Programma della conferenza

VII “Non c’è più tempo!” Crisi ed emergenze nella società contemporanea / Cagliari, 19/20 giugno 2025

In un’epoca segnata da crisi ricorrenti e da un senso di urgenza perpetua, il concetto di tempo emerge come una lente imprescindibile per analizzare e comprendere la società contemporanea. Il convegno SISCC 2025, organizzato dalla “Società Scientifica Italiana di Sociologia, Cultura e Comunicazione”, intende riflettere sulle molteplici declinazioni del tempo nel contesto delle crisi odierne, esplorando come l’accelerazione dei ritmi di vita e la proliferazione delle emergenze stiano ridefinendo dimensioni fondamentali dell’educazione, della comunicazione e della vita quotidiana.

 
 
Panoramica della sessione
Sessione
Sessione 1 - Panel 07: Il tempo nel cinema e nel post-cinema: grammatiche, narrazioni, pre-visioni
Ora:
Giovedì, 19/06/2025:
13:30 - 15:00

Chair di sessione: Fabio Tarzia
Luogo, sala: Aula 7 (A1-G)

1° piano, Edificio A (Palazzo Baffi) Campus Sant'Ignazio. Via Sant'Ignazio da Laconi, 74 (CA)

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Presentazioni

Il tempo nel cinema e nel post-cinema: grammatiche, narrazioni, pre-visioni

Alfonso Amendola1, Pietro Ammaturo2, Alessio Ceccherelli3, Tatiana Mazali4

1Università degli Studi di Salerno; 2Università eCampus, Novedrate; 3Link Campus University; 4Politecnico di Torino

Il tempo è stato messo in-forma dalle tecniche cinematografiche e visive del ‘900, strutturando la nostra stessa esperienza del tempo, ed oggi, sempre più, è anche un tema centrale nelle narrazioni filmiche e seriali.

Il tempo non è più soltanto un elemento strutturale che determina il ritmo del montaggio o la durata di una sequenza, ma un vero e proprio oggetto della narrazione (sostanzialmente attuando quel movimento deterritorializzante indicato da Deleuze come “fuga in intensità”). Film e serie TV riflettono sul tempo, lo manipolano, lo destrutturano, lo rendono fluido, ciclico o paradossale, rispecchiando un’epoca in cui la nostra percezione della temporalità è profondamente mutata, come sempre accade soprattutto nei cambi di paradigma tecnologico e socio-culturale.

Questa trasformazione è evidente nel passaggio dal cinema classico al post-cinema (assorbendo in pieno tutte le grammatiche sperimentali dell’Expanded Cinema teorizzato da Youngblood), una categoria che raccoglie non solo il cinema digitale, ma anche le forme espanse della narrazione audiovisiva, come la videoarte, le esperienze interattive, il cinema immersivo con le sue immagini (un-icon) a 360°, e il mondo dei videogiochi. Se nel cinema classico il tempo era scandito secondo logiche lineari e consequenziali, il post-cinema ne ha ridefinito le regole, introducendo frammentazione, simultaneità, interattività, espansione (nelle immagini ambientali) e accelerazione (in alcune logiche di gameplay), in una nuova riconfigurazione della relazione tra spazio e tempo (il tempo si spazializza, lo spazio diventa materia temporale controllata dall’utente).

Registi come Christopher Nolan (Memento, Inception, Tenet) hanno reso il tempo non solo un elemento narrativo, ma un tema di elaborazione esistenziale, mentre la serialità contemporanea ha trasformato la percezione del tempo in una delle sue cifre stilistiche. L’interesse crescente per il time loop, reso celebre da Ricomincio da capo (Groundhog Day, 1993), e per il tempo come risorsa economica e sociale, come in In Time (2011), dimostra come il cinema rifletta le tensioni del nostro presente: da un lato, il tempo è una gabbia da cui si cerca di fuggire; dall’altro, una merce sempre più scarsa, da accumulare o sottrarre.

