Temporalità istituzionale e comunicazione ambientale: una sfida centrale per le culture della sostenibilità
Lavinia Colantoni
Università Cattolica del Sacro Cuore, Italia
Temporalità istituzionale e comunicazione ambientale: una sfida centrale per le culture della sostenibilità
Nel processo di implementazione dello sviluppo sostenibile incarnato nell'Agenda 2030, la comunicazione istituzionale sul piano locale svolge un ruolo essenziale nell’armonizzare le diverse percezioni della sostenibilità con le tempistiche proprie delle istituzioni (Weber, 1922) e delle crisi ambientali. Il concetto di "ultimo miglio" rappresenta la fase finale di questo flusso comunicativo, in cui le informazioni fluiscono dalle istituzioni locali ai cittadini per favorire il compromesso tra le diverse rappresentazioni sociali e culturali legate alla sostenibilità (Moscovici, 1981; Fisher et al, 2018).
Il discorso istituzionale tende a dichiarare l’ingaggio comunicativo della cittadinanza come prioritario. Tuttavia, lo sguardo etnografico sulla cultura istituzionale locale evidenzia come la messa in forma di tale flusso comunicativo sia influenzata dall’interazione conflittuale di una molteplicità di temporalità eterogenee. La letteratura sulle crisi ambientali sottolinea l'importanza di risposte immediate per limitare i danni ecologici ed economici (Lundgren et al, 2015; Gunderson & Holling 2002). Al contrario, le risposte istituzionali spesso non risultano in grado di tenere il passo con la velocità del degrado ambientale (Jurin, 2010), a causa delle specifiche temporalità da un lato dei decisori (legata, nei paesi democratici, tipicamente a cicli elettorali) e dall’altro delle burocrazie che concretamente animano le istituzioni. In tal senso, le problematiche ambientali si configurano come processi che si sviluppano su scale temporali incompatibili con la reattività delle istituzioni e con la ricerca del consenso (Howlett, 2020). La ricerca si concentra quindi sulla seguente domanda: quali fattori interagiscono con queste temporalità abilitando o ostacolando l’efficacia della comunicazione istituzionale ambientale sul piano locale?
Il presente studio esamina il caso di Brescia, e specificamente della bonifica del Sito di Interesse Nazionale Caffaro, ex-area industriale pesantemente contaminata. Il processo della bonifica, progetto controverso dalla durata ormai ventennale, vede una pluralità di stakeholder affrontarsi in molteplici arene politiche e comunicative. Fra esse, il saggio si focalizza sull'Osservatorio Caffaro, struttura partecipativa istituita nel 2021 dal Comune di Brescia per discutere le iniziative legate alla bonifica. Dal 2022, l’osservatorio sta cercando di mettere in forma una strategia comunicativa di “ultimo miglio” rivolta alla cittadinanza: tale processo è risultato significativamente controverso e conflittuale, e su di esso si focalizza il caso di studio. In particolare, l’analisi si concentra sul coinvolgimento degli stakeholder (Dryzek, 2005; Putnam, 2000), l'uso dei media digitali (Bartoletti et al, 2016), la trasparenza istituzionale (Istrate, 2022) e i processi di costruzione del consenso (Turnhout et al, 2010).
Per rispondere alla domanda di ricerca, il saggio adotta in prospettiva diacronica un approccio metodologico multilivello, combinando osservazione partecipante, analisi di materiali comunicativi (report, linee guida, politiche), e interviste con attori chiave (decisori politici, funzionari, membri della comunità).
I risultati mettono in luce come l’efficacia degli oggetti comunicativi analizzati risulti pesantemente influenzata dalla discrasia tra le diverse temporalità in gioco – anche a prescindere dalle azioni specificamente rivolte verso di essi dai portatori di interesse. Ciò ha finito non soltanto per rallentare la costruzione di un consenso tra gli stakeholder atto a dare una forma definitiva all’oggetto di comunicazione e a definire immaginari condivisi; ma ha anche determinato le concrete forme degli oggetti comunicativi e la loro disseminazione.
