Programma della conferenza

VII “Non c’è più tempo!” Crisi ed emergenze nella società contemporanea / Cagliari, 19/20 giugno 2025

In un’epoca segnata da crisi ricorrenti e da un senso di urgenza perpetua, il concetto di tempo emerge come una lente imprescindibile per analizzare e comprendere la società contemporanea. Il convegno SISCC 2025, organizzato dalla “Società Scientifica Italiana di Sociologia, Cultura e Comunicazione”, intende riflettere sulle molteplici declinazioni del tempo nel contesto delle crisi odierne, esplorando come l’accelerazione dei ritmi di vita e la proliferazione delle emergenze stiano ridefinendo dimensioni fondamentali dell’educazione, della comunicazione e della vita quotidiana.

 
 
Panoramica della sessione
Sessione
Sessione 4 - Panel 07: Tempo e teoria sociale
Ora:
Venerdì, 20/06/2025:
10:30 - 12:30

Chair di sessione: Emiliana Mangone
Luogo, sala: Aula 7 (A1-G)

1° piano, Edificio A (Palazzo Baffi) Campus Sant'Ignazio. Via Sant'Ignazio da Laconi, 74 (CA)

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Presentazioni

“Oltre la fine: ripensare la crisi per una connessione al mondo post-umano”

Federica Guida

Università degli studi di Cagliari, Italia

«Non abbiamo poco tempo, ne perdiamo molto» (Sᴇɴ. 𝐷𝑖𝑎𝑙. X 1)

Domanda di ricerca

Seneca ammonisce: il tempo è ciò che dà valore alle azioni e alla nostra stessa esistenza. Se è una risorsa mal gestita, abbiamo il dovere di darne un nuovo valore e significato. In un’epoca segnata dal tramonto dell’antropocentrismo, in un sistema globalizzato tecno-capitalista, siamodiversamente schizoidi” alla deriva dell’accelerazione del tempo “verso il presente continuo (Ragone, 2015:66). Bisogna infatti considerare la doppia spinta temporale della crisi: verso un rallentamento (lockdown, crolli dei mercati lavorativi ed economici) e verso un’ulteriore accelerazione di strategie emergenziali per contenere i margini di danni che sembrano prevedibili ma inarrestabili.

L’intento di questo contributo è di promuovere un dialogo interdisciplinare tra sociologia degli immaginari e filosofia per esplorare come le crisi che caratterizzano la contemporaneità, legate a scenari catastrofici, possano essere lette in chiave positiva: promotrici di pratiche di cura e di nuove relazioni. Dunque, non solo come la fine di un sistema estremizzato in termini economici o produttivi, ma come un processo lento di trasformazione. In particolare, si vuole partire dalla concezione del post-umano di R. Braidotti che propone di ripensare la resilienza come un movimento relazionale, verso il recupero di modalità lente, significative e interconnesse.

Quadro metodologico

“Non si può dunque partire dall’idea che ci sia un linguaggio della crisi, ma diversi linguaggi” (Corrado, 2023:249). In questo momento storico in cui domina quello del mercato e della tecnologia, bisogna promuovere un’intersezionalità che apra a nuovi immaginari.

Il concetto di crisi è una parola alla quale siamo assuefatti e andrebbe sostituto da nuove parole contenitrici di prospettive: come quella di cura, un insieme di pratiche per ripensare la quotidianità dai piccoli gesti. Va preservata perché a sua volta non diventi un’etichetta di dinamiche e sistemi industriali o monetizzanti.

Secondo Braidotti, come esseri umani (troppo umani) siamo dominati dalla paura e dal panico dell’estinzione. La sfida centrale posta dalla convergenza post-umana è quella di riposizionare l’umano e ridefinire il soggetto del sapere e del potere, abbandonando il modello unitario, umanistico, eurocentrico che ha dominato per secoli.

I soggetti postumani stabiliscono relazioni su tre livelli: con sé stessi, con gli altri e con il mondo. Quest'ultimo livello si intende come un insieme complesso di ecologie, non solo ambientali, ma anche sociali e affettive. Dobbiamo coniugare la razionalità con la capacità di affetto, per questo bisogna ripartire da relazioni che evidenziano la natura sfaccettata e differenziale del “noi” collettivo, inteso come “zoe/geo/tecno”, verso un’apertura multidirezionale.

