Programma della conferenza

V Convegno Nazionale SISCC “Mondi possibili. Tra crisi, conflitti e pratiche creative” / Bari, 22-23 giugno 2023

Il convegno della SISCC intende esplorare le complesse relazioni fra crisi e pratiche creative, il corto-circuito fra emersione e anestetizzazione del conflitto sociale nonché le potenzialità delle nuove pratiche creative e culturali di disegnare nuovi scenari e ipotizzare nuovi mondi possibili. Per andare oltre il paradigma della crisi e della emergenzialità, bisogna pensare e operare in modo nuovo senza rispondere a crisi con crisi e a emergenze con post-emergenze. Quali fenomeni di questo tipo sono oggi visibili?

 
 
Panoramica della sessione
Sessione
Sessione 2 - Panel 8: Think family – pensare la famiglia nelle policy e nelle pratiche di cura
Ora:
Giovedì, 22.06.2023:
15:30 - 17:00

Chair di sessione: Elisabetta Carrà
Chair di sessione: Nicoletta Pavesi
Luogo, sala: Aula 18

Secondo piano, Dipartimento di Scienze Politiche Palazzo Del Prete, P.zza Cesare Battisti 1

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Presentazioni

Think family – pensare la famiglia nelle policy e nelle pratiche di cura

Elisabetta Carrà1, Nicoletta Pavesi1, Matteo Moscatelli1, Chiara Ferrari1, Fabio Ferrucci2, Debora Viviani3, Marta Ortega Gaspar4

1Università Cattolica di Milano, Italia; 2Università del Molise; 3Università di Verona; 4University of Málaga

Nell’ambito degli approcci al welfare e ai servizi alla persona, mentre è pressoché unanime (almeno a livello teorico) l’auspicio che venga presto superato l’assistenzialismo, i cui danni sono ormai ben visibili a tutti, verso modelli orientati all’empowerment, alla sussidiarietà, alla co-progettazione e co-produzione, è molto difficile che venga ben compresa la necessità che tale cambio di prospettiva si accompagni alla capacità di vedere, oltre all’individuo, il suo network relazionale, in primis quello familiare. Questo soprattutto perché la diffusione dei modelli universalistici di welfare si è generalmente accompagnata con un orientamento alla defamilization, che ha l’indubbio merito di fuggire da uno uso strumentale della famiglia come ammortizzatore sociale, ma che ha anche l’effetto perverso di identificare la solidarietà familiare e intergenerazionale come un vincolo all’autorealizzazione individuale piuttosto che una risorsa cruciale, per il benessere personale e relazionale da sostenere in modo sussidiario.

Possiamo definire Think family la capacità di attuare un cambio di prospettiva rispetto al modello prevalente basato sulla cultura dell’individualizzazione. Adottare lo sguardo Think family significa comprendere la stretta interconnessione tra bisogni e risorse individuali, entro le relazioni familiari, da cui deriva che qualsiasi intervento o politica deve superare una visione focalizzata sul problema individuale, mettendolo in relazione con la complessità delle situazioni familiari e valorizzando la capacità della famiglia di mediare tra le esigenze dei suoi componenti e di mettere a sistema le risorse di cui dispone, capitalizzandole.

Entro questo quadro, ai relatori è richiesto di mettere a tema in che cosa consiste, rispetto alle tematiche su cui interverranno, adottare uno sguardo Think family e spiegare qual è il valore aggiunto derivante dall’adozione di tale approccio.