Questo studio contribuisce, quindi, a una riflessione più ampia sulle dinamiche di adattamento delle istituzioni pubbliche alle sfide della sostenibilità, suggerendo che la comunicazione ambientale non possa essere concepita come un processo lineare, bensì come un'arena di negoziazione continua tra vincoli strutturali e opportunità di coinvolgimento attivo della cittadinanza.
Contro le snack news: il giornalismo a fumetti e la crisi climatica, tra racconto lento e tempo profondo
Valentina Cappi, Emanuele Leonardi
Università di Bologna, Italia
Secondo Gottschall (2022), fra i motivi che possono spiegare la lenta risposta dell’umanità al riscaldamento globale va annoverato il fatto che si tratta di una storia raccontata male. In Italia, la tendenza di quotidiani, telegiornali e account Instagram di agenzie di informazione a coprire la questione climatica quasi esclusivamente in occasione di eventi estremi di prossimità o dell’annuale Conferenza delle Parti per il Clima (Osservatorio di Pavia 2024), fa sì che la crisi climatica si perda tra un’emergenza e l’altra (Pacini 2022). Ad essere poco tematizzate sono soprattutto le sue cause e le possibili soluzioni. I limiti di questo racconto non riguardano solo il fatto che il cambiamento climatico sia talvolta deliberatamente taciuto, o raccontato in maniera parziale, da testate e agenzie votate all’ostruzionismo climatico (Brulle et al. 2024), ma anche che esso sfidi alcune delle tradizionali categorie di notiziabilità. Da un lato, le routine giornalistiche sono «attrezzate per trattare “eventi” intesi come “rotture” o momenti distinti nel tempo e nello spazio» (Bødker & Morris 2022: 2) e si basano su una concezione del tempo “stretta” sul presente (Adam 1998); dall’altro, in contrasto con tutto ciò che “fa notizia”, il cambiamento climatico si presenta come una “violenza lenta”, dispersa nel tempo e nello spazio (Nixon 2011). Il cambiamento climatico pone dunque delle sfide al suo racconto anche o soprattutto per una questione di scala, spaziale e temporale, implicando di raccontare fenomeni interconnessi sul lunghissimo periodo e contemporaneamente a varie latitudini (Hulme 2017; Morton 2018). Decentrando lo sguardo dall’informazione mainstream, un’opportunità interessante per il racconto del cambiamento climatico è quella offerta dal graphic journalism, un giornalismo non interessato alle breaking news, che propone un ritorno all’approfondimento e che richiede una lavorazione più dilatata in fase di produzione e un consumo più lento e “impegnato” da parte dei lettori (Duncan et al. 2016; Syeda & Heeba 2018; Brancato 2020). Grazie alla particolare combinazione di struttura narrativa e potere visivo, il fumetto è riconosciuto come uno strumento particolarmente adatto a rappresentare la simultaneità dell’intreccio della vita quotidiana tra luoghi, storie e scale temporali diverse (Forde 2022), agendo come un dispositivo di “scalatura” o “focalizzazione” (Sou 2022). Con questo paper ci proponiamo di esaminare i limiti e le opportunità che il giornalismo a fumetti offre al racconto della crisi climatica prendendo come caso di studio La Revue Dessinée Italia. Attraverso un’analisi qualitativa del contenuto testuale e visuale di un corpus di 16 articoli sulla crisi climatica, pubblicati in 10 numeri de La Revue Dessinée Italia tra il 2022 e il 2024, e interviste allo staff editoriale della rivista, intendiamo esaminare se e quali lacune dell’informazione mainstream questo formato permetta di colmare relativamente al racconto multiscalare delle dimensioni scientifiche, sociali e politiche della crisi climatica. I risultati rivelano come la rivista comunichi efficacemente le cause, le conseguenze e le soluzioni del cambiamento climatico attraverso storie che raccordano la dimensione locale con quella locale del fenomeno, orientate all’azione, e che connettono in maniera intersezionale la difesa dell’ambiente alle questioni di giustizia sociale.
