Programma della conferenza

VII “Non c’è più tempo!” Crisi ed emergenze nella società contemporanea / Cagliari, 19/20 giugno 2025

In un’epoca segnata da crisi ricorrenti e da un senso di urgenza perpetua, il concetto di tempo emerge come una lente imprescindibile per analizzare e comprendere la società contemporanea. Il convegno SISCC 2025, organizzato dalla “Società Scientifica Italiana di Sociologia, Cultura e Comunicazione”, intende riflettere sulle molteplici declinazioni del tempo nel contesto delle crisi odierne, esplorando come l’accelerazione dei ritmi di vita e la proliferazione delle emergenze stiano ridefinendo dimensioni fondamentali dell’educazione, della comunicazione e della vita quotidiana.

 
 
Panoramica della sessione
Sessione
Sessione 2 - Panel 01: Giovani e narrazioni della crisi
Ora:
Giovedì, 19/06/2025:
15:15 - 17:15

Chair di sessione: Fabio Ferrucci
Luogo, sala: Aula A (B0-A)

Piano terra. Edificio B, Campus Sant'Ignazio. Via Sant'Ignazio da Laconi, 76 (CA)

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Presentazioni

Social Media Challenge: come il racconto giornalistico trasforma pratiche ludiche in emergenze sociali

Paola Panarese, Vittoria Azzarita, Maddalena Carbonari, Cosimo Miraglia

Sapienza Università di Roma, Italia

In un’epoca segnata dall’accelerazione dei ritmi sociali (Rosa, 2015) e dalla percezione di uno stato di costante emergenza (Beck, 2001; Giddens, 1994; Lupton, 1999), l’ecosistema mediale tende ad amplificare e intensificare la dimensione di rischio associata ad alcune prassi culturali, soprattutto quando legate ad ambienti digitali (Lupton, 2016). Tra queste vi sono le social media challenge (SMC), sfide ludiche, di abilità o coraggio, caratterizzate da un invito a partecipare a pratiche di piattaforma codificate (Schlaile et al., 2018), filmate e pubblicate su siti di social networking (Burgess et al., 2018).

Nonostante la loro notorietà, il coinvolgimento di milioni di utenti e l’enorme quantità di contenuti condivisi, sono rari gli studi che tentano di ricostruirne le dimensioni (Hilton et al., 2021; Ortega-Barón et al., 2022) o effettuano un confronto tra prassi online e forme della rappresentazione mediale (Bennato, 2018; Kilgo et al., 2020; Roth et al., 2020). La letteratura sul tema, in particolare, sembra focalizzata su alcune specifiche pratiche a rischio o sulla trasgressione insita in alcune challenge online (Bada, Clayton, 2019), insieme alle dinamiche intergruppo e di peer pressure che spingono alla partecipazione soprattutto gli utenti più giovani (Burgess et al., 2018; Ferreira Deslandes et al., 2020; Shroff et al., 2021).

Su queste basi, adottando gli sviluppi più recenti della teoria dell’agenda-setting come l’intermedia agenda-setting (McCombs, Reynolds, 2002) e il modello Network Agenda-Setting (NAS) (Vargo et al., 2014) quali principali riferimenti teorici, il contributo intende indagare la relazione tra pratiche e rappresentazione mediale. In particolare, l’obiettivo è rilevare temi, attributi e toni associati alle SMC, per comprendere se la rete di interazioni delle fonti influenzi non solo la scelta delle storie da raccontare (primo livello di agenda-setting), ma anche il modo in cui sono raccontate (secondo livello) e i temi cui sono associate attivando un network di relazioni (terzo livello) (Stern et al., 2020).

A tal fine, si presentano gli esiti di un censimento delle sfide condivise su quattro SNSs – Instagram, TikTok, Facebook e YouTube – e un’analisi degli articoli apparsi sulle versioni online dei principali quotidiani italiani, dei servizi trasmessi dai telegiornali nazionali e dei contenuti pubblicati su X, attinenti al tema, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2020 e il 31 gennaio 2021, un anno segnato dalla pandemia e dalla conseguente estensione e accelerazione della digitalizzazione e dall’aumento delle paure condivise (Salari et al., 2020). Sui diversi corpora è stata condotta un’analisi del contenuto come inchiesta (Losito, 1996).

I risultati rivelano una distanza significativa tra le pratiche online e il loro racconto mediatico. Nello specifico, se il censimento (952 video) evidenzia la prevalenza di prassi eterogenee, accomunate dal carattere ludico, l’analisi della rappresentazione mediale (154 articoli, 37 servizi di Tg e 220 post su X) appare sostanzialmente omogenea e orientata da effetti di agenda-setting a tutti e tre i livelli. Infatti, i media informativi danno spazio alle SMC soprattutto quando associate a fatti di cronaca dalle conseguenze nefaste (primo livello); inquadrano il fenomeno all’interno di cornici interpretative convergenti e limitate, facendo ricorso a titoli sensazionali e toni volutamente emotivi, che rimandano a logiche di notiziabilità e drammatizzazione del racconto giornalistico (secondo livello); propongono un ritratto del fenomeno che invita a creare associazioni tra temi, legando le sfide online all’universo dei giovani e a una visione tecnofobica (terzo livello).