Le fasce diseredate e oppresse della popolazione mondiale non hanno avuto davvero accesso ai benefici delle Rivoluzioni Industriali. Bisogna cercare delle strategie di cambiamento quotidiano, facendo i conti con la nostra realtà e con i sistemi in cui siamo inseriti, attraverso una continua negoziazione di risorse e di tempi.

Risultati attesi

L’intento di questo lavoro è di ripensare alle dinamiche della contemporaneità. Si vuole proporre una concezione del tempo, liberato dalla mercificazione e dal dominio dell’efficienza neoliberista, per condurre una riflessione attorno alle seguenti domande: quando si parla di crisi e, dunque di fine, si pensa davvero alla globalità del mondo o si tratta del crollo di valori e sistemi dominanti? Come possiamo costruire un’etica della sopravvivenza che non sia solo resilienza, ma anche immaginazione e trasformazione del futuro?

L’era della schizofrenia può lasciare spazio ad un’era della cura, che si basa sul mutuo soccorso, lo spazio pubblico, la condivisione di risorse. Va ripensata la nostra percezione del tempo, esplorando modi per riconnetterci. “I soggetti cosmopoliti, letteralmente i cittadini del mondo, sono quelli che hanno a cuore il mondo” (The care Collective, 2021:101).



Notes from webground. Il futuro della memoria

Corrado Punzi

Università del Salento, Italia

In Notes from underground, Fëdor Dostoevskij (1993 [1864]) affronta il nesso costitutivo tra memoria e identità, descrivendo l’identità come uno spazio sommerso e separato da quello della razionalità: un underground, appunto. Quasi un secolo dopo, Michel Foucault conia invece il neologismo eterotopia per indicare, letteralmente, uno spazio altro, una utopia localizzata, un fuori-luogo che trova luogo, ma fuori dai tòpoi, cioè dai luoghi comuni. Le eterotopie vanno intese, insomma, come dei “contro-spazi”, delle “contestazioni mitiche e reali dello spazio in cui viviamo” (Foucault 2011 [1966]: 12-14).

A partire dalle suggestioni letterarie di Dostoevskij e filosofiche di Foucault, si intende descrivere il web-ground come una delle più grandi eterotopie contemporanee, uno spazio-altro che si è costituito progressivamente come un under, poi un over e infine come un inside-ground.

Il web ha destabilizzato, o addirittura frantumato, le vecchie strutture sociali, producendo una inevitabile crisi della società e dei suoi tradizionali modelli di interpretazione. L’ipotesi è che questa crisi, ancor prima di emergere, sia stata immaginata dai pionieri del web - e non solo - come una trasformazione rivoluzionaria, una utopia (della disintermediazione), una contestazione mitica, rivoluzionaria per la costruzione indipendente delle identità e per la realizzazione di una contro-memoria sociale; una volta realizzato e diffuso capillarmente, il web ha di fatto localizzato quell’iniziale utopia, rendendola una eterotopia: il web si è così costituito come un over-ground, perché ha rimosso le vecchie strutture sociali, sovrastandole; nel tempo però, esso è stato assorbito dalle strutture che intendeva rimuovere, perdendo così la sua stessa natura di spazio-altro e trasformandosi in un inside-ground: la crisi non viene più osservata come una opportunità ma come un pericolo, perché l’iniziale utopia della disintermediazione sembra essere diventata – almeno per molti – una distopia della ipermediazione, che sta modificando drasticamente le modalità di costruzione della memoria e riducendo gli spazi di autonomia delle identità.

Sebbene le utopie tecnologiche non siano affatto sparite e anzi sembrano aver raggiunto i palcoscenici a stelle e strisce del cuore dell’Occidente, la società sembra sempre più disorientata e in crisi. Le memorie del futuro (Jedlowski 2017) dei pionieri del web sembrano dissolte di fronte a nuove questioni sociali, come quella del del futuro della memoria e delle identità. Algoritmi e big data, infatti, rappresentano un potere in grado di archiviare e processare una copia digitale del mondo e così di costruire una memoria artificiale. La progressiva espansione di una memoria sistemica può però favorire la atrofizzazione della memoria umana. Il webground diventerebbe così la macchina antropogenica (Jesi 1979) degli individui iper-moderni, perché capace di avviare nuovi processi di soggettivazione che conducono a un uomo nuovo, perché semplificato (Besnier 2009).