Partecipazione e comunicazione nel volontariato civico di emergenza. Una ricerca-azione europea nel progetto Cerv-See
Andrea Volterrani, Fabiana Battisti
Università di Roma Tor Vergata, Italia
Da più fronti emergono evidenze che assottigliano i margini di efficacia degli interventi possibili in risposta alla crisi climatica (Hu, Hewitt, 2024; Spano et al., 2020). Si pensi ad esempio alle recenti alluvioni verificatesi a Valencia e in Italia e alle loro drammatiche conseguenze. Le difficoltà nella preparazione della popolazione da un lato e le poche azioni di prevenzione dall’altro conducono alla necessità sia di un’analisi degli scenari per l’implementazione e l’avvio di processi che sappiano favorire il coordinamento dell’azione collettiva e situata sia un lavoro di engagement civico più ampio ed articolato. In tal senso emerge l’importanza della svolta partecipativa registrata nell’ultimo decennio, che ha segnato stili di volontariato più diversificati, fluidi ed episodici anziché a lungo termine e ad alto impegno (McLennan et al., 2016, Strandh, 2019). Questi risultano del tutto coerenti con l’impianto di una società in cui la partecipazione è sempre più informale e contestualizzata per tema in relazione alle sensibilità individuali, vincolate a una contrazione della coesione sociale e della solidarietà collettiva (Couldry, 2024). Una tale frammentazione restituisce la multidimensionalità del concetto di partecipazione, che affonda le sue radici proprio nell'intima motivazione personale (Bucholtz et al., 2024). Sebbene i cittadini siano riconosciuti come i primi soccorritori in un’emergenza (Helsloot, Ruitenberg, 2004), la svolta partecipativa pone di fronte: 1. all’inevitabilità delle azioni volontarie, ossia estranee e inesperte, ma complementari e di supporto alla risposta ufficiale di organizzazioni governative e non (Paciarotti et al., 2018), 2. all'importanza di connessioni territoriali e relazionali pregresse e aggiuntive alla mobilitazione, influenti sulla spinta altruistica individuale, richiedendo una migliore integrazione degli sforzi (Nissan et al., 2021). Inoltre, questa svolta partecipativa suggerisce di adottare un approccio civic-centred, capace di includere i volontari spontanei nel disegno di piani di intervento macro-locali insieme a istituzioni ed enti (Daddoust et al., 2021). Se da un lato la sfida riguarda la capacità di coinvolgere, motivare e massimizzare il potenziale dei volontari informali da parte degli enti non govervativi (Arnon et al., 2022), spesso con risorse circoscritte e culture organizzative rigide (Massa, Comunello 2024); dall’altro la condivisione delle conoscenze e il sostegno continuo ai membri della comunità nelle fasi emergenziali sempre più beneficia dei canali digitali attraverso processi di negoziazione e partecipazione, specie di tipo istituzionale (McCosker et al. 2024).
Considerando che i processi di preparazione e prevenzione della popolazione nella sua totalità faticano a penetrare i meccanisimi di protezione civile (Volterrani, 2021), l’accompagnamento di questi processi e l’armonizzazione degli sforzi spontanei e istituzionali è l’obiettivo del presente lavoro. Interno al Progetto ****, tuttora in corso, e riguardante Germania, Slovenia, Italia, Francia e Grecia, lo studio mira a co-costruire framework di intervento emergenziali in risposta alla crisi climatica europea e situati, a partire dai bisogni dei territori, interrogandosi circa:
a. sfide, opportunità e rischi della prospettiva grounded;
b. approcci, temi e resistenze a livello nazionale e comparato.
L’impianto metodologico della ricerca-azione adottato (Whitehead, 2009, Anderson, McLachlan, 2016, Bradbury, 2024) consta di tre fasi: 1. sessione partecipativa con le associazioni coinvolte e familiarizzazione con le metodologie, 2. coinvolgimento del territorio (circa 60 interviste con volontari formali e informali), 3. cinque incontri civici partecipati con le istituzioni locali, impiegando world cafés e fish bowls. I risultati preliminari evidenziano come postura e percezione delle associazioni siano dirimenti per promuovere connessioni più profonde tra cittadini e gestione delle emergenze. L’esperienza di una sorta di dissonanza ontologica (St.Pierre, 2017) rispetto al proprio modus operandi permette di comprendere la rilevanza della miscellanea delle competenze quale punto di arrivo per costruire nuovi piani di azione in un percorso di condivisione continuo.
