PANEL
Memoria, comunicazione e crisi.
Stream I: Comunicazione: organizzazioni, istituzioni e media alla sfida della cronemica
Introduzione
Il panel Memoria, tempo e crisi affronta il tema delle trasformazioni sociali e delle sfide epistemiche della società post-globale attraverso la lente della memoria declinata da diverse angolature. L'assunto centrale è quello che gli effetti dell'accelerazione dei tempi investigati da Paul Virilio prima e da Hartmut Rosa and William Scheuerman rispettivamente sulla vita sociale e sui processi democratici, costringono ad un ripensamento del rapporto tra il passato, il presente e il futuro (Luhmann,1976, Jedlowsky, 2017). In questo contesto le categorie tradizionali degli studi sulla memoria vengono rimodulate non solo nei suoi paradigmi ma anche in relazione alla temporalità. Le crisi che caratterizzano la societa post-globale hanno modificato il nostro modo di ricordare e interpretare il passato aprendo nuovi spazi di riflessione caratterizzati dalla cosiddetta ultima ondata dei memory studies riferendosi alla memoria multidirezionale (Rothberg, 2009) alla solidarietà di memoria (Lim e Rosenhaft, 2021) agli spazi di memoria transnazionali (Wüstenberg e Sierp, 2020) o infine dalla memoria unbond (Bond, Caps and Vermeulen, 2017). In linea con le riflessioni contemporanee sulla memoria il panel si propone di analizzare le implicazioni per la memoria di contesti eccezionali come quello del Covid, la connessione tra la memoria e la società digitale, il ruolo dell'arte e dell'artivism nel costruire immaginari simbolici e infine le conseguenze politiche dell'avanzare della memoria illiberale in un contesto di crisi epistemica. Infatti questa analisi multidimensionale delle trasformazioni della memoria nelle società contemporanee, ha allo stesso tempo come sfondo e come oggetto di ricerca il mondo algoritmico, le crisi storiche e sanitarie e le pratiche artistiche come risposta e speranza. I tempi compressi dell’immediatezza mediatica, si diffondono rapidamente attraverso piattaforme digitali, cambiando profondamente il rapporto con la memoria. Le dinamiche di alienazione e disallineamento sociale prodotte in un’epoca caratterizzata dalla "società del rischio" (Beck), l’accelerazione dei ritmi di vita e la continua urgenza delle emergenze tendono a frammentare il senso del tempo, rendendo difficile elaborare risposte collettive coerenti. Il senso di disorientamento che ne emerge è terreno fertile per la proliferazione di ideologie che offrono risposte semplicistiche e caricaturali, che fanno leva su visioni di un "ordine perduto". Ma è proprio questo contesto che sviluppa una nuova forma di arte che è allo stesso tempo protesta, attivismo e proposta di bellezza. Attraverso l’intersezione di queste prospettive, il panel si propone di esplorare le dinamiche della memoria nel contesto mutato della nostra società. La ricerca sulla memoria nelle discipline sociologiche ha alimentato una rinascita della storia culturale, ma ha mostrato carenze metodologiche nei suoi studi sulla memoria collettiva. La maggior parte degli approcci si concentra sulla rappresentazione in contesti specifici, senza considerare adeguatamente l"'audience". Il panel si propone dunque di connettere in maniera ancora più stringente gli studi sulla comunicazione e quelli sulla memoria. Una prima strategia è la contestualizzazione all'interno della quale avviene questa condensazione. La memoria collettiva si inserisce così dentro processi complessi che contemplando i consumi culturali, la digitalizzazione e la piattaformizzazione, le crisi storiche riconoscendo anche l'arte come costruttrice creativa di memoria. Il panel coglie dunque la sfida di utilizzare metodi provenienti dagli studi sulla comunicazione e l'analisi dei contesti storici.
ABSTRACT
Media, memoria e trasformazioni sociali: dalle memorie connesse alle memorie algoritmiche in pratica.