Anche il linguaggio audiovisivo è mutato. Se il montaggio tradizionale stabiliva un ritmo e una logica temporale ben definita, oggi le tecnologie immersive, la realtà virtuale e i media interattivi propongono esperienze temporali non lineari, in cui il pubblico ha un ruolo attivo nella costruzione del tempo narrativo. Nei videogiochi narrativi o nelle opere di cinema immersivo, il tempo diventa un’esperienza soggettiva, legata alle scelte dello spettatore/giocatore.

Viviamo in un tempo accelerato, dove il digitale ha compresso la distanza tra passato, presente e futuro. L’archivio digitale rende tutto simultaneamente accessibile, i social media alimentano un eterno presente, l’intelligenza artificiale genera immagini e storie in tempo reale, alterando la nostra percezione della realtà. Il post-cinema e le nuove forme di narrazione rispecchiano questa condizione: ci raccontano un mondo in cui il tempo non è più una linea retta, ma un labirinto in continua trasformazione, tra espansione (rallentamento) e accelerazione.

Per questo motivo, il tempo oggi è un tema cruciale tanto nella teoria dei media quanto nella pratica artistica e cinematografica. Se nel cinema classico il tempo era un elemento invisibile, uno strumento per raccontare le storie, nel post-cinema esso è diventato la storia stessa.

Riferimenti bibliografici essenziali:

Balzola, A., Caprettini, G.P. (2024). Vertigini dell’immaginario. Rovesciamenti simbolici e archetipi del tempo tra cinema e letteratura, Milano: Meltemi.

Deleuze, G. (1985). Cinéma 2. L’Image-temps, Paris: Éditions de Minuit.

Eisenstein, S. (1949). Film Form: Essays in Film Theory. Harcourt.

Grau, O. (2004), Virtual Art From Illusion to Immersion, Cambridge/London: The MIT Press.

Hagener, M., Hediger, V., Strohmaier, A. (eds.) (2016). The State of Post-Cinema: Tracing the Moving Image in the Age of Digital Dissemination, London: Palgrave Macmillan.

Kern, S. (1983). The Culture of Time and Space 1880-1918, Cambridge, MA: Harvard University Press. Trad. it. Il tempo e lo spazio. La percezione tra Otto e Novecento. Bologna: il Mulino, 1995.

Manovich, L. (2011). Il linguaggio dei nuovi media, Milano: Olivares.

Modena E. (2022), Nelle storie. Arte, cinema e media immersivi, Roma: Carocci.

Murray Janet H. (2016), Not a Film and Not an Empathy Machine, IMMERSE.

Youngblood, G. (2013). Expanded Cinema, a cura di P.L. Capucci e S. Fadda, Bologna: CLUEB.

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Contributo 1

Titolo: Il veggente e la sospensione. Attualità dell’immagine-tempo di Deleuze come scandaglio nel post-cinema

Alfonso Amendola (Università degli Studi di Salerno)

La contemporaneità è scavo fecondo. È trama d’indagine da statuto archeologico (Parikka 2019). E a dare forza al paesaggio dell’expadend cinema (Yougblood 2013) e del post-cinema (Hagener, Hediger, Strohmaier 2016) alle volte sono anche territori critici e teorici che decenni prima hanno indicato un cammino, una trama di lavoro, un’istigazione prospettica. Tra questi sicuramente il più innovativo tra i filosofi del XX secolo: Gilles Deleuze. La presente indagine - specificamente legata al Deleuze studioso di cinema (De Gaetano 1996; Rodowick 1997; Godani 2009; Hirose 2020) - vuol ricostruire l’attualità del suo pensiero legato al tema del tempo (1985) cercando di ritrovarlo all’interno di alcune opere cinematografiche del contemporaneo. Partendo dal concetto deleuziano del cinema come esplorazione di nuove modalità di percezione del tempo e della realtà fino ad arrivare al concetto di immagine-tempo e come questa categoria teorica abbia a che fare con la rappresentazione temporale del post-cinema. L’attualità dell’immagine-tempo la troviamo nell’arco di almeno 2 classificazioni possibili:

  1. Il veggente. Immagine-tempo come una forma cinematografica che si distacca dal principio di causalità (qui, il tempo non è solo un contenitore in cui gli eventi accadono, ma diventa una forza che modifica la struttura della narrazione e della percezione e il tempo diviene “veggente”).
  2. La sospensione. Immagine-tempo come temporalità non lineare, in frammenti o in attimi sospesi ovvero “scena di sospensione” (in questi casi, il montaggio non è più un semplice strumento per progredire nel tempo, ma viene usato per immergersi nella molteplicità delle dimensioni temporali: il sogno, il ricordo, la previsione, l’attesa, ecc.).

