizione socioeconomica e nelle dinamiche socioculturali. Queste aree attirano i flussi di un nuovo turismo urbano (Roche, 1992), basato sulla ricerca di luoghi alternativi rispetto ai centri storici iperturistificati (D’Eramo, 2017), nei quali è possibile vivere esperienze e ritmi di vita “da residenti” (Füller & Michel, 2014; Mody 2016) – un fenomeno che comprime il mercato residenziale, esacerbando i fenomeni di gentrificazione e inaugurando specifiche modalità di mercificazione del capitale sociale e culturale dei luoghi (Smith, 2005; Novy & Colomb, 2016).

Gli studi su piattaforme come Airbnb e Booking evidenziano il ruolo cruciale che queste giocano nell’accelerare tali processi (Nilsson, 2020), operando come attori politici (Parisi, 2018) con ruolo di indirizzo e mediazione algoritmica (Parisi, 2022). Da questo punto di vista, esse partecipano al processo di produzione dello spazio (Lefebvre, 1974) e alla sua governance (Fields et al., 2020), trasformando l’esperienza stessa della città (Caprotti et al., 2022). Il meccanismo di curation algoritmica genera inoltre immagini “sintetiche” della realtà urbana basate su rappresentazioni individuali e collettive negoziate dai meccanismi di piattaforma (Romano et al., 2023), sulle quali le città sono chiamate a modellare le proprie estetiche per non tradire le aspettative dei visitatori. Specifiche porzioni di territorio (una piazza, una strada, un luogo della movida) identificate come maggiormente rilevanti dall’interazione tra utenti e algoritmi (Celata et al., 2020) danno così forma all’identità percepita dei quartieri, orientano lo sguardo del turista e adattando l’immagine dei luoghi a una sensibilità globale (Urry 1990; 2008).

A partire da queste considerazioni, il contributo presenta i risultati di una ricerca qualitativa sulle culture urbane in trasformazione in tre quartieri romani situati a ridosso del centro storico – Pigneto, San Lorenzo, Esquilino – la cui popolazione temporanea (Brollo & Celata, 2022) è in decisa crescita, anche per l’effetto di processi correlati (“foodification” e “studentification”, cfr Navarro-Jurado et al., 2023). Gli studi che hanno problematizzato le trasformazioni avvenute in questi quartieri (Parisi, 2014; Carbone & Di Sandro, 2019; Meli & Ricotta, 2022) raramente li inquadrano all’interno della riflessione sulle interferenze delle piattaforme digitali. La ricerca mira a colmare questa lacuna raccogliendo attraverso interviste in profondità il punto di vista di attivisti, associazioni culturali, commercianti, abitanti stabili e temporanei, al fine di identificare gli aspetti attrattivi e problematici dei tre quartieri e il ruolo delle piattaforme digitali nelle trasformazioni in corso, e raccogliere proposte di comunicazione della cultura dei luoghi che possano sensibilizzare a un’abitare temporaneo più consapevole. I primi risultati mostrano che queste aree assumono significati culturali che li collocano in opposizione ai flussi dell’overtourism; sono caratterizzati da un immaginario condiviso che combina memoria storica, creatività artistica, connotazione politica progressista o antagonista e una ampia offerta di luoghi dedicati al consumo (enogastronomia su tutti). I quartieri emergono come unità spazio-temporali in cui il tempo (memoria, storia e identità sedimentata, veicolate dal racconto dei media e dalla selezione algoritmica delle piattaforme) precipita nell’esperienza localmente situata della fruizione turistica e dell’abitare temporaneo.

Questi cronotopi (Bachtin 1975), valorizzati dal (re)branding dell’identità dei quartieri, appaiono tuttavia contesi: la coolness che li circonda rende attrattivi i luoghi e le routine quotidiane dei residenti, ma contribuisce alla percezione di un cortocircuito culturale in atto, con il quale si confrontano campagne e iniziative di riappropriazione e risignificazione politica attivate trasversalmente negli spazi fisici e negli ambienti digitali.



