Programma della conferenza
VII “Non c’è più tempo!” Crisi ed emergenze nella società contemporanea / Cagliari, 19/20 giugno 2025
In un’epoca segnata da crisi ricorrenti e da un senso di urgenza perpetua, il concetto di tempo emerge come una lente imprescindibile per analizzare e comprendere la società contemporanea. Il convegno SISCC 2025, organizzato dalla “Società Scientifica Italiana di Sociologia, Cultura e Comunicazione”, intende riflettere sulle molteplici declinazioni del tempo nel contesto delle crisi odierne, esplorando come l’accelerazione dei ritmi di vita e la proliferazione delle emergenze stiano ridefinendo dimensioni fondamentali dell’educazione, della comunicazione e della vita quotidiana.
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Panoramica della sessione |
Data: Giovedì, 19/06/2025 | |
9:00 | Registrazione e welcome coffee 1 Luogo, sala: Cortile davanti Aula A Il 19 giugno la registrazione partecipanti resterà aperta fino alle ore 18.00 |
9:30 - 10:00 | Apertura del convegno: Apertura convegno e saluti istituzionali Luogo, sala: Aula A (B0-A) Chair di sessione: Sara Bentivegna Chair di sessione: Giovanni Boccia Artieri Saluti istituzionali: Elisabetta Gola, Prorettrice delegata per la comunicazione e l’immagine. |
10:00 - 12:00 | Keynote 1 - François Hartog: Entre incertitudes et désorientation: du présentisme à l’anthropocène. François Hartog, Professeur émérite École des Hautes études en sciences sociales (EHESS), Paris Luogo, sala: Aula A (B0-A) Chair di sessione: Marco Pitzalis
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12:00 - 13:30 | Light lunch |
13:30 - 15:00 | Sessione 1 - Panel 01: Le sfide delle culture temporali nella società digitale tra accelerazioni e decelerazioni Luogo, sala: Aula A (B0-A) Chair di sessione: Lucia Picarella |
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Le sfide delle culture temporali nella società digitale tra accelerazioni e decelerazioni 1Università degli Studi di Salerno; 2Univeristà degli Studi di Foggia; 3IRPPS-CNR di Roma; 4Università Giustino Fortunato di Benevento Nel 2008 l’antropologo Marc Augé pubblicava un pamphlet dal titolo Où est passé l’avenir? in cui si chiedeva che fine avesse fatto il futuro evidenziandone i principali paradossi. L’ intento di questo panel è quello di ripartire dal paradosso secondo cui ogni individuo vive in un tempo che è successivo alla sua nascita e precedente alla sua morte (finito e infinito) per giungere all’idea secondo cui nonostante la finitudine degli individui questi possano comunque immaginare una dimensione futura del tempo e di conseguenza accelerare o decelerare l’agire. La duplice natura delle piattaforme: empowerment e libertà di espressione alla prova del tempo Daniele Battista1 & Lucia Picarella2 L’evoluzione delle piattaforme digitali ha ridefinito il panorama della comunicazione pubblica, incidendo profondamente sulla partecipazione democratica e sulla libertà di espressione. Da strumenti di empowerment, capaci di amplificare voci marginalizzate e favorire nuove forme di attivismo, esse si sono progressivamente trasformate in spazi in cui si giocano anche dinamiche di esclusione e controllo del discorso pubblico. Questa ambivalenza è oggi più che mai messa alla prova dal tempo e dai cambiamenti sociali e politici, rendendo necessario interrogarsi sul ruolo delle piattaforme nel lungo periodo e sulla loro capacità di garantire un equilibrio tra partecipazione e pluralismo. In questo contesto, la cancel culture rappresenta uno dei fenomeni più controversi dell’era digitale. Nata come strumento per correggere ingiustizie e riequilibrare rapporti di potere attraverso la pressione sociale, si è progressivamente trasformata in una pratica che solleva interrogativi sui limiti della libertà di parola e sulla polarizzazione del dibattito pubblico. Se in un arco temporale breve può apparire un mezzo efficace di mobilitazione sociale, in un arco temporale più lungo emergono le sue contraddizioni: il rischio di rafforzare meccanismi di censura, la radicalizzazione delle opinioni e la creazione di bolle informative sempre più impermeabili al confronto democratico. Le piattaforme digitali si sono evolute da spazi di espressione aperta a ecosistemi sempre più regolamentati, dove gli algoritmi e le dinamiche di engagement influenzano ciò che viene amplificato o silenziato. Se da un lato queste tecnologie favoriscono la partecipazione e democratizzano l’accesso all’informazione, dall’altro hanno il potere di escludere voci scomode o di orientare il discorso pubblico in modo selettivo. Questa ambiguità si manifesta in modo evidente nelle campagne elettorali, dove la tempistica degli eventi, esercita una forte pressione sociale e le dinamiche di cancel culture possono condizionare la narrazione politica e l’immagine pubblica dei candidati. Lo studio si propone di analizzare questa duplice natura delle piattaforme tenendo conto proprio di un arco temporale relativamente breve, cioè la campagna elettorale presidenziale statunitense del 2024, caratterizzata prima dal ritiro di Joe Biden e poi dalla candidatura di Kamala Harris. Attraverso l’ausilio di software in grado di elaborare il parlato digitale applicato ai social media (X, Instagram, Facebook), verranno individuate le principali meta-narrazioni emerse tra giugno e agosto 2024, evidenziando il ruolo delle piattaforme nella costruzione dell’opinione pubblica in quest’arco temporale. I risultati permetteranno di comprendere se le piattaforme, con il trascorrere del tempo, abbiano rafforzato processi democratici o contribuito a limitare il dibattito attraverso pratiche di esclusione e polarizzazione. In un’epoca in cui la comunicazione digitale evolve rapidamente, interrogarsi sulla tenuta nel tempo di questi fenomeni diventa cruciale per capire se la libertà di espressione possa ancora essere garantita all’interno di un ecosistema mediatico dominato dalla logica delle piattaforme. Bibliografia minima di riferimento Balkin, J. M. (2017). Digital Speech and Democratic Culture: A Theory of Freedom of Expression for the Information Society. In R. Sherwin (Ed.), Popular Culture and Law (pp. 325-382). Routledge. Bouvier, G. (2020). Racist call-outs and cancel culture on Twitter: The limitations of the platform’s ability to define issues of social justice. Discourse, Context & Media, 38, 100431. Clark, M. D. (2020). Drag Them: A brief etymology of so-called "cancel culture". Communication and the Public, 5(3-4), pp. 88-92. Mangone, E. & Picarella, L. (2024). Guerre culturali e società frammentata. Dalla cancel culture al woke capitalism. Paolo Loffredo. Morlino, L., & Sorice, M. (2021). L’illusione della scelta: come si manipola l’opinione pubblica in Italia. LUISS University Press. Picarella, L. (2024) Intersections in the digital society: cancel culture, fake news, and contemporary public discourse. Frontiers in Sociology, 9:1376049. Sorice, M. (2020). La «piattaformizzazione» della sfera pubblica. Comunicazione politica, 21(3), pp. 371-388. Il “prima” e il “dopo”: la comunicazione delle emergenze come agente di resilienza Francesca Cubeddu
Negli ultimi anni si è assistito, a livello nazionale e internazionale, a eventi emergenziali (per esempio, disastri naturali o la pandemia da Covid-19) che hanno comportato dei mutamenti del sistema culturale e sociale. Solitamente con il termine emergenza si racchiudono anche le situazioni di rischio e quelle di crisi, pur trattandosi di tre concetti differenti e, soprattutto, che si riferiscono a eventi ben precisi, che necessitano di essere comunicati in modo diverso poiché con caratteristiche culturali distinte. Se il concetto di rischio caratterizza le società fin dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, nella nostra società contemporanea le culture della crisi e dell’emergenza assumono, forse, maggiore rilevanza rispetto al rischio alla luce di nuovi e più pervasivi fenomeni che si stanno registrando (si veda, per esempio, la pandemia). Analizzando queste differenze concettuali è possibile comprendere le dinamiche sociali, la loro comunicazione, e, pertanto, la loro costruzione culturale anche perché una società senza rischi, crisi ed emergenze non è possibile. Si può immaginare una società in cui gli effetti e le conseguenze negative di questi siano ridotti o addirittura evitati con l’ausilio di specifici sistemi di comunicazione come i “warnings”. La “comunicazione di allerta” deve essere specifica per avviare la prima fase di fronteggiamento dell’evento attraverso la comprensione del tipo di minaccia utile a definire il piano di comunicazione. L’uso dei social media, fortemente diffuso nella società digitale, consente non solo una rapida diffusione delle informazioni ma anche una rapida comunicazione e selezione dei messaggi (velocità e contenuto del messaggio sono ugualmente importanti). I sistemi di allerta si differenziano a seconda della fase temporale dell’evento (prima, durante e dopo) permettendo di formare la popolazione e di creare una cultura della resilienza rispetto a tali eventi. Lo stesso evento – indipendentemente dalla sua natura – si differenzia nel momento di rischio o in quello di emergenza. Se i sistemi di allerta sono collegati al rischio (il “prima”), i processi informativi e comunicativi, invece sono collegati alla successiva fase di emergenza (il “dopo”), ossia quando il fenomeno si verifica. I processi di comunicazione, in emergenza, devono essere in grado di spiegare, persuadere ma anche assistere la parte politica nel processo decisionale lungo l’arco temporale della gestione dell’evento (prima, durante e dopo): dall’allerta (prima) all’informazione continua (durante e dopo) soprattutto diffusa attraverso i media che la società digitale offre, nonché dai classici sistemi della comunicazione istituzionale. A tali processi è attribuito il compito di lavorare per indirizzare la cittadinanza verso la gestione della situazione di emergenza, con il riconoscimento e la comprensione dei differenti sistemi di allerta, nonché per favorire una risposta che consenta la messa in atto di strategie di resilienza per l’adattamento positivo alla significativa condizione avversa per facilitare non solo la ricostruzione delle cose materiali ma soprattutto la ricostruzione del tessuto sociale. Per raggiungere tale obiettivo, la comunicazione durante un’emergenza è di fondamentale importanza come agente promotore della risposta della comunità e, pertanto, delle azioni di resilienza. Per tale motivo è possibile parlare di una cultura della resilienza che è proposta dalla stessa comunità e che favorisce l’investimento in programmi, comunicazione e politiche, anche con l’attivazione di risorse latenti nelle relazioni fra i differenti soggetti. A supporto di ciò, saranno esaminati casi di studio internazionali e nazionali in cui si illustreranno le forme di comunicazione adottate nel “prima” (rischio) e “dopo” (emergenza post evento). Bibliografia minima di riferimento Barbieri, A.S.A., & Mangone, E. (2015). Il rischio tra fascinazione e precauzione. FrancoAngeli. Comunello, F., & Mulargia, S. (2017). Tra risposte protocollate e «social sensing». L’uso dei social media per la comunicazione d’emergenza nelle istituzioni locali italiane. Sociologia e ricerca sociale, 112, pp. 111-137. Cubeddu, F. (2024). Culture, comunicazione, resilienza. La società tra rischi, crisi ed emergenze. Paolo Loffredo. Cubeddu, F. (2024). La fiducia come “variabile interveniente” nella costruzione di una resiliente cultura dell’emergenza. CSI Review, 8, pp. 20-36. Cubeddu, F., & Mangone, E. (2024). From Risk to Emergencies: Changes in Cultural and Communication Systems in the Digital Society. Sociologia Italiana, 24, pp. 79-96. http://doi.org/10.1485/2281-2652-202424-3 Massa, A., & Comunello, F. (2024). La comunicazione del rischio “Made in Italy”. Riflessioni a partire da una literature review. Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, 3, pp. 1-30. Mangone, E. (2020). La comunicazione del rischio: la pandemia da COVID-19. Mediascapes, 15, pp. 132-142. Mohammad Mushtuq H. (2019). Emergency Risk Communication Training Manual (three modules, ten lessons). Consultant, World Bank. Reynolds, B., & Seeger, M.W. (2014). Crisis and Emergency Risk Communication 2014 Edition. Centers for Disease Control and Prevention. Wright, K. (2022). Community Resilience: A Critical Approach. Routledge. Zuccaro, A. (2021). La comunicazione nella gestione delle emergenze: come operare nel pre - durante - post evento. Dario Flaccovio Editore. La comunità del detox digitale e la necessità di “disconnettersi”: il tempo del social eating tra offline e online Marianna Coppola
L’avvento di Internet e la diffusione della comunicazione online hanno rappresentato uno dei maggiori cambiamenti socioculturali degli ultimi decenni anche per quanto riguarda la dimensione del tempo. Se da un lato la proliferazione di spazi digitali e contesti virtuali - in cui tracciare forme aggregative e processi di identificazione sociale - ha ampliato la gamma dei possibili processi di socializzazione degli individui, le esperienze faccia a faccia hanno visto progressivamente eroso il ruolo primatista del processo di costruzione dell’intersoggettività. Tuttavia, soprattutto nel periodo post-pandemia da Covid-19, si è assistito a una controtendenza da parte di alcuni gruppi di persone che hanno avanzato nuove esigenze e bisogni: la riappropriazione della socializzazione faccia a faccia. Il fenomeno - definito digital detoxification, ovvero la purificazione dai social media e da Internet per un periodo temporaneo di durata variabile - coinvolge una crescente comunità di persone in tutto il mondo che attraversa genere, età e classe. Le comunità di disintossicazione digitale sono in crescita in tutto il mondo occidentale, uno studio ha recentemente evidenziato che negli Stati Uniti negli anni 2020-2021 circa il 15% della popolazione americana ha cercato almeno una volta sui motori di ricerca consigli o modi per “staccare” dalla rete, e che nello stesso arco di tempo le iscrizioni ad app o community siano aumentate del 75%. È proprio su questa nuova esigenza che alcuni sviluppatori di app per incontri hanno avviato una nuova progettazione, cercando di sviluppare una forma di ibridazione tra l’esigenza di “creare occasioni di aggregazione nel digitale” e la possibilità di incontrare e connettersi con ipotetici amici, partner e nuove conoscenze solo - ed esclusivamente - attraverso l’esperienza faccia a faccia. Si tratta - quindi - di una nuova frontiera delle app per il dating, che mixa funzionalità ed esigenze diverse per creare occasioni di incontro e di connessione attraverso esperienze reali e tipicamente “analogiche” come, per esempio, la partecipazione a mostre, concerti, gite fuori porta o eventi culturali a seconda delle proprie inclinazioni e passioni. La crescente richiesta di esperienze “digital detox” pone una riflessione e un’analisi anche sul concetto sociale di “tempo” e delle interconnessioni che si verificano tra l’“online time” e il “life time”, generando implicazioni sia sul processo di significazione e costruzione dei rapporti sociali sia in termini di percezione del tempo e della continuità dello stesso tra online e offline. Di recente è nata una nuova app per incontri, Tabloo, che rappresenta una vera e propria app di aggregazione in quanto per potersi scambiare i contatti telefonici e restare in contatto le persone “devono” partecipare a un’esperienza conviviale in modalità face-to-face, ritagliandosi del tempo nella propria organizzazione della giornata e del proprio timing nella vita offline. Lo scopo di questo contributo è quello di analizzare le motivazioni, le modalità relazionali e gli usi dello spazio digitale degli utenti iscritti all’app “Tabloo” cercando di evidenziare anche gli aspetti di percezione e di rappresentazione nell’immaginario del tempo e delle relazioni con le esigenze di digital detox. Per raggiungere tale scopo è stata condotta un’esperienza di ricerca mixed methods, combinando diverse metodologie di ricerca: in una prima fase un’analisi di etnografia digitale con l’analisi dei profili, le interazioni e la “vita sociale” della comunità iscritta all’app; in una seconda fase, sono state condotte interviste in profondità a 25 users che utilizzano regolarmente Tabloo. Bibliografia minima di riferimento Ansari S, Iqbal N, Azeem A, Danyal K. Improving Well-Being Through Digital Detoxification Among Social Media Users: A Systematic Review and Meta-Analysis. Cyberpsychol Behav Soc Netw. 2024 Nov;27(11):753-770. doi: 10.1089/cyber.2023.0742. Epub 2024 Sep 30. PMID: 39348315. Bauman, Z. (2008). Vite di corsa, come salvarsi dalla tirannia dell’effimero, bologna, il mulino, 2008. Bourdieu, P. (2002). Una teoria del mondo sociale, Padova, CEDAM, 2002. Gasparini, G. (1994). La dimensione sociale del tempo, Milano, Franco Angeli Editore, 1994. Marchetti, C. (2007). Lo spazio della società, in Tempo, spazio e società. La ridefinizione dell’esperienza collettiva, a cura di D. Pacelli e C. Marchetti, FrancoAngeli, Milano, 2007, p. 141. Radtke, Theda & Apel, Theresa & Schenkel, Konstantin & Keller, Jan & von Lindern, Eike. (2021). Digital detox: An effective solution in the smartphone era? A systematic literature review. Mobile Media & Communication. 10. 205015792110286. 10.1177/20501579211028647. Syvertsen, T., & Enli, G. (2020). Digital detox: Media resistance and the promise of authenticity. Convergence, 26(5-6), 1269-1283. https://doi.org/10.1177/1354856519847325. Diventare madre? Immaginari cronemici della genitorialità nelle web communities Masullo Giuseppe1 & Emiliana Mangone1
I dati statistici nazionali e internazionali sulle tendenze demografiche nelle società europee indicano un preoccupante calo dei tassi di natalità e fertilità in Italia, spingendo sociologi e demografi a prevedere un "inverno demografico". Gli studiosi riferiscono che la società odierna è sempre più incentrata sul bambino, ovvero si concentra sull'importanza dei bisogni e dei diritti dei bambini nelle società occidentali. Tale valore permea la coscienza collettiva sia degli uomini che delle donne. Uomini e donne, quindi, affrontano l'imperativo culturale, sociale e ora istituzionale di procreare, come fase essenziale del loro percorso di vita, ma si scontrano anche con i costi personali, sociali ed economici che la genitorialità richiede sempre più. Questo problema colpisce in particolar modo le donne, da sempre sottoposte a forti pressioni sociali verso la maternità, anche se i movimenti femministi hanno sempre più sottolineato che l'identità sociale delle donne non si esaurisce con la genitorialità, ma risiede piuttosto nella capacità di conciliare questa esigenza con altri obiettivi fondamentali di autorealizzazione (come avere una carriera appagante, ad esempio). In risposta a tali pressioni, le donne adottano diverse strategie, alcune delle quali variano a seconda dei determinanti sociali che predispongono (o meno) alla maternità (come età, status sociale, livello di istruzione, reti di supporto adeguate, ecc.). Tra queste, le donne che scelgono di diventare madri, spesso anticipando i tempi, o che rinunciano alla carriera per potersi occupare dei loro figli e quelle che al contrario preferiscono posticipare questa possibilità, ritardandola nel tempo (per esempio, dopo aver completato gli studi e raggiunto la realizzazione professionale), o che decidono di rinunciarvi del tutto, sottolineando sempre di più come la decisione di diventare madri sia anche una questione soggettiva e non solo il risultato di condizioni strutturali favorevoli. Sulla base di questa premessa, si presentano qui i risultati di una ricerca che ha voluto indagare gli immaginari che le donne esprimono sulla genitorialità in due web community (una di neomamme e un’altra di donne childfree). Dall’osservazione e dalle storie di vita (raccolte attraverso alcune interviste in profondità) emerge come la scelta di diventare (o non) genitore è collegata ad alcuni eventi biografici del passato e dunque alle relazioni costruite nell’ambito dei processi di socializzazione e risocializzazione al genere e anche ai tentativi di resistenza ad una cultura che identifica l’equazione “donna = madre” come un fatto spontaneo e naturale per tutte le donne. Sono pertanto descritti e prese in esame le principali narrative che accompagnano la scelta (o non) di diventare madri, chiarendo con più precisione i legami fra queste predisposizioni, la cultura che le orienta, e a come questo rapporto muta nel tempo anche in relazione ai principali vincoli strutturali che le donne incontrano lungo la loro strada. Bibliografia minima di riferimento Agrillo, C., & Nelini, C. (2008). Childfree by Choice: A review. Journal of Cultural Geography, 1, pp. 347-363. Bertone, C. (2024). Il familiare è politico. Attrezzi di ricerca per uno sguardo posizionato. Meltemi. Blackstone, A., & Stewart, M.D. (2012). Choosing to be Childfree: Research on the Decision Not to Parent. Sociology Compass, 6, pp. 718-727. Charnley, J., & Lazzari, L. (2016). To Be or Not to Be a Mother: Choice, Refusal, Reluctance and Conflict. Motherhood and Female Identity in Italian Literature and Culture. Intervalla, Special Vol. 1, pp. 1-7. Chicco, F. (2019). Decostruzione del simbolico materno É. Badinter, B. Duden, A. Rich: un dibattito femminista tra “seconda” e “terza ondata”. Post-Filosofie, pp. 181-204. https://doi.org/10.15162/1827-5133/1181 Yazid, A., Karimullah, S.S., & Sugitanata, A. (2023). Comparative Study on Childfree Marriage in Some Selected Countries. Jurnal Al-Hakim: Jurnal Ilmiah Mahasiswa, Studi Syariah, Hukum Dan Filantropi, 5(2), pp. 267-84. https://doi.org/10.22515/jurnalalhakim.v5i2.7869 Tantunni, M.L, & Mencarini, L. (2008). Childless or childfree? Paths to voluntary childlessness in Italy. Population and Development Review, 34(1), pp. 51-77. |
13:30 - 15:00 | Sessione 1 - Panel 02: Sincronie e asincronie della transizione digitale e dell’IA nella comunicazione pubblica Luogo, sala: Aula 2 (AO-A) Chair di sessione: Lucia D'Ambrosi Chair di sessione: Gea Ducci |
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Sincronie e asincronie della transizione digitale e dell’IA nella comunicazione pubblica 1Sapienza Università di Roma; 2Università di Urbino Carlo Bo; 3Università di Torino; 4Università di Genova; 5Università di Messina; 6Università di Bologna; 7Università di Ferrara Nota introduttiva La forte accelerazione della digitalizzazione della Pubblica Amministrazione (PA) e la crescente diffusione dell’uso di strumenti di intelligenza artificiale, stanno impattando in modo significativo sui processi organizzativi e sulle dinamiche comunicative sia interne che esterne alle istituzioni, investendo molteplici aspetti della comunicazione pubblica e della cultura organizzativa. Una delle principali sfide dell’attuale transizione digitale, consiste nell’allineare e rendere compatibili il tempo accelerato dell’evoluzione tecnologica con quello dell’istituzionalizzazione dell’uso di strumenti digitali avanzati, attraverso regolamentazioni internazionali e nazionali (Hjaltalin and Sigurdarson 2024; Wirtz et al. 2021), e con il tempo del processo di cambiamento organizzativo e culturale, necessario per lo sviluppo di nuove strategie comunicative, pratiche di innovazione e competenze diffuse (Macnamara 2024). Al riguardo, numerose sono le questioni emergenti, fra cui le differenti velocità di sviluppo che caratterizzano le amministrazioni e il rischio di eccessiva disomogeneità fra istituzioni e territori, in un percorso che appare come una sorta di “corsa verso la digitalizzazione” nella fase post-pandemica, sollecitata dai piani europei di ripresa e resilienza (come il PNRR in Italia). Spesso infatti questa accelerazione si innesta in contesti istituzionali che presentano culture digitali, organizzative e comunicative eterogenee (Solito et al. 2020; Ducci e Lovari 2021; D’Ambrosi et al. 2024). Non meno rilevante è la difficoltà da parte della PA a perseguire i principi dell’open-government (es.: adottare un approccio collaborativo, aperto e multilivello) e a confrontarsi con l’iper-regolamentazione e la nascita di una burocrazia algoritmica, dovuta anche all’impiego dell’intelligenza artificiale. Tali questioni comportano la necessità di tenere conto delle implicazioni etiche e di sostenibilità dei processi in atto che possono avere una ricaduta significativa sulla fiducia nelle istituzioni (Marinelli, Parisi 2020; Bentivegna, Boccia Artieri 2021; Belluati 2023). Il ruolo strategico della comunicazione pubblica in questi processi (Grunig 2017; Canel e Luoma-aho 2019) appare cruciale per evitare le eccessive asincronie nel cambiamento in corso e lo sviluppo di nuove disuguaglianze tra cittadini, territori e settori della PA. Alla luce di queste riflessioni, il panel intende affrontare le principali sincronie e asincronie che accompagnano il processo di digitalizzazione nel settore pubblico, ponendosi alcuni interrogativi: la PA subisce o guida il processo di innovazione? Come la transizione digitale impatta sul policy making e sull’accountability della PA? Quale rilevanza assumono i ruoli e le competenze dei professionisti della comunicazione per generare valore pubblico nel processo di transizione digitale (OECD 2021 e 2024)? Il panel cercherà di rispondere a questi interrogativi attraverso quattro contributi di carattere teorico ed empirico che si focalizzano su sincronie e asincronie della transizione digitale nella PA. Il primo paper affronta come l'accelerazione della digitalizzazione della PA e l'adozione dell'IA generativa stanno rimodellando la comunicazione pubblica istituzionale dell'UE, generando nuove opportunità e sfide. Il contributo, basato su evidenze empiriche, analizza in chiave etica e sostenibile l'integrazione tecnologica e i suoi impatti nell’interazione tra istituzioni e cittadini. Il secondo si concentra sul tema della regolamentazione europea dell'AI e del suo impatto sulla qualità del dibattito pubblico. La ricerca analizza il punto di vista di esperti istituzionali, per verificare l'efficacia di tale regolamentazione sul policy making e sull’accountability della PA, nonché gli effetti sulla partecipazione democratica. Il terzo contributo è dedicato all’impatto dell’accelerazione della digitalizzazione sulle risorse umane nel sistema socio-tecnico delle amministrazioni comunali e all’analisi di come l’adozione di chatbot e digital workplace incida sui processi comunicativi, con riferimento ai comuni della provincia di Rimini. Il quarto è dedicato ad uno studio sulla digitalizzazione dei servizi pubblici locali in Italia, con particolare attenzione all'integrazione dell'IA. Tramite interviste in profondità, vengono esplorate le sfide organizzative e il ruolo della comunicazione pubblica nella costruzione della fiducia tra cittadini e istituzioni. ABSTRACT 1 La transizione digitale e l’IA nella PA: sfide, opportunità e il ruolo dell’etica nella comunicazione istituzionale Marinella Belluati (Università di Torino), Margherita Ferrigno (Università di Genova), Sara Pane (Sapienza Università di Roma) L’accelerazione della digitalizzazione della Pubblica Amministrazione (PA) e l’adozione di strumenti di Intelligenza Artificiale (IA) stanno trasformando in profondità le dinamiche comunicative e organizzative delle istituzioni, generando nuove opportunità e sfide. Questo contributo analizza l’evoluzione della comunicazione pubblica istituzionale europea in relazione alla crescente integrazione dell’IA, soprattutto generativa, e alle implicazioni etiche delle tecnologie emergenti. L’Unione Europea (UE) ha adottato un approccio regolamentato e umano-centrico alla digitalizzazione della PA, come definito dall’Agenda Digitale Europea (2010, 2015), dal Piano Coordinato sull’Intelligenza Artificiale (2018) e dall’AI Act (2024). Tuttavia, il principale nodo critico riguarda il bilanciamento tra il rapido avanzamento tecnologico e i tempi più lenti dell’istituzionalizzazione e dell’adattamento organizzativo, essenziali per un’implementazione efficace e sostenibile, nonché sulla questione delle competenze. L’analisi proposta si colloca in questo dibattito, esaminando le sincronie e asincronie della transizione digitale nelle organizzazioni del settore pubblico seguendo una prospettiva multilivello. In particolare, si interroga su come le istituzioni, a diversi livelli della governance europea, possano integrare strumenti di IA, soprattutto generativa, per migliorare l’interazione con i cittadini, valutandone opportunità e limiti. La ricerca si articola su due livelli di analisi. Il primo livello esamina l’uso di ‘chatbot istituzionali’, adottati dall’UE sia per la comunicazione interna che per quella esterna, con esempi come GPT@EC e Eurodesk Mobility Advisor. L’analisi considera le opportunità e i limiti di questi strumenti, sia dal punto di vista delle istituzioni che li implementano, sia dal punto di vista dei cittadini-utenti a cui sono destinati. L’obiettivo è fornire una panoramica delle tendenze attuali nell’uso dell’IA nella comunicazione pubblica europea. Il secondo livello riguarda un’analisi comparativa di città come Torino, Colonia, Eindhoven ed Helsinki, che stanno sperimentando soluzioni di IA in linea con le direttive europee al fine di mettere in evidenza i risultati positivi e le criticità di