Roberta Bartoletti, Università di Bologna. roberta.bartoletti@unibo.it
Il rapporto tra media e società è cruciale per comprendere le crisi e le trasformazioni sociali. Queste trasformazioni non possono essere lette semplicemente attraverso la categoria di rimediazione ma dovrebbero essere comprese alla luce del più strutturale concetto di mediatizzazione (Boccia Artieri 2022) che si concentra sulle interconnessioni complesse e profonde tra media e società, che modellano le forme delle relazioni sociali, dell’esperienza e le forme del ricordare e del dimenticare.
Il contributo si concentra in particolare sulla memoria dei social media, cercando di definire un programma di ricerca sulle trasformazioni della memoria nella recente stagione dei media algoritmici (Boccia Artieri e Bartoletti 2023) e sulla memoria digitale in pratica.
Se in una prima stagione di Internet e dei social network si è profilata l’emergenza di forme di memoria connesse e condivise, con una centralità della dimensione individuale e collettiva della memoria, sia comunicativa che culturale (Bartoletti 2011), nella stagione delle piattaforme e dei media algoritmici sta emergendo una nuova forma di memoria sociale (nel senso di Esposito 2001), che si profila come memoria algoritmica. Sappiamo che gli algoritmi non possono essere considerati tout court come attori di memoria: la memoria digitale può essere concepita come la capacità di trattare informazioni indipendentemente dal significato (Esposito 2017), legame che invece caratterizza la memoria umana, così come nella memoria algoritmica si riconfigura la stessa relazione tra il ricordare e il dimenticare per come la conosciamo.
Se gli algoritmi non producono memoria, ma informazioni, è attraverso le relazioni tra utenti e algoritmi che la memoria sociale algoritmica contribuisce alla formazione delle memorie connesse, le alimenta e le modella secondo proprie logiche, privilegiando la connettività sulla condivisione, la datificazione (Van Dijck e Poell 2013) e la decontestualizzazione : pensiamo a una piattaforma come TikTok dove gli stessi processi di costruzione dell’identità sono sempre più indipendenti dalle connessioni sociali con altri utenti a fronte della centralità dei contenuti, che sono sempre più autonomi dal loro contesto, storico, culturale, personale (cfr. “content without context”: Bhandari e Bimo 2022), o a quelle che possiamo riconoscere come affordances per ricordare (ad es. le Facebook memories proposte dall’algoritmo della piattaforma) o per dimenticare (le forme di contenuti effimeri).
Ci chiediamo quali siano le principali sfide che un tale programma di ricerca dovrebbe affrontare, e quali siano le tematiche centrali, con una particolare attenzione alle forme della memoria, del ricordare e del dimenticare, che emergono dal rapporto tra utenti e piattaforme, tra utenti e algoritmi, e ai nuovi disagi e possibilità della memoria con cui gli utenti delle piattaforma devono fare i conti.
Riferimenti bibliografici
Bartoletti R. (2011), Memory and Social Media: New Forms of Remembering and Forgetting, in “Learning from Memory: Body, Memory and Technology in a Globalizing World”, Ed. B. Pirani, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle UK, pp. 82-111, ISBN: 1-4438-2884-X
Bhandari, A., & Bimo, S. (2022), Why’s Everyone on TikTok Now? The Algorithmized Self and the Future of Self-Making on Social Media, “Social Media + Society”, 8(1). https://doi.org/10.1177/20563051221086241
Boccia Artieri G., Comunicare: la mediatizzazione, in Bichi R. (a cura di) Sociologia generale, Vita e Pensiero, 2022, cap. 36, pp. 443-454
Boccia Artieri G., Bartoletti R. (2023), Algoritmi e vita quotidiana: un approccio socio-comunicativo critico, "Sociologia della comunicazione" N. 66, pp. 5-20, DOI: Doi 10.3280/SC2023-066001
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Esposito E. (2017), Algorithmic memory and the right to be forgotten on the web. BIG DATA & SOCIETY, 4(1), 1-11 [10.1177/2053951717703996].
Van Dijck, J., Poell, T. (2013), Understanding Social Media Logic, “Media and Communication”, Vol. 1, n. 1, pp. 2-14, Doi: 10.12924/mac2013.01010002
Memoria illiberale e crisi epistemica.