Le SMC appaiono così come un caso emblematico del modo in cui l’attuale ecosistema mediale, segnato dall’accelerazione dei cicli informativi e dalla tendenza a usare narrazioni che enfatizzano l’incertezza e la paura (Altheide, 2002), contribuisca alla costruzione di emergenze, alimentando un senso di urgenza che accentua il pericolo a scapito della varietà e complessità delle pratiche sociali digitali.



Lo sconfinamento del lavoro nel tempo della vita nel Terzo Settore: nuove generazioni e ridefinizione dell’etica del lavoro.

Giovanni Antonio Albertinale

Università degli Studi Di Milano, Italia

Il contributo adotta una prospettiva generazionale per raggiungere un duplice obbiettivo. In primo luogo, ci si propone di indagare le prese di posizione dei giovani lavoratori del Terzo Settore rispetto alle forme di lavoro gratuito; ulteriormente si cercherà di comprendere come queste siano legate ad un nuovo rapporto con l’etica lavorativa tipica del settore.

La letteratura sull’economia sociale e solidare ha di recente visto crescere un forte interesse per il tema delle condizioni lavorative del settore. Evidenziando come esso sia uno dei “grandi assenti del dibattito scientifico nazionale” (Caselli, 2022), alcuni ricercatori e ricercatrici hanno progressivamente sottolineato la scarsa qualità delle sue condizioni di lavoro. Uno degli elementi più rilevanti, oltre all’inadeguato riconoscimento materiale e alla diffusione di contratti part-time e precari, riguarda le forme di lavoro non pagato (Carls e Cominu, 2014; De Angelis, 2017). Questo è dovuto ad una eterogeneità di fattori: oltre all’esternalizzazione dei servizi dal pubblico al privato no profit (Caselli 2022; Dorigatti 2017), vi è la natura fortemente relazione del lavoro (Marchesi, 2022), amplificata dalla diffusione degli smartphone che, in quanto “infrastrutture dell’intimità” (Wilson, 2016) aumentano la possibilità per i lavoratori e le lavoratrici di essere raggiunti e contattati anche al di fuori del lavoro. (Gregg, 2011). Elemento centrale della gratuitizzazione è poi il “regime vocazionale” del lavoro nel sociale (De Angelis, 2017), tipico dell’etica post-fordista (Lannunziata e Busso, 2016) che si fonda su forme di riconoscimento immateriale e simbolico a compensare le scarse condizioni materiali: in particolare, nel Terzo Settore il lavoro è motivato da valori legati ad aspirazioni politiche e di giustizia sociale (Castellini, 2021). Questo aspetto è stato inoltre aggravato dalla centralità del volontariato nella rappresentazione del Terzo Settore, che ha avuto come effetto quello di de-professionalizzarne il lavoro e di invisibilizzarne il valore attraverso la naturalizzazione delle aspettative legate al femminile, in termini di propensione alla cura e alla solidarietà (Castellini 2025).

Più recentemente tuttavia, anche in seguito alle maggiori difficoltà di assunzioni delle cooperative sociali (Agrò 2024; Tabacchi 2023), la sostenibilità di tale modello è sembrata meno ovvia, messa in dubbio soprattutto da una supposta indisponibilità delle nuove generazioni ad accettare il compromesso tra scarse condizioni lavorative e riconoscimento simbolico. (Fazzi, 2024). Alla luce di tutto ciò, il contributo adotta una prospettiva generazionale e attraverso l’analisi di interviste qualitative indaga quali prese di posizione i giovani lavoratori del TS adottano rispetto a queste forme di “sconfinamento” del lavoro nel tempo della vita, e inoltre come queste siano legate ad un presunto cambiamento del senso attribuito al lavoro.



Tempi dei giovani in 'sospensione': oltre un approccio crono-normativo

Valentina Cuzzocrea

Università di Cagliari, Italia

Un vasto dibattito nazionale e internazionale ha affrontato la crescente complessità delle temporalità giovanili, problematizzando in particolare il momento di raggiungimento dell’età adulta – tema centrale, in particolare, di un approccio agli studi sui giovani noto con il nome “transizioni all’età adulta”. Questo articolo discute alcuni dei limiti di questo approccio emersi durante la pandemia globale da covid 19, caratterizzata da misure di distanziamento sociale che hanno colpito, in Italia, in giovani in modo particolare, per es attraverso una DAD prolungata. In tali condizioni, in termini temporali la pandemia è stata interpretata prevalentemente come una forzatura alla “sospensione”, con implicazioni su due diverse dimensioni: da un lato, i giovani hanno vissuto profondi cambiamenti nella loro vita quotidiana a causa delle restrizioni del lockdown; d’altro, abbiamo assistito ad una ricerca di stili di vita alternativi che incidono sul medio termine. Questi cambiamenti suggeriscono di riconsiderare la complessità delle temporalità giovanili, come ad es la moratoria, in chiave nuova.

