Piattaformizzazione della camorra su TikTok
Vincenzo Luise, Patrizio Lodetti
Università degli studi di Napoli Federico II, Italia
La diffusione delle piattaforme di social media ha permesso alle organizzazioni criminali italiane di partecipare attivamente alla costruzione degli immaginari criminali, affiancandosi a giornalisti, scrittori e sceneggiatori che per oltre un secolo ne hanno modellato la rappresentazione (Ravveduto, 2024). Se le piattaforme di prima generazione, come Facebook e Instagram, hanno offerto un primo spazio di auto-rappresentazione, è attraverso le logiche algoritmiche delle piattaforme di seconda generazione come TikTok (Gerbaudo, 2024) che la cultura criminale sembra trovare una nuova forma di legittimazione nella sfera pubblica digitale.
Questo studio analizza le modalità di piattaformizzazione della cultura criminale su TikTok, interrogandosi sia su come le affordances della piattaforma influenzino la costruzione dell’immaginario criminale attraverso la codifica e decodifica dei significati culturali vernacolari (Burgess, 2006), sia su come gli obiettivi di comunicazione definiscono la relazione tra le pratiche di utilizzo e le logiche memetiche della piattaforma.
Per rispondere a questi interrogativi, è stato condotto un caso di studio sui clan di camorra attivi nella città e nella provincia di Napoli, attraverso un’etnografia digitale focalizzata su 20 account TikTok riconducibili a membri delle organizzazioni criminali. Gli account sono stati selezionati mediante due strategie complementari: un campionamento opportunistico in collaborazione con un key-informant e l’adozione dell’approccio metodologico ‘follow the user’ (Caliandro, 2024).
I risultati preliminari evidenziano come la piattaformizzazione della cultura criminale camorristica su TikTok si articola lungo tre dimensioni principali. La prima riguarda la reputazione e il consenso sociale che si strutturano attraverso pratiche di produzione culturale e performance pubbliche della violenza e di consumo vistoso. La seconda dimensione è quella economica. Le donne delle organizzazioni promuovono la creazione di circuiti economici dal basso (sia legali che illegali) attraverso strategie di social commerce monetizzando il proprio capitale simbolico criminale. Infine, le affordances, l’effemerità della viralità, la geolocalizzazione e la modularità dei contenuti sembrano favorire la diffusione e il consolidamento di simboli e narrative camorristiche attraverso memetic publics (Zulli & Zulli, 2022).
Questi risultati suggeriscono che TikTok non è solo un canale di rappresentazione della criminalità organizzata, ma un vero e proprio spazio di intermediazione economico, in cui la cultura camorristica assume la forma di un meta-brand digitale: un ecosistema di significati e pratiche sociali negoziate tra utenti, algoritmi e affordances della piattaforma. Inoltre, l’uso strategico delle grammatiche digitali rivela come la camorra su TikTok sviluppa sofisticate strategie di adattamento per sfuggire al controllo sociale e algoritmico, ridefinendo continuamente la propria presenza sulla piattaforma.