Claudia Hassan Università degli studi di Roma Tor Vergata.
hassan@lettere.uniroma2.it
Le riflessioni sull'accelerazione del tempo (Rosa, 2005) e sulle trasformazioni nel contesto delle crisi contemporanee offrono un’importante lente analitica per comprendere le radici e le dinamiche del mutamento del concetto di memoria universalistica in quello sempre più diffuso di memoria illiberale, (Rosenfeld, 2023) che, alimentato dalla velocità della comunicazione digitale e dal disorientamento sociale, contribuisce a rafforzare una cultura cospirazionista. La memoria illiberale, quindi, non solo diventa un elemento centrale per la costruzione di narrative di crisi, ma rappresenta anche un ostacolo significativo alla creazione di una trasformazione all'interno del tessuto democratico. I cambiamenti sono spesso contestuali e non lineari. Le congiunture all'interno delle quali avvengono queste trasformazioni sociali si possono individuare nei seguenti quattro punti: l'erosione della memoria cosmopolita, il cambiamento strutturale della sfera pubblica, (Habermas, 2023) l'irruzione di forze illiberali a sfondo populista nelle diverse sfere pubbliche europee e internazionali, i cambiamenti geopolitici in atto. L'intervento è focalizzato dunque sulla connessione e intersezione di due elementi che attraversano la crisi della società contemporanea: la crisi epistemica e l'irruzione di memorie illiberali. La crescente incertezza epistemica è allo stesso tempo frutto e prodotto dell'erosione della fiducia nelle istituzioni tradizionali e assume una valenza centrale nel radicamento di narrazioni illiberali a sfondo spesso complottista. La memoria illiberale dunque escludente e autoritaria è segnata dalla compressione temporale e da un surriscaldamento delle informazioni. La confluenza, dunque di questi due fattori si configura come una risposta alla percepita perdita di controllo sul tempo, sulla storia e sull’identità collettiva. Quindi l'interazione tra media digitali, velocità dell’informazione e crisi globali contribuisce alla formazione di nuove forme di alienazione sociale. L’intensificazione delle emergenze, vissute attraverso un flusso continuo e immediato di notizie, rispecchia un cambiamento radicale nella nostra percezione del tempo, dove il presente è costantemente minacciato da una percezione di catastrofe imminente. In questo contesto, la memoria illiberale con la sua capacità di creare un tempo sospeso, dove la riflessione e la valutazione critica sono ridotte al minimo è il luogo simbolico da cui partire per comprendere come alcune riflessioni di Adorno e Horkheimer siano ancora oggi valide. L'intuizione sulla permanenza contemporanea dei "presupposti sociali oggettivi già presenti nelle società autoritarie" è confermata da narrative e grammatiche uscite dalla latenza a causa delle quattro specifiche contingenze sociali sopra citate. Come Adorno rifletteva sulle contraddizioni della modernità, oggi siamo chiamati a esaminare le contraddizioni della post-modernità e della società post-globale, caratterizzate da una crisi epistemica diffusa. L'emergere di forze illiberali e la proliferazione di teorie cospirazioniste sono sintomi di un deficit di riflessione critica, che alimentano la persistenza di pregiudizi e polarizzazioni. In questo scenario in cui confluiscono memoria illiberale e disorientamento informativo emerge la necessità di un ripensamento di un benessere epistemico inteso come indice della qualità delle democrazie.
Riferimenti bibliografici
Boccia Artieri G., Bartoletti R. (2023), Algoritmi e vita quotidiana: un approccio socio-comunicativo critico, "Sociologia della comunicazione" N. 66, pp. 5-20
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Habermas (2023) Nuovo mutamento della sfera pubblica e politica deliberativa, a cura di Marina Calloni, Milano: Cortina.
Horkheimer M e Theodor Adorno (1966) Dialettica dell’illuminismo, Torino: Einaudi.