queste esperienze, evidenziando la necessità di standard armonizzati e meccanismi di supervisione efficaci. Questo è essenziale per garantire che l’integrazione dell’IA nella PA rispetti i principi di equità, trasparenza e sostenibilità promossi dall’UE. La regolamentazione dell’IA e il rafforzamento della comunicazione pubblica emergono come strumenti essenziali per assicurare che la trasformazione digitale contribuisca a un’effettiva creazione di valore pubblico. Inoltre, il confronto tra i diversi livelli istituzionali, europei e realtà urbane, suggerisce che l’efficacia dell’integrazione tecnologica dipenda fortemente dalla capacità delle amministrazioni di adottare una visione strategica condivisa e a lungo termine, in grado di coniugare innovazione, trasparenza e inclusività. Il contributo si basa su evidenze emergenti da studi empirici di tipo qualitativo in corso e di analisi di caso e sottolinea l’importanza di un approccio etico e sostenibile per rafforzare il rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini. La ricerca adotta una prospettiva multidisciplinare, integrando contributi dalla sociologia della comunicazione, dalla teoria delle rappresentazioni sociali, dagli studi sulle politiche pubbliche e dall’analisi della governance tecnologica, e utilizza un disegno di ricerca qualitativo. In questo contesto verranno presentati dati preliminari raccolti mediante interviste semistrutturate con esperti (n=25) utilizzando tecniche di analisi qualitativa del contenuto e osservazioni partecipanti al processo di implementazione di politiche pubbliche. Riferimenti bibliografici Androutsopoulou A., Karacapilidis N., Loukis E., & Charalabidis Y. (2019), Transforming the communication between citizens and government through AI-guided chatbots, Government information quarterly, 36, n.2, pp.358-367. Floridi L. (2021), Ethics, governance, and policies in artificial intelligence, Cham, Springer. Laux J., Wachter S., Mittelstadt B. (2024), Trustworthy artificial intelligence and the European Union AI act: On the conflation of trustworthiness and acceptability of risk, Regulation & Governance, 18, n.1, pp.3-32. Smillie L., & Scharfbillig M. (2024). Trustworthy Public Communications. Publications Office of the European Union. van Noordt C., Misuraca G. (2022), Artificial intelligence for the public sector: results of landscaping the use of AI in government across the European Union, Government information quarterly, 39, n.3. ABSTRACT 2 Dall’accelerazione tecnologica alla iper-regolamentazione: il tempo delle istituzioni europee per la democrazia digitale Lucia D’Ambrosi (Sapienza Università di Roma), Alberto Marinelli (Sapienza Università di Roma), Mariaeugenia Parito (Università di Messina), Gabriella Radano (Sapienza Università di Roma) La strategia di comunicazione pubblica che accompagna la transizione digitale e lo sviluppo dell'Agenda Digitale in Italia ha assunto sempre più un ruolo trasversale, intersecandosi con le recenti politiche europee riguardanti i temi della disinformazione e della partecipazione democratica (Trenz 2023). La normativa dell’UE per il decennio digitale 2030, e in particolare il regolamento introdotto dall’AI Act, è risultata essenziale per negoziare e discutere le politiche e per garantire trasparenza e responsabilità nello sviluppo di nuove strategie e pratiche comunicative necessarie a salvaguardare l’integrità di un dibattito pubblico informato. Principalmente, l’obiettivo di sviluppare risposte affidabili e resilienti, basate su un ambiente digitale antropocentrico in cui tecnologie e servizi digitali sono sicuri e interoperabili, si è rivelato centrale per il contrasto alla disinformazione, purché tali azioni siano progettate nel pieno rispetto della libertà di espressione e di opinione e della tutela dei diritti dei cittadini. Per altri versi, la convergenza (Jenkins et al. 2013) di piattaforme e tecnologie digitali ha contribuito a lanciare anche nuove sfide, che richiedono alle istituzioni pubbliche di superare limiti strutturali e burocratici e di confrontarsi con i tempi accelerati dell’evoluzione tecnologica. In particolare, le piattaforme online sono diventate ambienti altamente ricettivi per le campagne di propaganda e disinformazione, alimentando la polarizzazione ed erodendo la fiducia nelle istituzioni pubbliche (Nannini et al. 2024). Inoltre le tattiche di deplatformization attuate dalle big tech verso piattaforme alternative e considerate pericolose, limitandone l’accesso alle infrastrutture digitali essenziali, rendono complesso in assenza di una regolamentazione più chiara, trovare un equilibro tra la libertà di espressione e il contrasto alla disinformazione (Smillie, Scharfbillig 2024; van Dijck et al. 2024). Partendo da questo contesto di scenario, il paper intende indagare come le istituzioni europee e nazionali stanno regolamentando e monitorando lo sviluppo dell’AI affinché le sue applicazioni rispettino i principi di privacy e trasparenza e contribuiscano alla qualità del dibattito pubblico. In particolare, l’obiettivo è quello di analizzare l’impatto prodotto dalla transizione digitale sul policy making e l’accountability della PA, per verificare se le tecnologie siano effettivamente orientate a tutelare i diritti dei cittadini e la partecipazione della società civile ai processi democratici. L’ipotesi da cui intendiamo partire è che la regolamentazione e il monitoraggio da parte delle istituzioni su sistemi tecnologici in rapidissimo mutamento e che impattano sulla vita delle persone in modi imprevedibili, siano garanzia di resilienza delle democrazia. La ricerca si basa sull'analisi documentale dei regolamenti europei e dei gruppi di lavoro sull’AI ed è supportata da alcune interviste in profondità a testimoni privilegiati e attori istituzionali con competenze specifiche nell’ambito dell’intelligenza artificiale. Lo studio propone alcune raccomandazioni sui rischi connessi all’implementazione di queste tecnologie nell’ambito della comunicazione pubblica, evidenziando l’importanza di rispettare i valori e i diritti fondamentali condivisi dell’UE tesi a sostenere la libertà e il pluralismo dei media quali pilastri fondamentali della democrazia digitale. Riferimenti bibliografici Boucher L., Hallin S., Paulson. A. C. (2023), The Routledge Handbook of Collective Intelligence for Democracy and Governance, Taylor & Francis. Smillie L., Scharfbillig M. (2024), Trustworthy Public Communications, Publications Office of the European Union, Luxembourg, https://data.europa.eu/doi/10.2760/695605, JRC137725. van Dijck J., de Winkel T., Schäfer M.T. (2024), "Deplatforming and deplatformization as governance strategies," in M. Puppis, R. Mansell & Hilde Van den Bulck (ed.), Handbook of Media and Communication Governance, 500-513, Edward Elgar Publishing.. Jenkins H. (2013), Rethinking “Rethinking Convergence/Culture”, Cultural Studies, 28(2), 267–297, https://doi.org/10.1080/09502386.2013.801579. Nannini L., Bonel E., Bassi D. et al. (2024), “Beyond phase-in: assessing impacts on disinformation of the EU Digital Services Act”, AI Ethics, https://doi.org/10.1007/s43681-024-00467-w. Trenz H.J (2023), Democracy and Public Sphere. From Dystopia and Back to Utopia. Bristol: University Press. ABSTRACT 3 Digitalizzazione ad alta velocità: come nuovi applicativi, chatbot e digital workplace incidono sui processi comunicativi degli enti locali nel riminese Gea Ducci (Università di Urbino Carlo Bo), Piergiorgio Degli Esposti (Università di Bologna), Fabiola Fenili (Università di Urbino Carlo Bo), Giorgia Gianotti (Università di Urbino Carlo Bo), Laura Tirabassi (Università di Bologna) L’accelerazione del processo di transizione digitale impressa dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR 2021-2026), investe in modo significativo la realtà degli enti locali in Italia, prevedendo l’erogazione di ingenti risorse finalizzate al rafforzamento ed efficientizzazione di infrastrutture digitali che facilitino l’accesso ai servizi pubblici a tutti i cittadini, a livello territoriale. Cercare di comprendere come e fino a che punto i tempi e le modalità con cui si stanno attuando i processi di digitalizzazione siano compatibili con la possibilità di creare realmente valore pubblico (Twizeyimana e Andersson 2019; Følstad-Larsen, 2024), migliorando i processi organizzativi e la comunicazione interna ed esterna degli enti locali (Ducci 2017; Solito et al. 2020; Lovari e Ducci 2022), è l’obiettivo generale che accomuna tre percorsi di ricerca che vedono il coinvolgimento dei comuni dell’area riminese. In un contesto territoriale sempre più orientato all’erogazione ibrida dei servizi, il primo percorso consiste nell’esplorare come l’adozione di modelli di amministrazione burocratica risponde alla conformazione della piattaforma digitale, seguendo la logica della massimizzazione dell’efficienza attraverso processi sempre più rapidi (Ritzer, 2019; Poell et al., 2019) in cui la rapidità del servizio è il criterio stesso della qualità. Nello specifico, lo studio si prefigge di analizzare il ruolo che le operatrici e gli operatori nei medio-piccoli Comuni delle Unioni Valconca e Valmarecchia (RN) svolgono nel processo di digitalizzazione dell’ente. In seguito alla produzione di una mappa interattiva e alla somministrazione di questionari, lo strumento dell’intervista semi-strutturata è stato utilizzato per indagare il rapporto tra contesto territoriale, digital literacy e resistenze all’interno dei comuni coinvolti. Gli altri due percorsi di ricerca si focalizzano sull’implementazione dell’assistente virtuale/chatbot e del digital-workplace di nuova generazione in due realtà comunali in cui i comunicatori pubblici sono protagonisti della transizione digitale: il Comune di Rimini e il Comune di Santarcangelo di Romagna. Nel caso del Comune di Rimini, si analizza il modo in cui l’assistente virtuale “Rimini Chatbot” viene implementato e gestito all'interno dell’ente e incide sulle attività di comunicazione pubblica. Attraverso un approccio auto-etnografico si osserva l’uso dello strumento che è “ruled-based” e gestito dall’Ufficio per le Relazioni con il Pubblico (URP), lavorando su flussi e prompt design/engineering per offrire comunicazioni fluide ed efficaci ai cittadini. Inoltre, viene condotta un’indagine con questionario strutturato, somministrato ai cittadini-utenti del chatbot, allo scopo di rilevare il loro livello di soddisfazione, e si prende in esame la sperimentazione dell’uso di LLM fra i comunicatori pubblici. Nel secondo caso, si analizza l’adozione di un digital workplace (DWP) presso il Comune di Santarcangelo di Romagna, progettato “su misura” dell’ente allo scopo di migliorare la comunicazione interna, facilitare la costruzione di una rete collaborativa e sviluppare una cultura organizzativa di tipo partecipativo (Kim-Grunig 2011; Mazzei, 2018). Ad un’analisi delle caratteristiche dell’architettura digitale e dell’utilizzo quotidiano del DWP da parte dei dipendenti (tramite monitoraggio dei dati sul posting e analisi qualitativa dei contenuti prodotti e condivisi sulla piattaforma), segue lo svolgimento di dieci interviste semi-strutturate a figure-chiave (responsabili della comunicazione e dei principali processi organizzativi) e cinque focus group con il personale. Dai risultati delle tre ricerche emerge che, se da un lato l’accelerazione stimola nei dipendenti pubblici una maggiore attenzione e consapevolezza circa l’importanza e irreversibilità della transizione digitale in corso, dall’altro lato emergono alcune difficoltà (asincronie) e forme di resistenza nell’attuare in maniera non traumatica i percorsi avviati. Tali resistenze sono legate alla percezione di una compressione temporale eccessiva, alla coesistenza di diversi livelli di digital literacy e differenti culture organizzative fra il personale, rischiando di vanificare lo sforzo dei comunicatori di attivare percorsi partecipati e coinvolgenti.
Riferimenti bibliografici Ducci G. (2017), Relazionalità consapevole. La comunicazione pubblica nella società connessa, FrancoAngeli, Milano. Larsen A. G. – Følstad A. (2024), The impact of chatbots on public service provision: A qualitative interview study with citizens and public service providers, Government Information Quarterly, 41, 1-12. Kim J.‐N.- Grunig, J. E. (2011). Problem solving and communicative action: A situational theory of problem solving. Journal of Communication, 61(1), 120–149. Lovari A. - Ducci G. (2022), Comunicazione pubblica. Istituzioni, pratiche, piattaforme, Mondadori, Milano. Mazzei A. (2018). Engagement e disengagement dei collaboratori. FrancoAngeli. Milano. Poell, T. & Nieborg, D. & van Dijck, J. (2019). Platformisation. Internet Policy Review, 8(4). Ritzer, G. (2019). The McDonaldization of society: Into the digital age. Sage publications. Solito L., Sorrentino C., Materassi L., Pezzoli S. (2020), Percorsi in Comune. La comunicazione nelle municipalità toscane, Carocci, Roma-Bari. Twizeyimana J. D., Andersson A. (2019), The public value of e-Government. A literature review, Government Information Quarterly, 36, 167-168. ABSTRACT 4 Transizione digitale e intelligenza artificiale nei servizi pubblici locali: percorsi adozione e sfide organizzative Giulia Banfi, Marco Pedroni (Università di Ferrara) La transizione digitale della Pubblica Amministrazione (PA) italiana ha attraversato diverse fasi di sviluppo, caratterizzate da avanzamenti tecnologici disomogenei e differenze significative nell'adozione e nell'integrazione delle soluzioni digitali per lo sviluppo dei servizi pubblici. A partire dal Primo Piano e-government (2002), l'obiettivo di rendere l’amministrazione più orizzontale e l’applicazione di un approccio federale alla digitalizzazione hanno portato alla decentralizzazione del processo, rafforzando le autonomie locali. Sebbene questo modello abbia attribuito un ruolo centrale agli enti locali, ha comportato sfide rilevanti, tra cui l’interoperabilità dei dati, lo sviluppo delle competenze digitali (European Commission, 2024), l’adeguamento delle infrastrutture e la riorganizzazione dei processi lavorativi per una transizione efficace verso le procedure digitali. Inoltre, principi fondamentali come trasparenza, partecipazione e collaborazione, che hanno segnato il passaggio dall’e-Government all’Open Government, hanno incontrato ostacoli significativi nella loro implementazione concreta. Nonostante un solido impianto normativo, rappresentato da testi chiave quali il Codice dell’Amministrazione Digitale (D.Lgs. 82/2005), il FOIA (D.Lgs. 97/2016) e la Strategia Italia Digitale 2026, l’e-Government italiano continua a presentare criticità sul piano organizzativo e formativo. Questi due elementi risultano essenziali per evitare che la digitalizzazione sia percepita esclusivamente come un’imposizione dall’alto e per promuovere, al contrario, un approccio partecipativo e bottom-up. Alla luce di questo scenario, la presente ricerca si propone di analizzare le sincronie e le asincronie che emergono nel processo di digitalizzazione dei servizi pubblici locali in Italia, con particolare attenzione alle prime forme di automazione derivanti dall’integrazione di tecnologie di Intelligenza Artificiale (IA). L’analisi qualitativa si basa su interviste in profondità condotte con Responsabili dei Dipartimenti di Digitalizzazione, funzionari con delega ai servizi digitali e, in alcuni casi, comunicatori pubblici di Regioni e capoluoghi di provincia. L’indagine esplora le sfide della digitalizzazione, il ruolo della comunicazione pubblica e le modalità con cui gli enti locali stanno recependo e implementando l’integrazione dell’IA nei processi digitali. I risultati preliminari indicano che l’integrazione dell’IA nei servizi digitali pubblici non segue un percorso uniforme, ma è condizionata da fattori quali la cultura organizzativa, la disponibilità di risorse, le competenze interne e il supporto politico-istituzionale. Mentre alcuni enti hanno avviato progetti pilota e sperimentazioni avanzate nell’automazione dei servizi, altri mostrano resistenze dovute a limiti infrastrutturali, preoccupazioni sulla sicurezza dei dati e carenza di competenze specialistiche. L’adozione di nuove soluzioni tecnologiche vede nella comunicazione pubblica un ruolo chiave, riconosciuto dalla letteratura come un elemento per la costruzione della fiducia tra cittadini e istituzioni (Porumbescu, 2015). Una comunicazione efficace non solo amplia la conoscenza dei cittadini sulle pratiche amministrative e sui servizi disponibili, ma favorisce anche il senso di appartenenza alla comunità, elemento essenziale nei processi partecipativi. Tuttavia, il rapporto di fiducia tra PA e cittadini è spesso sottovalutato nelle fasi di accettazione di nuove tecnologie (Davis, 1989). Alla luce di queste considerazioni, la ricerca si inserisce nel dibattito sulla necessità per la PA di adottare strategie di comunicazione integrata (Lovari & Ducci, 2022) e di considerare attentamente i livelli di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e delle tecnologie impiegate (Carter & Bélanger, 2005). L'analisi dei dati raccolti si propone di contribuire al dibattito sulla governance dell'e-Government e alla letteratura scientifica in materia, con l'obiettivo di rispondere in modo efficace alle esigenze della cittadinanza e di favorire il miglioramento della qualità dei servizi pubblici. Riferimenti bibliografici Carter, L., & Bélanger, F. (2005). The utilization of e-government services: Citizen trust, innovation, and acceptance factors. Information Systems Journal, 15(1), 5–25. https://doi.org/10.1111/j.1365-2575.2005.00183.x. Davis, F. (1989) Perceived usefulness, perceived ease of use and user acceptance of information technology. MIS Quarterly, 13, 319–340. European Commission. (2024). Digital Decade 2024: Europe’s Digital Transformation. https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/factpages/digital-decade-2024-report-country-fact-pages. European Commission. (2024). eGovernment Benchmark 2024. Luxembourg: Publications Office of the European Union. https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/e380c7a8-3833-11ef-b441-01aa75ed71a1/language-it. European Commission. (2024). Standard Eurobarometer 102, Autumn 2024: Public opinion in the European Union. https://europa.eu/eurobarometer/surveys/detail/3215. Lovari, A., Ducci, G., (2022). Comunicazione pubblica. Istituzioni, pratiche, piattaforme, Mondadori Università. Porumbescu, G. (2017). Linking Transparency to Trust in Government and Voice. The American Review of Public Administration, 47(5), 520-537. https://doi.org/10.1177/0275074015607301. |
13:30 - 15:00 | Sessione 1 - Panel 03: Per una sana e robusta comunicazione. La salute tra narrazioni e rappresentazioni Luogo, sala: Aula Magna Baffi (A0-F) Chair di sessione: Letizia Materassi |
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“Per una sana e robusta comunicazione. La salute tra narrazioni e rappresentazioni” 1Università di Firenze; 2Università Cattolica del Sacro Cuore; 3Università di Cagliari; 4Università di Bologna; 5Università di Messina; 6Sapienza Università di Roma Nota introduttiva al panel La comunicazione della salute rappresenta oggi un ambito di studio consolidato, che negli ultimi anni è stato caratterizzato da un elevato dinamismo e una evidente produttività (Elliott&Greenberg, 2022). Se il passaggio da un’emergenza pandemica ha amplificato tale fenomeno e ha reso la materia particolarmente importante, non è solo questo fattore che rende il tema di urgente trattazione. Infatti, ciò che da più parti si rileva - anche da prima del Covid-19-, è l’esigenza di pensare alla salute come un processo (Bucchi&Neresini, 2001; Ingrosso, 2008; Lovari, 2017), non una datità o uno stato, e che non si definisce esclusivamente in relazione ai comportamenti e alle responsabilità individuali, ma in un rapporto dialettico tra istituzioni e cittadini, tra comunità di appartenenza e collettività, tra comunicazione istituzionale e rappresentazioni mediali. Quello che si rende necessario è allora andare a investigare quei luoghi - e ambiti comunicativi - in cui si formano le aspettative di salute, in cui si costruiscono gli immaginari, ma anche nei quali si sperimentano forme di relazione e di interazione diverse. Prendendo le mosse dagli attuali ecosistemi comunicativi caratterizzati da ibridazione (Jenkins et al. 2013), platformizzazione (Van Dijck et al. 2019), frammentazione e interrelazione (Bentivegna&Boccia Artieri, 2021), il panel si propone di presentare studi, ricerche e riflessioni sulle diverse forme di narrazione della salute. L’obiettivo è convocare intorno al tema della Health Communication, studiosi e studiose di gruppi di ricerca e atenei diversi, che ne analizzano i diversi linguaggi, registri narrativi, contenitori e contenuti mediali, prospettive organizzative e percezioni dei pubblici, andando oltre un approccio monolitico alla comunicazione della salute (Lovari&Ducci, 2022). Quello che proponiamo è dunque un viaggio esplorativo entro 4 contributi di ricerca su rappresentazioni diverse della salute che, da un lato, si configurano come versanti promettenti e pratiche sperimentali e innovative, ma dall’altro rendono evidente l’esistenza di nuove sfide ed emergenze comunicative da affrontare (Materassi&Solito, 2021). Il primo contributo fornisce una “geografia” della salute, attraverso l’analisi delle campagne sociali che promuovono gli screening oncologici e i programmi vaccinali. Oltre a soffermarsi sulla diversa produttività delle regioni italiane, il paper vuole riflettere sulla possibile connessione tra rappresentazioni e realtà rappresentata, tra salute perseguita, auspicata dalla comunicazione sociale e i comportamenti di salute effettivamente attivati dai cittadini. E se le scelte di salute derivano anche dall’ambiente informativo in cui si è inseriti, oggi il panorama si infittisce di nuovi strumenti e opportunità relazionali. Così, il secondo contributo focalizza l’attenzione sulle specifiche dinamiche medico-paziente, affrontando il ruolo dei medical influencer. Essi, con la loro formazione medica e la capacità di combinare autorevolezza professionale e visibilità mediatica, stanno divenendo delle celebrità in molti ambiti della salute, rendendo urgente una riflessione sulle opportunità e sui rischi dell’intersezione tra medicina e piattaformizzazione della salute. Il terzo contributo affronta un’altra pratica narrativa emergente, ossia l’uso del fumetto nel racconto del proprio stato di salute o di malattia. Sulla scia della Graphic Medicine, il fumetto non è soltanto una diversa modalità di illustrazione di un contenuto, ma diviene un vero e proprio spazio di negoziazione del significato dell’esperienza della malattia, tra sapere medico e partecipazione attiva del paziente. Il quarto contributo sposta infine l’attenzione sui Medical Drama e sulla produzione seriale che consente al pubblico di familiarizzare con medici, infermieri, reparti ospedalieri, ma anche con le differenti pratiche di cura e di assistenza, con le identità professionali coinvolte, i comportamenti organizzativi attivati delle equipe mediche e la rappresentazione delle istituzioni sanitarie, tra realtà e desiderabilità. Riferimento bibliografici Bentivegna, S., & Boccia Artieri, G. (2021), Voci della democrazia. Il futuro del dibattito pubblico. Bologna: il Mulino Bucchi, M., Neresini, F. (a cura di), (2001), Sociologia della Salute, Roma: Carocci Elliott, C., Greenberg, J. (2022), Communication and Health. Media, Marketing and Risk, Singapore: Palgrave MacMillan. Ingrosso, M. (a cura di), (2008), La salute comunicata. Ricerche e valutazioni nei media e nei servizi sanitari, Milano: Franco Angeli. Jenkins, Henry (2006), Convergence culture: where old and new media collide. New York: New York University Press. Lovari, A. (2017), Social Media e Comunicazione della Salute. Profili istituzionali e pratiche digitali, Milano: Guerini scientifica. Lovari, A., Ducci, G. (2022), Comunicazione pubblica. Istituzioni, pratiche, piattaforme. Milano: Mondadori. Materassi, L., Solito, L. (2021), If a picture is not worth a thousand words: Digital infographics use during the Covid-19 pandemic crisis, in Sociologia della comunicazione: 61, 1, 2021, 52-70. Van Dijck, J., Poell, T., De Waal, M. (2019), Platform Society. Valori pubblici e società connessa, Milano: Guerini scientifica Primo contributo Una geografia per la salute. Vent’anni di campagne vaccinali e di prevenzione oncologica nelle regioni italiane Laura Solito, Letizia Materassi, Ester Macrì – Università di Firenze Le scelte di salute che ciascun individuo compie sono l’esito di un rapporto dialettico con il contesto in cui è inserito, frutto di determinanti sociali, istituzionali, economiche, ambientali, culturali, valoriali (Marmot, 2005). Partecipa a definire tale contesto anche l’insieme delle conoscenze, informazioni e relazioni di cui ciascun attore sociale può disporre e in base alle quali può compiere tali scelte, maturando consapevolezze e prendendo decisioni sulla salute propria, dei propri cari e della collettività (Dutta, 2016). L’urgente e necessario superamento delle iniquità in salute che ancor oggi caratterizzano vaste aree del mondo (Collyer&Smith, 2020) dipende anche, e in misura crescente, dallo sviluppo del contesto informativo e comunicativo e quindi di entrambe le aree che contraddistinguono la Health Communication (Hannawa et al. 2015; Lovari, Ducci 2022): la comunicazione sanitaria, da un lato, con le attività di informazione sui servizi offerti, sulle modalità di accesso e sulla trasparenza delle norme che regolano le relazioni tra cittadini e le differenti organizzazioni sanitarie; e la comunicazione sociale per la promozione della salute, dall’altro. Quest’ultima, su cui insiste il presente contributo, è una parte significativa della comunicazione pubblica ed è promossa in un’ottica di tutela dell’interesse generale (Cucco et al. 2005); essa ha come scopo l’informazione, la sensibilizzazione e la spinta all’azione verso comportamenti e stili di vita salutari: non solo di contrasto, dunque, ad una specifica patologia o ad un generico stato di malattia, ma di promozione di un completo stato di benessere fisico, psichico e sociale a cui l’individuo può aspirare (WHO 1948). Numerosi studi hanno esplorato empiricamente il nesso tra fattori culturali e comunicazione, evidenziando come spesso le disuguaglianze nella salute nascano o si accentuino a seguito di una comunicazione inadeguata e non attenta alle specificità culturali dei cittadini (Viswanath e Kreuter, 2007). Nel contesto italiano, caratterizzato dalla regionalizzazione della sanità, ci chiediamo se e come tali differenze si rintraccino sul territorio nazionale e in che misura le diverse istituzioni si facciano carico di quelle determinanti socio-culturali della popolazione (Costa et al. 2015). La riflessione che proponiamo nasce da una ricerca empirica che ha riguardato due specifici ambiti tematici della comunicazione della salute: gli screening oncologici e i programmi vaccinali. I dati raccolti sono costituiti dalle campagne di comunicazione sociale realizzate e diffuse mediante i canali istituzionali sia dalle Regioni italiane che da enti quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità, da gennaio 2020 a marzo 2023. Il dataset è composto da 223 campagne sociali e 719 materiali analizzati, rintracciati, in prima battuta, sui siti istituzionali, per poi estendersi ai profili social (Facebook, Instagram e Twitter) delle medesime organizzazioni. Come illustreremo, i risultati mostrano come sul territorio italiano sussistano profonde differenze in termini quantitativi, ossia di produzione di materiali informativi e della loro distribuzione nel range temporale considerato. Ma le differenze sono anche qualitative e riguardano l’articolazione dei temi trattati, i linguaggi e i registri impiegati, i frame narrativi adottati. Oltre a rilevare le strategie comunicative diverse, ci siamo chiesti se le scelte contenutistiche fossero ricollegabili ad una diversa distribuzione di talune malattie oncologiche o della disponibilità di programmi vaccinali nella popolazione di riferimento. Ne è emersa una diversa “geografia” della comunicazione sociale della salute nelle regioni italiane che a sua volta si interseca con le diverse scelte strategiche adottate dalle istituzioni nazionali e sovranazionali. Riferimenti bibliografici Collyer, T. A., & Smith, K. E. (2020), An atlas of health inequalities and health disparities research:“How is this all getting done in silos, and why?”