Rifiuta, pretendi, memifica: nuove significazioni del lavoro nei meme su Instagram
Alessandro Gandini, Camilla Volpe, Laura Bruschi
Università degli Studi di Milano, Italia
Le trasformazioni strutturali che si sono verificate alla fine dello scorso secolo hanno alterato in maniera inequivocabile il sistema economico e quello lavorativo, rendendo la precarietà una caratteristica fondante delle esperienze professionali.. Ne deriva una condizione di precarietà non solo lavorativa, ma anche sociale ed esistenziale, che vede riconfigurata non solo la cultura del lavoro ma anche la percezione del futuro personale. (Standing, 2011; Neilson, 2015; Berry e McDaniel, 2020; Worth, 2019) Le aspettative di successo individuale, radicate nel discorso neoliberale, generano spesso un senso di inadeguatezza, ansia e frustrazione (Hoge et al., 2017; Achdut e Refaeli, 2020) che porta le persone ad accettare lavori non retribuiti come investimento per future opportunità occupazionali , contribuendo a normalizzare lo sfruttamento e la svalutazione delle competenze. (Mackenzie e McKinlay, 2021) (). Di tutta risposta, le generazioni più giovani mostrano un crescente sentimento di rifiuto verso il lavoro, sempre più percepito come una costruzione sociale del neoliberismo (Weeks, 2011; Frayne, 2015; Graeber, 2019; Coin, 2023), intrisa di dinamiche patriarcali (Anzaldúa, 1987) e che andrebbe respinta (Berardi, 2016). Fenomeni come la great resignation e il quiet quitting emergono come risposte al disincanto verso il lavoro salariato e le promesse capitalistiche, spesso radicalizzandosi in visioni post-capitaliste che auspicano la piena automazione e il reddito di base universale (Srnicek e Williams, 2015).
Con queste premesse, questo studio mira a indagare le percezioni del lavoro in Italia attraverso un’analisi quantitativa e qualitativa di un corpus di meme a tema lavoro. La ricerca esplora due domande principali: come si distribuiscono le rappresentazioni del lavoro nei meme? e in che modo l’estetica visiva si intreccia con i temi trattati? L’obiettivo è evidenziare come i meme, attraverso umorismo e ironia, contribuiscono alla costruzione collettiva di significati sul lavoro contemporaneo.
Per rispondere a queste domande, abbiamo condotto un’etnografia digitale su Instagram per individuare pagine o utenti che fossero affini al nostro oggetto di studio, identificandone un totale di 26 da cui abbiamo raccolto un totale di 3500 post. Utilizzando il pacchetto Instaloader abbiamo ottenuto un dataset di circa 10000 immagini. L’analisi visuale dei meme è stata condotta tramite Pixplot (Duhaime, 2021), un tool in grado di creare una “mappa visiva” del dataset raggruppando le immagini in cluster visivamente simili. La visualizzazione ottenuta è stata la base per un’analisi delle immagini in gruppo (si veda Rogers, 2021) per individuare pattern visivi, cluster tematici, e estetiche dominanti.
L’analisi preliminare evidenzia l’emergere di diversi cluster tematici, tra cui spiccano quelli legati all’automazione, a precarietà, rifiuto del lavoro, critiche verso aziende e capitalismo. Dal punto di vista visivo, si osserva una predominanza di immagini con estetica low-effort, caratterizzati da semplicità e immediatezza comunicativa. Nel complesso, emerge una narrazione ironica e profondamente critica del lavoro, che non si limita a descrivere le dinamiche occupazionali, ma sfida esplicitamente il discorso dominante mettendo in discussione la retorica produttivista. Attraverso ironia e cinismo, si smascherano le contraddizioni insite nelle narrazioni mainstream sul lavoro, rivelando come spesso esse nascondano alienazione, sfruttamento e precarietà sotto la patina del merito, della realizzazione personale e della flessibilità. In questo contesto, l’ironia diventa uno strumento di resistenza simbolica, capace di smontare le logiche di colpevolizzazione individuale che spesso accompagnano il fallimento nel raggiungimento di parametri imposti dal mercato del lavoro. In questa prospettiva, la narrazione ironica e critica non è solo un riflesso del malessere contemporaneo, ma anche un invito a immaginare forme diverse e più o meno utopiche di organizzazione sociale ed economica: modalità lavorative più eque, sostenibili e rispettose delle esigenze umane.
TikTok e la mediatizzazione della vita quotidiana: narrazione e performatività come agency dal basso
Brigida Orria, Luca Recano
Università degli studi di Napoli Federico II, Italia
Questo contributo esplora le forme emergenti di mediatizzazione della vita quotidiana connesse alle trasformazioni della cultura partecipativa dei media digitali e all’adozione popolare della piattaforma TikTok.