Tra l’hybris utopica che le tecnologie rendano l’uomo un dio-protesi (Freud 2010 [1930]) e il catastrofismo distopico di un uomo-cyborg con una memoria e una identità atrofizzate, credo si possa aprire la possibilità di una eterotopia sociologica: lo spazio-altro di un pensiero critico, posizionato sul confine, né utopico, né distopico, ma aperto alla complessità e ai paradossi di un futuro che è già cominciato (Luhmann 1998).



Elogio dei tempi grigi.Sulla cromatica postmoderna dell’accelerazione sociale

Martina Visentin1, Riccardo Prandini2

1Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali (SPGI), Università degli Studi di Padova.; 2Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna.

" (il grigio) più diventa scuro, più accentua la sua desolazione e dà un senso di soffocamento, se diventa più chiaro comincia a racchiudere una segreta speranza.
Il grigio viene fuori da verde più rosso, passività più attività, ma la passività vince".
(W. Kandinsky)

Il contributo riprende ed elabora il lavoro seminale Thomas Hylland Eriksen (1962-2024, d’ora in poi THE) che ha avuto la capacità di leggere la contemporaneità attraversando i confini dell’antropologia e della sociologia. THE non si concentra tanto sulla nuova struttura sociale che genera incandescenza del sociale (Eriksen e Visentin 2019), ma sulla presenza simultanea e sbilanciata di scale, tempi, dimensioni diverse e asimmetriche che si intrecciano nella società dell’“accelerazione accelerata” (Eriksen 2015). Presentiamo quindi una riflessione sulla presenza simultanea e squilibrata di processi contraddittori, fuori controllo e double binded (Eriksen 2015) quali: crescita e decrescita; globalizzazione e localizzazione; razionalizzazione e irrazionalità; ricerca e abbandono dell’identità; standardizzazione e personalizzazione; prevedibilità e imprevedibilità; e così via, tutti letti mediante il “filtro” della duplice fenomenologia del tempo che caratterizza la contemporaneità: accelerazione e la decelerazione, sincronizzazione e de-sincronizzazione (e talvolta, l’impasse). Questi processi si manifestano a diversi livelli – dal micro al macro-sociale – e sono strettamente legati all’idea di un mondo o troppo veloce (incandescente, che prende “fuoco”: in una parola “rosso”, iperattivo) o troppo lento (rallentato, incapace di adattarsi agli eventi: in una parola un tempo “grigio”, iperpassivo). Entrambi i mondi creano una sensazione paradossale in cui il soggetto è spinto verso agency contrapposte (Eriksen 2001): fra il dover stare al passo con i tempi, agendo in emergenza e la sensazione di rimanere sempre fermi, nel presente, nella tirannia dell’istante e di un futuro che non riesce mai ad iniziare veramente, con conseguenti sindromi da “depressione e ansia” (Ehrenberg 1999). Molte riflessioni hanno provato a contrapporre a questi processi fuori controllo, una strategia di rallentamento intenzionale (es. la contro-retorica dello slow). Questa strategia è estremamente difficile da attuare, e sembra piuttosto offrire solo la possibilità, per attori sociali che se lo possono permettere, di vivere con una maggiore consapevolezza il tempo accelerato (Eriksen Visentin 2024, 103). THE specifica che la “decelerazione/lentezza”, necessiterebbe di condizioni sociali estremamente improbabili e da aspettative condivise che andrebbero istituzionalizzate nei diversi sottosistemi sociali. Dopo aver presentato fenomenologie di queste temporalità, introduciamo un secondo filone di analisi, quello della “cromatica postmoderna” elaborato da Peter Sloterdijk (2023, d’ora in poi S.). S. descrive un mondo postmoderno in cui il cambiamento costante e la frammentazione culturale generano un senso di spaesamento. Come THE vede l’accelerazione come una condizione di destabilizzazione continua, che erode le certezze, nonchè le identità. Ma, S. contrappone al colore “rosso” dell’accelerazione, non il “verde” tipicamente associato a un’idea di equilibrio e tranquillità, bensì il “grigio” storicamente associato alla mediocrità, alla tristezza, ma anche alla prudenza. S. elogia il grigio come forma di passività vincente dentro all’accelerazione sociale. A differenza di Eriksen che nelle sue opere finali, invita ad apprendere come equilibrare l’alternanza fra accelerazione (overheating, “rosso”) e raffreddamento (cooling down, “bianco”), fra fast e slow time, per trovare un punto di equilibrio, S. invita a pensare il grigio come all’effetto emergente tra il rosso – di un agire capace di vera trasformazione sociale – e il verde della speranza che sa attendere i tempi adatti per farlo. Non tanto quindi un equilibro personale, che lascerebbe agli individui tutto lo sforzo di crearselo e proporlo in contesti sociali che non si aspettano nulla di ciò – trasformandosi solo in uno stile di vita per l’élite di chi ha le risorse per permetterselo – quanto una prospettiva collettiva che sappia stimolare una temporalità diversa dentro ai diversi sottosistemi sociali.