Utopie e distopie tra media e quotidianità: Immaginari futuri dei giovani sardi

Stefania Ferrua

Università degli studi di Cagliari, Italia

Negli ultimi anni, si è assistito ad una significativa proliferazione di narrazioni utopiche e distopiche nei media contemporanei, tra cui serie TV, film, videogiochi, romanzi. Questo fenomeno spesso è espressione di una rinnovata preoccupazione verso il futuro (Ilardi, 2018). Gli immaginari di società dove il controllo sulla popolazione è totalitario e pervasivo (Hunger Games, Divergent, The giver, Matrix, ecc.), si contrappongono a mondi post-apocalittici in cui ormai la società è giunta al collasso a causa di dinamiche autodistruttive (Mad Max, Umbrella Accademy, The 100, ecc.). Sebbene meno frequenti, esistono anche immaginari più ottimistici, in cui la natura riveste un ruolo centrale. Nell’insieme tali immaginari, come notano Mandich, Satta & Capozzi (2024), riguardano prevalentemente la società nel suo complesso. Come si inseriscono, invece, questi immaginari all’interno della vita quotidiana?

Per rispondere a tale domanda è utile innanzitutto fare una distinzione analitica tra “big futures” e “little futures”. I “big futures” sono i quei futuri che riguardano le trasformazioni della società e prevedono quindi orizzonti spazio-temporali ampi (Tiger, 1995), mentre i “little futures”, secondo la definizione proposta da Micheal (2017), sono quei futuri che concernano la vita quotidiana delle persone. Lo stesso Micheal (2017) evidenzia come una maggiore attenzione sia stata rivolta finora ai big futures, spesso tralasciando le relazioni che intercorrono tra le due dimensioni. Gli immaginari menzionati in precedenza rientrano prevalentemente nella categoria dei big futures, sebbene sia possibile individuare diverse connessioni con i little futures.

La dimensione quotidiana del futuro (little futures) è il focus di un’indagine qualitativa condotta attraverso una serie di interviste realizzate tra dicembre 2024 e marzo 2025 con giovani di età compresa tra i 18 ed i 35 anni che abitano nelle aree interne della Sardegna.

Alla domanda “Come ti immagini la tua vita quotidiana tra dieci anni”, una risposta ricorrente è stata: “Bah, più o meno come quella di adesso”. Questa risposta riflette una percezione del futuro appiattito sul presente, un fenomeno che un’ampia e consolidata letteratura ha già ampiamente documentato (Mandich, 2022). Etichette quali “presentificazione” (Adam & Groves, 2007; Leccardi 2009, 2005) e “presente esteso” (Nowotny, 1994) descrivono questa tendenza, indicando come il presente sia il tempo di riferimento per l’azione. Tuttavia, è possibile andare oltre questo primo livello di analisi, forse il più immediato, e riflettere sugli immaginari che caratterizzano questa futura quotidianità. Secondo Jedlowski (2017), la quotidianità è per lo più prevedibile, perché è sorretta da assetti istituzionali che rendono relativamente stabili i comportamenti. Nella vita quotidiana, difatti, l’anticipazione è raramente il prodotto di una attività riflessiva o immaginativa. Mandich, Satta & Capozzi (2024) evidenziano però come vi sia un “avvicinamento dell’utopia alle pratiche quotidiane” (p.22). Già dagli anni ’90 del secolo scorso, il concetto di “realismo utopico” ha cercato di bilanciare l’eccessiva idealizzazione dell’utopia con il realismo. Davina Cooper (2004) ha introdotto in tempi più recenti il concetto di “everydays utopias”, quale modo di rottura della normalità del quotidiano per far emergere pratiche prefigurative. Il quotidiano può divenire così fonte di cambiamento. Se è possibile individuare immaginari utopici dei cosiddetti little futures, secondo le autrici i big futures tendono a essere prevalentemente connotati in senso distopico.

Partendo da queste premesse, il presente contributo cerca di esplorare l’eventuale presenza di elementi distopici e/o utopici propri dell’immaginario letterario e cinematografico contemporaneo all’interno degli immaginari della vita quotidiani dei giovani sardi che vivono in aree caratterizzate da spopolamento.



 
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