La diffusione di TikTok, e la distribuzione della visibilità dei content creator dovuta al funzionamento dell’algoritmo di raccomandazione, hanno infatti favorito la circolazione di contenuti che rappresentano aspetti ordinari, ma anche triviali, scabrosi o mondani, della vita quotidiana. La spettacolarizzazione della vita quotidiana, può essere concepita come un’articolazione specifica e distinta della “piattaformizzazione delle culture di consumo” (Caliandro et al., 2004), oltre che come uno sviluppo di alcuni tratti della “vetrinizzazione sociale” (Codeluppi, 2007). Questi elementi costituiscono tratti caratteristici della configurazione culturale e tecnologica dello short video come medium (di cui TikTok è un vettore di popolarizzazione) di specifico interesse socioculturale.
L’intervento presenta i risultati parziali di un’indagine empirica sulle pratiche di utilizzo e fruizione della piattaforma nel contesto urbano di Napoli, focalizzandosi su esempi e casi studio che mostrano come le dimensioni ordinarie della vita quotidiana (spazio domestico, famiglia, affetti, lavoro, intimità, etc.), sono mobilitate soggettivamente come risorse rappresentative, in particolare da parte di gruppi sociali subalterni o convenzionalmente rappresentati in modo passivo. Lo studio combina etnografia digitale, analisi dei contenuti, osservazione partecipante e interviste semi-strutturate per inquadrare tali pratiche come “forma culturale” (Williams, 1974). L’analisi dei contenuti mette in relazione forme di creatività spontanea e vernacolare con l’uso professionale della piattaforma, rilevando una combinazione di repertori, registri, tecniche comunicative, narrazioni, simboli, che compenetra cultura pop mainstream e sottoculture.
L’intervento propone alcune riflessioni critiche su come tali pratiche interrogano il tema della costruzione delle identità culturali e della riproduzione sociale, evidenziando come tali processi possano modificare in maniera significativa la cultura partecipativa del panorama mediatico, e le convenzionali asimmetrie di visibilità e capacità di auto-rappresentazione dei gruppi sociali.
(Introduzione)
Dalla pandemia in poi, la piattaforma di origine cinese è stata vettore della diffusione su larga scala della fruizione, riproduzione e circolazione del video breve come forma culturale. La percezione diffusa della sua straordinaria accessibilità e versatilità, ha alimentato un processo di appropriazione popolare del medium. In pochi anni, la piattaforma si è affermata come un’infrastruttura commerciale e socio-culturale fortemente incorporata nella vita quotidiana e nella cultura popolare, con un particolare coinvolgimento, in qualità di creator e di audience, di gruppi sociali subalterni, convenzionalmente marginalizzati o esclusi. Attraverso le pratiche d’uso delle piattaforma, gli utenti si riappropriano della capacità di rappresentare il proprio quotidiano, sperimentando nuove modalità espressive e sottraendo le dinamiche comuni della propria vita all’invisibilizzazione e all’oggettificazione stereotipata. In tale contesto, le dinamiche ordinarie o triviali della vita quotidiana diventano una risorsa performativa e riflessiva molto accessibile, ma anche fortemente esposta e visibile.
La particolare combinazione tra le funzionalità tecniche, la attitudini espressive degli utenti e il funzionamento dell’algoritmo di raccomandazione di TikTok, ha contribuito ad alimentarne la percezione di accessibilità e versatilità, e dunque alla formazione di pubblici con sensibilità estetiche meno elitarie. Questo ha favorito un processo di appropriazione popolare da parte di soggetti e gruppi sociali subalterni, tradizionalmente marginalizzati o sottoesposti, ritenuti convenzionalmente incapaci di rappresentare sé stessi e i propri interessi attraverso i media, nonché dotati di capitale culturale, simbolico e relazionale di diversa entità. Ciò ha contribuito a sovvertire le convenzionali asimmetrie di visibilità, stimolando la diversificazione e la distribuzione della capacità di rappresentazione e del capitale reputazionale, favorendo la sua effimerità piuttosto che la sua accumulazione. La creazione e la circolazione dei contenuti costituiscono non solo un mezzo espressivo, di rappresentazione e un’opportunità di guadagno, ma anche uno spazio di negoziazione delle identità e degli stereotipi, di riflessività sociale e transculturale.