Tra gli abstract che sono stati inviati, in risposta alla call indetta per il presente panel, sono risultati particolarmente interessanti i quattro contributi di seguito presentati, in cui è evidente lo sforzo di riflettere sui temi di cui si stanno occupando alla luce dell’approccio Think family:

Matteo Moscatelli, Chiara Ferrari, Nicoletta Pavesi (Università Cattolica di Milano), propongono di analizzare l’innovazione family focused nei servizi socio sanitari rivolti alle persone con disabilità della Lombardia, presentando due ricerche, la prima in cui è stata svolta una Family Impact Analysis su 5 DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance) lombardi, la seconda, promossa dall'ANFASS, con l’obiettivo di esaminare il coinvolgimento delle persone con disabilità e dei loro familiari/caregiver nella definizione/realizzazione del loro Progetto di Vita. A completare il quadro del primo intervento, Fabio Ferrucci (Università del Molise), intende discutere criticamente i principali approcci mediante i quali è stato finora “pensato” il rapporto fra la famiglia e la presenza di un componente in condizione di disabilità, connotando le risposte familiari in termini negativi e problematici, evidenziando al contrario, a partire da una ricognizione delle ricerche empiriche, i fattori che rendono la famiglia un facilitatore oppure un ostacolo all’emergere delle proprietà abilitanti necessarie alla realizzazione personale del componente con disabilità, accrescendone le opportunità di partecipazione alla vita sociale. Debora Viviani (Università di Verona) propone una riflessione sul tema della genitorialità assistita, in particolare le forme che prevedono l’apporto di terze “persone”: la sfida di uno sguardo Think family è ancora in progress perché cogliere le relazioni familiari necessita di definire e delimitare 2 quali sono le relazioni familiari e, in questo nuovo scenario, cosa è famiglia, stabilendo, ad esempio, in primis, quale ruolo e quale posizione riviste in tutto questo il legame genetico. Infine, Marta Ortega Gaspar (Università di Malaga) propone uno studio dell’evoluzione delle politiche familiari europee che hanno vissuto un passaggio da un'enfasi sul family-mainstream a un'enfasi sul gender-mainstream, chiedendosi se tali prospettive siano complementari o in contrapposizione, a partire da una revisione critica della letteratura.

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L’innovazione family focused per servizi socio sanitari alle persone con disabilità della LombardiA

Moscatelli Matteo; Ferrari Chiara; Pavesi Nicoletta, Università Cattolica di Milano, Dipartimento di Sociologia

L’emergenza pandemica ha messo in luce alcune delle aree più critiche della fragilità familiare, in particolare durante Covid19 le famiglie con bisogni speciali hanno sofferto per diverse problematiche relative al carico del caregiver, all’accesso alle strutture residenziali e semiresidenziali e alle difficoltà della DAD (Naldini, 2021). La crisi ha tuttavia evidenziato anche una notevole capacità di resilienza e di adattamento delle famiglie, sulla quale il nostro welfare ha continuato a “confidare” per risolvere problemi sociali complessi (***, in press). Già prima della pandemia gli interventi per la disabilità erano spinti verso una prospettiva di innovazione volta alla personalizzazione e ad un coordinamento mirato degli interventi, massimizzando così i benefici per rispondere in maniera complessiva ai bisogni ed alle aspirazioni dei beneficiari (si pensi alla Legge n. 328/00, ma anche alle soluzioni introdotte dalla Legge n. 112/2016 e dalle Leggi L R. 66/2008 e L.R. 60/2017 sul Progetto di Vita). Tuttavia una radicale attenzione alla familiarizzazione dei servizi per le persone con disabilità risulta ancora un orizzonte da raggiungere, anche alla luce della riscoperta dell’importanza fondamentale della famiglia nel fornire supporto e cura ai propri cari con bisogni speciali durante la pandemia. Il presente contributo, invece, riporta due studi di caso condotti in Regione Lombardia relativi a diversi servizi per le persone con disabilità, e ha l’obiettivo di verificare se nei diversi contesti la famiglia venga valorizzata come “strumento” indispensabile al successo delle azioni, e, dall’altra, venga preso in considerazione fin dall’inizio l’impatto familiare degli interventi, in modo che le relazioni familiari siano facilitate nello svolgimento delle loro funzioni e non ostacolate. In altre parole si tratta di verificare se e come è stato declinato l’approccio Think family nei due casi presentati.