Se questo concetto, a suo tempo, è stato centrale per la lettura delle opere di autori come Welles, Godard o Resnais, la nostra indagine vuol cogliere la rigorosa attualità della teoria dell’immagine-tempo applicandola come “dispositivo” per analizzare nodali capitoli del cinema contemporaneo totalmente dentro il nucleo dell’estetica della frammentazione (XXX 2006). In particolare saranno analizzati film come: Pulp Fiction (1994) di Quentin Tarantino (il tempo e il punto di vista); Memento (2000) di Christopher Nolan (il tempo e il molteplice); Mulholland drive (2001) di David Lynch (il tempo e la psiche); Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004) di Michel Gondry (il tempo e la memoria); Last Days (2005) di Gus Van Sant (il tempo e la morte); Inception (2010) di Christopher Nolan (il tempo e il sogno); Cloud Atlas (2012) di Tom Tykwer, Andy e Lana Wachowski (il tempo e le epoche); Boyhood (2014) di Richard Linklater (il tempo e la crescita)… il tutto necessariamente incrociando le dinamiche temporali di alcuni prodotti della postserialità (Brancato 2011): come 24 (2001-2010) di Joel Surnow, Robert Cochran; Lost (2004-2010) di J. J. Abrams, Damon Lindelof, Jeffrey Lieber; Dark (2017-2020) di Baran bo Odar e Jantje Friese; Twin Peaks: The Return (2017) di David Lynch; Westworld(2016-) di Jonathan Nolan e Lisa Joy; Russian Doll (2019-) di Leslye Headland, Natasha Lyonne e Amy Poehler.

Queste opere nel pulsare portante della propria narrazione sfidano (e sfaldano) la progressione lineare e il trattamento del tempo come una sequenza causale e lo ri-presentano come una dimensione fluida, frammentata e multipla. La temporalità, quindi, diventa una forza che modifica la percezione della realtà, in perfetta sintonia con le teorie di Deleuze e sostanziando il concetto di immagine-tempo come un modello teorico persistente, esplorabile, parafrasabile e voracemente aperto al nuovo.

Bibliografia essenziale:

XXX (2006),

Brancato, S. (2011), Postserialità. Per una sociologia delle tv-series. Dinamiche di trasformazione della fiction televisiva, Napoli: Liguori.

Deleuze, G. (1985), Cinéma 2. L’Image-temps, Paris: Éditions de Minuit.

De Gaetano, R. (1996), Il cinema secondo Gilles Deleuze, Roma: Bulzoni.

Godani, P. (2009), Deleuze, Roma: Carocci.

Hagener, M., Hediger, V., Strohmaier, A. (eds.) (2016), The State of Post-Cinema: Tracing the Moving Image in the Age of Digital Dissemination, London: Palgrave Macmillan.

Hirose, J.F. (2020), Il cine-capitale, Il cinema di Gilles Deleuze e il divenire rivoluzionario delle imagini, Verona: Ombre Corte.

Parikka, J. (2019), Archeologia dei media. Nuove prospettive per la storia e la teoria della comunicazione, Roma: Carocci.

Rodowick, D. N. (1997), Gilles Deleuze’s Time Machine, Durham: Duke University Press.

Yougblood, G. (2013), Expanded Cinema, a cura di P. L. Capucci e S. Fadda, Bologna: CLUEB.