. Social science & medicine, 264. Costa, G., Bassi, M., Gensini, G. F., Marra, M., Nicelli, A. L., & Zengarini, N. (Eds.). (2015). L'equità nella salute in Italia. Secondo rapporto sulle disuguaglianze sociali in sanità: Secondo rapporto sulle disuguaglianze sociali in sanità. Milano: FrancoAngeli. Cucco E., Pagani R., Pasquali M., Soggia A., (2011), Secondo Rapporto sulla comunicazione sociale in Italia, Roma: Carocci Dutta, M.J. (2016). Cultural Context, Structural Determinants and Global Health Inequities: The Role of Communication. Frontiers in Communication, Health Communication, 1:5, 1-9. Hannawa A.F., Garcìa-Jiménez L., Candrian C., Rossmann C., Schulz P.J. (2015), Identifying the field of Health Communication, in “Journal of Health Communication: International Perspectives”, 1-10. Lovari A., Ducci G. (2022), Comunicazione Pubblica. Istituzioni, pratiche, piattaforme, Milano: Mondadori Università Marmot, M. (2005). Social determinants of health inequalities. The lancet, 365(9464), 1099-1104. Viswanath, K., Kreuter, M.W. (2007). Health Disparities, Communication Inequalities and eHealth. American Journal of Preventive Medicine, 32(5S), 131-133. WHO (1948), Preamble to the Constitution of the World Health Organization as Adopted by the International Health Conference, New York, 19-22 June 1946. Secondo contributo Salute in vetrina: il fenomeno dei medici influencer tra opportunità e criticità Linda Lombi, Università Cattolica del Sacro Cuore L’avvento dei social media ha trasformato le dinamiche con cui gli individui si informano sulla propria salute, cercano supporto e si mobilitano per la tutela dei propri diritti in campo sanitario (Lupton, 2012; 2016). Questi cambiamenti hanno modificato l’esperienza della cura e della malattia, ora più pubblica e connessa (Conrad et al., 2016), aumentando la varietà di fonti informative e i canali comunicativi a disposizione, con un conseguente impatto sulla fiducia nei “saperi esperti” (Huber et al., 2019). Tuttavia, tale overload di informazioni disponibili online rappresenta una sfida significativa per la health communication. In questo contesto emergono gli influencer, figure con un ampio seguito su piattaforme come Instagram, YouTube e TikTok (Abidin, 2017), il cui impatto sulle scelte di salute – nel caso specifico degli health influencer - è stato oggetto di crescente attenzione nella letteratura (Byrne et al., 2017; Powell e Pring, 2024; Pöyry et al., 2022). All’interno di questa categoria, si distinguono i medical influencer. Essi, con la loro formazione medica e la capacità di combinare autorevolezza professionale con una visibilità mediatica che supera le logiche territoriali (Ngai et al., 2020), stanno guadagnando un capitale di celebrità che influenza sempre più le scelte dei propri fan, tanto da spingerli a intraprendere o modificare i propri atteggiamenti e comportamenti. Il fenomeno dei medici influencer si manifesta oggi in diverse aree cliniche e contesti, come sottolineato da alcune ricerche di mercato: il 70% degli italiani maggiorenni iscritti ai social media segue almeno un influencer in questo campo (MetrixLab Toluna, 2024). Se da un lato i medici possiedono già un capitale sociale derivante dall’elevata esperienza professionale, i social media stanno ampliando il loro raggio d’azione, con il conseguente rafforzamento di tale capitale. D’altro canto, la partecipazione dei medici ai social media solleva anche interrogativi sulle motivazioni che li spingono a investire risorse in questi ambienti per diventare influencer. A tali dinamiche corrisponde il framework teorico della visibilità mediata (Thompson, 1998), che si lega alle teorie sulla datificazione e piattaformizzazione della salute (Ruckenstein e Dow Schüll, 2017; van Dijck et al., 2019), così come alle crescenti pratiche di partecipazione online rilevate da vari scholar (Lovari, 2017). Questo contributo, dunque, a valle di questa esplorazione teorica, intende indagare sulle relazioni tra medici influencer, piattaforme digitali e influ-activism (Murru et al., 2024), offrendo un’elaborazione teorica ed empirica sulle motivazioni e sulle pratiche comunicative tra medici influencer e pazienti. Nello specifico, la ricerca si basa su 15 interviste in profondità a ginecologi/ghe influencer, svolte nel periodo tra ottobre 2024 e marzo 2025. Tali professionisti sono stati selezionati attraverso una fase di etnografia esplorativa sui principali social media, selezionando i profili in base al “capitale di celebrità” (i.e. numero minimo di 35.000 follower). Le principali caratteristiche analizzate hanno riguardato gli obiettivi, le strategie di legittimazione, il capitale reputazionale, l’identità professionale, le tecniche comunicative, l'uso delle piattaforme e la relazione medico-paziente. L’analisi tematica delle interviste è stata svolta tramite l’uso di NVivo, per individuare le principali categorie tematiche sulla base del framework teorico sopra descritto. I risultati evidenziano una transizione da una comunicazione digitale della salute episodica a una presenza continuativa sui social media dei medici influencer. Questa dinamica influenza la relazione “medico-paziente” e le relative pratiche comunicative (Atef et al. 2023; Stein et al. 2022). In questo scenario la ricerca percorre visioni critiche, legate al rischio di mercificazione della salute (Henderson e Petersen, 2002), aspetto che si relaziona alle dinamiche di visibilità e vulnerabilità tipiche dell'influencer economy (Duffy et al., 2024). Il contributo intende stimolare riflessioni sull’opportunità di regolamentare le pratiche di comunicazione sanitaria sui social media, focalizzandosi sull’intersezione tra medicina e piattaformizzazione della salute. Riferimenti bibliografici Abidin, C. (2017). #familygoals: Family influencers, calibrated amateurism, and justifying young digital labor, Social Media + Society, a. 3, n.2, pp.1-15. Atef, N., Fleerackers, A., Alperin, J. (2023). “Influencers” or “Doctors”? Physicians’ Presentation of Self in YouTube and Facebook Videos, International Journal of Communication, n.17, a. 24, pp. 2665-2688. Byrne, E., Kearney, J., Macevilly, C.J. (2017). The Role of Influencer Marketing and Social Influencers in Public Health. Proceedings of the Nutrition Society, n. 76. Conrad, P., Bandini, J., Vasquez, A. (2016). Illness and the Internet: From Private to Public Experience. Health, a. 20 n. 1: pp.22-32. Duffy, B.E., Ononye, A., Sawey, M. (2024). The politics of vulnerability in the influencer economy. European Journal of Cultural Studies, 27(3), pp.352-370. Henderson, S., Petersen, A.R. (eds.) (2002). Consuming health: The commodification of health care, Psychology Press. Huber, B., Barnidge, M., Gil de Zúñiga, H., Liu, J. (2019). 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Il progetto nasce in continuità con l’esperienza della Graphic Medicine (Williams, 2012; Green & Myers, 2010), definita come l’intersezione tra il mezzo del fumetto e il mondo socio-sanitario, ma si distingue per un approccio che enfatizza la co-costruzione interdisciplinare e la partecipazione attiva dei pazienti (Moretti et al 2025). I primi due volumi della collana, dedicati rispettivamente al Pancreas e al Cuore, si basano su un impianto metodologico che combina la raccolta di illness stories attraverso interviste in profondità con pazienti e familiari, l’analisi dei dati secondo i principi della Grounded Theory (Charmaz, 1991; Glaser & Strauss, 1967) e la successiva traduzione delle narrazioni in forma grafica. Il fumetto non si limita dunque a illustrare contenuti predefiniti, ma si configura come un vero e proprio spazio di negoziazione del significato dell’esperienza della malattia, in cui i pazienti partecipano attivamente alla scelta delle immagini, dei colori e delle modalità di rappresentazione della loro biografia patologica (Humphrey 2022) Se da un lato Graphic Anatomy si presenta come un’opportunità innovativa per la comunicazione della salute, dall’altro solleva una serie di questioni etiche e metodologiche di fondamentale importanza. La prima riguarda la necessità di bilanciare la fedeltà narrativa con la sensibilità nei confronti dei soggetti coinvolti: rappresentare graficamente la malattia significa selezionare, enfatizzare o omettere elementi dell’esperienza, un processo che può generare conflitti tra esigenze di sintesi e fedeltà alle storie individuali (Bury, 1982; Kleinman, 1988). Inoltre, l’inclusione dei pazienti nel processo creativo, pur mirando a ridurre l’asimmetria tra ricercatori e partecipanti, pone il rischio di un coinvolgimento emotivo che potrebbe accentuare vissuti di vulnerabilità e di esposizione simbolica (Frank, 1997). Un altro nodo critico riguarda la traduzione della malattia in linguaggio visivo. Se il fumetto permette di superare la rigidità del discorso medico tradizionale, introducendo elementi di ambiguità e soggettività, al contempo può indurre una semplificazione eccessiva, riducendo la complessità delle esperienze a archetypal illness narratives (Charon, 2006). Per evitare questi rischi, il progetto adotta una prospettiva riflessiva, che prevede momenti di confronto tra il team interdisciplinare e i pazienti, finalizzati a negoziare collettivamente le modalità di rappresentazione. Sul piano metodologico, Graphic Anatomy apre interrogativi più ampi sulle possibilità e i limiti della comics-based research. Se il fumetto può essere considerato una forma legittima di produzione di conoscenza all’interno delle scienze sociali (Rainford 2021; Della Puppa Moretti 2024), quali criteri epistemologici dovrebbero guidarne l’uso nella ricerca qualitativa? In che modo la combinazione tra dato empirico e narrazione grafica ridefinisce le modalità di costruzione del sapere medico e sociale? Questi interrogativi si inseriscono in un dibattito più ampio sulla necessità di ampliare le metodologie di ricerca in ambito sanitario, superando l’opposizione tra rigore scientifico e forme alternative di comunicazione (Farinella, 2018; Mol, 2008). Attraverso un’analisi critica di questi aspetti, questo contributo si propone di riflettere sul ruolo del fumetto non solo come strumento di comunicazione della salute, ma anche come dispositivo di produzione e contestazione del sapere, in grado di ridefinire le relazioni tra medicina, società e vissuto individuale della malattia. Riferimenti bibliografici Bury, M. (1982). Chronic illness as biographical disruption. Sociology of Health & Illness, 4(2), 167–182. https://doi.org/10.1111/1467-9566.ep11339939 Charmaz, K. (1991). Good days, bad days: The self in chronic illness and time. Rutgers University Press. Charon, R. (2006). Narrative medicine: Honoring the stories of illness. Oxford University Press. Della Puppa, F., & Moretti, V. (2024). Ethnography and comics-based research. An introduction. Etnografia e Ricerca Qualitativa. Farinella, M. (2018). The potential of comics in science communication. Journal of Science Communication, 17(1), Y01. https://doi.org/10.22323/2.17010401 Frank, A. W. (1997). The wounded storyteller: Body, illness, and ethics. University of Chicago Press. Glaser, B. G., & Strauss, A. L. (1967). The discovery of grounded theory: Strategies for qualitative research. Aldine. Green, M. J., & Myers, K. R. (2010). Graphic medicine: Use of comics in medical education and patient care. BMJ, 340, c863. https://doi.org/10.1136/bmj.c863 Humphrey, C. (2022). The role of comics in medical education and patient care. Journal of Medical Humanities, 43(1), 45–60. https://doi.org/10.1007/s10912-021-09717-y Kleinman, A. (1988). The illness narratives: Suffering, healing, and the human condition. Basic Books. Maturo, A. (2024). Il primo libro di sociologia della salute. Giulio Einaudi Editore. Mol, A. (2008). The logic of care: Health and the problem of patient choice. Routledge. Moretti, V., Ratti, S., Cucchetti, A., Fabbri, C., & Farinella, M. (2025). Pancreas: Comic biography of an organ. Graphic Medicine Review, 5(1). https://doi.org/10.7191/gmr.1020 Rainford, J. (2021). Stripping back the novelty: A critical reflection on the dual use of a comic-based approach to engage participants and publics. Methodological Innovations, 14(3). https://doi.org/10.1177/20597991211037988 Williams, I. (2012). Graphic medicine: Comics as medical narrative. Medical Humanities, 38(1), 21–27. https://doi.org/10.1136/medhum-2011-010093 Quarto contributo Comunicare la salute attraverso i Medical Drama: la fiction Doc-nelle tue mani tra encoding e decoding. Antonia Cava, Università di Messina Le rappresentazioni mediatiche delle istituzioni e delle professioni sanitarie svolgono un ruolo significativo nella costruzione dell’immaginario pubblico della salute. A partire dalle varie trasposizioni di The Archibald Joseph Cronin The Citadel (1937), fino ai più recenti Medical Dramas, il nostro immaginario è pervaso da medici, infermieri, pazienti e reparti ospedalieri, in cui viene raccontata la lotta con il tempo, tra la vita e la morte. Questi prodotti seriali ci permettono di riflettere, da un lato, sulla rilevanza del loro contributo nella costruzione delle rappresentazioni della vita in ospedale e nelle altre istituzioni sanitarie e, dall’altro, sulle identità professionali e sui comportamenti organizzativi nelle istituzioni sanitarie. Sulla base di un ricco scenario teorico di studi sulle serie televisive e di studi sulle organizzazioni sanitarie e sulle strategie di comunicazione, il contributo indaga il medical drama italiano di maggior successo delle ultime stagioni televisive: Doc – Nelle tue mani. La ricerca ricostruirà lo status dell'organizzazione (pubblica o privata), il numero e il tipo di identità professionali presentate, le routine relazionali tra identità professionali e quelle tra professionisti e pazienti, i decisori e l’intero processo decisionale, il rapporto tra realtà ospedaliera e vissuto personale dei professionisti e il livello di efficienza delle strutture, nonché il rapporto con il tempo. In modo particolare, la seconda stagione ricostruisce, proiettandosi in un futuro post-pandemia, il tempo del Covid, inteso come periodo storico e come ritmo, dunque come movimento nel tempo ‘urgente’ e ci permette di poter avere accessi multipli alla lettura del tempo: l’emergenza della fase più severa della pandemia, il futuro post-pandemico immaginato in un momento nel quale la pandemia è ancora in corso (la seconda stagione esce a gennaio 2022 ed è dunque girata nel 2021) e il presente post-pandemico della fase di ricerca. La prima fase della ricerca è costituita da un’analisi interpretativa della serie, attraverso una scheda analitica suddivisa in quattro principali aree di interesse: ambientazione (temporalità, luogo, spazi pubblici/privati, interni ed esterni), confezione (stile di regia, montaggio, colonna sonora); narrazione (articolazione plot, tempo della narrazione, dialoghi, protagonisti), temi rappresentati. Le domande di ricerca che guidano questa prima fase sono: in che modo le serie televisive contribuiscono alla rappresentazione dei sistemi sanitari, soprattutto dopo la pandemia? Come queste narrazioni inquadrano il settore sanitario? La seconda fase dello studio è dedicata all’analisi dell’impatto dell’immaginario veicolato dalla serie sui pubblici di Doc – Nelle tue mani. A tal fine, abbiamo scelto di studiare i commenti degli utenti della più ampia community Facebook della serie. La scelta della community è motivata dalla numerosità dei partecipanti (91.102) e dalle interazioni regolari tra i fan nel periodo considerato. Crediamo che indagare il ruolo della produzione (encoding) e della ricezione (decoding) rispetto alla rappresentazione delle istituzioni sanitarie possa offrire un contributo interessante allo studio delle dinamiche di costruzione della fiducia e della responsabilità sanitaria in relazione alla dimensione del tempo attraverso una serie di successo come Doc, nelle tue mani. La serie, di cui presto potremmo veder l’adattamento statunitense, trasmesso da Fox da gennaio 2025, offre inoltre l’occasione per future nuove riflessioni stavolta di un prodotto simile ma con protagonismo femminile. Riferimenti bibliografici Baker GR, Denis JL. (2011), Medical leadership in health care systems: from professional authority to organizational leadership. Public Money Manage, 31(5):355–362. Bradley Wright K., Sparks L., O’Hair H.D. (2013), Health Communication in 21th Century, Wiley&Sons, London. Cambra-Badii, I, Guardiola. E, Baños JE. (2022), The COVID-19 Pandemic in Serial Medical Dramas. 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Paper for the Council of Europe Colloquy on “Training in the Critical Reading of Television Language, Centre for Contemporary Cultural Studies, University of Birmingham Hoffman, Beth L. et al. (2017). Exposure to fictional medical television and health: a systematic review. Healtheducationresearch32(2): 107–123. Johnson M., (2018), "Ethical Issues and Consequences as Portrayed by Medical Dramas: An Analysis of the Effect of Cultivation Theory". Honors Research Projects. 633. Parker J.C., Thorson E. (eds) (2009), Health Communication in the new media landscape, Springer Publishing Company, New York. Painter. D. L., Kubala, A., Parsloe, S., (2020) Playing doctor on TV: physician portrayals and interactions on medical drama, comedy, and reality shows, Atlantic Journal of Communication, 28:5, 322-336. Rocchi, M. (2019). History, Analysis and Anthropology of Medical Dramas: A Literature Review. Cinergie – Il Cinema E Le Altre Arti, 8(15), 69–84. Turow, J. (2010), PlayingDoctor: Television, Storytelling and Medical Power 2nd edition. Ann Arbor:University of Michigan Press. |
13:30 - 15:00 | Sessione 1 - Panel 04: Gli “archivi imperfetti” e il tempo dell’immagine. Fotografia, storia e memoria tra analogico, digitale e intelligenza artificiale Luogo, sala: Aula 5 (A1-D) Chair di sessione: Giovanni Fiorentino |
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Gli “archivi imperfetti” e il tempo dell’immagine. Fotografia, storia e memoria tra analogico, digitale e intelligenza artificiale 1Università della Tuscia, Italia; 2Università di Urbino, Italia; 3Università di Urbino, Italia; 4Università Unicusano, Italia; 5Università di Napoli L'Orientale, Italia; 6Università Mercatorum, Italia La fotografia, che storicamente ha rappresentato uno strumento per cristallizzare il presente e documentare il passato, oggi si confronta con una trasformazione radicale, causata dall’avvento delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale (IA). Queste evoluzioni pongono interrogativi cruciali riguardo al nostro rapporto con il tempo e la memoria, sfidando la nozione stessa di "archivio fotografico". Le immagini, un tempo fissate su supporti fisici che conferivano loro una temporaneità definita, oggi fluttuano in un universo digitale in continuo mutamento. Da un lato, la digitalizzazione ha amplificato la riproducibilità infinita delle immagini, dilatando il tempo e rendendo accessibile e modificabile ogni frammento di passato; dall’altro, l’intervento sempre più determinante dell’IA ha introdotto nuove modalità di creazione e manipolazione visiva, dove il confine tra ciò che è reale e ciò che è costruito diventa più sfocato. Il concetto di “archivi imperfetti”, evocato da Fausto Colombo (Gli archivi imperfetti. Memoria sociale e cultura elettronica, 1986), diventa fondamentale in questo contesto, riflettendo la fragilità e la fluidità della memoria visiva. Se la fotografia analogica custodiva il passato stabilmente, la fotografia digitale e quella generata dall'IA pongono nuove sfide legate alla veridicità e all’autenticità delle immagini. In questo scenario, l'archivio non è più solo un deposito statico di ricordi, ma una rete in continua espansione che, interagendo con le infinite possibilità dell'IA, diventa un campo di significati in divenire, dove il tempo non è solo un ricordo del passato, ma una costruzione costante del presente. La fotografia non è semplice testimone del passato, ma pratica di ricostruzione e reinterpretazione che interroga la nostra comprensione storica e sociale. L’introduzione di algoritmi che manipolano le immagini e la possibilità di generare “memorie” artificiali spingono a ripensare il rapporto con la memoria collettiva, sfidando la possibilità di un archivio stabile e definitivo. La fotografia diventa chiave per interrogarsi non solo sul tempo passato, ma anche sulla sua continua ricostruzione, attraverso una pratica che intreccia memoria, identità e storia in modi imprevedibili. 2. Il progetto Paragraphica di Bjørn Karmann esplora il rapporto tra fotografia e AI, generando immagini senza obiettivo ottico, basate su dati ambientali. Questo processo riflette la trasformazione semantica della fotografia nell'era della machine vision e delle reti generative. Se la fotografia analogica fissava l’attimo effimero su un supporto permanente, l’AI ridefinisce il concetto di memoria visiva attraverso immagini riproducibili e rielaborabili. Analizzando artisti come Chatonsky e Paglen, questo intervento indaga la relazione tra realtà e simulazione, ridefinendo il valore della permanenza nell'immagine e il ruolo dell’archivio nell’era digitale e dell’intelligenza artificiale. 3. Le IA operano più come strumenti predittivi che mnemonici, generando contenuti attraverso modelli statistici. Il progetto Synthetic Memories mostra come queste tecnologie possano ricreare immagini del passato attraverso la previsione artificiale. Analizzando il training ricorsivo delle IA, emerge un'alterazione del concetto lineare di tempo e una degenerazione della memoria visiva. Questo fenomeno invita a ripensare il ruolo conservativo della memoria nella società contemporanea, interrogandosi se tali tecnologie rappresentino un'opportunità per la rielaborazione del passato o un semplice collasso dell'archivio visivo collettivo. 4. La ricerca esplora gli immaginari della cucina italiana contemporanea attraverso le creazioni di chef emblematici, analizzandone gli archivi visivi. L’intervento indaga il ruolo delle fotografie gastronomiche nella costruzione della memoria storica e culturale, evidenziando la frammentarietà della loro ricezione. Attraverso il caso di Opere/Works di Marchesi, si riflette sulla trasformazione delle immagini in segni disgiunti, reinterpretati dagli chef contemporanei come materiali onirici. Il contributo propone un approccio sociologico e mediologico, connettendo concetti di collezione, archivio e immaginario per ridefinire la storia culturale della gastronomia italiana attraverso l’uso delle immagini fotografiche. . Laura Gemini e Chiara Spaggiari, Università di Urbino Carlo Bo . . L’effimero e il permanente. L’intelligenza artificiale e la nuova semantica dell’immagine fotografica Federico Tarquini, Università degli Studi Niccolò Cusano . Nel 2023 l’artista e designer danese Bjørn Karmann ha realizzato Paragraphica, un dispositivo fotografico context-to-image che, utilizzando dati di posizione e intelligenza artificiale, è capace di produrre delle “fotografie” di un luogo specifico pur non avendo un obiettivo ottico. Dati riguardanti la posizione, il clima, il meteo, l’orario e i vari punti di interesse vengono “letti” dal dispositivo ed elaborati dall’algoritmo al fine di produrre un’immagine su uno schermo digitale, similare a quello di un qualsiasi smartphone. Tuttavia, come sostiene Karmann: “The resulting 'photo' is not just a snapshot, but a visual data visualization and reflection of the location you are at, and perhaps how the AI model 'sees' that place. Interestingly, the photos do capture some reminiscent moods and emotions from the place but in an uncanny way, as the photos never really look exactly like where I am.” Riferimenti bibliografici . Stamatia Portanova, Università degli Studi di Napoli L’Orientale . Le IA hanno scarsa memoria: nonostante la molteplicità di modelli esistenti, esse si definiscono generalmente attraverso un carattere predittivo, più che mnemonico. Una IA non memorizza ma riparte ogni volta da zero, procedendo dall’assorbimento iniziale di dati statistici al calcolo finale di modelli probabilistici. D’altro canto, tale capacità di prevedere futuri statistici a partire da passati datificati si esplica, nel caso delle IA generative, nella generazione di nuovi contenuti attraverso una previsione del testo o dell’immagine più verosimile: in tal modo, queste tecnologie intervengono nella costruzione della memoria sia individuale che collettiva, costituendo una sorta di archivio artificiale. (Gonsalves 2020; Mazzini 2025) Ciò che emerge da questi esperimenti è quindi un nuovo modo di relazionarsi con il tempo e di ricreare il passato, passando attraverso il futuro o, più precisamente, attraverso la sua previsione artificiale. (Ferreira da Silva 2020) Non c’è forse, in questa traiettoria algoritmica, qualcosa di paradossale? Uno strano ritmo, una anomalia crono-cognitiva sembra attraversare l’attuale panorama tecno-socioculturale. (Avanessian e Malik 2016). Riferimenti bibliografici . In frammenti. Tito Vagni, Università Mercatorum . L’intervento scaturisce da una ricerca volta a ricostruire gli immaginari della cucina italiana contemporanea, dedicandosi, in prima istanza, alle creazioni gastronomiche di cuochi che il food system, in particolare le guide gastronomiche e i periodici specializzati, hanno eretto a emblemi della cultura gastronomica italiana. In questo contesto, sono prese in considerazione come fonti primarie i libri di cucina pubblicati dai cuochi (biografie e ricettari) selezionati e gli archivi visuali delle loro opere gastronomiche, senza una distinzione tra foto professionali e foto amatoriali. L’intento è quello di individuare le linee sotterranee che annodano cuochi e momenti storico-sociali, per restituire la trama delle risonanze e la mappa delle tendenze culturali in atto nella gastronomia italiana. Tale obiettivo appare oggi più che mai indispensabile alla luce della centralità della gastronomia in ambito culturale (Montanari 2006), politico (Fabris 2019; Russo 2025), comunicativo (Lupton 2018; Lewis 2020; Vagni 2021) ed estetico (Perullo 2013; Marrone 2022). Riferimenti bibliografici |
13:30 - 15:00 | Sessione 1 - Panel 05: “To be continued, but also not”. Tempo e narrazione tra serialità e post-serialità Luogo, sala: Aula Magna ex Facoltà di Scienze Politiche (B0-B) Chair di sessione: Sergio Brancato |
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“To be continued, but also not”. Tempo e narrazione tra serialità e post-serialità 1Università degli Studi di Napoli Federico II, Italia; 2Accademia delle Belle Arti di Bologna, Italia; 3Università degli Studi di Salerno, Italia; 4Xi'an Jiaotong-Liverpool University (Suzhou, Cina) Abstract generale del panel Se “nel DNA della nostra cultura le narrazioni seriali sono dominanti” (Ragone 2023), allora esse si prestano a cogliere i significati profondi del conflitto di culture in atto nel passaggio d’epoca tra comunicazioni di massa e habitat digitale: in qualche misura, la serialità intesa quale “definizione teorica dei processi che sono al cuore della cultura di massa” (Abruzzese 1984) costituisce l’osservatorio privilegiato per cogliere – sul piano delle forme mediatiche più che nell’analisi dei contenuti – le mutazioni intervenute nelle dinamiche della costruzione sociale della realtà. In questa prospettiva, il panel intende mettere a confronto differenti saperi e statuti disciplinari – analisi comparata dei media, semiotica, sociologia della comunicazione – al fine di indagare le mutazioni del tempo narrativo nel passaggio dalle forme classiche della serialità organizzata intorno al palinsesto (dunque nel quadro di appuntamenti cadenzati su di un calendario collettivo dei consumi) e quelle della post-serialità, caratterizzata soprattutto da innovative modalità di fruizione dei testi grazie a menù fortemente individualizzati. È superfluo sottolineare quanto la categoria moderna di “tempo” riguardi la sostanza profonda dell’esperienza storica e richieda, pertanto, anche la capacità di contemplare slittamenti tematici rispetto alle forme e ai contenuti dell’immaginario (come si evince dal tentativo di tenere insieme nel panel una eterogenea congerie di oggetti culturali: dai nessi tra serialità e tempo della “festa”, focus della prima relazione, alla temporalità seriale del mondo alternativo del gruppo musicale Laibach, si cui si occupa il secondo intervento, fino all’intreccio fra storia e immaginario nella post-serie M. Il figlio del secolo , cuore della terza relazione, e alla chiusura con le tematiche della cronemica nella produzione e nel consumo degli anime). Siamo coinvolti, direbbe Byung-Chul Han, in una epocale crisi della narrazione. Il sottotesto dell’argomento individuato – la temporalità dell’esperienza narrativa, in particolare (ma non solo) quella delle platform series – rimanda quindi proprio alla natura dei conflitti in atto sul piano delle forme estetiche e della loro organizzazione testuale vista come piano di mediazione tra apparati produttivi e culture del consumo. La domanda sulla dimensione narrativa del tempo vuole dunque illuminare cosa implichi sul piano delle culture e delle pratiche collettive la rinegoziazione dei ruoli tra lavoro intellettuale e fruizione dei prodotti culturali che registriamo nel transito tra sistemi dei media contigui ma intrinsecamente oppositivi. L’idea che nelle forme digitali di narrazione del mondo emergano in filigrana – dunque leggibili sociologicamente– i caratteri costitutivi delle nuove soggettività storiche, tra cui la nevralgica organizzazione del tempo collettivo, non è certamente innovativa, visto che una solida tradizione degli studi sui nessi tra culture mediali e temporalità ha percorso questa strada per indagare l’esperienza storica della cultura di massa (Bolter 2020). Tuttavia, questo compito resta oggi tra i più urgenti e sensibili della ricerca mediologica. Bibliografia essenziale di riferimento: Abruzzese, A. (1984). Ai confini della serialità. Napoli: Società Editrice Napoletana Bolter, J.D. (2020). Plenitudine digitale. Il declino delle culture di élite e l’ascesa dei media digitali. Roma: minimum fax Byung-Chul Han (2024), La crisi della narrazione. Informazione, politica e vita quotidiana. Torino: Einaudi Brancato, S. (2011). Post-serialità. Per una sociologia delle tv-series. Napoli: Liguori Brancato, S., Cristante, S., Ilardi, E. (2024). Storia e teoria della serialità – Vol. II. Milano: Meltemi Ragone, G., Tarzia, F. (2023). Storia e teoria della serialità – Vol. I. Milano: Meltemi Primo contributo Titolo: Serialità e ferialità: serie, periodicità e informazione. Primo contributo: Daniele Barbieri (daniele.barbieri@ababo.it)