Il primo studio di caso riguarda le reti di cinque unità DAMA (Disabled Advanced Mediacal Assistance) lombarde (ASST Rhodense, ASST SS. Paolo e Carlo, ATS Mantova, ATS Varese e ATS Bergamo). In questa ricerca è stata condotta una Family Impact Analysis dal punto di vista degli operatori e dei famigliari su alcuni processi critici dell’offerta ed è stata realizzata una co-progettazione volta alla ri-definizione di protocolli di rete per l’accompagnamento e inclusione delle famiglie con componenti disabili. Il secondo studio di caso ha riguardato invece 52 servizi di 6 diversi tipi di unità di offerta semi-residenziali e dell’abitare per le persone con disabilità della Regione. La ricerca qualitativa promossa dall'Associazione nazionale ANFASS ha avuto l’obiettivo di esaminare il coinvolgimento delle persone con disabilità (77% dei casi con disabilità intellettive) nella definizione/realizzazione del loro Progetto di Vita, nonché il coinvolgimento dei familiari/caregiver. I risultati delle ricerche evidenziano i metodi e le pratiche sperimentate nell’ambito dei servizi socio-sanitari e sociali volti a superare la standardizzazione delle prestazioni e individuare nuovi approcci per la co-progettazione con le famiglie, integrando la reti formali e informali nei territori. Tra gli elementi critici emerge la possibilità di migliorare il coinvolgimento dei familiari/caregiver nella co-costruzione di percorsi di accompagnamento, di lavorare all’accessibilità attraverso un nuovo networking, nonché di facilitare i professionisti in un’applicazione più agile di dispositivi e strumenti diagnostici e di valutazione e delle procedure di assistenza che vanno rese omogenei sul territorio. Si tratta, in buona sostanza, non già di mettere in discussione le buone prassi esistenti, bensì di potenziarle, ampliarle ulteriormente e far evolvere la pianificazione, attuazione e valutazione, con l’obiettivo di migliorare la capacità di autodeterminazione delle persone con disabilità e delle loro famiglie.

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Out of the box: perché e come ripensare le politiche per la disabilità in Italia

Fabio Ferrucci, Università del Molise

La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2001) riconosce il ruolo delle famiglie nel concorrere alla realizzazione dei diritti delle persone con disabilità che vivono al suo interno, promuovendone la realizzazione personale e la partecipazione alla vita sociale su una base di uguaglianza con il resto della popolazione. Tale riconoscimento si fonda sul convincimento ─ esplicitato nel Preambolo ─ che la famiglia «sia il nucleo naturale e fondamentale della società» e che «abbia diritto alla protezione da parte della società e dello Stato, e che le persone con disabilità ed i membri delle loro famiglie debbano ricevere la protezione ed assistenza necessarie a permettere alle famiglie di contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità».

A partire dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, in Italia, le politiche per la disabilità hanno compiuto dei significati passi in avanti. Tuttavia, sebbene anche il nostro Paese abbia ratificato la Convenzione ONU, le policies e i servizi destinati alle persone con disabilità ancora oggi stentano ancora a “pensare” la famiglia. Se ciò accade, più che una risorsa da valorizzare, la famiglia è pensata prevalentemente in termini problematici. Al di là delle sue meritorie finalità, la legge sul cosiddetto “dopo di noi” (legge 112/2016) ripropone una modalità di intervento ex post, tipica del welfare italiano che interviene quando la famiglia non è più in grado di farsi carico delle esigenze di un suo componente. Una sorte peggiore è toccata alle proposte di legge aventi per oggetto il riconoscimento e la valorizzazione del caregiver familiare, le quali sono rimaste sulla carta.

Anche il recente Piano Nazionale per la Famiglia, adottato dall’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia si occupa in misura “incidentale” del tema della disabilità. Il Piano prevede azioni di sostegno alle esigenze speciali delle famiglie con figli disabili, azioni finalizzate a garantire una crescita serena e un’istruzione di qualità per i minorenni, e di difesa dalla violenza domestica in tutte le fasi della vita, in entrambi i casi prestando attenzione alle persone in condizione di disabilità. Purtuttavia, al di là del suo carattere generalista, anche il Piano Nazionale per la Famiglia quando pensa alla famiglia in cui vivono le persone con disabilità, lo fa assumendo implicitamente che tali relazioni siano problematiche.