Confrontandomi con il concetto di ‘time work’ di Flaherty (2003), in questa presentazione discuto alcune sfumature delle forme di sospensione temporale e delle interconnessione tra tempi e agency dei giovani come emerso in pandemia. Il materiale empirico di riferimento, di tipo qualitativo (documentale e visuale con fotostimolo) è stato raccolto all’interno del progetto […]. Riflettendo sulle rappresentazione dei giovani in pandemia e sulle fratture che il distanziamento sociale ha determinato, scardinando alcuni rituali che tradizionalmente scandiscono l’esperienza giovanile (per esempio, l’esame di stato), la presentazione conclude che un focus sui ‘tempi dei giovani’ vada ripensato non tanto, o non più, sulle tempistiche di raggiungimento delle tappe, quanto sui significati che i giovani stessi attribuiscono a temporalità rinnovate, spesso elaborate intorno allo stare insieme. Tali esperienze danno valore alle temporalità esperite durante la transizione più che ad una visione 'pointilista' delle sue tempistiche, connotandole in termini generazionali, e indebolendo una visione spesso interpretata in modo crono-normativo. Un ripensamento quindi di tali categorie va nella direzione del riconoscimento dell'autenticità delle nuove forme di sospensione temporale giovanile come caratterizzanti l'esperienza generazionale.



“Non lavoriamo più”: la relazione tra lavoro e vita per generazioni diverse dopo la pandemia in Italia

Costanza Guazzo, Beatrice Gabrielli, Carola Natali

Universita Statale di Milano, Italia

Dopo la pandemia, le discussioni sul ruolo del lavoro nella nostra vita si sono moltiplicate: dalla diffusione di dimissioni volontarie e quiet quitting (Coin 2023; Jaffe 2023), all'aumento di fenomeni come il burnout, sembra emergere tra i lavoratori, in particolare giovani, la necessità di costruire un nuovo modo di vivere il lavoro, che permetta di mantenere il giusto equilibrio tra aspettative e impegno. Il tema della passione, centrale nella retorica del lavoro degli scorsi vent'anni di neoliberismo, soprattutto per le classi medie, sembra essersi incrinata alla prova della pandemia. Quale visione del lavoro emerge dalle sue ceneri? La ricerca, qualitativa e digitale, approfondisce le rappresentazioni e le esperienze di lavoro di 300 lavoratori e lavoratrici italiani divisi per cinque fasce d''età, che hanno partecipato a una raccolta storie online, a cui è seguita una fase di interviste in profondità. Le storie raccolte volontariamente, sebbene scontino un evidente self-selection bias, descrivono lati intimi e fragili della relazione con il lavoro, ed esperienze fatte di precarietà lavorativa, lavoro in nero, part-time involontari, soprattutto tra coloro che sono entrati nel mondo del lavoro dagli anni 90 in poi. Questa esperienza difficile con il mondo del lavoro sembra aver creato le condizioni per un distacco e un rifiuto del tema della passione, che non ha mantenuto la promessa del successo attraverso il sacrificio.
I risultati mostrano come tra le generazioni più giovani sia prevalente un nuovo modo di vedere il lavoro, in cui il benessere personale e psicologico acquisisce maggiore rilevanza, anche a scapito del trattamento economico e della stabilità. Il lavoro sembra essere ripensato non più come centro dell'identità e oggetto di sacrificio in vista di obiettivi di lungo o lunghissimo termine, ma come uno dei vari aspetti dell'esistenza: le aspettative risultano quasi schiacciate nel presente. Allo stesso tempo, la visione della vita stessa privilegia aspetti personali esterni al lavoro, come la famiglia, le amicizie, la realizzazione di sé attraverso attività altre rispetto al lavoro. Il tema della stanchezza emerge fortemente tra i giovanissimi, affaticati da tempi e modi del mondo del lavoro a cui si affacciano, per i quali la qualità di vita nel qui e ora acquisice maggiore centralità, forse anche a causa dell'onda lunga del trauma pandemico; ma anche tra coloro che si avvicinano alla pensione. In sintesi, emerge una diffusa necessità di riflessione sul tema dell'equilibrio vita lavoro per tutte le fasce d'età, che rimanda ai temi del futuro del lavoro nelle società postindustriali.



 
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