Chiameremo serialità moderna (o secondaria) il fenomeno che ha le sue fondamenta nel XVII secolo, con la nascita dei giornali e della periodicità dell’informazione, per distinguerla dalla serialità arcaica o primaria, che è quella dei mille racconti intrecciati del mito, quello greco in primo luogo, ma anche quello ebraico-cristiano e tanti altri. A distinguere le due dimensioni sta l’assenza in quella primaria, e la fondamentale importanza in quella moderna, di una regolarità di pubblicazione che deriva da quella dei periodici di informazione, con la consuetudine che ne segue di fruire le vicende a episodi – fondamentalmente perché stanno avvenendo. Se la serialità primaria, inoltre, è il luogo dell’immobilità del mondo, quella moderna è legata, viceversa, al suo cruciale divenire. Ma il divenire è anche al centro del romanzo, la dimensione unitaria, anti-seriale per antonomasia, che ha origine grosso modo nella stessa epoca. Potremmo definire feriale la dimensione della serialità, legata agli eventi di tutti i giorni (veri o di fiction che siano) e festiva quella del romanzo (o anche del film di fiction, che, nel Novecento, ne deriva). La nascita di radio e TV enfatizzerà la dimensione feriale della serialità, specie con l’invenzione della soap, una sequenza senza fine di vicende che accadono ogni giorno, proprio come i fatti della nostra vita privata e sociale. Di fatto, la serialità moderna si esprime tramite forme diverse nella polarità tra sequenze di storie autoconclusive con medesimi personaggi e situazioni (una sorta di micro-genere, insomma) e intrecci continuativi con o senza una prospettiva di conclusione finale. La post-serialità resa possibile dalla fruizione via web cambia nuovamente le carte in gioco. Se si possono fruire tutte le puntate di una serie (o di una sua stagione) in un’unica maratona, il modello soap non è più facilmente percorribile. La situazione vira decisamente verso il festivo, cioè verso una fruizione individuale non regolata dalla scansione regolare delle trasmissioni, più simile a quella della lettura personale di un lungo romanzo, che proseguiamo finché le forze ci sorreggono e poi riprendiamo appena possibile. Si perde in questo modo una dimensione di armonia collettiva che viene prodotta dalla generalità del broadcasting, e che è tipica delle situazioni feriali. Il luogo in cui la ferialità viene recuperata, allora, è costituito dai social, dove la collettività ritrova il modo di armonizzarsi. Non a caso gli stessi social sono il luogo principale attraverso cui passa, ormai, anche l’informazione sul mondo. Diretti discendenti della soap, tutti noi, però, contribuiamo alla loro produzione con frammenti delle nostre vite. Inevitabile che influiscano, dunque, sulle modalità delle narrazioni contemporanee, seriali o meno, feriali o festive. Bibliografia essenziale Barbieri, D. (2019) Letteratura a fumetti? Le impreviste avventure del racconto, Roma, ComicOut. Brancato, S. (2011), Post-serialità. Per una sociologia delle tv-series. Dinamiche di trasformazione della fiction televisiva, Liguori Editore, Napoli. Eco, U. (1985) “L’innovazione nel seriale”, in Sugli specchi, Milano, Bompiani. Secondo contributo Secondo contributo: Titolo: Tempo storico e tempo della narrazione nella serie M. Il figlio del secolo: un’analisi mediologica Martina Masullo (marmasullo@unisa.it) Sospese tra reticolarità e dinamismo cognitivo, i contenuti seriali in piattaforma, oggi, rappresentano dei fondamentali spazi di sperimentazione e di studio delle (nuove) pratiche sociali e, se da un lato permettono di «saccheggiare e riraccontare il passato in forme lunghe e brevi, proprio per sfruttarne al massimo le potenzialità narrative» (Ceccherelli e Ilardi, 2021), dall’altro consentono di costruire una preziosa eredità da consegnare alle nuove generazioni. Guardando al superamento delle discipline e seguendo le dinamiche e l'estetica pop come indicato dai lavori dedicati alla cultura pop di Bowman (2007; 2008) e Reynolds (2011), oggi è possibile analizzare il dispositivo della serialità contemporanea - che si muove tra la post-serialità (Brancato, 2011) e quella che ormai si può definire pop platform seriality, una nuova dimensione di fruizione e sperimentazione audiovisiva - non solo come spazio narrativo, ma anche e soprattutto come spazio culturale dove i processi sociali e di fruizione vengono ripensati e sono in continuo rinnovamento e ibridazione. Partendo da questa cornice teorica, il paper si pone l’obiettivo di analizzare in chiave mediologica la serie M. Il figlio del secolo, riflettendo sia sul tempo storico raccontato dal prodotto seriale in un contesto socio-politico complesso come quello attuale, sia sul tempo della narrazione che oscilla, costantemente, tra presente e passato attraverso l’utilizzo di alcuni specifici elementi narrativi. Si pensi, ad esempio, alla colonna sonora che porta la firma di Tom Rowlands dei Chemical Brothers e mescola i suoni di vecchi strumenti d’epoca con la musica elettronica o la rottura sistematica della quarta parete e la frase “Make Italy great again” come elemento di attualità che irrompe, potentissimo, all’interno della narrazione. Infine, si cercherà di fornire un quadro esaustivo - seppur certamente provvisorio - dello stato attuale delle piattaforme e di tracciare e definire un concreto e sistemico passaggio dalla post-serialità alla pop platform seriality che ripensa ulteriormente gli spazi della fruizione e adatta i modelli del passato alle estetiche ultra-pop della contemporaneità. Bibliografia essenziale Amendola, A., Barone, L. e Troianiello, N., (2019), Seriality Across Narrations, Languages and Mass Consumption: To Be Continued…, Newcastle upon Tyne, Cambridge Scholars Publishing. Brancato, S. (a cura di) (2011), Post-serialità. Per una sociologia delle tv-series. Dinamiche di trasformazione della fiction televisiva, Liguori, Napoli. Bowman, P., (2007), Post-Marxism Versus Cultural Studies: Theory, Politics and Intervention, Edinburgh University Press, Edinburgh. Bowman, P., (2008), Deconstructing Popular Culture. Palgrave Macmillan, London. Ceccherelli, A. e Ilardi, E., (2021), Figure del controllo. Jane Austen, Sherlock Holmes e Dracula nell'immaginario transmediale del XXI secolo, Sesto San Giovanni, Meltemi. Reynolds, S., (2011), Retromania: Pop Culture's Addiction to Its Own Past, Farrar, Straus and Giroux, New York. Terzo contributo Titolo: Temporalità e cronemica seriale e meta-seriale nell’animazione giapponese Marco Pellitteri (Marco.Pellitteri@xjtlu.edu.cn) L’animazione giapponese offre un terreno fertile per esplorare alcune dinamiche della cronemica e della temporalità nei meccanismi della serialità televisiva e oggi, con l’avvento e l’affermazione delle piattaforme di streaming, quelli di una serialità che si fa, anche forzosamente (con gli inserimenti di vecchie e nuove serie tv nelle librerie digitali online), extra- e post-televisiva. Questo paper si propone di analizzare come l’animazione nipponica, sia quella d’autore sia quella commerciale, in alcuni esempi d’eccezionale qualità o rappresentatività, fin dagli anni Settanta abbia rimodellato le percezioni intensive ed estensive del tempo e della durata attraverso efficaci rappresentazioni visuonarrative che oggi rivivono nella densa serialità cumulativa e onnipresente delle piattaforme digitali. In altre parole, in che modo gli anime plasmano la temporalità per influenzare la percezione della durata delle azioni, della memoria e, spesso, anche delle relazioni interpersonali? Attraverso alcune opere paradigmatiche si intende mostrare come i registi e gli animatori giapponesi hanno affrontato il concetto di tempo e come queste rappresentazioni possano riflettere e modellare le esperienze culturali e sociali del pubblico, sia in riferimento all’incedere narrativo a prescindere dal medium di distribuzione considerato sia in riferimento ai nuovi supporti di videoascolto, che permettono un flusso del tempo “vertiginoso” a fruitori oggi fortemente individualizzati nei modi di consumo. Il quadro metodologico adottato in questo paper si basa sull’analisi semio-mediologica e narrativa di una selezione di scene/situazioni emblematiche di film e serie animate. Vi si esaminano le tecniche narrative, le scelte stilistiche e le strutture temporali. Inoltre, si fa riferimento a teorie critiche sulla memoria e sulla temporalità nel cinema, attingendo a studi precedenti per contestualizzare le opere all’interno di un discorso più ampio sull’animazione, che fa della cronemica, attraverso disegni in sequenza spaziotemporale, il suo quid. Si prenderanno in considerazione tre film di grande rilievo autoriale e tre serie animate di enorme popolarità tanto in Giappone quanto all’estero, specialmente in Italia. Il primo film è Millennium Actress (Sennen Joyū, 2001) di Satoshi Kon, che offre una riflessione profonda sulla memoria e sull’identità, intrecciando la vita di un’attrice con la storia del cinema giapponese e mostrando come il passato e il presente si fondano in un racconto che sfida le convenzioni temporali. In La ragazza che saltava nel tempo (Toki o kakeru shōjo, 2006) di Mamoru Hosoda si affronta il tema del viaggio nel tempo e le sue conseguenze sulle scelte personali, e si mostra come le azioni nel presente possano alterare il futuro. 5 cm al secondo (Byōsoku 5 centimeter, 2007), di Makoto Shinkai, utilizza una narrazione non lineare per esplorare la distanza emotiva e temporale tra i protagonisti, sottolineando la fragilità delle relazioni nel contesto del tempo che scorre. Per quanto riguarda le serie, si analizzano alcune scene indicative a livello cronemico ed espressivo tratte da Jenny la tennista (Ace o nerae!, Tms, 1973-79, Osamu Dezaki), Holly e Benji, due fuoriclasse (Captain Tsubasa, Tsuchida Pro et al., 1983-, registi vari) e Paranoia Agent (Mōsō dairinin, Madhouse 2004-05, Satoshi Kon), nelle quali, con espedienti tecnici ed espressivi variegati, il tempo diventa una proprietà malleabile della realtà intra- ed extradiegetica, con poderosi effetti emotivi e di percezione del tempo sullo spettatore. L’analisi proverà a evidenziare come l’animazione seriale giapponese non solo abbia rappresentato strategicamente le temporalità diegetiche in modi innovativi in tempi assai precoci dello sviluppo storico della serialità televisiva, ma anche come queste rappresentazioni influenzino la percezione della memoria e del tempo extra-diegetico nell’esperienza personale del fruitore durante e dopo la visione. Bibliografia essenziale Adam, Barbara (1994), Time and Social Theory, Cambridge, Polity Press. Alexander, Lily (2007), “Storytelling in time and space: Studies in the chronotope and narrative logic on screen”. International Journal of Narrative Theory, n. 37, pp. 27-64. Allman, Melissa J.; Teki, Sundeep; Griffiths, Timothy D.; Meck, Warren H. (2014), “Properties of the internal clock: First- and second-order principles of subjective time”. Annual Review of Psychology, n. 65, pp. 743-71. Buchanan, Richard (2022), “Thinking across Frames: Temporally Extended Consciousness and the Animation Timeline”. KronoScope 21(2), pp. 111-31. Bergson, Henri (2004) [1939], Materia e memoria. Saggio sulla relazione tra il corpo e lo spirito, Bari, Laterza. Bergson, Henri (2001) [1913], Time and Free Will: An Essay on the Immediate Data of Consciousness, New York, Dover Philosophical Classics. Brancato, Sergio (a cura di) (2011), Post-serialità. Per una sociologia delle tv-series, Napoli, Liguori. Deleuze, Gilles (2016) [1983], L’immagine-movimento. Cinema 1, Torino, Einaudi. Deleuze, Gilles (2017) [1985], L’immagine-tempo. Cinema 2, Torino, Einaudi. Deleuze, Gilles (1997), Differenza e ripetizione, Milano, Raffaello Cortina. Elias, Norbert (1986), Saggio sul tempo, Bologna, Il Mulino. Lamarre, Thomas (2009), The Anime Machine. A Media Theory of Animation, Minneapolis, University of Minnesota Press. Pellitteri, Marco (20184) [1999], Mazinga Nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation dal 1978 al nuovo secolo, 2 voll., Latina, Tunué. Ricoeur, Paul (1983-85), Temps et Récit, 3 voll., Paris, Éditions du Seuil. Torrents, Alba G. (2015), “Animated potentiality: Temporality and the limits of narrativity in anime”. Bulletin of Kyōto Seika University, n. 47, pp. 35-51. |
13:30 - 15:00 | Sessione 1 - Panel 06: “Un attimo ancora!”. Le serie tv e l’esperienza del tempo nella società digitale Luogo, sala: Aula 6 (A1-F) Chair di sessione: Marica Spalletta Chair di sessione: Antonella Mascio Chair di sessione: Mario Tirino |
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“Un attimo ancora!”. Le serie tv e l’esperienza del tempo nella società digitale 1Università degli Studi LINK, Italia; 2Università di Bologna; 3Università degli Studi di Salerno; 4Università degli Studi di Padova; 5Università Ca' Foscari; 6Università degli Studi di Torino La serialità televisiva è un medium intrinsecamente temporale (Cleto e Pasquali, 2018). Se ciascuna narrazione seriale, fin dall’avvento di feuilleton e romanzo d’appendice, declina la propria architettura narrativa nell’intervallo in cui vengono distribuite le singole componenti (Ragone e Tarzia, 2023), le serie tv introducono una posizione più estrema, intessendo una relazione ancora più organica e strutturale con molteplici piani dell’esperienza del tempo (Tirino, 2024), al punto che oggi l’etichetta stessa “serie tv” viene messa in discussione, a favore di definizioni quali, per esempio, “serial drama” (Hansen et al., 2024). Come spiega Jason Mittell (2015), infatti, le serie tv si relazionano al tempo della storia (che corrisponde all’arco temporale dei fatti narrati), al tempo dell’intreccio (che corrisponde al modo in cui i fatti narrati sono “montati” all’interno della rappresentazione, di norma con alcune ellissi, più o meno corpose) e infine al tempo dello schermo (che rinvia alla durata effettiva dell’episodio, della stagione o della serie, e alle cornici temporali definite dal medium che lo ospita, per esempio quelle del palinsesto generalista).Tuttavia, ci sono ulteriori livelli, spesso nascosti, attraverso i quali le narrazioni seriali - soprattutto nell’attuale era delle piattaforme di streaming (Evens e Donders, 2018; Lotz e Lobato, 2023) - intrecciano differenti forme di percezione, rappresentazione e sperimentazione della temporalità sociale, in un momento storico segnato dalla presentificazione degli orizzonti di vita e dall’accelerazione delle crisi e delle urgenze climatiche, ecologiche, politiche, tecnologiche e culturali. All’interno di questo quadro, il panel ospita interventi che riflettono su almeno una delle quattro declinazioni del rapporto tra serialità e temporalità:
Il panel intende riflettere sulle diverse dimensioni che l’esperienza temporale assume nelle serie tv, attraverso l’analisi di significativi case studies italiani e internazionali. PAPER 1: “The times they are a-changin’”: tempo e tempi in The Mandalorian, nel nuovo ecosistema mediale (Simona Castellano, Università degli Studi di Salerno) La serialità televisiva ha una stretta correlazione con il tempo e la temporalità per molteplici aspetti (Cleto, Pasquali 2018), che concernono produzione (mainstream e grassroots), distribuzione (formale e informale), pratiche, consumi e narrazioni. Una riflessione sul tempo, in molteplici accezioni, e sulla gestione del tempo (Garcia, Nannicelli 2021) nella serialità televisiva risulta particolarmente interessante in riferimento al panorama contemporaneo, profondamente mutato rispetto al passato, complice l’ascesa delle OTT Television, con la conseguente frammentazione della distribuzione e la nascita di nuove modalità di consumo. A partire da queste considerazioni, il presente contributo intende riflettere su tempo, tempi e temporalità nella serialità televisiva contemporanea, prendendo in esame tre differenti prospettive. 1) Una prima riflessione parte dai cambiamenti che hanno interessato la serialità televisiva nella post-Golden Age (Checcaglini 2016) e “post-network tv” (Lotz 2014), con un’attenzione ai processi di platformization della produzione culturale (Helmond 2015; Poell, Nieborg, Duffy 2022), mainstream e grassroots. In tal senso il contributo intende far luce sulle nuove modalità di produzione, distribuzione e consumo di serie televisive, all’interno di “streaming wars” (Tirino, Castellano 2021; Scolari 2022; Lotz, Lobato 2023) che comportano la necessità per i servizi SVOD e le media company di distinguersi in un mercato complesso, competitivo e sfaccettato (Lobato, Lotz 2021) e di costruire una library attrattiva per i propri consumatori (Snyman, Gilliard 2019). 2) Una seconda riflessione concerne la temporalità nel rapporto con la narrazione dei prodotti seriali (Mittell 2015) (per es. richiami a esperienze passate; ripresa di tematiche calate nella società contemporanea; innovative e future strategie di engagement) e nel rapporto con i pubblici, laddove viene a stimolarsi una produzione, sincrona o asincrona rispetto alla visione (Tirino 2020), che parte dal basso. 3) Una terza riflessione intende focalizzarsi sui tempi di ascesa e affermazione delle celebrity e sui processi di celebrification (Rojek 2001) nella serialità televisiva contemporanea. Per analizzare tempo, tempi e temporalità si ricorrerà all’analisi della serie televisiva The Mandalorian, che si colloca all’interno dell’universo di Star Wars (Jenkins 2017; Guynes & Hassler-Forest 2018; Bertetti 2022). Si procederà con un mixed method approach che prevede: a) un’analisi socio-semiotica della piattaforma Disney+, che permette di riflettere sul design dell’interfaccia, che è possibile reputare non neutrale (Bogost, Montfort 2009; Gillespie 2017), e sulla categorizzazione della library; b) una narrative analysis del prodotto audiovisivo in questione e una content analysis di alcuni prodotti collaterali (docu-serie e spin-off), che permettono di rintracciare tre differenti categorie temporali (il passato, per il marcato richiamo al genere western e il rapporto con la trilogia originale; il presente, per i riferimenti a tematiche al centro del dibattito pubblico e per le innovazioni tecnologiche adoperate; il futuro, per le ulteriori espansioni narrative e transmediali a cui la serie apre); c) una content analysis all’interno dei social media di community di fan focalizzate sulla serie e di profili ufficiali che consentono di volgere uno sguardo approfondito ai tempi con cui le celebrity (reali come Pedro Pascal, finzionali come Grogu) si sono affermate nel mediascape contemporaneo. PAPER 2: The Time Beyond. Variazioni del concetto di tempo in Mare fuori (Paola De Rosa, Università degli Studi Link) Nella sua duplice accezione di prodotto culturale e cifra narrativa dell’esperienza mediale contemporanea (Boccia Artieri e Fiorentino, 2024), la serialità è legata indissolubilmente alla dimensione del tempo, che ne costituisce «il dispositivo formale e il fattore strutturante» (Cleto e Pasquali, 2018). Se la serialità televisiva ha da sempre articolato il tempo narrativo in modi complessi (Barra, 2011; Innocenti e Pescatore, 2014), l’avvento delle piattaforme digitali ha intensificato tale complessità (Mittell, 2017), dando origine a ri-mediazioni delle modalità di produzione, narrazione e consumo, attraverso le quali il tempo seriale si intreccia sempre più con il tempo sociale (Bandirali e Terrone, 2012; Boccia Artieri e Gemini, 2016). Oltre a rappresentare l’elemento costitutivo dello storytelling seriale, l’esperienza del tempo si configura infatti come un filo rosso che lega le strategie produttive e distributive di broadcaster lineari e piattaforme VOD alle trasformazioni delle pratiche di fruizione, sempre più ispirate a logiche transmediali (Scolari, 2009; Jenkins, 2014), e ulteriormente influenzate dai processi di celebrification e celebritization (Driessens, 2011; Spalletta et al., 2025). All’interno dello scenario così delineato, questo paper si focalizza su un caso di studio particolarmente significativo della serialità italiana, ovvero il teen drama Mare Fuori (Rai, 2020-), con l’obiettivo di comprendere se e come la variabile temporale, nella sua duplice declinazione di processo (o susseguirsi sequenziale di eventi) e struttura (intesa come durata ed esperienza del divenire) (Luhmann, 1984), contribuisca a determinare un intreccio dinamico tra ciò che viene rappresentato sullo schermo e ciò che accade oltre lo schermo. Dal punto di vista metodologico, la ricerca sposa un approccio qualitativo che, nella prospettiva dei mixed methods (Creswell, Plano Clark 2018), combina tre diversi strumenti di indagine (interviste in profondità, narrative analysis e focus group) (Riessman 2008; Corbetta 2015) per analizzare le diverse declinazioni del concetto di tempo: a) nelle strategie produttive e distributive del teen drama; b) nei pattern narrativi, a cominciare dall’evoluzione delle vicende dei protagonisti; c) nelle pratiche di fruizione e partecipazione della serie tra i pubblici teen. Dalla ricerca emerge come la variabile temporale giochi un ruolo cruciale nel determinare il successo della serie, agendo al contempo sia sul piano del processo che della struttura. Nella fase produttiva, la variabile temporale si articola infatti lungo la dicotomia tra il tempo dell’idea e quello della sua trasposizione, che passa attraverso l’intreccio tra finzione e realtà. Nella fase distributiva, il richiamo al tempo segna il passaggio dalle logiche distensive della tv lineare (dove avviene la prima messa in onda della serie), a quelle intensive di Netflix, l’inserimento nel cui catalogo trasforma la serie in un fenomeno cult. Dal punto di vista del racconto, Mare fuori si caratterizza per una narrazione declinata lungo i piani temporali, diversi ma tra loro intrinsecamente intrecciati, del prima (simbolicamente sintetizzato nel racconto delle ore/giorni che precedono l’arresto), del durante (ovvero l’esperienza della detenzione) e del dopo (ovvero quel “fuori” evocato nel titolo stesso della serie). La dimensione temporale emerge, infine, come dirimente rispetto alle pratiche di domestication (Silverstone, 1994) della serie, soprattutto tra gli spettatori teen: queste ultime tendono infatti a svilupparsi lungo la duplice dicotomia “esperienza vs. conoscenza” (che a sua volta riflette la contrapposizione tra consumo dichiarato vs. dissimulato) e “visione contestuale vs. transmediale” (che enfatizza le caratteristiche che assumono i tempi del consumo mediale nella platform society). In conclusione, Mare fuori replica l’esperienza temporale in quanto processo (ossia nella sequenzialità delle fasi di produzione, distribuzione e fruizione della serie), ma soprattutto ri-media la prospettiva della struttura, mediando cioè il tempo della durata e dell’esperienza del divenire nel tempo sociale della domestication. PAPER 3: Il tempo della distopia: The Handmaid’s Tale tra narrazione, consumo e tempo sociale (Claudio Riva, Università degli Studi di Padova; Laura Cesaro, Università Ca’ Foscari) Cifra stilistica della serialità, sin dalle prime sperimentazioni per il grande schermo, è la capacità di articolare la temporalità non solo a livello narrativo, ma anche nelle modalità di consumo e nelle dinamiche sociopolitiche, trasformandosi in specchio e acceleratore delle ansie e delle tensioni del proprio tempo: si pensi alle prime produzioni risalenti agli anni dieci del Novecento firmate da Louis Feuillade. La serie si configura così come un medium capace di ridefinire il rapporto tra immaginario e realtà, rendendo l’arco narrativo non un tempo ipotetico, ma una lente attraverso cui leggere il presente. Ingranaggio, dunque, di quel meccanismo di “disconnessione e riconnessione con la realtà”, che come sostiene Francesco Casetti supporta lo spettatore al contempo in “addestramenti per poter abitare la realtà circostante” quanto “distrazioni” verso una patologica fuga da questa (Casetti, 2023). Risponde perfettamente a tale lettura il caso studio di The Handmaid’s Tale (Hulu, 2017-). Sul piano narrativo, la serie utilizza il tempo per costruire un senso di oppressione e sospensione. L’uso sistematico dei flashback crea un contrasto tra il passato pre-Gilead e il presente distopico, evidenziando la precarietà dei diritti e della libertà individuale. Il ritmo della narrazione è volutamente dilatato, segnato da pause, attese e ripetizioni, riflettendo la condizione di prigionia delle Ancelle. L’assenza di un chiaro orizzonte temporale per la fine della dittatura rafforza la sensazione di un futuro negato, in cui il progresso è sospeso e la permanenza nel regime diventa una condizione senza via d’uscita. Sul piano del consumo e dell’interazione con il pubblico, la serie ha generato un coinvolgimento attivo, manifestatosi attraverso discussioni sui social media, pratiche di second screen e fenomeni di fandom. L’iconografia della serie, in particolare il costume delle Ancelle, è diventata un simbolo globale di protesta, utilizzato in manifestazioni per i diritti delle donne e contro politiche repressive. Questo fenomeno evidenzia come la serialità contemporanea non si limiti alla fruizione audiovisiva, ma si estenda a pratiche di appropriazione culturale e attivismo politico, dimostrando la capacità delle narrazioni seriali di incidere concretamente sul dibattito pubblico. Infine, The Handmaid’s Tale si inserisce nel tempo sociale attuale, funzionando come una narrazione “pre-allarmante” che sovrappone distopia e realtà. La serie non solo ipotizza un futuro possibile, ma dialoga direttamente con il presente, stimolando riflessioni sui diritti civili e sulla regressione delle libertà in diversi contesti globali. La sua capacità di attivare una memoria collettiva e di interagire con le tensioni della contemporaneità la rende un esempio paradigmatico di come la serialità possa trasformarsi in uno strumento di critica e consapevolezza sociale. PAPER 4: Emily in Paris come dispositivo di apprendimento sociale tra stereotipi ed empowerment (Simona Tirocchi, Università di Torino) Le serie tv rappresentano dispositivi e macchine di visione che sono entrati nella vita quotidiana e che seguono la temporalità delle nostre esistenze, innestandosi in modo quasi naturale nelle stagioni della vita reale (Mascio, 2023). Tuttavia non sempre le serie tv (così come altri contenuti della pop culture) sono state prese “sul serio” (Laugier, 2022) tanto da assurgere a oggetto di studio e riflessione da parte delle discipline umanistiche, nonostante i loro personaggi e le loro storie rappresentino occasioni di apprendimento informale che si innestano all’interno di spazi e tempi di fruizione che a loro volta si espandono in diverse direzioni (luoghi domestici ed extradomestici, ritmi di consumo personalizzati, situazioni individuali o pratiche di condivisione in famiglia o tra pari). Prodotti come “Sex Education” (Netflix, 2019, 2023), ad esempio, hanno mostrato chiaramente come il racconto seriale potesse colmare un vuoto relativo al vuoto istituzionale sull’educazione sessuale (Allen, 2024). Emily in Paris, ideata da Darren Star uscita su Netflix nel 2020 e proseguita per quattro stagioni fino al 2022 (al momento è in arrivo la quinta stagione) è stata già oggetto di diverse analisi dalle quali sono emerse la presenza di criticità e stereotipi (Sádaba, Azpurgua, Mir Bernal & SanMiguel, 2023) ma anche elementi riconducibili a una sensibilità femminista (Maryuningsih, Trisnawati, & Agustina, 2023). Il paper intende indagare il modo in cui la serie Emily in Paris susciti discussioni su diversi temi configurandosi come uno stimolo per l’apprendimento negoziale (e naturalmente informale e non intenzionale) in merito a linguaggi, stili di vita (Melotti De Giorgi, 2025), modi di interpretare e conciliare il rapporto tra carriera e vita sentimentale, soprattutto in una prospettiva femminista e postfemminista (Gill, 2007). Oltre all’osservazione e all’analisi qualitativa dei diversi episodi, lo studio sarà realizzato mediante l’analisi del subreddit r/EmilyInParis (dalla piattaforma reddit) di conversazioni relative alla serie. Due tra i temi oggetto di analisi saranno appunto i seguenti, analizzati mediante l’analisi dei post ottenuti dall’uso di specifiche parole chiave: 1) Parola chiave: “feminism”. Dibattiti e opinioni dei fruitori su temi relativi alla serie e a questioni di genere; 2) Parola chiave: “timeline”. Richieste, interrogativi e riflessioni sulla timeline stessa del racconto, che sembra presentare alcuni elementi di difformità temporale rispetto allo svolgersi degli eventi (quanto tempo trascorre Emily a Parigi? Come mai festeggia, sul video, un solo Natale o un solo compleanno?). In questo caso le discussioni si configurano come una sorta di esercizio di fact-checking per gli utenti. L’analisi punterà a riflettere sulla necessità di porre sempre più attenzione alla digital literacy e alla visual literacy, nella consapevolezza che il visuale costituisca un potente mezzo di apprendimento e socializzazione per le nuove generazioni, oltre che un luogo in cui si discutono e rielaborano temi di interesse e rilevanza sociale. |