Il contributo si propone due obiettivi. Il primo luogo, intende presentare e discutere criticamente i principali approcci mediante i quali è stato finora “pensato” il rapporto fra la famiglia e la presenza di un componente in condizione di disabilità, connotando le risposte familiari in termini negativi e problematici. Tali approcci si basano infatti su una visione parziale e distorta del funzionamento delle relazioni familiari in presenza della disabilità. Una visione che non tiene conto dei risultati di numerose ricerche empiriche le quali dimostrano le doti di resilienza delle famiglie, che si rivelano capaci di garantire una qualità di vita ottimale per i familiari coinvolti nelle relazioni, promuovendo al tempo stesso la realizzazione della persona con disabilità.

In secondo luogo, a partire dalla più recente concezione della disabilità posta alla base dell’International Classification of Functionning e della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, e attingendo alle ricerche empiriche attualmente disponibili, il contributo cercherà di evidenziare quali sono i fattori che rendono la famiglia un facilitatore oppure un ostacolo all’emergere delle proprietà abilitanti necessarie alla realizzazione personale del componente con disabilità, accrescendone le opportunità di partecipazione alla vita sociale.

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Tra luci ed ombre. La dimensione del segreto nella genitorialità assistita

Debora Viviani, Università di Verona, Dipartimento di Scienze Umane

Secondo la giurisprudenza, la responsabilità genitoriale è una funzione che deve essere esercitata nell’interesse del minore, una responsabilità che è posta sotto il controllo della sfera pubblica e che comprende il crescere i figli perché diventino socialmente responsabili. Cura e sostegno appaiono elementi connessi al controllo e alla disciplina.

Negli anni più recenti, i cambiamenti nelle relazioni familiari, con la conseguente trasformazione nella loro regolazione sociale e giuridica, ha creato una scissione tra le tre funzioni della procreazione (donare i gameti), del generare (affrontare il progetto generativo) e della filiazione (esercitare diritti e doveri verso i figli come genitori legalmente riconosciuti).

In tale contesto, sono apparse sulla scena le tecnologie di procreazione assistita che prevedono l’apporto di terze “persone” (si veda la fecondazione eterologa o la maternità surrogata) che hanno messo in discussione la norma rispetto alla costruzione della famiglia e l’importanza del legame genetico.

Infatti, in primo luogo, la coppia ricevente raggiunge l’obiettivo di costruire una famiglia, che naturalmente si dovrebbe verificare con il legame genetico completo con entrambi i genitori.

Nel caso del donatore, questo rinuncia a qualsiasi tipo di legame con il figlio cui dona i propri geni, rifiutando quindi, il desiderio di costruire una famiglia propria.

Infine, il bambino cresce all’interno di una famiglia nella quale il legame genetico è parziale o manca e la cui conoscenza assume, in realtà, importanza perché fondamentale per la conoscenza dello stato di salute e la previsione di malattie, più o meno rilevanti, per il bambino, e perché risponde alle questioni fondamentali dei diritti umani.

Il modello tradizionale di famiglia viene, quindi, messo in discussione, prevedendo, peraltro, nel caso di fecondazione eterologa o maternità surrogata, l’anonimato del donatore, regola che ha sollevato numerose posizioni discordanti.

Come per la donazione di sangue o di altro materiale corporeo, anche nel caso di genitorialità assistita il diritto garantisce l’anonimato del donatore, ma è corretto uguagliare tali pratiche? Oppure, nel caso del coinvolgimento di un donatore nella filiazione emergono altri elementi che rendono essenziale e fondamentale rivelare al bambino l’identità di tale donatore?

I risvolti legati allo stato di salute, ma anche la convinzione che l’attività di cura che naturalmente si riconosce ai genitori (siano questi biologici, sociali e/o affettivi) sia una predisposizione naturale, un vincolo imprescindibile che non può essere annullato, solleva dubbi in merito alla correttezza della scelta di anonimato del donatore. L’identità narrativa si pone in contrapposizione all’identità biologica, richiedendo il suo svelamento.