Cottagecore: le contraddizioni dell'estetica nostalgica
Sabino Di Chio
Università degli Studi di Bari, Italia
Il termine cottagecore è comparso nei mesi di espansione della pandemia da Covid-19 (Slone 2020; Jennings 2020) come hashtag per etichettare contenuti social caratterizzati da un’estetica che celebra la vita agreste, ispirandosi ad una visione idealizzata della natura e del passato pre-industriale. I post su Tumblr, Instagram e Tik Tok poggiano il loro successo sulla condivisione di attività manuali (lavori a maglia, confezione di abiti, preparazione di cibi tradizionali) in case di campagna immerse nei boschi, producendo una “fantasia escapista” (Brand 2021) che permette agli utenti di allontanarsi seppur brevemente dalle emergenze del contemporaneo. Quale idea del passato emerge dalla circolazione spontanea di questi contenuti? Che tipo di rifugio cercano gli user nella condivisione di un immaginario idilliaco? Il paper muove da queste domande per esporre i risultati di una content analysis esplorativa su un campione di post con maggiore engagement su Tumblr.
Il cottagecore sembra perfettamente inserito nella “epidemia globale di nostalgia” (Boym 2002) che caratterizza anche la produzione mediale dell’ultimo decennio (Reynolds 2011; Morreale 2009), centrata sulla rievocazione di retrotopie che surrogano le aspettative deluse del futuro (Bauman 2020; Fisher 2009), attraverso il richiamo ad un passato idealizzato o, come nel caso di studio, mai esistito. I valori veicolati sembrano affiancare, a quella riflessiva, una nostalgia “progressista” (Gandini 2021) ovvero un’intenzione critica marcatamente anticapitalista e anticonsumistica in cui il passato si fa strumento per affermare nel presente la necessità di comportamenti di consumo più inclini a sensibilità ecologica (rispetto per l‘ambiente, gli animali, riciclo) ed immaginario slow (consumo sostenibile, recupero del “saper fare”). L’insistenza sul crafting, ad esempio, mostra i valori della semplicità e della lentezza promuovendo il rifiuto del ricorso al mercato e valorizzando attività tradizionalmente soggette a pregiudizi di genere.
L’analisi dei contributi video e fotografici ha permesso di individuare alcune contraddizioni sottese all’idealizzazione della vita rurale: la romanticizzazione astorica della vita contadina, che ne rimuove le difficoltà reali come l'isolamento, la mancanza di opportunità e la durezza del lavoro; la promozione di un lifestyle elitario che abbraccia un immaginario rurale accessibile solo a chi gode di privilegi socioeconomici; l’utilizzo del trend al servizio di operazioni di marketing o gentrification (Johnstone 2022) che incentivano comportamenti di consumo diametralmente opposti ai valori veicolati dall’estetica. Sembra rivelarsi dunque uno scollamento netto tra le istanze di critica sociale da cui il cottagecore ottiene parte del suo fascino e la propensione all’organizzazione di un pensiero e di un’azione collettiva per potervi porre rimedio.
Visibilità al lavoro: TikTok tra difesa dei diritti e strategia d’influenza
Francesco Nespoli
Università LUMSA, Italia
La presentazione illustra i risultati avanzati di una ricerca che ha preso avvio nei primi mesi del 2024, avente a oggetto l’uso dei social media basati su contenuti visuali da parte dei gruppi di interesse dei lavoratori in Italia. In particolare, l’analisi si concentra in questa fase sulle strategie comunicative adottate dagli attori più attivi e visibili su TikTok e sull’intreccio che le loro attività manifestano tra identità professionale e identità sociale (Melucci 1985).