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Contributo 2

Titolo: Indietro (e troppo avanti?) nel futuro: riflessioni sul cinema di Robert Zemeckis

Pietro Ammaturo (Università eCampus, Novedrate)

Nel panorama delle riflessioni sul tempo nel cinema l’opera di Robert Zemeckis costituisce un caso particolarmente significativo per comprendere le modalità in cui la settima arte ha affrontato, manipolato e teorizzato la questione della temporalità. Il presente contributo intende focalizzarsi sulla produzione zemeckisiana che ha collocato il concetto di tempo al centro della propria poetica, trasformandolo di volta in volta in strumento narrativo, oggetto di riflessione e manifestazione di una tensione fra innovazione tecnologica e ricerca artistica. Centrale è la discontinuità temporale: dalla trilogia di Ritorno al futuro (1985, 1989, 1990) alle sperimentazioni digitali di The Polar Express (2004) e Welcome to Marwen (2018) fino al recente Here (2024), ispirato alla graphic novel di Richard McGuire, dove l’analisi si estende ulteriormente, grazie all’utilizzo massiccio dell’IA, esplorando non soltanto i paradossi o i salti cronologici, ma la coesistenza simultanea di epoche diverse nello stesso spazio e trasformandosi in una rete di connessioni tra passato, presente e futuro che si influenzano a vicenda.

La produzione di Zemeckis, che diventa “laboratorio” per la comprensione delle strutture temporali in trasformazione, può essere analizzata attraverso il prisma della “durata” di Henri Bergson: come flusso continuo che supera la mera suddivisione cronologica, la durata consente di comprendere meglio le fluttuazioni temporali presenti nel suo cinema, che sovente gioca con ellissi, flashback e proiezioni in avanti per suggerire l’idea di un continuum spazio-temporale non riducibile a blocchi narrativi rigidamente separati. L’uso sempre più intenso e sofisticato della CGI, del motion capture e dell’IA colloca Zemeckis tra i pionieri di quel post-cinema che supera la tradizionale visione lineare, spalancando possibilità esperienziali nuove, dal montaggio interattivo ai mondi narrativi condivisi (Manovich 2012; Youngblood 2013). E con Here, la prospettiva post-cinematica si articola ulteriormente, poiché il set diventa un punto d’incontro di linee temporali differenti, quasi a suggerire una sorta di immagine digitale che ingloba i vari momenti storici in un’unica percezione integrata. L’esperienza temporale dei personaggi (e degli spettatori) diventa una metafora dell’identità contemporanea, dei “non-luoghi” e della fluidità identitaria (Augé 2005; Lacan 1979) come in Forrest Gump (1994) o Cast Away (2000), in cui il protagonista si muove fra diversi orizzonti temporali e spaziali, talvolta isolandosi dal mondo per poi riconnettersi a una realtà che nel frattempo è irrimediabilmente mutata. E ancora con Here, il regista mostra come la stessa stanza - in tempi diversi - possa ospitare storie e identità multiformi, in una sorta di “montaggio interiore” che dà forma a un mosaico temporale potenzialmente infinito. Un’evoluzione nella rappresentazione del tempo, da semplice cornice narrativa a dispositivo centrale per indagare l’identità, la memoria collettiva e i mutamenti socioculturali della modernità.

Bibliografia essenziale:

Amendola, A. (2012), Videoculture. Storia, teorie ed esperienze artistiche dell'audiovisivo sperimentale, Latina: Tunué.

Augé, M. (2005), Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano: Elèuthera.

Bergson, H. (2002), L’evoluzione creatrice, Milano: Raffaello Cortina.

Casetti, F. (2004), Teorie del cinema. 1945-1990, Milano: Bompiani.

De Gaetano, R. (1996), Passaggi: figure del tempo nel cinema contemporaneo, Roma: Bulzoni.

Deleuze, G. (1989), Cinema 2. L’immagine-tempo, Milano: Ubulibri.

Frezza, G. (2005), Effetto notte: le metafore del cinema, Roma: Meltemi.

Hagener, M., Hediger, V., Strohmaier, A. (eds.) (2016), The State of Post-Cinema: Tracing the Moving Image in the Age of Digital Dissemination, London: Palgrave Macmillan.

Lacan, J. (1979), Scritti, Torino: Einaudi.

Malavasi, L. (2017), Postmoderno e cinema: nuove prospettive d’analisi, Roma: Carocci.