Rosa H. (2005) Beschleunigung: Die Veränderung der Zeitstruktur in der Moderne, Frankfurt: Suhrkamp.tr. it Rosa, H. (2015). Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità. Torino: Einaudi.
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Rosenfeld,G. (2023) “The rise of illiberal memory”, MemoryStudies16(4),819-836.
Memorabile, non commemorabile. Come (non) ricordiamo la pandemia
Lorenzo Migliorati, Università degli Studi di Bergamo.
lorenzo.migliorati@unibg.it
Sembra ieri che eravamo chiusi in casa a far lievitare impasti e attendere sera per poter aspettare il mattino seguente. Sembra ieri che le bare di Bergamo hanno fatto irruzione nella bolla della strana quotidianità delle nostre giornate di allora. Sembra ieri che le mascherine, le zone rosse e quelle arancioni, il lockdown e i vaccini. Sembra ieri. O forse, no. Forse, sembra più un secolo fa. Forse, non è neppure per davvero accaduto. La pandemia, il Covid, il lockdown appaiono ai nostri occhi e alle nostre esperienze attuali cose di chissà quale tempo andato e ferocemente trasfigurate nella memoria (chi di noi attende, ogni anno, il 18 marzo per fare memoria delle vittime della pandemia?) Io stesso, mentre scrivo queste note, mi chiedo se valga davvero la pena tornare con la memoria lì, a quei giorni, a quei mesi a quel memorabile 2020. Memorabile, sì; ma non così commemorabile.
La pandemia di Covid-19 è stata un evento peculiare e inusitato nella storia recente dell’umanità, a memoria della maggior parte di tutti noi. Dal suo apparire, verso la fine del 2019 ad oggi, circa 800 milioni di persone nel mondo hanno contratto il virus e sette milioni ne sono morte.
Al di là dei numeri, la pandemia ha sconvolto il mondo e le vite di tutti noi a causa della sua pervasività, della sua globalità e della sua indefinitezza. La mia ipotesi è che proprio il concorso di questi tre fattori abbia impedito e continui ad impedire l’avvio di un efficace processo di memorializzazione e istituzionalizzazione del ricordo della pandemia (o del Covid? O del lockdown? Insomma, di che cosa ci dovremmo ricordare?) Di più, siamo portati a pensare che proprio quella condizione di pervasività, globalità e indefinitezza dell’esperienza collettiva accentui le divisioni in ordine a ciò che è ci accaduto e di cui vorremmo fare memoria.
Così, se da un lato disponiamo di un campionario abbastanza ampio di pratiche memoriali sorte sull’onda dell’emotività degli eventi in corso e, possiamo immaginare, esistono e resistono forme memoriali particolaristiche, un frame memoriale complessivo, meno che mai globale, come pure ci si potrebbe aspettare di fronte ad un evento, per definizione, globale, non c’è. Così come mi pare che non disponiamo di un canone memoriale altrettanto consolidato. Nel contributo vorrei riflettere sulle condizioni che hanno reso impossibile (o soltanto marginalmente possibile) costruire delle memorie collettive della pandemia, da quelle più strettamente private e familiari a quelle pubbliche e istituzionalizzate, liberi come siamo e contemporaneamente condizionati da regimi temporali invisibili, indiscussi e inarticolati determinati dalla logica dell’accelerazione sociale.
Riferimenti bibliografici
Alexander J. C. (2012), Trauma. A Social Theory, Polity Press, Cambridge; tr. it. Trauma. La rappresentazione sociale del dolore, Meltemi, Milano, 2018.
Bauman Z. (2006), Paura liquida, Laterza, Roma-Bari
Beck U. (1986), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci,
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Horkheimer M. (1972), La nostalgia del totalmente altro, Queriniana, Brescia.
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rezza e pericolo, il Mulino, Bologna.
Migliorati L. (2006), Rischio, una parola pericolosa. Uno studio sulla funzione
sociale del rischio, quiedit, Verona.