13:30 - 15:00 | Sessione 1 - Panel 07: Il tempo nel cinema e nel post-cinema: grammatiche, narrazioni, pre-visioni Luogo, sala: Aula 7 (A1-G) Chair di sessione: Fabio Tarzia |
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Il tempo nel cinema e nel post-cinema: grammatiche, narrazioni, pre-visioni 1Università degli Studi di Salerno; 2Università eCampus, Novedrate; 3Link Campus University; 4Politecnico di Torino Il tempo è stato messo in-forma dalle tecniche cinematografiche e visive del ‘900, strutturando la nostra stessa esperienza del tempo, ed oggi, sempre più, è anche un tema centrale nelle narrazioni filmiche e seriali. Il tempo non è più soltanto un elemento strutturale che determina il ritmo del montaggio o la durata di una sequenza, ma un vero e proprio oggetto della narrazione (sostanzialmente attuando quel movimento deterritorializzante indicato da Deleuze come “fuga in intensità”). Film e serie TV riflettono sul tempo, lo manipolano, lo destrutturano, lo rendono fluido, ciclico o paradossale, rispecchiando un’epoca in cui la nostra percezione della temporalità è profondamente mutata, come sempre accade soprattutto nei cambi di paradigma tecnologico e socio-culturale. Questa trasformazione è evidente nel passaggio dal cinema classico al post-cinema (assorbendo in pieno tutte le grammatiche sperimentali dell’Expanded Cinema teorizzato da Youngblood), una categoria che raccoglie non solo il cinema digitale, ma anche le forme espanse della narrazione audiovisiva, come la videoarte, le esperienze interattive, il cinema immersivo con le sue immagini (un-icon) a 360°, e il mondo dei videogiochi. Se nel cinema classico il tempo era scandito secondo logiche lineari e consequenziali, il post-cinema ne ha ridefinito le regole, introducendo frammentazione, simultaneità, interattività, espansione (nelle immagini ambientali) e accelerazione (in alcune logiche di gameplay), in una nuova riconfigurazione della relazione tra spazio e tempo (il tempo si spazializza, lo spazio diventa materia temporale controllata dall’utente). Registi come Christopher Nolan (Memento, Inception, Tenet) hanno reso il tempo non solo un elemento narrativo, ma un tema di elaborazione esistenziale, mentre la serialità contemporanea ha trasformato la percezione del tempo in una delle sue cifre stilistiche. L’interesse crescente per il time loop, reso celebre da Ricomincio da capo (Groundhog Day, 1993), e per il tempo come risorsa economica e sociale, come in In Time (2011), dimostra come il cinema rifletta le tensioni del nostro presente: da un lato, il tempo è una gabbia da cui si cerca di fuggire; dall’altro, una merce sempre più scarsa, da accumulare o sottrarre. Anche il linguaggio audiovisivo è mutato. Se il montaggio tradizionale stabiliva un ritmo e una logica temporale ben definita, oggi le tecnologie immersive, la realtà virtuale e i media interattivi propongono esperienze temporali non lineari, in cui il pubblico ha un ruolo attivo nella costruzione del tempo narrativo. Nei videogiochi narrativi o nelle opere di cinema immersivo, il tempo diventa un’esperienza soggettiva, legata alle scelte dello spettatore/giocatore. Viviamo in un tempo accelerato, dove il digitale ha compresso la distanza tra passato, presente e futuro. L’archivio digitale rende tutto simultaneamente accessibile, i social media alimentano un eterno presente, l’intelligenza artificiale genera immagini e storie in tempo reale, alterando la nostra percezione della realtà. Il post-cinema e le nuove forme di narrazione rispecchiano questa condizione: ci raccontano un mondo in cui il tempo non è più una linea retta, ma un labirinto in continua trasformazione, tra espansione (rallentamento) e accelerazione. Per questo motivo, il tempo oggi è un tema cruciale tanto nella teoria dei media quanto nella pratica artistica e cinematografica. Se nel cinema classico il tempo era un elemento invisibile, uno strumento per raccontare le storie, nel post-cinema esso è diventato la storia stessa. Riferimenti bibliografici essenziali: Balzola, A., Caprettini, G.P. (2024). Vertigini dell’immaginario. Rovesciamenti simbolici e archetipi del tempo tra cinema e letteratura, Milano: Meltemi. Deleuze, G. (1985). Cinéma 2. L’Image-temps, Paris: Éditions de Minuit. Eisenstein, S. (1949). Film Form: Essays in Film Theory. Harcourt. Grau, O. (2004), Virtual Art From Illusion to Immersion, Cambridge/London: The MIT Press. Hagener, M., Hediger, V., Strohmaier, A. (eds.) (2016). The State of Post-Cinema: Tracing the Moving Image in the Age of Digital Dissemination, London: Palgrave Macmillan. Kern, S. (1983). The Culture of Time and Space 1880-1918, Cambridge, MA: Harvard University Press. Trad. it. Il tempo e lo spazio. La percezione tra Otto e Novecento. Bologna: il Mulino, 1995. Manovich, L. (2011). Il linguaggio dei nuovi media, Milano: Olivares. Modena E. (2022), Nelle storie. Arte, cinema e media immersivi, Roma: Carocci. Murray Janet H. (2016), Not a Film and Not an Empathy Machine, IMMERSE. Youngblood, G. (2013). Expanded Cinema, a cura di P.L. Capucci e S. Fadda, Bologna: CLUEB. ---- Contributo 1 Titolo: Il veggente e la sospensione. Attualità dell’immagine-tempo di Deleuze come scandaglio nel post-cinema Alfonso Amendola (Università degli Studi di Salerno) La contemporaneità è scavo fecondo. È trama d’indagine da statuto archeologico (Parikka 2019). E a dare forza al paesaggio dell’expadend cinema (Yougblood 2013) e del post-cinema (Hagener, Hediger, Strohmaier 2016) alle volte sono anche territori critici e teorici che decenni prima hanno indicato un cammino, una trama di lavoro, un’istigazione prospettica. Tra questi sicuramente il più innovativo tra i filosofi del XX secolo: Gilles Deleuze. La presente indagine - specificamente legata al Deleuze studioso di cinema (De Gaetano 1996; Rodowick 1997; Godani 2009; Hirose 2020) - vuol ricostruire l’attualità del suo pensiero legato al tema del tempo (1985) cercando di ritrovarlo all’interno di alcune opere cinematografiche del contemporaneo. Partendo dal concetto deleuziano del cinema come esplorazione di nuove modalità di percezione del tempo e della realtà fino ad arrivare al concetto di immagine-tempo e come questa categoria teorica abbia a che fare con la rappresentazione temporale del post-cinema. L’attualità dell’immagine-tempo la troviamo nell’arco di almeno 2 classificazioni possibili:
Se questo concetto, a suo tempo, è stato centrale per la lettura delle opere di autori come Welles, Godard o Resnais, la nostra indagine vuol cogliere la rigorosa attualità della teoria dell’immagine-tempo applicandola come “dispositivo” per analizzare nodali capitoli del cinema contemporaneo totalmente dentro il nucleo dell’estetica della frammentazione (XXX 2006). In particolare saranno analizzati film come: Pulp Fiction (1994) di Quentin Tarantino (il tempo e il punto di vista); Memento (2000) di Christopher Nolan (il tempo e il molteplice); Mulholland drive (2001) di David Lynch (il tempo e la psiche); Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004) di Michel Gondry (il tempo e la memoria); Last Days (2005) di Gus Van Sant (il tempo e la morte); Inception (2010) di Christopher Nolan (il tempo e il sogno); Cloud Atlas (2012) di Tom Tykwer, Andy e Lana Wachowski (il tempo e le epoche); Boyhood (2014) di Richard Linklater (il tempo e la crescita)… il tutto necessariamente incrociando le dinamiche temporali di alcuni prodotti della postserialità (Brancato 2011): come 24 (2001-2010) di Joel Surnow, Robert Cochran; Lost (2004-2010) di J. J. Abrams, Damon Lindelof, Jeffrey Lieber; Dark (2017-2020) di Baran bo Odar e Jantje Friese; Twin Peaks: The Return (2017) di David Lynch; Westworld(2016-) di Jonathan Nolan e Lisa Joy; Russian Doll (2019-) di Leslye Headland, Natasha Lyonne e Amy Poehler. Queste opere nel pulsare portante della propria narrazione sfidano (e sfaldano) la progressione lineare e il trattamento del tempo come una sequenza causale e lo ri-presentano come una dimensione fluida, frammentata e multipla. La temporalità, quindi, diventa una forza che modifica la percezione della realtà, in perfetta sintonia con le teorie di Deleuze e sostanziando il concetto di immagine-tempo come un modello teorico persistente, esplorabile, parafrasabile e voracemente aperto al nuovo. Bibliografia essenziale: XXX (2006), Brancato, S. (2011), Postserialità. Per una sociologia delle tv-series. Dinamiche di trasformazione della fiction televisiva, Napoli: Liguori. Deleuze, G. (1985), Cinéma 2. L’Image-temps, Paris: Éditions de Minuit. De Gaetano, R. (1996), Il cinema secondo Gilles Deleuze, Roma: Bulzoni. Godani, P. (2009), Deleuze, Roma: Carocci. Hagener, M., Hediger, V., Strohmaier, A. (eds.) (2016), The State of Post-Cinema: Tracing the Moving Image in the Age of Digital Dissemination, London: Palgrave Macmillan. Hirose, J.F. (2020), Il cine-capitale, Il cinema di Gilles Deleuze e il divenire rivoluzionario delle imagini, Verona: Ombre Corte. Parikka, J. (2019), Archeologia dei media. Nuove prospettive per la storia e la teoria della comunicazione, Roma: Carocci. Rodowick, D. N. (1997), Gilles Deleuze’s Time Machine, Durham: Duke University Press. Yougblood, G. (2013), Expanded Cinema, a cura di P. L. Capucci e S. Fadda, Bologna: CLUEB. ---- Contributo 2 Titolo: Indietro (e troppo avanti?) nel futuro: riflessioni sul cinema di Robert Zemeckis Pietro Ammaturo (Università eCampus, Novedrate) Nel panorama delle riflessioni sul tempo nel cinema l’opera di Robert Zemeckis costituisce un caso particolarmente significativo per comprendere le modalità in cui la settima arte ha affrontato, manipolato e teorizzato la questione della temporalità. Il presente contributo intende focalizzarsi sulla produzione zemeckisiana che ha collocato il concetto di tempo al centro della propria poetica, trasformandolo di volta in volta in strumento narrativo, oggetto di riflessione e manifestazione di una tensione fra innovazione tecnologica e ricerca artistica. Centrale è la discontinuità temporale: dalla trilogia di Ritorno al futuro (1985, 1989, 1990) alle sperimentazioni digitali di The Polar Express (2004) e Welcome to Marwen (2018) fino al recente Here (2024), ispirato alla graphic novel di Richard McGuire, dove l’analisi si estende ulteriormente, grazie all’utilizzo massiccio dell’IA, esplorando non soltanto i paradossi o i salti cronologici, ma la coesistenza simultanea di epoche diverse nello stesso spazio e trasformandosi in una rete di connessioni tra passato, presente e futuro che si influenzano a vicenda. La produzione di Zemeckis, che diventa “laboratorio” per la comprensione delle strutture temporali in trasformazione, può essere analizzata attraverso il prisma della “durata” di Henri Bergson: come flusso continuo che supera la mera suddivisione cronologica, la durata consente di comprendere meglio le fluttuazioni temporali presenti nel suo cinema, che sovente gioca con ellissi, flashback e proiezioni in avanti per suggerire l’idea di un continuum spazio-temporale non riducibile a blocchi narrativi rigidamente separati. L’uso sempre più intenso e sofisticato della CGI, del motion capture e dell’IA colloca Zemeckis tra i pionieri di quel post-cinema che supera la tradizionale visione lineare, spalancando possibilità esperienziali nuove, dal montaggio interattivo ai mondi narrativi condivisi (Manovich 2012; Youngblood 2013). E con Here, la prospettiva post-cinematica si articola ulteriormente, poiché il set diventa un punto d’incontro di linee temporali differenti, quasi a suggerire una sorta di immagine digitale che ingloba i vari momenti storici in un’unica percezione integrata. L’esperienza temporale dei personaggi (e degli spettatori) diventa una metafora dell’identità contemporanea, dei “non-luoghi” e della fluidità identitaria (Augé 2005; Lacan 1979) come in Forrest Gump (1994) o Cast Away (2000), in cui il protagonista si muove fra diversi orizzonti temporali e spaziali, talvolta isolandosi dal mondo per poi riconnettersi a una realtà che nel frattempo è irrimediabilmente mutata. E ancora con Here, il regista mostra come la stessa stanza - in tempi diversi - possa ospitare storie e identità multiformi, in una sorta di “montaggio interiore” che dà forma a un mosaico temporale potenzialmente infinito. Un’evoluzione nella rappresentazione del tempo, da semplice cornice narrativa a dispositivo centrale per indagare l’identità, la memoria collettiva e i mutamenti socioculturali della modernità. Bibliografia essenziale: Amendola, A. (2012), Videoculture. Storia, teorie ed esperienze artistiche dell'audiovisivo sperimentale, Latina: Tunué. Augé, M. (2005), Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano: Elèuthera. Bergson, H. (2002), L’evoluzione creatrice, Milano: Raffaello Cortina. Casetti, F. (2004), Teorie del cinema. 1945-1990, Milano: Bompiani. De Gaetano, R. (1996), Passaggi: figure del tempo nel cinema contemporaneo, Roma: Bulzoni. Deleuze, G. (1989), Cinema 2. L’immagine-tempo, Milano: Ubulibri. Frezza, G. (2005), Effetto notte: le metafore del cinema, Roma: Meltemi. Hagener, M., Hediger, V., Strohmaier, A. (eds.) (2016), The State of Post-Cinema: Tracing the Moving Image in the Age of Digital Dissemination, London: Palgrave Macmillan. Lacan, J. (1979), Scritti, Torino: Einaudi. Malavasi, L. (2017), Postmoderno e cinema: nuove prospettive d’analisi, Roma: Carocci. Manovich, L. (2012), Il linguaggio dei nuovi media, Milano: Olivares. Morin, E. (2016), Il cinema o l’uomo immaginario: saggio di antropologia sociologica, Milano: Raffaello Cortina. Sobchack, V. (2002), Spazio e tempo nel cinema di fantascienza: filosofia di un genere hollywoodiano, Bologna: Bononia University Press. Yougblood, G. (2013), Expanded Cinema, a cura di P. L. Capucci e S. Fadda, Bologna: CLUEB. --- Contributo 3 Titolo: Il tempo come oggetto narrativo nel cinema e nelle serie tv Alessio Ceccherelli (Link Campus University) Il tempo è strutturalmente legato ai media e alle tecnologie (Kern 1983); è sia loro causa che effetto. Da un lato, influisce sulla concettualizzazione e preparazione di forme mediali non ancora esistenti (l’invenzione della scrittura serve anche a ottimizzare il tempo di raccolta dei dati e consentirne una maggiore durata; l’invenzione della stampa serve anche a ottimizzare il tempo di riproduzione delle copie e velocizzare quello di lettura; etc.). Dall’altro, le forme mediali influiscono sulla nostra percezione e gestione del tempo e dello spazio, a livello individuale e collettivo: “Il medium è il messaggio” (McLuhan 1964) vuol dire anche questo. All’interno di una cornice epistemologica che ruota intorno al concetto di mediologia (McLuhan, McLuhan 1988; Debray 2000), e che indaga le forme simboliche dell’immaginario come espressioni di sensibilità sociali e culturali (Abruzzese 1979; Grassi 2012; Ragone 2019; Amendola, Tirino 2021), questo contributo si concentra sui modi in cui il cinema e le serie tv hanno affrontato e stanno affrontando il tema del tempo. Non solo e non tanto come elemento formale (Eisenstein 1949; Elsaesser, Hagener 2015), ma anche come oggetto di trattazione narrativa. Il punto di partenza è uno studio già condotto sulla rilevanza e sulle funzioni del viaggio nel tempo nei media (XXX 2023), tema che ha col cinema una relazione particolare: nel rendere visivamente percepibile l’alterazione del flusso narrativo (accelerazioni, rallentamenti, flashback, flashforward), la fruizione di film e serie tv fa compiere una sorta di percorso temporale allo spettatore, facendogli “sensibilmente” vivere l’esperienza della memoria (Kilbourn 2010), dell’immaginazione, del sogno (Morin 1956). Queste alterazioni sono interpretabili anche dal punto di vista sociologico: perché c’è una netta rilevanza di viaggi nel passato? Può esserci una metafora sociale alla base dell’intensificazione, a partire da Groundhog Day (1993), del time loop come stratagemma diegetico? Da questa base, il campo di indagine si allarga ad altre forme di utilizzo del tempo come contenuto e vettore narrativo. Le ucronie, ad esempio, sono spesso particolari riscritture del tempo storico, in cui si immagina un decorso alternativo come riflesso e riflessione sul reale, e che trovano nella serialità delle piattaforme terreno fertile e di grande successo: The Man in the High Castle (2015-2019), For All Mankind (2019-), Fallout (2024-). Al di là di generi o categorie, anche opere autoriali sono costruite intorno al nucleo tematico e semantico del tempo. I film di Nolan sono in buona parte incentrati su di esso: Memento (2000), Interstellar (2010), Inception (2014), Tenet (2020) manifestano forse la dichiarazione di impossibilità a poter conquistare e controllare il tempo come si è fatto con lo spazio (Ilardi 2023). Una serie tv come True Detective, in particolare la prima (2014) e la terza stagione (2019), chiama lo spettatore a seguire un puzzle di piani temporali che solo gradualmente e faticosamente si riesce a ricomporre: un’operazione estetica la cui motivazione risiede anche nella difficoltà a percepire e riconoscere la propria identità, e in cui la ricostruzione della memoria si pone come disperato tentativo di ricerca di senso. Severance (2023-2025) racconta della separazione tra tempo del lavoro e tempo della vita privata, resi indipendenti nella memoria dei personaggi, a voler significare il conflitto tra le diverse richieste di attenzione, e dunque di tempo, a cui il soggetto moderno deve rispondere, quello interiore e quello sociale. Si tratta di alcuni esempi che indicano una crescente consapevolezza, emergente a livello dell’immaginario: la difficoltà delle società e delle culture occidentali a gestire la propria relazione con la Storia, con la memoria, con l’identità, col senso; la difficoltà degli individui a gestire richieste e istanze (di tempo) sempre più frequenti, conflittuali, contraddittorie che da queste società giungono. Questo contributo intende tracciarne una mappa. Bibliografia essenziale Abruzzese, A. (1979), La Grande Scimmia. Mostri, vampiri, automi, mutanti. L’immaginario collettivo dalla letteratura al cinema e all’informazione, Roma: Napoleone. Amendola, A. e Tirino, M. (a cura) (2021), 10 keywords. La matrice narrativa e la digital society. Saggi di mediologia della letteratura, Scafati (SA): Francesco D’Amato. XXX, A. (2023) Debray, R. (2000), Introduction à la médiologie, Paris: PUF. Eisenstein, S. (1949), Film Form: Essays in Film Theory, Harcourt. Elsaesser, T., Hagener, M. (2015), Film Theory. An Introduction Through the Senses, New York, NY: Routledge. Grassi, V. (2012), Mitodologie. Analisi qualitativa e sociologica dell'immaginario, Napoli: Liguori. Kern, S. (1983), The Culture of Time and Space 1880-1918, Cambridge, MA: Harvard University Press. Kilbourn, R.J.A. (2010), Cinema, Memory, Modernity: The Representation of Memory from the Art Film to Transnational Cinema, New York, NY: Routledge. Ilardi, E. (2023), I viaggi nel tempo di Christopher Nolan e la fisica filologicamente corretta. Inception, Interstellar e Tenet, in XXX (2023), op. cit. McLuhan, M. (1964), Understanding Media: The Extensions of Man, New York, NY: Macmillan. McLuhan, M., McLuhan, E. (1988), Laws of Media. The New Science, Toronto: University of Toronto Press. Morin, E. (1956), Le cinéma ou l'homme imaginaire. Essai d'anthropologie sociologique, Paris: Les Éditions de Minuit. Ragone, G. (2019), Per la mediologia della letteratura. Dieci saggi, Canterano (RM): Aracne. ---- Contributo 4 Titolo: La spazializzazione del tempo nel cinema immersivo Tatiana Mazali (Politecnico di Torino)
Sperimentare con la tecnologia così da esplorare la condizione umana e superare la dittatura del frame (Alejandro Gonzalez Inarritu, “Carne y Arena”) L’immersività delle immagini, e le tecnologie per, hanno una lunga storia che inizia con il precinema, dagli stereoscopi ai panorami ottocenteschi – “vedute della totalità”, per arrivare ai visori per la realtà virtuale di oggi, passando per le esperienze collettive dei Dome. Corpi fluttuanti e interagenti con gli ambienti narrativi trovano una nuova materialità possibile nelle immagini immersive in cui “si entra” indossando un visore VR. Ben lontani dalla “Spada di Damocle” – marchingegno avveniristico, interfaccia macchinica e ingombrante – realizzato da Bob Sproull nel 1968 ad Harvard, i Meta Quest di oggi permettono un ingresso “morbido” nel mondo delle immagini ambientali dei mondi immersivi. Mondi in cui il tempo si spazializza (Manovich 2011); mondi in cui prendono forma narrazioni a cui fatichiamo a dare un nome (cinema, post cinema, expanded cinema?) perché sfuggono ai perimetri dei generi e dei media stessi con le proprie consolidate tradizioni estetiche e “posture” della visione; mondi in cui le coordinate spazio-temporali vengono ridefinite in una esperienza utente ancor più iperreale (Baudrillard 2008). In definitiva, le immagini a 360° mettono in forma una nuova grammatica di visione. Il cinema immersivo con le sue immagini an-iconiche (Malaspina et al. 2023) spesso espande il tempo, talvolta lo accelera (quando la narrazione immersiva integra logiche di gameplay). Il tempo diventa spazio, lo spazio diventa tempo controllato dall’utente. Nel 360 le immagini diventano ambienti, cioè non sono più solo una rappresentazione, si mette in discussione lo statuto dell’immagine come “immagine-di”. Le caratteristiche fondamentali delle immagini ambientali sono: im-mediatezza; assenza di cornice; effetto presence (superando il principio di referenzialità che stabilisce un legame ma anche una distanza tra un’immagine tradizionale e ciò che rappresenta, le immagini ambientali si propongono di portare il corpo del pubblico in una relazione uno a uno con l’immagine). Nelle immagini immersive a 360° sparisce l’inquadratura, con questa sparizione il montaggio va in crisi (Perrone 2019; Zheleva et al. 2021), e il tempo torna ad essere campo di esplorazione, oltre le consuetudini del montaggio classico, e ugualmente lontano dal tempo rincorso, schiacciato, diminuito, istantaneizzato dei social media. Il cinema immersivo diventa un medium alla ricerca di un nuovo statuto, dove regole nuove non durano il tempo di una stagione (come la regola della durata minima di 8 secondi per una “buona” scena VR, come proposto da Victor Agulhon). Il tempo sfugge alle regole, si dilata, e, spazializzandosi, cerca di avvolgere l’utente in una sospensione dell’incredulità che è sempre minacciata dalla presenza (ancora ingombrante) del mezzo (ricordiamoci che un sistema immersivo produce la sensazione di presenza se lo scarto temporale tra movimento dell’utente e l’effetto sul sistema virtuale è prossimo al real-time – Slater 2009). Nelle sperimentazioni di cinema immersivo che sono state presentate negli ultimi dieci anni (dai noti Ted Talk di Nonny De La Pena e Chris Milk che hanno reso famoso il “nuovo” medium, nel 2015) abbiamo visto ogni sorta di rimescolamento delle grammatiche filmiche e mediali. Alle regole di organizzazione del tempo del montaggio si aggiungono o sostituiscono concetti nuovi, come quelli di densità spaziale e densità temporale che pone nuove sfide a chi scrive storie per questo medium (Tricart 2027). Il contributo qui presentato analizzerà la trasformazione del tempo nelle immagini ambientali del cinema immersivo, ancorando l’analisi ad alcune opere paradigmatiche, da Notes of Blindeness (2016) a Goliath (premio miglior opera VR Immersive, Festival del Cinema di Venezia 2021), con incursioni nel giornalismo immersivo di Nonny De La Pena. Bibliografia essenziale Baudrillard, J. (2008), Simulacri e Impostura, Simulacri e impostura. Bestie Beaubourg, apparenze e altri oggetti, PGreco. Grau, O. (2004), Virtual Art from Illusion to Immersion, The MIT Press. Malaspina, R. P., Modena, E., Pirandello, S. (2023), Introduction: Immersions and Dives: From the Environment to Virtual Reality, AN-ICON. Studies in Environmental Images, Vol. 2, no. II, pp. 4-11. Manovich, L. (2011), Il linguaggio dei nuovi media, Olivares. Perrone, G. (2019), Realtà virtuale. Come funziona il nuovo cinema a 360 gradi, Dino Audino Editore. Slater, M. (1999), Immersion, presence, and performance in virtual environments: An experiment with tri-dimensional chess. https://www.researchgate.net/publication/2633779_Immersion_Presence_and_Performance_in_Virtual_Environments_An_Experiment_with_Tri-Dimensional_Chess. Tricart, C. (2017), Virtual Reality Filmmaking: Techniques and Best Practices for VR Filmmakers, Routledge. Zheleva, B, De Letter, J., Durnez, W., De Marez, L. (2021), Can You Make the Cut? Exploring the Effect of Frequency of Cuts in Virtual Reality Storytelling, in Augmented Reality and Virtual Reality, Conference Proceedings, pp. 45-52. |
13:30 - 15:00 | Sessione 1 - Panel 08: Tempi della conciliazione e della cura nei contesti familiari Luogo, sala: Aula 11 (A0-B) Chair di sessione: Chiara Bertone Chair di sessione: Maddalena Cannito |
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Tempi della conciliazione e della cura nei contesti familiari 1Università del Piemonte Orientale, Italia; 2Università di Torino; 3Università di Macerata; 4Università di Bergamo; 5Università di Bergamo; 6Università di Macerata; 7Università di Macerata; 8Università Cattolica del sacro cuore di Milano; 9Università Cattolica del sacro cuore di Milano; 10Università Cattolica del sacro cuore di Milano; 11Università Cattolica del sacro cuore di Milano; 12Università di Bologna Nota introduttiva La questione della conciliazione tra vita privata e lavoro è riconosciuta oggi come centrale nelle società contemporanee: introdotto inizialmente per descrivere le strategie adottate dalle donne per gestire la "doppia presenza" nel mercato del lavoro e nella sfera domestica, il concetto di conciliazione richiede profondi ripensamenti nel contesto attuale di crisi della cura, profondi mutamenti nell’organizzazione sociale del lavoro e accelerazione dei ritmi di vita. In un contesto segnato da emergenze economiche, sanitarie ed ecologiche e da modelli di genere in evoluzione, la pressione temporale influenza infatti profondamente le dinamiche lavorative e familiari. In particolare, la pervasività delle tecnologie digitali e la cultura del "presenzialismo" nel lavoro contribuiscono a una sovrapposizione tra sfera professionale e privata, rendendo ancora più complessa la gestione del tempo e (ri)creando diseguaglianze intra e inter-genere. Che cosa significa, oggi, sviluppare pratiche e politiche di conciliazione fondate sul riconoscimento del valore del lavoro di cura e che promuovano una distribuzione più equa dei carichi di cura tra i diversi soggetti sociali? Rispetto all’impatto della crisi della cura, nelle sue diverse articolazioni, nel rafforzare le diseguaglianze di genere, si pone la questione cruciale di come diverse politiche della cura e della conciliazione possano contribuire a queste dinamiche o contrastarle. Il panel esplora le caratteristiche attuali delle pratiche e politiche di conciliazione, con particolare attenzione al contesto italiano e, in prospettiva comparata, a quello sud-Europeo, mettendole in relazione con specifiche dimensioni di crisi della cura, quali la crisi sanitaria della pandemia da Covid-19, la riduzione della natalità e l’incremento dei bisogni di cura legato all’invecchiamento della popolazione. I papers presentati pongono in modo importante la questione non soltanto dell’analisi delle misure adottate, con un focus sul ruolo delle imprese e delle misure di welfare aziendale, ma anche di come rilevare l’effettivo impatto delle misure di conciliazione sulle dinamiche familiari e sulle disuguaglianze di genere, attraverso strumenti di misurazione dalla prospettiva delle imprese o assumendo la prospettiva delle/dei caregiver. Il paper “L’impatto della crisi Covid-19 nel Sud Europa e le disuguaglianze di genere nella conciliazione tra famiglia e lavoro” analizza le risposte politiche alla crisi sanitaria e le misure adottate per contrastare gli effetti della pandemia sulle disuguaglianze di genere, interrogandosi sulla variabilità della loro efficacia. Anche il paper “Il tempo della cura in famiglia: un'analisi delle dinamiche di genere e delle conseguenze sull'occupazione nel Sud Europa”, propone un’analisi comparativa, focalizzandosi sulle caratteristiche sociodemografiche dei caregiver familiari e discutendo l’impatto delle loro pratiche di cura sull’attività lavorativa e sulle disuguaglianze di genere. Il paper “Come promuovere il benessere delle famiglie: il Modello FamILens nella conciliazione tra tempi della famiglia e del lavoro” discute un modello di analisi e riflessione che consente la valutazione dell’impatto di politiche e servizi sul benessere delle famiglie, attraverso un lavoro collaborativo e un’indagine che hanno coinvolto accademici, manager e consulenti di impresa. Il paper “Crisi demografica, pari opportunità e conciliazione vita-lavoro: quale intreccio sostenibile?”, facendo riferimento al recente Codice di autodisciplina delle imprese responsabili, analizza le misure effettivamente realizzate dalle imprese in favore della maternità e ne discute i possibili effetti.