Il mio contributo intende presentare il dibattito rispetto al tema dell’anonimato del donatore evidenziando che dare per scontato l’esistenza di un interesse alla cura e di un legame affettivo (oltre il biologico) donatore-bambino potrebbe non essere dato per scontato. Il mio intento è cercare di promuovere la riflessione rispetto alla dinamica del dono, dinamica che crea un legame oltre il quale la discussione sulla correttezza dell’anonimato potrebbe essere riduttiva e fuorviante.

Si delinea una situazione complessa perché, come dimostrato in letteratura, i donatori potrebbero non voler essere coinvolti nella relazione con la famiglia e con il bambino, ritenendo quindi importante rimanere nell’anonimato.

Allo stesso tempo, il bambino ha bisogno di conoscere anche le sue origini e il suo legame genetico per costruire la sua identità.

È questo un caso nel quale i bisogni dei componenti del nucleo familiare (allargato) si intersecano, anche in posizioni contradditorie, tra loro. La sfida di uno sguardo Think family è ancora in progress perché cogliere le relazioni familiari necessita di definire e delimitare quali sono le relazioni familiari e, in questo nuovo scenario, cosa è famiglia, stabilendo, ad esempio, in primis, quale ruolo e quale posizione riviste in tutto questo il legame genetico.

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The impact of family policies in Europe. the relevance of a family approach

Marta Ortega Gaspar, University of Málaga

The aims of this paper are to study the evolution of Family Policies that has experienced a process from an emphasis on family mainstream to an emphasis on gender mainstream and to analyze the effects of the different approaches on family members considering the different family models. The analysis shed light in the way Family Policies have focused on family (as a first agency provider of essential needs) or on the individuals (as units of analysis and a mean to reach gender equality among other goals). The questions this paper tackles are: What family policies have been developed in European welfare systems? and how may the different family policies impact on family?

This analysis will lead to a reflection on whether family and gender mainstreams are complementary or exclusives and to think about if Family Policies have the same impact on all types of families. Based on a critical literature review of sociological studies on Family Policies Impact it is presented a reflection about the expected consequences of the different political practices according to diverse social contexts.

It is relevant to think on family when approaching the study of family policies because among other reasons the family is the first agency of socialization and education, the main informal social support of care needs to the most dependent members of all societies. As the Covid19 crisis has shown the family relevance in relation to informal support (emotional, economical, domestical) is no questionable and the imbalance care role of the adult members remains a question to be solved because, among other reasons, it is not only affecting individuals but the whole family. Informal care remains ever more important today despite all societal transformations, changing demographics and public policies in European countries (Hoffman et al., 2013). The emergency derived from the pandemic has made visible the crucial social functions that family have ever played in all its dimensions (educational, health, emotional, economical). In this sense, Family Policies should be designed to support the different family needs.

The support of the more vulnerable ones is present in all family types. For this reason, to adopt a Think family approach is vital to understand the impact of the different family policies on this institution and on all its members, and in a special way, on the youngest and oldest ones. Thinking from a family approach will add an important value to the studies focused on Family Policies in an Era that confronts social problems such as the old adult high level of isolation, the low level of subjective wellbeing and mental health problems among youngest generations, that have not precedents in human history. As many evaluation studies documenting the effectiveness of family approaches has shown the best evidence of the value of family-focused policies has emerged from experimental studies that train parents to improve their child management practices and then track the behavior of their children over time (Bogenschneider, 2000) other experiences are being promoting in Italy for monitoring and evaluating the impact of a project aimed to contrast educational poverty in an Italian marginal neighborhood (Carrà, et al., 2020). This is the first project adopting the ‘Family Impact Lens’ (a family-focused approach to policy and practice) in Europe. The relentless growth of the above-mentioned social problems should provoke a call for reflection on the changes experienced by the family and the social functions it has traditionally played as an irreplaceable social institution (protagonist in the cognitive and emotional development of the new members of society, carer of dependents, nowadays diminished) and the different effects of the diverse family policies can have on them.



 
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