L’emergenza come risorsa educativa ovvero sul divenire come dover essere

Silvia Cervia

Università di Pisa, Italia

Esplorando l’ambivalenza insita nel concetto di “emergenza”, che da un lato indica una situazione critica caratterizzata da urgenza, discontinuità e una rottura della stabilità esistenziale (emergency) e dall’altro, rimanda alla generazione di qualcosa di nuovo, irriducibile agli elementi preesistenti (emergence), il contributo analizza criticamente l’emergere di prospettive che guardano all’emergenza come “risorsa educativa”.

Una chiave interpretativa che si colloca nell’ambito della “svolta neo-esistenzialista” nelle teorie educative, in cui la tendenza delle società attuali all’esistenzializzazione del sociale si fa paradigma d’azione. Un paradigma che delinea una pedagogia delle forme discontinue in cui il riconoscimento della crisi/emergenza come una “rottura esistenziale” (Biesta 2015) fonda l’esigenza di ripensare radicalmente obiettivi e pratiche pedagogiche orientandole a fare dell’esperienza educativa un percorso volto a trasformare l’emergency in emergence, ossia in un’occasione di crescita e ridefinizione del sé. L’educazione, in questa prospettiva, non è un semplice trasferimento di conoscenze, ma il processo attraverso il quale gli individui imparano a rimanere nella zona liminale della crisi (Oliverio 2020), gestendo le implicazioni emotive dell’emergency senza cadere nella distruzione del sociale o nell’auto-distruzione.

La relazione proporrà un approfondimento volto ad identificare le implicazioni di questo mutato paradigma che, in linea con più ampie trasformazioni societarie, pone al centro l’individuo e la sua soggettività spostando le istanze dell’educazione dal polo della socializzazione, concepita come trasmissione di conoscenze e saperi, a quello della soggettivazione, declinata come “sviluppo” autonomo del “soggetto”.

E se all’interno di questa cornice la scuola torna ad assumere un ruolo centrale per la costruzione di un soggetto tardo moderno, capace di performare, nella vita politica, culturale ed economica, un’identità inclusiva, critica e aperta capace di costruire un nuovo e autentico progetto democratico; si deve considerare attentamente come questa capacità performativa si fondi su una precisa pedagogia non più proiettata al futuro (secondo un progetto incrementale di acquisizione di nozioni, conoscenze e competenze) ma radicata nel presente, nel qui ed ora dell’esistenza individuale del soggetto in formazione, quale attuale e concreta esperienza di cittadinanza (Lawy, Biesta, 2006).

Il recupero della tradizione azionista francese, da Touraine a Dubet fino a Martuccelli, e i più recenti sviluppi della tradizione tedesca, da Simmel a Reckwitz attraverso la scuola francofortese, consentirà di tematizzare in chiave sociologica l’emergere dell’esistenza individuale come misura del sociale, per problematizzare la centralità che, nell’epoca contemporanea, assumono i turning points, le milestones esistenziali o le “prove-sfide” che costruiscono, scandiscono e danno senso alle esistenze individuali (Martuccelli, 2017; Baert et al., 2022; Inglis, 2022; Flisbäck, Bengtsson, 2024) delineando, al contempo, la trama delle società tardo moderne.