Abstract Paper “L’impatto della crisi Covid-19 nel Sud Europa e le disuguaglianze di genere nella conciliazione tra famiglia e lavoro” Crespi Isabella (UNIMC) Lomazzi Vera e Pellegrino Margherita (UNIBG) La pandemia di Covid-19 ha amplificato le disuguaglianze sociali preesistenti, ponendo sfide significative per la parità di genere. L’aumento delle esigenze di cura e delle richieste lavorative è emerso con particolare forza durante la prima ondata, quando quasi tutti i paesi europei hanno adottato restrizioni che imponevano la permanenza in casa. Numerosi studi hanno analizzato l’impatto di genere della pandemia e delle misure di contenimento, evidenziando come il carico di lavoro domestico e di cura sia aumentato in modo sproporzionato per le donne. Questo studio, adottando una prospettiva di genere, si basa sulla letteratura esistente per esaminare le politiche e le strategie adottate in alcuni paesi dell’Europa meridionale (Italia, Spagna, Grecia e Portogallo) per conciliare vita lavorativa e familiare durante la pandemia. L’analisi prende in esame le risposte politiche alla crisi sanitaria e la loro interazione con le disuguaglianze di genere preesistenti, offrendo al contempo spunti di riflessione per affrontare sfide future. Tra queste, il lavoro flessibile, i congedi parentali e le modalità di lavoro da remoto giocano un ruolo cruciale nella costruzione di un piano di ripresa più equo e inclusivo. L’impatto della pandemia è stato particolarmente forte nei paesi dell’Europa meridionale, dove la combinazione di ruoli di genere tradizionali, diffusione del virus e misure restrittive ha aggravato le disparità. L’intensificarsi delle esigenze di cura ha accentuato il divario di genere, con le donne che hanno assunto un carico aggiuntivo di responsabilità, tra assistenza ai figli, didattica a distanza e cura degli anziani, oltre agli impegni professionali. Questa situazione è stata ulteriormente complicata dalla fragilità del mercato del lavoro nella regione, caratterizzato da un’alta incidenza di impieghi precari e informali, che colpiscono in modo particolare le donne. Basandosi sui dati del database Covid-19 EU PolicyWatch, l’analisi esamina le misure adottate per contrastare gli effetti della pandemia sulle disuguaglianze di genere. Sebbene siano stati introdotti interventi per mitigare la crisi, la loro efficacia è risultata variabile, riflettendo differenze nei sistemi di welfare, nelle priorità governative e negli atteggiamenti culturali rispetto ai ruoli di genere. Il contesto dell’Europa meridionale rappresenta dunque un caso di studio significativo per comprendere le implicazioni della pandemia sulla parità di genere. Il progresso verso l’uguaglianza in questa regione è stato più lento rispetto ai paesi dell’Europa settentrionale e occidentale, rendendola un ambito di indagine privilegiato per approfondire il complesso rapporto tra ruoli di genere tradizionali, politiche di conciliazione e interventi sociali in situazioni di crisi. Infine, questo studio propone raccomandazioni politiche per affrontare le sfide legate alla parità di genere, sottolineando l’importanza di strategie inclusive che tengano conto delle differenze di genere nel lavoro e nelle responsabilità di cura. Il rafforzamento dei sistemi di supporto, l’espansione delle modalità di lavoro flessibile e l’adozione di riforme politiche sensibili alle questioni di genere sono elementi chiave per i paesi dell’Europa meridionale nella fase di ripresa post-pandemica e nella costruzione di un futuro più equo. Bibliografia Andrei, D. M. 2023. Work-family balance during covid-19 pandemic in EU member states. Internal Auditing & Risk Management 68(2): 42-59. Casquilho-Martins, I., and Belchior-Rocha, H. 2022. Responses to COVID-19 Social and Economic Impacts: A Comparative Analysis in Southern European Countries. Social Sciences 11(2): 36. Daly, M., León, M., Pfau-Effinger, B., Ranci, C., & Rostgaard, T. 2022. COVID-19 and policies for care homes in the first wave of the pandemic in European welfare states: Too little, too late?. Journal of European social policy, 32(1), 48-59. Del Boca, D., Oggero, N., Profeta, P., and Rossi, M. 2020. Women’s and men’s work, housework and childcare, before and during COVID-19. Review of Economics of the Household 18(4): 1001–1017. https://doi.org/10.1007/s11150-020-09502-1 Eurofound. 2020. COVID-19: Policy responses across Europe. Luxembourg: Publications Office of the European Union. Eurofound. 2022. COVID-19 pandemic and the gender divide at work and home, Publications Office of the European Union, Luxembourg. Eurofound. 2023, Economic and social inequalities in Europe in the aftermath of the COVID-19 pandemic, Publications Office of the European Union, Luxembourg European Commission. 2022. Gender equality and work-life balance policies during and after the COVID-19 crisis – Thematic review 2022 – Synthesis, Publications Office of the European Union, 2022, https://data.europa.eu/doi/10.2767/50106 Rubery, J., and Tavora, I. (2020). The Covid-19 crisis and gender equality: risks and opportunities. In B. Vanhercke, S. Vanhercke B., Spasova S. and Fronteddu B. (eds.) 2021. Social policy in the European Union: state of play 2020. Facing the pandemic, Brussels, European Trade Union Institute (ETUI) and European Social Observatory (OSE), Sánchez-Mira, N. (2021). Remote Work and Work-Life Balance during the COVID-19 Pandemic in Southern Europe: Gender Inequalities and Cultural Challenges. Journal of Family Studies 27(2): 132-148. Vitoria, B. D. A., Ribeiro, M. T., and Carvalho, V. S. 2022. The work-family interface and the COVID-19 pandemic: A systematic review. Frontiers in Psychology, 13: 914474. Abstract Paper “Il tempo della cura in famiglia: un'analisi delle dinamiche di genere e delle conseguenze sull'occupazione nel Sud Europa” Palermo Melanie Sara, Scocco Marta* Negli ultimi decenni, i Paesi europei hanno subito trasformazioni sociodemografiche significative, tra cui l'aumento dell'aspettativa di vita e la diminuzione del tasso di natalità. Questa transizione demografica ha portato a un progressivo invecchiamento della popolazione, con conseguenze profonde sul sistema di welfare, sia a livello economico che sociale, in particolare sulle dinamiche familiari e di cura degli anziani, sulle vite dei caregiver e sulle relazioni di genere. Nei Paesi del Sud Europa, i membri familiari, in particolare le donne, hanno tradizionalmente svolto un ruolo centrale nell'assistenza agli anziani, costituendo il pilastro di un sistema di welfare basato sulla cura informale e non retribuita e sulla solidarietà familiare, integrando i servizi pubblici e privati (Bramanti, 2022; Quashie et. al., 2022). Questi Paesi condividono inoltre un contesto socioeconomico e culturale che ha a lungo influenzato la divisione del lavoro, a livello domestico e non, denotato da norme patriarcali, strutture familiari conservatrici e riforme economiche che hanno contribuito alla persistenza di disparità di genere sia nella sfera pubblica che privata (EIGE. s.d.; Aasve 2014). Tuttavia, i cambiamenti socioeconomici e culturali degli ultimi decenni, in particolare la riduzione delle dimensioni familiari, l'aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e il cambiamento dei ruoli di genere, hanno messo a dura prova la sostenibilità di questo modello. Le attività di cura richiedono infatti un notevole investimento di tempo, energie e risorse psico-fisiche, con ripercussioni significative sulla vita dei caregiver, che si trovano a dover conciliare le responsabilità di cura con gli impegni lavorativi e familiari; con possibili conseguenze negative sul benessere psicofisico, sulle relazioni sociali e sulla carriera professionale (Di Nicola e Viviani, 2020). Inoltre, la cura informale può contribuire a perpetuare le disuguaglianze di genere. Di fronte a queste sfide, i Paesi europei sono chiamati a ripensare i modelli di cura tradizionali. Il presente contributo si propone di approfondire la conoscenza della figura del caregiver familiare nei Paesi del Sud Europa, (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia), chiedendosi quali sono le caratteristiche sociodemografiche dei caregiver familiari (sesso, età, istruzione e occupazione) e qual è l’impatto dei compiti di cura sull’attività lavorativa, in particolare considerando le differenze di genere. Attraverso una prospettiva comparativa, il contributo sottolinea le disparità di genere presenti nel settore della cura informale, che vede le donne penalizzate, oltre a evidenziare la rilevanza dei caregiver familiari nel sistema di welfare dei Paesi del Sud Europa e la necessità di politiche pubbliche che ne riconoscano il ruolo socioeconomico, che promuovano la conciliazione dei tempi personali, professionali e di cura e che contribuiscano a ridurre le disuguaglianze di genere. Bibliografia Aassve, A., Fuochi, G., Mencarini, L. (2014), Desperate Housework: Relative Resources, Time Availability, Economic Dependency, and Gender Ideology Across Europe, in «Journal of Family Issues», vol. 35, n.8, pp. 1000–1022. https://doi.org/10.1177/0192513X14522248 Bramanti, D. (2022), The Intergenerational Representation of Old Age in the Transition to Frailty: An Empirical Analysis in Italy, in «Social Inclusion», vol. 11, n. 1 pp. 246-255. doi:10.17645/si.v11i1.6027. Di Nicola, P., Viviani, D. (2020), Lavoro di cura: emozioni, sentimenti, frustrazioni, in L. M. Napolitano Valditara, (a cura di), Curare le emozioni, curare con le emozioni, Milano, Mimesis Edizioni, pp. 269-302. EIGE, (s.d.), Comparing Time / Care activities scores in 2023 edition, in «Gender Equality Index» https://eige.europa.eu/gender-equality-index/2023/compare-countries/time/1/bar (consultato in data 8 novembre 2024) Quashie, N.T., Wagner, M., Verbakel, E., Deindl, C.(2022), Socioeconomic differences in informal caregiving in Europe, in «European Journal of Ageing», n. 19, pp. 621-632. doi: 10.1007/s10433-021-00666-y. Abstract Paper “Come promuovere il benessere delle famiglie: il Modello FamILens nella conciliazione tra tempi della famiglia e del lavoro” Bosoni Maria Letizia marialetizia.bosoni@unicatt.it , Mazzucchelli Sara
Nel contesto odierno, caratterizzato da rapide trasformazioni, dalla necessità di una sempre maggiore integrazione di ruoli, tempi e spazi, la sfida di conciliare la genitorialità con il lavoro diventa sempre più impegnativa per uomini e donne. Le nuove teorizzazioni sulla conciliazione famiglia-lavoro prevedono la possibilità di generare benessere non solo per il singolo lavoratore, ma anche per le relazioni personali e familiari (Manzi, Mazzucchelli 2020, Agrawal, Mahajan 2021). In tale contesto, il FamILnes - un modello di analisi e riflessione che consente la valutazione dell’impatto di politiche e servizi sul benessere delle famiglie - consente un avanzamento nella riflessione. Ispirato ad un modello di studio americano (Carrà, Moscatelli 2024, https://centridiateneo.unicatt.it/studi-famiglia-familens), è stato importato in Italia da un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica di Milano, che con le opportune modifiche, hanno sviluppato uno strumento per valutare le ricadute sulle famiglie delle pratiche/iniziative aziendali. Lo strumento è denominato Family Impact Checklist ed è basato sulla constatazione che ogni iniziativa dell’azienda e ogni pratica di welfare aziendale ha un impatto sulle relazioni familiari dei lavoratori. La logica sottesa è win win: l’integrazione positiva tra ambito familiare e dimensione lavorativa produce benefici sia per i lavoratori e le loro famiglie, sia per le imprese. Risulta quindi fondamentale comprendere cosa l’integrazione tra spazi e tempi di lavoro e di cura generi, in termini di benessere/malessere, nelle famiglie. La Family Impact Checklist si basa su 6 principi chiave per promuovere il benessere delle famiglie: Responsabilizzare le famiglie, Promuovere la stabilità delle famiglie, Promuovere la qualità delle relazioni familiari, Valorizzare la diversità delle famiglie, Coinvolgere attivamente le famiglie, Promuovere le reti familiari. Questi principi possono essere intesi come obiettivi da perseguire per produrre benessere. La costruzione dello strumento si è svolta attraverso un processo riflessivo e partecipativo in cui sono stati coinvolti sia accademici sia, attraverso la metodologia del Delphi, manager e consulenti di impresa. Il questionario è stato somministrato online ad un campione di 362 manager di imprese italiane (bilanciato per genere, ampiezza dell’impresa e area geografica). I risultati evidenziano la presenza di una cultura volta a favorire la conciliazione e il benessere del dipendente e della sua famiglia, con particolare attenzione per i principi della responsabilità, della stabilità e della diversità e delle relazioni. Minore è invece l'impatto delle imprese sulla capacità di coinvolgere attivamente le famiglie e di promuovere reti familiari. Bibliografia Agrawal, M., & Mahajan, R. (2021). Work–family enrichment: An integrative review. International Journal of Workplace Health Management, 14(2), 217-241. Manzi, C., & Mazzucchelli, S. (2020). Famiglia e lavoro: Intrecci possibili. Vita e Pensiero, Milano. Carrà, E., Moscatelli, (2024), Il manuale del FamILens. Modelli e strumenti per l'analisi dell'impatto familiare. QUADERNI DEL CENTRO FAMIGLIA, 35, 1-120.