Manovich, L. (2012), Il linguaggio dei nuovi media, Milano: Olivares.

Morin, E. (2016), Il cinema o l’uomo immaginario: saggio di antropologia sociologica, Milano: Raffaello Cortina.

Sobchack, V. (2002), Spazio e tempo nel cinema di fantascienza: filosofia di un genere hollywoodiano, Bologna: Bononia University Press.

Yougblood, G. (2013), Expanded Cinema, a cura di P. L. Capucci e S. Fadda, Bologna: CLUEB.

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Contributo 3

Titolo: Il tempo come oggetto narrativo nel cinema e nelle serie tv

Alessio Ceccherelli (Link Campus University)

Il tempo è strutturalmente legato ai media e alle tecnologie (Kern 1983); è sia loro causa che effetto. Da un lato, influisce sulla concettualizzazione e preparazione di forme mediali non ancora esistenti (l’invenzione della scrittura serve anche a ottimizzare il tempo di raccolta dei dati e consentirne una maggiore durata; l’invenzione della stampa serve anche a ottimizzare il tempo di riproduzione delle copie e velocizzare quello di lettura; etc.). Dall’altro, le forme mediali influiscono sulla nostra percezione e gestione del tempo e dello spazio, a livello individuale e collettivo: “Il medium è il messaggio” (McLuhan 1964) vuol dire anche questo. All’interno di una cornice epistemologica che ruota intorno al concetto di mediologia (McLuhan, McLuhan 1988; Debray 2000), e che indaga le forme simboliche dell’immaginario come espressioni di sensibilità sociali e culturali (Abruzzese 1979; Grassi 2012; Ragone 2019; Amendola, Tirino 2021), questo contributo si concentra sui modi in cui il cinema e le serie tv hanno affrontato e stanno affrontando il tema del tempo. Non solo e non tanto come elemento formale (Eisenstein 1949; Elsaesser, Hagener 2015), ma anche come oggetto di trattazione narrativa.

Il punto di partenza è uno studio già condotto sulla rilevanza e sulle funzioni del viaggio nel tempo nei media (XXX 2023), tema che ha col cinema una relazione particolare: nel rendere visivamente percepibile l’alterazione del flusso narrativo (accelerazioni, rallentamenti, flashback, flashforward), la fruizione di film e serie tv fa compiere una sorta di percorso temporale allo spettatore, facendogli “sensibilmente” vivere l’esperienza della memoria (Kilbourn 2010), dell’immaginazione, del sogno (Morin 1956). Queste alterazioni sono interpretabili anche dal punto di vista sociologico: perché c’è una netta rilevanza di viaggi nel passato? Può esserci una metafora sociale alla base dell’intensificazione, a partire da Groundhog Day (1993), del time loop come stratagemma diegetico?

Da questa base, il campo di indagine si allarga ad altre forme di utilizzo del tempo come contenuto e vettore narrativo. Le ucronie, ad esempio, sono spesso particolari riscritture del tempo storico, in cui si immagina un decorso alternativo come riflesso e riflessione sul reale, e che trovano nella serialità delle piattaforme terreno fertile e di grande successo: The Man in the High Castle (2015-2019), For All Mankind (2019-), Fallout (2024-). Al di là di generi o categorie, anche opere autoriali sono costruite intorno al nucleo tematico e semantico del tempo. I film di Nolan sono in buona parte incentrati su di esso: Memento (2000), Interstellar (2010), Inception (2014), Tenet (2020) manifestano forse la dichiarazione di impossibilità a poter conquistare e controllare il tempo come si è fatto con lo spazio (Ilardi 2023). Una serie tv come True Detective, in particolare la prima (2014) e la terza stagione (2019), chiama lo spettatore a seguire un puzzle di piani temporali che solo gradualmente e faticosamente si riesce a ricomporre: un’operazione estetica la cui motivazione risiede anche nella difficoltà a percepire e riconoscere la propria identità, e in cui la ricostruzione della memoria si pone come disperato tentativo di ricerca di senso. Severance (2023-2025) racconta della separazione tra tempo del lavoro e tempo della vita privata, resi indipendenti nella memoria dei personaggi, a voler significare il conflitto tra le diverse richieste di attenzione, e dunque di tempo, a cui il soggetto moderno deve rispondere, quello interiore e quello sociale.