Memoria pubblica, arte politica e artivismo
Anna Lisa Tota, Università Roma Tre. annalisa.tota@uniroma3.it
In una contemporaneità profondamente segnata dalle guerre, dai terrorismi e dalle conseguenti migrazioni forzate di fasce crescenti delle popolazioni colpite, i linguaggi delle arti possono offrirci inedite modalità per iscrivere nel discorso pubblico eventi altamente controversi, per incidere sulla definizione pubblica di ciò che sta avvenendo sotto i nostri occhi e che talora stentiamo a riconoscere e ad interpretare compiutamente (Dekel e Tota, 2017). Le voci degli artisti e delle artiste, le loro opere divengono così un materiale particolarmente prezioso capace di contribuire ai processi di formazione dei simboli delle memorie, per dare forma culturale alle rappresentazioni del passato (e del presente) che si susseguono in incessante contrapposizione. La riflessione sociologica contemporanea ha messo a tema una concezione di arte intesa come “agency” (Zolberg, 1996; Schwartz e Wagner-Pacifici, 1991; Schwartz e Bayma, 1999), fra i molti altri che potremmo citare) già negli scritti dei suoi fondatori e fondatrici, considerando gli artefatti artistici come dispositivi sociali capaci di incidere profondamente sul tessuto politico, sociale e culturale di una collettività. L’arte diviene così dispositivo potenzialmente capace di liberare dai dogmi, far cadere il velo dagli occhi, sfidare i potenti, denunciare le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani, promuovere i processi di inclusione sociale, fare e disfare processi di memoria pubblica, educare alla cittadinanza, combattere le molteplici forme di discriminazione sociale (Tota e De Feo, 2020). In molto casi si tratta di un’arte profondamente politica, legata spesso a vere proprie forme di attivismo (da qui il termine “artivism”) che colloca idealmente gli artisti e le artiste in una posizione privilegiata, riconoscendo loro la prerogativa della visione e la capacità di attivare - o almeno favorire – efficaci processi di trasformazione sociale. Per questo motivo il binomio arte e memoria diviene così intrinsecamente fruttuoso: perché le arti informano con i loro linguaggi i processi di iscrizione delle memorie, ma anche le traiettorie sociali future dei passati che intendono narrare e custodire (Tota e Hagen, 2016). In questo modo ai linguaggi delle arti possiamo affidare sia le rappresentazioni del passato, sia quelle del futuro (Wagner-Pacifici, 2010). In questo contributo, facendo riferimento ai risultati di una ricerca qualitativa in corso legata al Progetto PRIN TRAMIGRART (www.tramigrart.it), si documenta il ruolo delle arti come forme di resistenza, come atti insurrezionali rispetto a cliques interpretativi e agli stereotipi condivisi. L’arte diviene capace, nelle parole degli artisti (Trione, 2022), di: “riscoprire il diritto alla bellezza, anche dove la bellezza sembra non avere più dimora”, “redimere lo spazio urbano”, “creare nuove forme di communitas estetico-politiche”, “progettare processi insicuri di effrazione”, “ricordare a noi tutti che il futuro è di nostra competenza” e, last but not least, produrre memory work a favore dei processi di pace.
Riferimenti bibliografici
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Schwartz B., Bayma T. (1999), Commemoration and the politics of recognition: the Korean War veterans memorial, in « American Behavioral Scientist », 42(6), pp. 946-967.
Tota A. L., Hagen T. (Eds.), (2016), Routledge international handbook of memory studies, Routledge, London.
Tota A. L., De Feo A. (2020), Sociologia delle arti. Musei, memoria e performance digitali, Roma, Carocci.
Wagner-Pacifici R., Schwartz B. (1991), The Vietnam Veterans Memorial: Commemorating a Difficult Past, in “American Journal of Sociology”, 97, 2, pp. 376-420.
Trione, V. (2022), Artivismo. Arte, politica, impegno, Torino, Einaudi.
Wagner-Pacifici R. (2010), Theorizing the restlessness of events, in “American Journal of Sociology”, 115(5), pp. 1351-86.
Zolberg V. L. (1996), Museums as contested sites of remembrance: the Enola Gay affair, in Macdonald, Fyfe (eds.) (1996), pp. 69-82.