Guadagnare tempo. Nudge e comunicazione pubblica per prevenire il rischio e praticare la sostenibilità
Valentina Polci1, Lucrezia Cinella2
1Università di Camerino, Italia; 2Università degli studi di Macerata, Italia
Di fronte alle nuove sfide globali, dai cambiamenti climatici alle crisi sanitarie, si fa sempre più necessaria una comunicazione pubblica credibile, efficace, pervasiva sui temi del rischio e, più in generale, sulle questioni relative all’ambiente e alla sostenibilità.
La ricerca che si intende presentare individua un particolare strumento, quello dei nudge - le “spinte gentili” –, sia analogici che digitali, come nuovo territorio nel quale innestare un'alternativa comunicativa che può tentare di disinnescare le criticità relative ai tempi di crisi e di emergenza, lavorando sulla prevenzione nei periodi di pace e migliorando comunque la risposta collettiva a crisi sanitarie e ambientali in un ecosistema multirischio. Nello specifico, vengono presentati i risultati di una ricerca sull’applicazione dei nudge nella comunicazione pubblica istituzionale, prendendo in considerazione casi studio nazionali e internazionali, in ottica di salute estesa e globale, includendo esempi significativi legati alla pandemia da COVID-19, altri in cui viene contrastato il rischio ambientale (come il piano Day Zero per la gestione della siccità a Città del Capo, il Palau Pledge per la conservazione dell’ecosistema e contrasto al turismo dannoso, e il programma Clean India Mission per la salute/igiene pubblica), fino ad alcuni casi relativi al miglioramento della qualità della vita in ambito urbano.
La ricerca ha avuto l’obiettivo di esplorare i “livelli di spinta” impiegati nei diversi nudge nel tentativo di colmare il fabbisogno comunicativo necessario per riequilibrare la distanza fra rischio reale e rischio percepito, e per raggiungere l’impatto desiderato anche in termini di sostenibilità a più livelli (economica, ambientale, sociale), dimostrando l’efficacia delle politiche comunicative basate su questo tipo di strumenti.
La metodologia utilizzata è di tipo quanti-qualitativo. In una prima fase sono stati selezionati 18 casi di applicazioni di nudge e si è proceduto con un’analisi esplorativa che evidenziasse obiettivo, strategie comunicative e architettura/euristica impiegata, utilizzando le tipologie indicate in letteratura. In una seconda fase è stato assegnato a ciascun nudge un punteggio su scala da 1 a 5 (dove 1=minimo e 5=massimo) sia per la variabile del “Livello di rischio percepito” sia per quella dell’”Impatto” (collaborazione X frequenza del nudge): attraverso l’analisi della relazione tra queste due dimensioni, si è valutato il livello di spinta necessario per raggiungere i livelli di sostenibilità auspicati (economica, ambientale, sociale).
I risultati hanno dimostrato come, in situazioni a differenti livelli di rischio percepito, all’aumentare della spinta del nudge cresce la consapevolezza del rischio reale e anche l’impatto sulla popolazione e sul territorio, con un corrispondente posizionamento crescente sulla scala della sostenibilità. Da una mera sostenibilità economica, relativa ai costi, si può spingere i territori, le popolazioni, i cittadini a mantenere nel tempo qualità e riproducibilità delle risorse naturali, fino a raggiungere una sostenibilità sociale, intesa come capacità di garantire benessere umano in modo equo.
La ricerca dimostra anche come coinvolgendo attivamente le comunità nella gestione del rischio, promuovendo soluzioni innovative e sostenibili per affrontare le sfide contemporanee, si possa superare la dittatura del tempo.