Si tratta di alcuni esempi che indicano una crescente consapevolezza, emergente a livello dell’immaginario: la difficoltà delle società e delle culture occidentali a gestire la propria relazione con la Storia, con la memoria, con l’identità, col senso; la difficoltà degli individui a gestire richieste e istanze (di tempo) sempre più frequenti, conflittuali, contraddittorie che da queste società giungono. Questo contributo intende tracciarne una mappa.

Bibliografia essenziale

Abruzzese, A. (1979), La Grande Scimmia. Mostri, vampiri, automi, mutanti. L’immaginario collettivo dalla letteratura al cinema e all’informazione, Roma: Napoleone.

Amendola, A. e Tirino, M. (a cura) (2021), 10 keywords. La matrice narrativa e la digital society. Saggi di mediologia della letteratura, Scafati (SA): Francesco D’Amato.

XXX, A. (2023)

Debray, R. (2000), Introduction à la médiologie, Paris: PUF.

Eisenstein, S. (1949), Film Form: Essays in Film Theory, Harcourt.

Elsaesser, T., Hagener, M. (2015), Film Theory. An Introduction Through the Senses, New York, NY: Routledge.

Grassi, V. (2012), Mitodologie. Analisi qualitativa e sociologica dell'immaginario, Napoli: Liguori.

Kern, S. (1983), The Culture of Time and Space 1880-1918, Cambridge, MA: Harvard University Press.

Kilbourn, R.J.A. (2010), Cinema, Memory, Modernity: The Representation of Memory from the Art Film to Transnational Cinema, New York, NY: Routledge.

Ilardi, E. (2023), I viaggi nel tempo di Christopher Nolan e la fisica filologicamente corretta. Inception, Interstellar e Tenet, in XXX (2023), op. cit.

McLuhan, M. (1964), Understanding Media: The Extensions of Man, New York, NY: Macmillan.

McLuhan, M., McLuhan, E. (1988), Laws of Media. The New Science, Toronto: University of Toronto Press.

Morin, E. (1956), Le cinéma ou l'homme imaginaire. Essai d'anthropologie sociologique, Paris: Les Éditions de Minuit.

Ragone, G. (2019), Per la mediologia della letteratura. Dieci saggi, Canterano (RM): Aracne.

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Contributo 4

Titolo: La spazializzazione del tempo nel cinema immersivo

Tatiana Mazali (Politecnico di Torino)

Sperimentare con la tecnologia così da esplorare la condizione umana e superare la dittatura del frame (Alejandro Gonzalez Inarritu, “Carne y Arena”)

L’immersività delle immagini, e le tecnologie per, hanno una lunga storia che inizia con il precinema, dagli stereoscopi ai panorami ottocenteschi – “vedute della totalità”, per arrivare ai visori per la realtà virtuale di oggi, passando per le esperienze collettive dei Dome. Corpi fluttuanti e interagenti con gli ambienti narrativi trovano una nuova materialità possibile nelle immagini immersive in cui “si entra” indossando un visore VR. Ben lontani dalla “Spada di Damocle” – marchingegno avveniristico, interfaccia macchinica e ingombrante – realizzato da Bob Sproull nel 1968 ad Harvard, i Meta Quest di oggi permettono un ingresso “morbido” nel mondo delle immagini ambientali dei mondi immersivi.

Mondi in cui il tempo si spazializza (Manovich 2011); mondi in cui prendono forma narrazioni a cui fatichiamo a dare un nome (cinema, post cinema, expanded cinema?) perché sfuggono ai perimetri dei generi e dei media stessi con le proprie consolidate tradizioni estetiche e “posture” della visione; mondi in cui le coordinate spazio-temporali vengono ridefinite in una esperienza utente ancor più iperreale (Baudrillard 2008).

In definitiva, le immagini a 360° mettono in forma una nuova grammatica di visione.