Lo studio considera tale fenomeno come espressione della più ampia relazione tra i processi di mediazione sociale della voice (Bertarelli e Faccioli, 1999; Morcellini, 2003) e le dinamiche peculiari della comunicazione digitale (Murru e Vicari 2021). L’analisi tiene dunque conto sia delle opportunità di community empowerment offerte dai social media (Sarrica et al. 2018) ai movimenti sociali (Abidin e Lee 2022), sia dei rischi connessi all’intreccio tra cultura dell'influenza e attivismo digitale (e alla risultante logica di partecipazione egocentrata – Fenton e Barassi 2011).
Questo lavoro indaga perciò il fenomeno delle microcelebrities del lavoro (Senft, 2013) basandosi su un’analisi dei profili di 225 utenti di TikTok, e intende rispondere alle seguenti domande:
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Qual è il profilo identitario degli utenti più attivi e più visibili nell’ambito tematico del lavoro e dei diritti ad esso connessi su TikTok?
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In che modo le microcelebrities che trattano tematiche lavorative su TikTok in Italia mostrano elementi di attivismo orientato alla promozione di diritti?
L’identificazione dei profili TikTok attivi su tematiche lavorative è avvenuta tramite una ricerca per parole chiave, registrando i primi 100 risultati per ciascuna e affinando il campione con specifici criteri di esclusione. Dopo l’eliminazione dei contenuti privi di hashtag rilevanti, il dataset è stato ridotto a 2.852 righe e 225 profili unici. Gli account sono stati classificati in base all’engagement (rapporto interazioni/follower), alla tipologia (persona, pagina, organizzazione), all’identità professionale e/o sociale dichiarata nella bio, ai temi trattati (lavoro quotidiano, meme/POV, diritti) e al registro comunicativo (ludico-espressivo, identitario-espressivo, enfatico-rivendicativo, neutrale-informativo).
L’analisi evidenzia un panorama eterogeneo, caratterizzato dalla presenza di profili altamente attivi sui temi lavorativi. Il dato più interessante riguarda la centralità dei professionisti del lavoro – avvocati, consulenti del lavoro, commercialisti e consulenti aziendali – tra i principali produttori di contenuti. Questi profili, che rappresentano microcelebrities nel dominio tematico considerato, evidenziano la tensione tra cultura dell’influenza e attivismo, integrando la comunicazione sui diritti del lavoro con strategie promozionali tipiche del personal branding. Questi soggetti si propongono come fonti di informazione e supporto per lavoratori e lavoratrici (e, in minor misura, per imprenditori e liberi professionisti), sollecitandoli a far valere i propri diritti. Quanto alla dimensione collettiva espressa dai profili individuati, si osserva come i profili sindacali ufficiali risultino numerosi ma scarsamente influenti, con un’area tipologica più dinamica rappresentata dai CAF e patronati, che offrono consulenza sui diritti dei lavoratori.
Si osserva inoltre come i risultati qui ottenuti siano analoghi a quelli riscontrati attraverso uno studio analogo già condotto nel contesto spagnolo e sudamericano (Nespoli 2024).
Il contributo evidenzia in conclusione un debole legame tra associazionismo e attivismo digitale in Italia nel contesto di una piattaforma ancora dominata da un’utenza giovane, ma dove sono presenti utenti la cui domanda di contenuto sostiene la visibilità di figure professionali impegnate nella divulgazione dei temi lavoristici. Questa relazione può essere interpretata come espressione di una domanda di tutela dei diritti on-demand, alla quale corrisponde una rappresentanza individualizzata, abilitata dai media digitali espressivi del sé. I quali, almeno nello specifico dominio delle tematiche lavoristiche, paiono riflettere – e al contempo sollecitare – tendenze individualistiche anziché svolgere il ruolo di catalizzatori di spinte solidaristiche e di dinamiche partecipative intersoggettive.
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