Comunicare la lentezza nell’epoca dell’accelerazione: il caso della moda sostenibile
Cecilia Cornaggia, Michele Varini
Università Cattolica del Sacro Cuore, Italia
Nella complessità dell’età contemporanea (Morin, 1993) coesistono processi che si sviluppano in direzioni divergenti. Da un lato, la digitalizzazione ha accelerato i ritmi sociali (Rosa, 2013), trasformando il mondo produttivo e i tempi di fruizione dei contenuti: la quantità di informazioni è cresciuta esponenzialmente, spingendo le strategie comunicative verso formati rapidi che privilegiano messaggi brevi, immagini e contenuti facilmente condivisibili (Meikle, 2016; Bessarab et al., 2022). Dall’altro, si è affermata una crescente attenzione alla sostenibilità, stimolata sia da iniziative istituzionali – come l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (2015) – sia da movimenti sociali come Fridays For Future, che promuovono una transizione ecologica non solo tecnica, ma anche culturale (Spini, 2023), enfatizzando valori di lentezza, riflessività e consapevolezza (Casalegno et al., 2022). Questi orientamenti contrastanti generano inevitabilmente frizioni, evidenti soprattutto in alcuni campi, tra cui quello della comunicazione della sostenibilità (Kapoor et al., 2021): come trasmettere un messaggio che invita a rallentare, a soffermarsi e a riflettere, in un ecosistema dominato dalla velocità e dalla frammentazione?
Per indagare la tensione tra spinta alla digitalizzazione e spinta alla sostenibilità, il nostro studio si è concentrato sul settore della moda. In questo ambito, la componente comunicativa ha sempre rivestito un ruolo di primo piano, sia per ragioni di marketing, sia per la costruzione di significati e valori (Kalbaska et al. 2018); con la spinta alla digitalizzazione e l’avvento delle piattaforme di social networking, le dinamiche comunicative hanno però subito una profonda trasformazione: i tempi di diffusione e il formato dei contenuti si sono evoluti, evidenziando il ruolo chiave degli influencer (Uzunoğlu & Kip, 2014). Parallelamente, la sostenibilità – un tempo marginale – ha guadagnato crescente rilevanza, alimentata da campagne come Detox My Fashion di Greenpeace (2011) e dal movimento Fashion Revolution, nato nel 2014, in seguito al tragico crollo del Rana Plaza di Savar, in Bangladesh, verificatosi l’anno precedente.
Il presente contributo indaga la comunicazione della sostenibilità nel settore della moda analizzando il posizionamento di 25 content creator attivi nella moda sostenibile, mediante interviste semi-strutturate condotte tra il 2022 e il 2025 (Adeoye‐Olatunde & Olenik, 2021). I partecipanti – 22 donne e 3 uomini – sono stati selezionati tra chi gestisce un blog o un profilo Instagram/TikTok con almeno duemila follower. Le interviste hanno evidenziato una distinzione tra influencer e content creator, ampliando risultati già presenti in letteratura (es. Jacobson & Harrison, 2022): mentre gli influencer tendono a orientarsi verso logiche di mercato e monetizzazione, i content creator si vedono più come divulgatori, ritenendo incompatibile il modello tradizionale di influencer con i valori della moda sostenibile. Alcuni rifiutano collaborazioni retribuite per preservare la propria indipendenza, sebbene ciò impedisca loro di trasformare l’attività in una professione stabile, costringendoli a svolgere altre attività lavorative. Inoltre, l’elevato ritmo di pubblicazione imposto dalle piattaforme social acuisce la tensione tra l’interesse per la sostenibilità e la capacità di tradurlo in uno stile di vita coerente, soprattutto in termini di gestione del tempo, dello stress e del benessere quotidiano (Hoose & Rosenbohm, 2024).
Queste dinamiche sembrano sollevare interrogativi più ampi sulla compatibilità tra digitalizzazione e sostenibilità. Il concetto di twin transition (Christmann et al. 2024), che auspica una trasformazione simultanea verso un futuro digitale e sostenibile, risulta problematico: le logiche di accelerazione e immediatezza tipiche del digitale sembrano contrapporsi ai principi di lentezza e riflessività propri della sostenibilità, rischiando di sacrificarla.
In conclusione, l’analisi della comunicazione della moda sostenibile rappresenta un caso emblematico di due tensioni divergenti presenti nella società contemporanea. Il settore moda si configura come un laboratorio privilegiato per comprendere il rapporto tra digitalizzazione e sostenibilità, offrendo spunti di riflessione sulle possibilità e i limiti della comunicazione sostenibile nell’era dei social media.
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