Il cinema immersivo con le sue immagini an-iconiche (Malaspina et al. 2023) spesso espande il tempo, talvolta lo accelera (quando la narrazione immersiva integra logiche di gameplay). Il tempo diventa spazio, lo spazio diventa tempo controllato dall’utente.

Nel 360 le immagini diventano ambienti, cioè non sono più solo una rappresentazione, si mette in discussione lo statuto dell’immagine come “immagine-di”. Le caratteristiche fondamentali delle immagini ambientali sono: im-mediatezza; assenza di cornice; effetto presence (superando il principio di referenzialità che stabilisce un legame ma anche una distanza tra un’immagine tradizionale e ciò che rappresenta, le immagini ambientali si propongono di portare il corpo del pubblico in una relazione uno a uno con l’immagine).

Nelle immagini immersive a 360° sparisce l’inquadratura, con questa sparizione il montaggio va in crisi (Perrone 2019; Zheleva et al. 2021), e il tempo torna ad essere campo di esplorazione, oltre le consuetudini del montaggio classico, e ugualmente lontano dal tempo rincorso, schiacciato, diminuito, istantaneizzato dei social media. Il cinema immersivo diventa un medium alla ricerca di un nuovo statuto, dove regole nuove non durano il tempo di una stagione (come la regola della durata minima di 8 secondi per una “buona” scena VR, come proposto da Victor Agulhon). Il tempo sfugge alle regole, si dilata, e, spazializzandosi, cerca di avvolgere l’utente in una sospensione dell’incredulità che è sempre minacciata dalla presenza (ancora ingombrante) del mezzo (ricordiamoci che un sistema immersivo produce la sensazione di presenza se lo scarto temporale tra movimento dell’utente e l’effetto sul sistema virtuale è prossimo al real-time – Slater 2009).

Nelle sperimentazioni di cinema immersivo che sono state presentate negli ultimi dieci anni (dai noti Ted Talk di Nonny De La Pena e Chris Milk che hanno reso famoso il “nuovo” medium, nel 2015) abbiamo visto ogni sorta di rimescolamento delle grammatiche filmiche e mediali. Alle regole di organizzazione del tempo del montaggio si aggiungono o sostituiscono concetti nuovi, come quelli di densità spaziale e densità temporale che pone nuove sfide a chi scrive storie per questo medium (Tricart 2027).

Il contributo qui presentato analizzerà la trasformazione del tempo nelle immagini ambientali del cinema immersivo, ancorando l’analisi ad alcune opere paradigmatiche, da Notes of Blindeness (2016) a Goliath (premio miglior opera VR Immersive, Festival del Cinema di Venezia 2021), con incursioni nel giornalismo immersivo di Nonny De La Pena.

Bibliografia essenziale

Baudrillard, J. (2008), Simulacri e Impostura, Simulacri e impostura. Bestie Beaubourg, apparenze e altri oggetti, PGreco.

Grau, O. (2004), Virtual Art from Illusion to Immersion, The MIT Press.

Malaspina, R. P., Modena, E., Pirandello, S. (2023), Introduction: Immersions and Dives: From the Environment to Virtual Reality, AN-ICON. Studies in Environmental Images, Vol. 2, no. II, pp. 4-11.

Manovich, L. (2011), Il linguaggio dei nuovi media, Olivares.

Perrone, G. (2019), Realtà virtuale. Come funziona il nuovo cinema a 360 gradi, Dino Audino Editore.

Slater, M. (1999), Immersion, presence, and performance in virtual environments: An experiment with tri-dimensional chess.

https://www.researchgate.net/publication/2633779_Immersion_Presence_and_Performance_in_Virtual_Environments_An_Experiment_with_Tri-Dimensional_Chess.

Tricart, C. (2017), Virtual Reality Filmmaking: Techniques and Best Practices for VR Filmmakers, Routledge.

Zheleva, B, De Letter, J., Durnez, W., De Marez, L. (2021), Can You Make the Cut? Exploring the Effect of Frequency of Cuts in Virtual Reality Storytelling, in Augmented Reality and Virtual Reality, Conference Proceedings, pp. 45-52.



 
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