Abstract Paper “Crisi demografica, pari opportunità e conciliazione vita-lavoro: quale intreccio sostenibile?” Elena Macchioni Il presente contributo si pone l’obiettivo di esplorare, con lenti sociologiche, il fenomeno della maternità là dove esso si intreccia con la questione della crisi demografica e le politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La maternità è quel fenomeno sociale che riguarda le donne e le coinvolge direttamente in una (o più) delle seguenti esperienze: la gravidanza, la nascita, la cura e l’educazione dei figli. Il significato di questo termine si è nettamente trasformato nel corso del tempo. Nel medioevo, e fino a tutta l’età moderna, le madri hanno ricoperto un ruolo centrale nell’economia domestica contadina che formava l’unità economica di base. Il ruolo sociale della madre è mutato profondamente a seguito dell’industrializzazione, grazie al loro lavoro prestato in fabbrica e al cambiamento nella struttura della famiglia. Si tratta di un primo, timido, seppur rivoluzionario, cambiamento nella divisione dei ruoli di genere. Claudia Goldin, premio Nobel per l’economia nel 2023, definisce questa rivoluzione “silenziosa”. La rivoluzione riferita all’istruzione è quasi interamente compiuta: le donne italiane sono più istruite dei compagni uomini, nel 1950 le donne erano il 25% dei laureati, oggi sono quasi il 60%. Sul lavoro, in Italia solo una donna su due è occupata. Quando lavorano, le donne affrontano ostacoli maggiori degli uomini a progredire nella carriera e ricevono guadagni più bassi. I più recenti dati Istat indicano che a parità di livello di istruzione, i dipendenti uomini hanno retribuzioni medie annue sempre superiori alle donne, nel caso dell’istruzione terziaria il valore è pari al 45,7%. La maternità comporta una perdita di occupazione e salari stimata intorno al 33%. Anche il tasso di fecondità è ai minimi storici (1,21 nel 2024). Al calo della fecondità si abbina il fenomeno del posponimento delle nascite testimoniato dal dato medio di 33 anni d’età delle donne al momento del parto. Più del 50% degli italiani pensa che i bambini soRrano se la mamma lavora, in Svezia sono il 15%, in Francia e Germania circa il 30% (World Value Survey). In Italia permane una cultura che impone una rigida divisione dei ruoli di genere: le donne lavoratrici italiane dedicano 2 ore e 55 minuti in più al giorno degli uomini al lavoro di cura e domestico. Secondo Esping-Andersen si può parlare di una “rivoluzione” si, ma per lo più “incompiuta”. La rivoluzione nel suo dispiegarsi non permette alle donne di raggiungere l’agognata parità, ma genera (ulteriori)significativi squilibri. Secondo Esping-Andersen una precondizione fondamentale per il superamento delle disuguaglianze di genere è rappresentato da uno stato sociale più egualitario. Sappiamo, però, che da circa un ventennio alla luce delle trasformazioni avvenute all’interno dell’arena di welfare, accanto ai dispositivi di welfare istituzionale si sono sviluppate una serie di misure promosse dalle singole imprese in favore del benessere dei propri dipendenti e delle loro famiglie, è il fenomeno del welfare aziendale. Vista l’attuale fase di ricalibratura del welfare sono diverse le policy centrali che sono andate nella direzione di sostenere con interventi che potremmo definire “quadro” il protagonismo delle imprese in ambito sociale. Dentro a questo frame di policy si colloca lo strumento del Codice di autodisciplina delle imprese responsabili, presentato dall’attuale Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità a partire dal novembre 2023 e promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità. Lo strumento del Codice prende avvio proprio dall’osservazione delle buone pratiche in essere promosse da imprese, enti bilaterali e fondo sanitari per sostenere donne e natalità. Il Codice segue l’approccio trasversale e strategico del Governo sul tema della natalità e si pone l’obiettivo di intrecciare le sfide relative all’inverno demografico, con quelle relative alla promozione delle pari opportunità e della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Ad un anno dal lancio del Codice, il presente contributo si pone l’obiettivo di analizzare quali misure sono state effettivamente realizzate dalle imprese in favore della maternità, con quali effetti e, infine quali possono essere gli elementi che permettono una connessione fra il Codice di autodisciplina e la Certificazione della parità di genere promossa tramite il PNRR. Bibliografia - AA.VV (2024), Il Paese più vecchio d’Europa, Numero monografico Rivista il Mulino, 4/2024, il Mulino: Bologna - Esping-Andersen, G. (2011), La rivoluzione incompiuta. Donne, famiglie, welfare, il Mulino: Bologna - Goldin, C. (2021) Career & Family: Women’s Century-Long Journey Toward Equity, Princeton University Press: Princeton - Istat (2024), Rapporto annuale 2024, Istat: Roma https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/05/Rapporto-Annuale-2024.pdf - Miniello, A. (2022), Non è un paese per madri, Laterza: Roma-Bari - Naldini, M. e Saraceno, C. (2011) Conciliare famiglia e lavoro. Vecchi e nuovi patti tra sessi e generazioni, il Mulino: Bologna. - Save the Children (2024), Le equilibriste. La maternità in Italia; Save the Children: Roma https://s3-www.savethechildren.it/public/files/uploads/pubblicazioni/le-equilibriste-la-maternita-italia-nel-2024.pdf - Zezza, R. (2025) Cura, FrancoAngeli: Milano. |
13:30 - 15:00 | Sessione 1 - Panel 09: Religiosità, partecipazione e nuove generazioni: istituzioni religiose e immaginario spirituale post-moderno Luogo, sala: Aula 12 (A1-B) Chair di sessione: Andrea Casavecchia |
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Religiosità, partecipazione e nuove generazioni: istituzioni religiose e immaginario spirituale post-moderno 1Università di Roma Tre, Italia; 2Università di Bologna, Italia; 3Politecnico di Torino, Italia Il panel ospita riflessioni di carattere teorico e di ricerca empirica che aprono uno spazio di confronto sulle modalità di rappresentazione sociale delle istituzioni religiose con un’attenzione specifica alle nuove generazioni e al rapporto tra società del rischio, narrazione e costruzione/decostruzione dello spazio sacro. In particolare, ci si concentra sulla sfida educativa che affrontano le istituzioni religiose per adattare la loro proposta a una loro rappresentazione mediatica che le mostra distanti e disancorate dalla realtà sociale. All’interno di società secolarizzate in cui gli individui credenti sembrano posizionarsi lungo un continuum che va da un’appartenenza senza credenza a una credenza senza appartenenza, ci si interroga da un lato sulle modalità di rappresentazione nell’immaginario sociale delle rappresentazioni religiose, dall’altro sulle tipologie di comportamento che le nuove generazioni assumono quando partecipano alla vita delle comunità di fede. Lo scenario complessivo sembra delineare una cornice che rappresenta scenari plurali verso l’immaginario che rappresenta le istituzioni religiose. Il panel ospita interventi che aprono un dialogo tra i processi comunicativi che affrontano la relazione tra religione e soggetti sociali e i processi culturali che la condizionano. Apre il panel un intervento dal titolo “La società è prevedibile: fede e narrazione in The New Pope di Paolo Sorrentino” si confronta sui fenomeni di individualizzazione della fede e l’impatto mediatico. Quando si osservano istituzioni come la Chiesa cattolica, all’interno del contesto mediatico appaiono narrazioni che osservano una rappresentazione dell’istituzione ecclesiale: le più recenti rappresentazioni cinematografiche e televisive della vita religiosa, sovente declinate in format seriali digitalizzati, pongono in primo piano la complessità dell’agire religioso e le istanze di ricerca di forme originali e non convenzionali di religiosità, anche tra le generazioni più giovani, proiettate in sfere informative e simboliche sempre più dinamiche. Una seconda riflessione dal titolo “Religioni, corpi e riti di donne: rappresentazioni mainstream contemporanee” si interroga sulle modalità di rappresentazione della soggettività politica delle donne, attraverso il ruolo che viene attribuito allo spazio religioso e spirituale, in narrazioni mainstream contemporanee. Per discuterne, proponiamo l’analisi di alcuni prodotti culturali di fiction speculativa evidenzia una prospettiva attraverso cui archetipi socioculturali rivelano le forme di inclusione ed esclusione dalla sfera religiosa “ufficiale” delle donne. Il terzo intervento “Vicini e lontani. Giovani, fede e comunità di credenti” che illustra - a partire da una ricerca multimethod sul rapporto tra i giovani italiani e la religione cattolica - il posizionamento variabile che assume la nuova generazione verso le istituzioni ecclesiali. Le indagini sulle nuove generazioni, d’altro canto, mostrano uno scenario più articolato. Emergono atteggiamenti che distinguono la rappresentazione dell’istituzione ecclesiale da quella relativa alle comunità di appartenenza. Ne scaturisce una doppia misura della religiosità nella quale la partecipazione e il grado di coinvolgimento diventa dimensione in cui si articolano le diverse sfumature in particolare tra i giovani. Conclude il panel la relazione “Pratiche relazionali come ponte tra vecchie e nuove generazioni di credenti: una ricerca nelle diocesi di Roma” tematizza il confronto e l’incontro tra le generazioni di credenti. I risultati mostrano come i giovani intervistati facciano da ponte tra le vecchie e le nuove generazioni di credenti proprio grazie all’utilizzo di approcci e pratiche relazionali. Da un lato, adulti significativi e autentici sono stati d’esempio per loro per tessere relazioni e continuare a credere e ad appartenere alle proprie comunità. Dall'altro, gli stessi giovani intervistati, in quanto educatori/educatrici, propongono a loro volta un approccio relazionale alle nuove generazioni di giovani di cui si prendono cura nelle loro comunità. Ordine degli interventi: |
13:30 - 15:00 | Sessione 1 - Panel 10: Consumi culturali, memorie e immaginari al tempo della mediatizzazione Luogo, sala: Aula 13 (A1-C) Chair di sessione: Silvia Leonzi |
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Consumi culturali, memorie e immaginari al tempo della mediatizzazione 1Sapienza Università di Roma, Italia; 2Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; 3Alma Mater Studiorum Università di Bologna; 4Università degli Studi di Bergamo; 5Università degli Studi di Urbino Carlo Bo NOTA INTRODUTTIVA Nel tempo in cui viviamo, contraddistinto dall’interconnessione e dall’ibridazione tra dimensioni e pratiche fisiche e digitali, i processi di consumo culturale, di costruzione e di condivisione delle memorie e degli immaginari sono stati oggetto di una progressiva trasformazione, cui contribuiscono anche le dinamiche di ri-mediazione e di mediatizzazione. L’innovazione, la re-invenzione, ma anche talvolta la resistenza, delle modalità attraverso cui fruire di contenuti culturali e mediali si pongono come caratteristiche di un sistema multidimensionale, al cui interno gli individui attivano pratiche e acquisiscono conoscenze in funzione della coesistenza di logiche diverse. A quelle dei legacy media e delle industrie creative tradizionali si affiancano, con il portato dei rischi connessi, quelle della piattaformizzazione e del transmedia. Contestualmente, rivestono un ruolo determinante anche le logiche riconducibili al set di competenze e alle caratteristiche dei repertori mediali e digitali di cui ciascuno è in grado di disporre in funzione delle proprie peculiarità identitarie, socio-culturali e generazionali. In questo senso, dunque, appare fondamentale considerare i consumi e le pratiche mediali come spazi di negoziazione e ridefinizione dei riferimenti culturali, dei valori sociali e delle porzioni di un immaginario condiviso che danno origine a forme inedite di continuità e discontinuità. Alla luce di un simile scenario, il panel intende riflettere sui modi in cui le pratiche mediali continuano a contribuire, seppure in forme sempre meno cristallizzate e sempre più pulviscolari, alla circolazione, alla selezione e alla stratificazione di riferimenti simbolici, alla costruzione di narrazioni collettive, alla generazione di conoscenze, alla trasmissione di memorie e alla sedimentazione di immaginari. Tale riflessione da un lato non può prescindere dal considerare la complessificazione delle catene di interconnessione tra attori, tecnologie e domini sociali coinvolti, anche nel segno della mediatizzazione. Dall’altro, dalla necessità di tenere insieme attraverso un approccio ecologico le prospettive interpretative della sociologia dei processi culturali e comunicativi, dei media studies e della sociologia dei consumi, per rifuggire da ricostruzioni riduttive o semplificatorie, in quanto basate esclusivamente su processi di clusterizzazione (come per esempio quelli generazionali). L’obiettivo del panel, pertanto, è quello di considerare le pratiche mediali e di consumo culturale come forme di appropriazione e di risemantizzazione influenzate da variabili di tipo comunicativo, culturale e tecnologico e alla base dei processi attraverso cui le memorie e gli immaginari si costruiscono, si frammentano e si ricompongono, si tramandano, seppure secondo modalità talvolta completamente differenti dal passato o persino condizionate da una profonda tensione tra permanenza e obsolescenza. Il panel si articola attraverso la presentazione di prospettive teoriche e casi di ricerca. Il primo contributo si focalizza, tanto dal punto di vista teorico quanto con riferimenti a specifiche analisi, sulla categoria socioculturale di “generazione”, riflettendo in chiave critica sulla sua capacità di rappresentare ancora uno strumento utile, anche alla luce delle dinamiche di frammentazione e rimediazione degli immaginari e delle memorie sociali, così come dei processi di mediatizzazione profonda. Il secondo contributo approfondisce la dimensione personale e sociale della mortalità umana, indagando l’intreccio tra le culture del lutto e del ricordo, e le logiche e le affordances delle piattaforme digitali, attraverso una ricerca sulle pratiche di commemorazione dei defunti online. Il terzo paper riflette sull’ipotesi che sia in atto un processo di re-figurazione del rapporto tra consumi e pratiche mediali, memorie e immaginari che, basandosi su una logica ricorsiva, influisce sulla loro capacità (o incapacità) di sedimentazione e di condivisione. Nel quarto paper viene proposta l’analisi della fruizione sulle piattaforme (in particolare TikTok) di un prodotto mediale (una iconica canzone jugoslava del 1986), in grado di attivare una riattualizzazione del passato, che configura al tempo stesso forme di continuità e discontinuità nella memoria collettiva di uno specifico Paese, la Serbia. CONTRO IL MARKETING GENERAZIONALE Piermarco Aroldi, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Il paper mira a contribuire al panel “Consumi culturali, memorie e immaginari al tempo della mediatizzazione” con una riflessione teorica, seppur supportata da esempi di analisi, sulla tenuta della categoria sociologica di ‘generazione’ quale strumento interpretativo dei processi di costruzione dei legami sociali e delle identità collettive e sul ruolo dei media nel supportare tali processi. Precedenti ricerche (autrice/tore, 2003; Colombo et al. 2012) hanno infatti provato a dimostrare il ruolo che i media – intesi sia come apparati sociotecnici disponibili che come repertori simbolici di immaginari condivisi – hanno storicamente esercitato nella progressiva definizione di un “we sense” generazionale (Corsten 1999), capace di darsi come un’identità culturale collettiva; tale ruolo si è mostrato più evidente in relazione ai processi di consumo realizzati durante gli anni della formazione, coerentemente con la proposta teorica formulata da Mannheim (1928/2000) nel suo contributo seminale sul “problema delle generazioni”, e in una dimensione retrospettiva, cioè nel momento in cui l’identità generazionale è fatta oggetto di riflessività condivisa e talvolta nostalgica da parte dei membri della medesima coorte, una volta raggiunta l’età adulta. In modo analogo, si è rivelata funzionale la capacità dei media stessi di ‘dare voce’ al “we sense” generazionale, sia in prospettiva “ingroup” che “outgroup”. Altre variabili significative, nel definire la capacità degli immaginari e delle memorie mediali a dare forma sociale a una generazione, si sono rivelate quelle che caratterizzano il contesto storico e – in specie – le svolte epocali, le crisi o i traumi in grado di agire come vere e proprie “catastrofi” simboliche, spartiacque o turning point che distinguono una generazione da quella che la precede o da quella che la segue (Edmunds, Turner 2002). Tali considerazioni spingono a considerare gli immaginari e le memorie mediali condivise da una generazione come uno degli elementi in gioco, sistematicamente inserito in una struttura sociale storicamente determinata, che richiede – come suggerito dal frame del panel – un approccio ecologico in grado di “tenere insieme le prospettive interpretative della sociologia dei processi culturali e comunicativi, dei media studies e della sociologia dei consumi” per evitare semplificazioni riduttive. Esempio di simili semplificazioni può essere trovato nell’uso acritico di alcune proposte del marketing generazionale, cui si fa provocatoriamente riferimento nel titolo di questo contributo, e che rischiano talvolta di ridurre la categoria di ‘generazione’ a semplice target o segmento di mercato basato su puri dati anagrafici; o che estendono le ‘label’ generazionali a livello globale senza tenere conto delle differenze strutturali che condizionano la formazione delle generazioni nei vari contesti nazionali o culturali. Al tempo stesso, il paper proposto intende indagare l’effettiva tenuta della categoria socioculturale di ‘generazione’ alla luce delle dinamiche di frammentazione e rimediazione degli immaginari e delle memorie sociali, così come dei processi di mediatizzazione profonda della società (Hepp 2020) che paiono agire in modo contraddittorio sulla possibilità di coagulazione intorno a unità di senso e contenuti simbolici fortemente condivisi. Riferimenti bibliografici Colombo F., Boccia Artieri G., Del Grosso Destrieri L., Pasquali F., Sorice M. (eds.) (2012), Media e generazioni nella società italiana, Milano, FrancoAngeli. Corsten M. (1999), “The time of generations”, in Time & Society, 8(2), pp. 249-272. Edmunds J.,Turner E. (2002), Generations, culture and society, Buckingham, Open University Press. Hepp A., (2020), Deep Mediatization, Oxon/New York, Routledge. Mannheim K. (1928/2000), “Il problema delle generazioni”, in K. Mannheim, Sociologia della conoscenza, Bologna, il Mulino, pp. 241-296. Autrice/tore, 2003 RICORDARE ONLINE? ADDOMESTICAMENTI E RESISTENZE NELL’USO DEI SOCIAL MEDIA NEL LUTTO IN ITALIA Roberta Bartoletti, Alma Mater Studiorum Università di Bologna La mortalità umana, crisi sociale e soggettiva per eccellenza, è evidentemente intrecciata con la temporalità, con la costruzione del presente, del passato e del futuro. I media influenzano in modo profondo queste relazioni, rimediando o trasformando le memorie degli eventi e delle persone care, e costruendo uno spazio temporalmente sospeso, almeno in apparenza, di connessioni sociotecniche tra tracce digitali e utenti. La nostra attenzione è concentrata sulle pratiche mediali di costruzione e condivisione di memorie e di immaginari sulla morte e sul rapporto con i defunti a partire dai risultati di una ricerca più ampia realizzata nell’ambito di un progetto PRIN, nel triennio 2017-2020, cui abbiamo partecipato con le unità di ricerca delle Università di Urbino e Bergamo. Gli obiettivi più ampi della ricerca erano quelli di indagare come gli italiani si rapportano alla morte oggi, quindi comportamenti atteggiamenti e credenze, abbracciando i diversi momenti della morte e del morire come processo. La nostra attenzione si è concentrata sul rapporto tra morte e media, sia attraverso un’indagine sulle rappresentazioni del lutto nella fiction italiana, sia attraverso un’analisi dei risultati della survey (2000 questionari rappresentativi della popolazione nazionale) e delle interviste in profondità (ca 400) in relazione al ruolo dei media digitali e sociali nelle pratiche mediali del lutto e del ricordo dei defunti. Le principali domande di ricerca sono: - come sono cambiate le pratiche del lutto e del ricordo dei defunti con l’avvento dei social media, nonché i continuing bonds? (forme di rimediazione e innovazioni) - quali sono i motivi per cui gli italiani usano o non usano i social media nelle loro pratiche del lutto e di commemorazione dei defunti? In questa presentazione ci concentriamo sulle pratiche della memoria dei defunti online, e sulle trasformazioni dei rituali e sulle controversie che emergono in relazione all’uso dei media digitali, e che dipendono dall’intreccio tra culture del lutto e del ricordo da un lato e logiche e affordances di media digitali e piattaforme dall’altro. I risultati della ricerca sono inoltre la base per una riflessione sugli addomesticamenti immaginati delle applicazioni di intelligenza artificiale attualmente disponibili per costruire forme di immortalità digitale. La relazione vede il dialogo tra diversi filoni di ricerca, da un lato i memory studies in relazione alle memorie private e familiari, i death studies in relazione in particolare alle trasformazioni del rapporto con i defunti e le pratiche del lutto e la memoria, e gli internet studies, al cui interno si è recentemente sviluppata un’area internazionale di ricerca sulla morte e il lutto online. Riferimenti bibliografici Arnold M., Gibbs M., Kohn T., Meese J., Nansen B. (2018), Death and Digital Media, London, Routledge. Despret V. (2015), Au bonheur des morts. Récits de ceux qui restent, Paris, La Découverte. Howarth G. (2000), “Dismantling the boundaries between life and death”, in Mortality, 5(2), pp. 127-138. Lagerkvist A. (2013), “New Memory Cultures and Death: Existential Security in the Digital Memory Ecology”, in Thanatos, 2(2). Papacharissi Z. (ed.) (2018), A Networked Self and Birth, Life, Death, New York, Routledge. Splichal S. (2018), “Publicness-Privateness: Liquefaction of ‘The Great Dichotomy’”, in Javnost-The Public, 25(1-2), 1-10. Sumiala J. (2022), Mediated Death, Cambridge, Polity. Van Brussel L., Carpentier N. (eds.) (2014), The social construction of death: interdisciplinary perspectives, Basingstoke, Palgrave MacMillan. Walter T. (2015), “New mourners, old mourners: Online memorial culture as a chapter in the history of mourning”, in New Review of Hypermedia and Multimedia, 21(10-24). Walter T. (2018), “The pervasive dead”, in Mortality, 24(4), pp. 389-404. Walter T., Hourizi R., Moncur W., Pitsillides S. (2012), “Does the Internet Change How We Die and Mourn? Overview and Analysis”, in Omega: Journal of Death & Dying, 64(4), pp. 275-302. Autrice/tore, 2011 Autrice/tore, 2022a Autrice/tore, 2022b LA RE-FIGURAZIONE DEL RAPPORTO TRA MEDIA, MEMORIE E IMMAGINARI Giovanni Ciofalo, Silvia Leonzi, Lorenzo Ugolini Il paper costituisce un output di un progetto di ricerca, attivato presso il Dipartimento CoRiS della Sapienza, orientato a studiare le caratteristiche del rapporto tra media, memorie e immaginari nello scenario attuale. Nello specifico, il contributo si propone di analizzare il profondo cambiamento in atto riguardante le reti di interdipendenza tra produzione e consumo culturale, le pratiche mediali, la costruzione di una memoria condivisa e la sedimentazione di un immaginario collettivo. L’ipotesi di partenza è che sia in atto un processo di re-figurazione che, basandosi su una logica ricorsiva, tende ad accelerare i tempi di riproposizione e/o di rinnovamento di quelle figurazioni una volta capaci di cristallizzarsi e oggi, invece, spesso caratterizzate da fluidità e volatilità. Per comprendere la portata di una simile trasformazione ricorsiva è necessario considerare, anzitutto, i fattori talvolta propulsivi, talvolta critici, che, anche in funzione dell’impatto del digitale, hanno innescato e continuano ad alimentare questo processo. Dall’ampliamento delle possibilità di accesso alle pratiche di consumo culturale e mediale ai rischi dell’overload informativo e della digital pollution; dalla moltiplicazione delle modalità transmediali di fruizione e partecipazione alle forme di orientamento algoritmico e di piattaformizzazione delle esperienze. Contestualmente, appare fondamentale adottare una prospettiva ecologica in grado di comprendere variabili diverse come la moltiplicazione delle interconnessioni tra i diversi media riconducibile all’idea di un media manifold, la crescente differenziazione nella composizione dei repertori mediali degli individui e, non ultimo, il potere modellante della deep mediatization su specifici domini sociali e culturali come quelli della memoria e dell’immaginario. L’impianto complessivo della ricerca si fonda su differenti fasi. Anzitutto, una ricognizione e una selezione di prodotti culturali e testi mediali, ritenuti più rilevanti dal punto di vista dell’apporto alla costruzione di una memoria condivisa e di un immaginario collettivo in Italia, nel periodo compreso dal secondo dopoguerra a oggi. Quindi, la somministrazione di un questionario strutturato a circa 500 individui, orientata alla rilevazione del livello di conoscenza dei contenuti precedentemente selezionati, unitamente alla ricostruzione delle modalità di consumo culturale e delle pratiche mediali e delle variabili socio-anagrafiche. La fase più recente, ancora in corso di svolgimento, prevede la realizzazione di focus group basati sia sulla partecipazione di individui appartenenti alla medesima generazione (secondo la classificazione più diffusa), sia su una partecipazione intergenerazionale, e orientati ad approfondire le modalità di accesso, conoscenza e le pratiche di fruizione relative alla medesima selezione di contenuti. L’analisi dei risultati ottenuti finora sembra confermare l’ipotesi di un processo di re-figurazione del rapporto tra media, memorie e immaginari alla luce di diverse tendenze. Anzitutto, una propensione alla condivisione estemporanea dei significanti, che prescinde dai potenziali significati originali dei prodotti culturali, dei testi e delle pratiche mediali, anche in funzione di una crescente risemantizzazione individuale e/o collettiva. In secondo luogo, una riduzione delle forme di permanenza (non solo in termini di ‘ciclo di vita’ dei testi culturali e mediali), a favore di una crescente obsolescenza della memoria, con una conseguente difficoltà di costruzione di un sostrato identitario comune. Quindi, la potenziale affermazione di una sorta di “coda lunga” degli immaginari, come risultato di una progressiva frammentazione dell’immaginario collettivo. Infine, il depotenziamento del valore euristico della classificazione delle coorti generazionali come aggregati composti da individui nati nello stesso intervallo di tempo. Riferimenti bibliografici Anderson C. (2006), The Long Tail: Why the Future of Business Is Selling Less of More, New York, Hyperion. Boccia Artieri G. (2015), “Mediatizzazione e network society: un programma di ricerca”, in Sociologia della comunicazione, 50, pp. 60-67. Boccia Artieri G. (2022), “Ecologia dei media e pratiche di digital pollution”, in Sociologia della comunicazione, 64, pp. 43-58. Chadwick A. (2017), The hybrid media system. Politics and power (2nd ed.), Oxford-New York, Oxford University Press. Colombo F. (1998), La cultura sottile, Milano, Bompiani. Colombo F. (2020), Ecologia dei media. Manifesto per una comunicazione gentile, Milano, Vita e Pensiero. Hepp A. (2020), Deep Mediatization, London, Routledge. Hepp A. (2024), “Curators of digital futures: The life cycle of pioneer communities”, in New Media & Society, online first. Kelty C. (2005), “Geeks, social imaginaries, and recursive publics”, in Cultural Anthropology, 20(2), pp. 185-214. Sorlin P. (2013), Memoria, narrazione, audiovisivo, Roma, Armando. Autrice/tore 2022a Autrice/tore 2022b Autrice/tore 2023 ECHI DI RIVOLTA SU TIKTOK: MEDIATIZZAZIONE DELLA MEMORIA COLLETTIVA NELLE PROTESTE IN SERBIA Elisabetta Zurovac Da dicembre 2024 la Serbia è stata attraversata da un’ondata di proteste, di cui si sono fatti portavoce gli studenti universitari e che hanno visto migliaia di cittadini scendere in piazza per esprimere il loro dissenso contro il governo di Aleksandar Vučić: controversie circa le elezioni, la corruzione e la manipolazione dei media mainstream sono alcuni dei temi principali che le proteste continuano a portare avanti. Anche in questo contesto, quindi, i social media emergono come uno spazio rilevante per la mobilitazione politica e soprattutto per il racconto della protesta (Cammaerts et al. 2013; Boccia Artieri 2021). Come già rilevato da diversi altri studi, TikTok è da intendersi come uno degli spazi in cui, specialmente le nuove generazioni, diffondono e incontrano contenuti di natura politica (Eriksson Krutrök, Åkerlund 2023). Inoltre, la peculiare affordance della piattaforma di permettere la ricerca e l’aggregazione di contenuti tramite traccia audio, permette da un lato di rinsaldare il forte legame che sappiamo esistere tra la musica e la politica, in particolar modo nei contesti di mobilitazione e protesta (autrice/tore 2022) e dall’altro rappresenta una delle modalità in cui è possibile fare ricerca all’interno della piattaforma (autrice/tore 2023). Infatti, dall’esplorazione degli hashtag #blokade e #serbianprotests è emersa una forte connotazione musicale, espressa anche tramite la realizzazione di canzoni ad hoc. Tuttavia, questo elaborato focalizza l’attenzione sull’utilizzo di una canzone iconica del periodo jugoslavo (Antonić, Štrbac 1998): “Ne lomite mi bagrenje” di Đorđe Balašević (1986). Pur non essendo una canzone esplicitamente politica, la ballata attraverso le sue metafore tocca dei temi vicini alla politica: la difesa delle proprie radici, la minaccia di un potere che agisce scorrettamente e il tentativo di resistere. Dalla sua pubblicazione, la canzone è stata sempre al centro di un dibattito legato al suo essere o meno un tentativo di denuncia della condizione dei serbi in Kosovo. Tale lettura è stata quella preferita dal governo di Milošević, dal quale Balašević ha sempre preso le distanze, in quanto vicino agli ideali jugoslavi di fratellanza e unità più che a quelli del nazionalismo (Bogdanić 2021). Tenendo in considerazione il valore di questa canzone per quel che concerne l’eredità culturale jugoslava e la sua memoria collettiva, la presente proposta mira a rispondere alle seguenti domande di ricerca: DR1: considerando da un lato la mediazione della piattaforma e dall’altro il framing della canzone, attraverso quali temi e immaginari si sviluppa il racconto della protesta? DR2: l’utilizzo di questa traccia facilita forme di riattualizzazione del passato jugoslavo? Per rispondere a queste domande sono stati manualmente raccolti 1000 video legati alla protesta, tramite il motore di ricerca interno alla piattaforma e la possibilità di rintracciare i contenuti per traccia audio. Nello specifico sono stati presi in considerazione: a) cosa viene ripreso all’interno del video (filmati originali delle proteste; contenuti provenienti da altri media e legati alle proteste; elaborazioni grafiche); b) la presenza di elementi legati alla jugonostalgia (slogan; simboli; personaggi icona); c) pattern di contenuti (forme memetiche tipiche di TikTok); d) la presenza o assenza del volume della traccia audio. Oltre alla parte visuale, si è tenuto conto del corredo testuale dei video, quindi: didascalia e testo in sovraimpressione. Dai risultati preliminari emerge come la mediatizzazione della memoria in relazione ai social media (Bartoletti 2011, Garde-Hansen 2011) agisca attraverso pratiche di appropriazione, reinterpretazione e stratificazione simbolica: elementi della memoria culturale jugoslava vengono rielaborati e politicizzati dalle nuove generazioni, portando a galla nuove modalità di “impiegare” il ricordo. In questo processo, la piattaforma non solo facilita la diffusione e la visibilità dei contenuti, ma opera anche come uno spazio di negoziazione del senso storico, in cui il passato viene riattualizzato e reso funzionale alle istanze del presente, configurando così nuove forme di continuità e discontinuità nella memoria collettiva. Riferimenti bibliografici Antonić D., Štrbac D. (1998), YU 100: najbolji albumi jugoslovenske rok i pop muzike, Belgrade, YU Rock Press. Balašević Đ. (1986), “Ne lomite mi bagrenje”, in Bezdan, Jugoton. Bartoletti R. (2011), Memory and Social Media: New Forms of Remembering and Forgetting, in B.M. Pirani (ed), Learning from Memory: Body, Memory and Technology in a Globalizing World, Newcastle, Cambridge Scholars Publishing, pp. 82-111. Boccia Artieri G. (2021), Networked Participation: Selfie Protest and Ephemeral Public Spheres, in D. Della Ratta, G. Lovink, T. Numerico, P. Sarram (eds.), The Aesthetics and Politics of the Online Self: A Savage Journey into the Heart of Digital Cultures, Cham, Palgrave Macmillan, pp. 331-356. Bogdanić L. (2021), “Djordje Balašević il poeta dell’utopia”, in Il Manifesto, 27 Febbraio 2021. Disponibile online all’indirizzo: https://ilmanifesto.it/djordje-balasevic-poeta-dellutopia. Cammaerts B., Mattoni A., McCurdy P. (eds.) (2013), Mediation and Protest Movements, Bristol, Intellect Books. Eriksson Krutrök M., Åkerlund M. (2023), “Through a White Lens: Black Victimhood, Visibility, and Whiteness in the Black Lives Matter Movement on TikTok”, in Information, Communication & Society, 26(10), pp. 1996-2014. Garde-Hansen J. (2011), Media and memory, Edimburgo, Edinburgh University Press. Autrice/tore, 2022 Autrice/tore, 2023 |