Il convergere delle due tradizioni attorno all’emergere del singolare come logica sociale emergente verrà utilizzato – dopo aver evidenziato le differenze tra singolarismo (Martuccelli) e singolarizzazione (Reckwiz) – per leggere la concezione del soggetto e della soggettività così come delineata dalle teorie educative, assumendo una specifica torsione performativa che va a ridefinire profondamente le pratiche scolastiche e la stessa relazione pedagogica.

L’emergente logica del singolare, intesa come processo attraverso cui l’individuo costruisce la propria unicità all’interno di una società sempre più frammentata, rappresenta, in sintesi, la cornice culturale e teorica all’interno della quale la torsione esistenzialista-performativa delle più recenti teorie educative vengono ad essere problematizzati come una focalizzazione sul divenire che delinea un dover essere (in termini di singolarità performate), sollevando interrogativi sulla possibilità che alimentino percorsi individuali capaci di resistere alle logiche neoliberiste o al rischio di isolamento o precarietà.



Cronotopi del contemporaneo. Tempo dell’apocalisse, del disconoscimento, dell’eccezione.

Massimiliano Guareschi

Università Milano-Bicocca, Italia

Il contributo si propone di interrogare alcuni fra i cronotopi che caratterizzano il multiverso temporale dell’attualità (Boltanski, Esquerre). Al centro dell’analisi si colloca la specifica costruzione sociale del regime di temporalità (Elias 1983) sottesa a una certa tipologia di narrazioni rubricate sotto la voce “complottismo”. L’ipotesi è quella dell’adesione a un cronotopo incentrato sull’Apocalisse, intesa non tanto in termini escatologici o catastrofici quanto nel suo significato originario di momento di “rivelazione” e “svelamento”. Si tratta di una temporalità orientata a una cesura fra un tempo della menzogna e un tempo del disoccultamento in cui la “verità”, tenuta in ostaggio da potenti meccanismi di manipolazione, emergerebbe nella sua integralità conducendo alla restaurazione di un ordine perduto o all’adeguamento fra piano delle rappresentazioni e piano della realtà. Ad aderire a un simile schema sono non solo le componenti del milieu “cospirazionista” più immediatamente partecipi di una dimensione religiosa (dal sionismo cristiano di matrice evangelica al tradizionalismo cattolico) ma anche quelle più “secolarizzate” o sincretiche fino a giungere agli ambienti culturali maggiormente orientati in senso Dark Enlightment o transumanista. Per analizzare il cronotopo del “complottismo ci si rivolgerà da una parte alla letteratura critica che negli ultimi decenni si è raccolta intorno al tema della conspiracy theory, con particolare riferimento a fenomeni tipo QAnon o il “Great Replacement (Butter, Knight 2020; Uscinski 2018; Harambam 2021; Navarini 2025), sia a un’analisi empirica condotta su materiali legati agli outlet informativi più influenti dell’ecosistema “complottista” italiano (BioBlu, Cruna dell’ago ecc.).

In termini di comparazione, l’analisi si estenderà a due ulteriori cronotopi che segnano altri tentativi di comprensione dello scenario di policrisi della contemporanità. Da una parte ci si soffermerà sul tempo “immobilizzato” di quello che Alenka Zupancic definisce come il rovescio dialettico e funzionale del complottismo, ossia il “disconoscimento” (Zupancic 2024), dall’altra sul tempo “sospeso” delle narrazioni sullo “stato di eccezione” come chiave di interpretazione di un presente collocato all’insegna della deroga (Guareschi, Rahola 2011).

Dal punto di vista metodologico, si farà riferimento in primo luogo al concetto di “cronotopi” di Michail Bachtin (Bachtin 2001), trasferendolo dall’ambito letterario a quello della sociologia culturale e dell’analisi del discorso. Altri riferimenti fondamentali sono costituiti dalle ricerche di Norbert Elias sulle strutture sociali della temporalità (Elias 1983), di Johannes Fabian sul tempo e la scrittura antropologica (Fabian 2021), di Jacques Le Goff sulla coesistenza/alternanza di orientamenti temporali nel corso della storia (Le Goff 2000), di Eric Alliez sulla strutturazione delle “conduites des temps” (Alliez 1991-1999).



 
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