15:15 - 17:15 | Sessione 2 - Panel 01: Giovani e narrazioni della crisi Luogo, sala: Aula A (B0-A) Chair di sessione: Fabio Ferrucci |
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Social Media Challenge: come il racconto giornalistico trasforma pratiche ludiche in emergenze sociali Sapienza Università di Roma, Italia In un’epoca segnata dall’accelerazione dei ritmi sociali (Rosa, 2015) e dalla percezione di uno stato di costante emergenza (Beck, 2001; Giddens, 1994; Lupton, 1999), l’ecosistema mediale tende ad amplificare e intensificare la dimensione di rischio associata ad alcune prassi culturali, soprattutto quando legate ad ambienti digitali (Lupton, 2016). Tra queste vi sono le social media challenge (SMC), sfide ludiche, di abilità o coraggio, caratterizzate da un invito a partecipare a pratiche di piattaforma codificate (Schlaile et al., 2018), filmate e pubblicate su siti di social networking (Burgess et al., 2018). Nonostante la loro notorietà, il coinvolgimento di milioni di utenti e l’enorme quantità di contenuti condivisi, sono rari gli studi che tentano di ricostruirne le dimensioni (Hilton et al., 2021; Ortega-Barón et al., 2022) o effettuano un confronto tra prassi online e forme della rappresentazione mediale (Bennato, 2018; Kilgo et al., 2020; Roth et al., 2020). La letteratura sul tema, in particolare, sembra focalizzata su alcune specifiche pratiche a rischio o sulla trasgressione insita in alcune challenge online (Bada, Clayton, 2019), insieme alle dinamiche intergruppo e di peer pressure che spingono alla partecipazione soprattutto gli utenti più giovani (Burgess et al., 2018; Ferreira Deslandes et al., 2020; Shroff et al., 2021). Su queste basi, adottando gli sviluppi più recenti della teoria dell’agenda-setting come l’intermedia agenda-setting (McCombs, Reynolds, 2002) e il modello Network Agenda-Setting (NAS) (Vargo et al., 2014) quali principali riferimenti teorici, il contributo intende indagare la relazione tra pratiche e rappresentazione mediale. In particolare, l’obiettivo è rilevare temi, attributi e toni associati alle SMC, per comprendere se la rete di interazioni delle fonti influenzi non solo la scelta delle storie da raccontare (primo livello di agenda-setting), ma anche il modo in cui sono raccontate (secondo livello) e i temi cui sono associate attivando un network di relazioni (terzo livello) (Stern et al., 2020). A tal fine, si presentano gli esiti di un censimento delle sfide condivise su quattro SNSs – Instagram, TikTok, Facebook e YouTube – e un’analisi degli articoli apparsi sulle versioni online dei principali quotidiani italiani, dei servizi trasmessi dai telegiornali nazionali e dei contenuti pubblicati su X, attinenti al tema, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2020 e il 31 gennaio 2021, un anno segnato dalla pandemia e dalla conseguente estensione e accelerazione della digitalizzazione e dall’aumento delle paure condivise (Salari et al., 2020). Sui diversi corpora è stata condotta un’analisi del contenuto come inchiesta (Losito, 1996). I risultati rivelano una distanza significativa tra le pratiche online e il loro racconto mediatico. Nello specifico, se il censimento (952 video) evidenzia la prevalenza di prassi eterogenee, accomunate dal carattere ludico, l’analisi della rappresentazione mediale (154 articoli, 37 servizi di Tg e 220 post su X) appare sostanzialmente omogenea e orientata da effetti di agenda-setting a tutti e tre i livelli. Infatti, i media informativi danno spazio alle SMC soprattutto quando associate a fatti di cronaca dalle conseguenze nefaste (primo livello); inquadrano il fenomeno all’interno di cornici interpretative convergenti e limitate, facendo ricorso a titoli sensazionali e toni volutamente emotivi, che rimandano a logiche di notiziabilità e drammatizzazione del racconto giornalistico (secondo livello); propongono un ritratto del fenomeno che invita a creare associazioni tra temi, legando le sfide online all’universo dei giovani e a una visione tecnofobica (terzo livello). Le SMC appaiono così come un caso emblematico del modo in cui l’attuale ecosistema mediale, segnato dall’accelerazione dei cicli informativi e dalla tendenza a usare narrazioni che enfatizzano l’incertezza e la paura (Altheide, 2002), contribuisca alla costruzione di emergenze, alimentando un senso di urgenza che accentua il pericolo a scapito della varietà e complessità delle pratiche sociali digitali. Lo sconfinamento del lavoro nel tempo della vita nel Terzo Settore: nuove generazioni e ridefinizione dell’etica del lavoro. Università degli Studi Di Milano, Italia Il contributo adotta una prospettiva generazionale per raggiungere un duplice obbiettivo. In primo luogo, ci si propone di indagare le prese di posizione dei giovani lavoratori del Terzo Settore rispetto alle forme di lavoro gratuito; ulteriormente si cercherà di comprendere come queste siano legate ad un nuovo rapporto con l’etica lavorativa tipica del settore. La letteratura sull’economia sociale e solidare ha di recente visto crescere un forte interesse per il tema delle condizioni lavorative del settore. Evidenziando come esso sia uno dei “grandi assenti del dibattito scientifico nazionale” (Caselli, 2022), alcuni ricercatori e ricercatrici hanno progressivamente sottolineato la scarsa qualità delle sue condizioni di lavoro. Uno degli elementi più rilevanti, oltre all’inadeguato riconoscimento materiale e alla diffusione di contratti part-time e precari, riguarda le forme di lavoro non pagato (Carls e Cominu, 2014; De Angelis, 2017). Questo è dovuto ad una eterogeneità di fattori: oltre all’esternalizzazione dei servizi dal pubblico al privato no profit (Caselli 2022; Dorigatti 2017), vi è la natura fortemente relazione del lavoro (Marchesi, 2022), amplificata dalla diffusione degli smartphone che, in quanto “infrastrutture dell’intimità” (Wilson, 2016) aumentano la possibilità per i lavoratori e le lavoratrici di essere raggiunti e contattati anche al di fuori del lavoro. (Gregg, 2011). Elemento centrale della gratuitizzazione è poi il “regime vocazionale” del lavoro nel sociale (De Angelis, 2017), tipico dell’etica post-fordista (Lannunziata e Busso, 2016) che si fonda su forme di riconoscimento immateriale e simbolico a compensare le scarse condizioni materiali: in particolare, nel Terzo Settore il lavoro è motivato da valori legati ad aspirazioni politiche e di giustizia sociale (Castellini, 2021). Questo aspetto è stato inoltre aggravato dalla centralità del volontariato nella rappresentazione del Terzo Settore, che ha avuto come effetto quello di de-professionalizzarne il lavoro e di invisibilizzarne il valore attraverso la naturalizzazione delle aspettative legate al femminile, in termini di propensione alla cura e alla solidarietà (Castellini 2025). Più recentemente tuttavia, anche in seguito alle maggiori difficoltà di assunzioni delle cooperative sociali (Agrò 2024; Tabacchi 2023), la sostenibilità di tale modello è sembrata meno ovvia, messa in dubbio soprattutto da una supposta indisponibilità delle nuove generazioni ad accettare il compromesso tra scarse condizioni lavorative e riconoscimento simbolico. (Fazzi, 2024). Alla luce di tutto ciò, il contributo adotta una prospettiva generazionale e attraverso l’analisi di interviste qualitative indaga quali prese di posizione i giovani lavoratori del TS adottano rispetto a queste forme di “sconfinamento” del lavoro nel tempo della vita, e inoltre come queste siano legate ad un presunto cambiamento del senso attribuito al lavoro. Tempi dei giovani in 'sospensione': oltre un approccio crono-normativo Università di Cagliari, Italia Un vasto dibattito nazionale e internazionale ha affrontato la crescente complessità delle temporalità giovanili, problematizzando in particolare il momento di raggiungimento dell’età adulta – tema centrale, in particolare, di un approccio agli studi sui giovani noto con il nome “transizioni all’età adulta”. Questo articolo discute alcuni dei limiti di questo approccio emersi durante la pandemia globale da covid 19, caratterizzata da misure di distanziamento sociale che hanno colpito, in Italia, in giovani in modo particolare, per es attraverso una DAD prolungata. In tali condizioni, in termini temporali la pandemia è stata interpretata prevalentemente come una forzatura alla “sospensione”, con implicazioni su due diverse dimensioni: da un lato, i giovani hanno vissuto profondi cambiamenti nella loro vita quotidiana a causa delle restrizioni del lockdown; d’altro, abbiamo assistito ad una ricerca di stili di vita alternativi che incidono sul medio termine. Questi cambiamenti suggeriscono di riconsiderare la complessità delle temporalità giovanili, come ad es la moratoria, in chiave nuova. Confrontandomi con il concetto di ‘time work’ di Flaherty (2003), in questa presentazione discuto alcune sfumature delle forme di sospensione temporale e delle interconnessione tra tempi e agency dei giovani come emerso in pandemia. Il materiale empirico di riferimento, di tipo qualitativo (documentale e visuale con fotostimolo) è stato raccolto all’interno del progetto […]. Riflettendo sulle rappresentazione dei giovani in pandemia e sulle fratture che il distanziamento sociale ha determinato, scardinando alcuni rituali che tradizionalmente scandiscono l’esperienza giovanile (per esempio, l’esame di stato), la presentazione conclude che un focus sui ‘tempi dei giovani’ vada ripensato non tanto, o non più, sulle tempistiche di raggiungimento delle tappe, quanto sui significati che i giovani stessi attribuiscono a temporalità rinnovate, spesso elaborate intorno allo stare insieme. Tali esperienze danno valore alle temporalità esperite durante la transizione più che ad una visione 'pointilista' delle sue tempistiche, connotandole in termini generazionali, e indebolendo una visione spesso interpretata in modo crono-normativo. Un ripensamento quindi di tali categorie va nella direzione del riconoscimento dell'autenticità delle nuove forme di sospensione temporale giovanile come caratterizzanti l'esperienza generazionale. “Non lavoriamo più”: la relazione tra lavoro e vita per generazioni diverse dopo la pandemia in Italia Universita Statale di Milano, Italia Dopo la pandemia, le discussioni sul ruolo del lavoro nella nostra vita si sono moltiplicate: dalla diffusione di dimissioni volontarie e quiet quitting (Coin 2023; Jaffe 2023), all'aumento di fenomeni come il burnout, sembra emergere tra i lavoratori, in particolare giovani, la necessità di costruire un nuovo modo di vivere il lavoro, che permetta di mantenere il giusto equilibrio tra aspettative e impegno. Il tema della passione, centrale nella retorica del lavoro degli scorsi vent'anni di neoliberismo, soprattutto per le classi medie, sembra essersi incrinata alla prova della pandemia. Quale visione del lavoro emerge dalle sue ceneri? La ricerca, qualitativa e digitale, approfondisce le rappresentazioni e le esperienze di lavoro di 300 lavoratori e lavoratrici italiani divisi per cinque fasce d''età, che hanno partecipato a una raccolta storie online, a cui è seguita una fase di interviste in profondità. Le storie raccolte volontariamente, sebbene scontino un evidente self-selection bias, descrivono lati intimi e fragili della relazione con il lavoro, ed esperienze fatte di precarietà lavorativa, lavoro in nero, part-time involontari, soprattutto tra coloro che sono entrati nel mondo del lavoro dagli anni 90 in poi. Questa esperienza difficile con il mondo del lavoro sembra aver creato le condizioni per un distacco e un rifiuto del tema della passione, che non ha mantenuto la promessa del successo attraverso il sacrificio. |
15:15 - 17:15 | Sessione 2 - Panel 02: Arte, performance e politiche culturali Luogo, sala: Aula 2 (AO-A) Chair di sessione: Laura Gemini |
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Il futuro dei festival post-tradizionali: il liminale sostenibile Università di Bologna, Italia Tipicamente definiti come ‘tempo fuori dal tempo’ (Falassi 1987) i festival costituiscono momenti di concentrazione dell’effervescenza collettiva e quindi del (ri)prodursi di cultura e comunità. In particolare, nei festival post-tradizionali contemporanei - sganciati dai calendari rituali o stagionali, religiosi o laici – si rileva una concretizzazione di quella ‘sfera pubblica culturale’ (Giorgi, Sassatelli, Delanty 2011) in cui le dimensioni quotidiane sono portate in primo piano. E ciò avviene attraverso un coinvolgimento affettivo ed estetico che ci consente di focalizzare il ruolo attivo dei festival, non riducibili a mero ‘riflesso’ della vita sociale (McGuigan 2011; Sassatelli 2018). In questo contributo si propone una riflessione mirata allo spazio e tempo liminale del festival come produttivo di visioni del futuro. Il modo in cui l'idea di futuro viene articolata nelle narrazioni e nelle pratiche dei festival verrà dunque utilizzato come chiave interpretativa della sfera pubblica dei festival. Il punto di partenza è un’analisi di alcuni dei principali concetti tramite i quali il ‘futuro’ è entrato nella teoria sociale. Da un lato, infatti, la nozione dominante di futuro nella ‘società del rischio’ è concepita in termini di calcolo delle probabilità, in un gioco a somma zero tra sicurezza e libertà (Beck 1992). Questo è particolarmente vero dal punto di vista delle istituzioni investite della responsabilità della gestione del rischio. Dall’altro lato, in particolare per quei fenomeni e istituzioni volti alla produzione di significati, cioè le istituzioni culturali, si può ipotizzare un atteggiamento verso il futuro come apertura al possibile, come capacità di immaginare e aspirare a una vita migliore (Appadurai 2013). In questo caso, il futuro è inteso come spostamento di enfasi da una politica della probabilità a una politica della possibilità, ovvero il rafforzamento dell'immaginazione e dell'aspirazione come capacità culturale. I festival contemporanei , ponendosi come spazi di nuova socialità anche utopica e di esplorazione di stili di vita, forniscono casi di ricerca privilegiati per questi temi. Nella seconda parte del contributo, questa chiave interpretativa viene quindi associata alle tipologie comuni individuate dagli studi sui festival (Mair 2018), al fine di elaborare una riflessione che tenga conto di come i festival si propongono come piattaforme per un dibattito su futuri probabili, possibili e auspicabili. Questo porta necessariamente ad agganciarsi al sempre più centrale tema della sostenibilità nelle sue varie forme: da quelle ‘maggiori’ (economica ed ambientale), a quelle di più recente riconoscimento e spesso ancora assimilate (sociale e culturale) – come dimostrano i casi di greening dei festival musicali (Cummings 2016), e l’interesse crescente per le questioni sociali nelle ricerche sui festival (Quinn 2018). Verranno presentati casi esemplificativi di festival, a partire dal (meta)festival del turismo responsabile IT.A.CÀ Migranti e Viaggiatori (Musarò e Moralli 2019; Musarò, Cappi, Vignola 2024), in quanto realtà distribuita sul territorio nazionale e tra i primi festival a livello europeo a porsi come piattaforma di narrazioni e pratiche sperimentali. Dimensioni analitiche su cui ci si concentra sono le diverse forme di sostenibilità (ambientale, economica, sociale, culturale) che ispirano il turismo responsabile; il turismo come strumento di governance territoriale partecipata e la sua capacità di stimolare processi di sviluppo sostenibile a partire dalle reti locali che vi aderiscono; il ruolo del festival come iniziativa di innovazione sociale che contribuisce a stimolare nuove idee e a incoraggiare nuovi operatori culturali, a offrire esperienze diverse, a creare un pubblico più attento a un segmento di turismo meno considerato di quanto la sua potenziale rilevanza in una sfera pubblica culturale giustifichi. L'articolo propone quindi sia una diversa prospettiva teorica sia l'analisi approfondita di un caso empirico per illustrare il nuovo spazio interpretativo che si apre. Dalla “presenza assente” alla presenza/presente. Il “qui e ora” della performance teatrale Università degli Studi di Milano, Italia A partire dalla tematica del convegno, soprattutto in relazione all’accelerazione dei ritmi della vita sociale e alla compressione del tempo, che porta a inedite forme di alienazione, l’intervento si propone – attraverso lo strumento dell’etnografia sociale – di considerare il ruolo della performance teatrale come riflessione sull’importanza del “qui e ora” e della “presenza”, intesa nel duplice senso di “essere presente” e di “essere nel presente”. Il “qui e ora” dell’evento teatrale si apre, soprattutto in un ambiente sociale dominato dalla mediatizzazione, a diversi gradi e livelli di presenza. Da sempre il teatro si pone come riflessione sullo statuto della presenza (in entrambe le accezioni indicate), decostruendolo, de-naturalizzandolo, mettendolo in crisi, giocandoci, rendendolo ambiguo (cfr. Power 2008). I pubblici più giovani, poco abituati alla fruizione di teatro ma grandi consumatori di risorse digitali, possono imparare molto dai modi in cui il teatro mette in scena e rappresenta la “presenza”, rendendo straordinario un concetto sempre meno ordinario nella stessa quotidianità di chi si muove nell’ecosistema mediatico digitale. Il senso del titolo dell’intervento sta nella contrapposizione tra quella che Kenneth J. Gergen (2002) definisce una “presenza assente” – ovvero la situazione di trovarci in compagnia di familiari e amici assorbiti dal loro smartphone – e una forma di presenza che indica non solo una attenzione nei confronti dell’interlocutore, ma anche una esperienza consapevole del “tempo presente”. Per verificare come il teatro possa contribuire a tale consapevolezza, si procederà alla presentazione dei risultati di una ricerca etnografica basata sull’osservazione partecipante delle pratiche di realizzatori e pubblici di tre recenti produzioni dirette da Gabriele Vacis con la compagnia PoEM (Potenziali Evocati Multimediali): Prometeo (2022), Antigone e i suoi fratelli (2022) e Sette a Tebe (2023). Le tre produzioni sono state realizzate all’interno della stagione del Teatro Stabile di Torino dal 30 novembre 2023 al 17 dicembre 2024, riunite in quella che è stata presentata come una Trilogia della guerra. L’etnografia ha riguardato tutte le fasi della realizzazione dei tre spettacoli, e si è concretizzata nell’osservazione partecipante con attori, regista e tecnici da una parte, e con i pubblici dall’altra. Dall’osservazione partecipante emerge un quadro piuttosto composito dove la presenza e l’importanza del “qui e ora” della performance teatrale vengono sottolineate attraverso numerose pratiche: tra le altre, la tecnica della “schiera”, che consiste in un esercizio drammaturgico e pedagogico dell’ascolto, dello sguardo e dell’azione; o il diretto coinvolgimento del pubblico in alcune scene degli spettacoli (soprattutto laddove si vogliano sottolineare alcuni momenti particolarmente significativi); ancora, l’impiego di intermezzi narrativi, dove gli attori (e, idealmente, i pubblici) si riuniscono attorno al narratore trasformando la performance narrativa in evento rituale, contrapponendo così il senso di una comunità che celebra un “rito della narrazione” alla community dello storytelling dei social media (che è la versione mercificata e “accelerata” della comunità). Gli stessi intermezzi narrativi, nel loro fornire possibili chiavi di lettura di quanto viene rappresentato, contribuiscono anche a rendere “presenti” (nel senso di contemporanee, attuali) circostanze e azioni, come quelle delle tragedie dell’Atene del V secolo a.C., che sono troppo lontane rispetto al vissuto e all’esperienza del pubblico. La descrizione di queste e altre pratiche mostra che il teatro riesce a porsi come l’arte della presenza; non tanto per “avere una presenza” (in senso ontologico), ma per come gioca con le diverse possibilità di questa, mettendo in discussione e decostruendo le sue accezioni di senso comune, date per scontate. Se Sherry Turkle (2016), nel lamentare l’alienazione derivante dalla compressione temporale delle relazioni quotidiane, invita a una “conversazione necessaria”, la Trilogia della Guerra risponde invitando a una “consapevolezza necessaria”. Rischio performativo e agenti artificiali: AI liveness e live coding a confronto Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Italia Il panorama mediale contemporaneo sembra interessato da una particolare tensione riguardante il rapporto con il rischio. Nel contesto quotidiano, gli agenti algoritmici svolgono un ruolo attivo nel mitigare la pressione esercitata dall’incertezza della scelta, favorendo una dinamica di de-responsabilizzazione che sottrae gli individui al rischio del presente. Dall’altra parte, nell’attuale centralità e pervasività della liveness nelle espressioni culturali, artistiche e dell’intrattenimento contemporaneo (Gemini, Brilli, 2023), l’incertezza e il rischio dell’imprevedibilità assumono piuttosto un valore creativo e comunicativo desiderabile. Nonostante gli agenti algoritmici e le forme dal vivo siano al centro di numerosi dibattiti, le possibili intersezioni tra questi due ambiti sono rimaste finora poco esplorate, soprattutto in ambito sociologico. Il presente studio intende dunque indagare la funzione performativa degli algoritmi nel contesto della “società del rischio” (Beck, 1992). A partire dalla considerazione per cui il rischio non costituisce un evento futuro, bensì una condizione del presente generata dalla sovrabbondanza di possibilità (Luhmann, 1991), i sistemi di IA non solo filtrano e riducono le opzioni disponibili, ma alimentano un processo di outsourcing decisionale che sottrae la società dalla responsabilità del “qui e ora”. Mentre il rischio viene quindi socialmente percepito come un fattore da evitare e da cui sottrarsi per mezzo degli algoritmi, nelle pratiche performative che integrano gli agenti artificiali dal vivo esso viene invece riabilitato come componente essenziale del processo creativo: l’esibizione dell’incertezza e dell’imprevedibilità diventa una risorsa espressiva e comunicativa. Per indagare questo fenomeno, la ricerca si concentra sul confronto tra due diverse forme performative di interazione con gli algoritmi: da un lato, le performance artistiche che incorporano sistemi di IA, dall’altro, le pratiche di live coding. Nella collaborazione creativa con l’IA, l’esito dell’opera assume infatti un grado di imprevedibilità e autonomia, poiché alcuni aspetti del processo sfuggono necessariamente al controllo diretto degli artisti. Il ruolo del software, quindi, non è meramente assistivo, ma diventa un agente attivo e determinante (McCormack, D’Inverno, 2012), che può intervenire tanto nella fase di creazione quanto nell’interazione con altri elementi della performance (Pearlman, 2020). Gli eventi di live coding consistono invece in performance in cui il codice algoritmico viene scritto e modificato in tempo reale per generare output visivi e sonori immediati (Rain, Ramson, Lincke, Hirschfeld, Pape, 2019). Nata in ambito informatico e musicale, la specificità di questa pratica risiede nell’interazione diretta con il codice durante l’esecuzione, dove l’imprevedibilità degli output algoritmici diventa un elemento espressivo ed estetico. L’analisi comparata di questi due tipi di performance permette di individuare due diverse modalità di gestione dell’imprevedibilità: da un lato, troviamo performance basate sulla comunicazione dal vivo con un’IA già precedentemente addestrata e codificata; dall’altro, è il processo stesso di scrittura e programmazione dell’algoritmo a venire eseguito in tempo reale. In entrambi i casi, la dimensione della liveness assume un ruolo centrale: quando gli algoritmi vengono performati dal vivo, essi, anziché sottrarre l’individuo dalla responsabilità del “qui e ora”, generano un’esperienza time-specific che, sfruttando la specificità della presenza, diventa in grado di valorizzare la gestione del rischio (Esposito, 2022). Il divario generato dall’agency algoritmica tra contesti mediali dal vivo e non solleva dunque un interrogativo centrale: in che modo la dimensione performativa dal vivo incide sull’attribuzione di responsabilità creativa all’agente artificiale? Per approfondire tale questione, oltre all’analisi dei meccanismi comunicativi delle performance prese in esame, la ricerca si avvale anche di dodici interviste con artisti, organizzatori e spettatori. Le diverse prospettive raccolte permettono di comprendere come si configurino – tecnicamente e metodologicamente – l’addestramento e la scrittura degli algoritmi, e di verificare se l’esperienza dal vivo induca effettivamente lo spettatore a confrontarsi con la gestione del rischio e con le dinamiche di responsabilità algoritmica. Il tempo della creazione e il tempo della cura: welfare culturale e giovani nella società della crisi 1Università di Bologna, Italia; 2Università di Bologna, Italia In Italia, un primo contributo definitorio al Welfare Culturale è stato elaborato dal CCW che lo ha definito “un nuovo modello integrato di promozione del benessere e della salute e degli individui e delle comunità, attraverso pratiche fondate sulle arti visive, performative e sul patrimonio culturale”. Al centro delle azioni di welfare culturale viene posta un’“integrazione di scopo” tra professionistз di diverse discipline e ambiti di competenze, tra pratiche, linguaggi e politiche. Questa prospettiva include le pratiche che promuovono l’empowerment, il benessere soggettivo, il capitale sociale, il contrasto alle diseguaglianze di salute, opponendosi al declino psicofisico dei soggetti e delle comunità che partecipano alle iniziative. La genesi del WC può essere rintracciata nei programmi di Arts on Prescription, avviati in Inghilterra negli anni ’90 sull’impatto della partecipazione culturale sul benessere sociale, a partire dalla convinzione che partecipare ad attività artistiche possa promuovere la salute e il benessere, inserendosi all’interno di strategie più ampie di prescrizioni sociali da parte di professionisti della sanità e del welfare. Negli ultimi anni, il concetto di CW ha acquisito una crescente rilevanza anche grazie a politiche e programmi europei e internazionali che ne evidenziano il ruolo nell’intersezione non solo tra arti e promozione della salute, ma anche tra arti e democrazia e coesione sociale. Il concetto di WC ha cominciato a diffondersi anche nel panorama italiano, tanto nei programmi di finanziamento quanto nel dibattito accademico. In questo quadro si colloca la ricerca Prin 2022 PNRR Cultural Welfare Ecosystems for Wellbeing: Mapping semantics and practices, co-designing tools and raising awareness, che ha l’obiettivo di problematizzare il concetto stesso di Welfare culturale, indagandone le semantiche emergenti nella letteratura nazionale e internazionale, ed approfondendolo come campo di pratiche nei territori sui cui si realizzano le ricerche, esplorando le possibili criticità e potenzialità che in esse prendono forma. Il presente contributo prende le mosse da questa ricerca analizzata in dialogo con un ecosistema di progettualità che esplorano orizzonti di senso, rischi, ambivalenze, ma anche effetti trasformativi che emergono nelle pratiche indagate. Dall’analisi di queste molteplici progettualità, emergono diverse questioni legate all’evoluzione del concetto di WC nel contesto di “policrisi” evidenziando il rischio di una deriva di stampo neoliberista e una reinterpretazione del welfare culturale come una possibile soluzione alla crisi, con un’enfasi sull’arte intesa come servizio. Il presente contributo si focalizzerà sulla dimensione della cura e del benessere e sul ruolo dell’arte entro questo quadro sociale e culturale, con un affondo sui giovani e il ruolo delle pratiche di partecipazione culturale. Il contesto contemporaneo, attraversato da numerose crisi, costituisce un terreno fertile sul quale attecchiscono livelli diversi di disagio giovanile che compromettono la dimensione progettuale finalizzata al conseguimento dell’identità, sostenuta da capacità di aspirare che permette di connettere orizzonti di tempo presenti e futuri attraverso processi di immaginazione sociale. Diventa da questo punto di vista rilevante comprendere se e in che senso le pratiche artistiche possono agire in termini trasformativi, sostenendo lo sviluppo di queste capacità e ridefinendo concetti, pratiche e spazi di cura e generazione di benessere nella prospettiva del welfare culturale. La ricerca ha permesso da mettere a fuoco attorno al tema della temporalità alcune polarità di lettura che tracciano un campo di tensione ma anche di possibili trasformazioni: a. tempo produttivo vs tempo improduttivo della pratica artistica; b. Rilevanza del processo di creazione vs prodotto; c. tempi e spazi connotati e codificati vs “tempi e spazi di scoperta” ; d. dimensione strumentale - che rischia di trasformare le pratiche artistiche in una risorsa neoliberista vs capacità trasformativa delle medesime nell’articolare spazi di partecipazione e di attraversabilità delle pratiche e dei luoghi in cui si realizzano. Il tempo mediatizzato della partecipazione: WhatsApp come strumento di co-progettazione e di ricerca-azione e nelle arti performative Università di Urbino Carlo Bo, Italia Il tempo è una delle variabili chiave negli studi sulla partecipazione culturale, artistica e mediale. Come sottolinea Carpentier (2011) la partecipazione viene ridotta a interazione questa essa diventa un atto puntuale o a un semplice momento di coinvolgimento - come spesso favorito dalle retoriche dell’empowerment. L’analisi dei progetti partecipativi ha sin dall’origine posto la dimensione temporale come discrimine fondamentale tra la partecipazione come “ornamento” e la partecipazione come processo capace di generare un impatto a lungo termine sulle persone (Matarasso 1997). Anche il tempo della “sola” esperienza spettatoriale non può essere relegato alla durata compressa del testo mediale o della performance. Se ciò è vero in generale, perché l’esperienza riflessiva anticipa e si protrae oltre il tempo transitorio dello spettacolo (Reason 2010), lo diventa più nettamente con l’intensificarsi della performatività delle audience (Abercrombie, Longhurst 1998) e della mediatizzazione della liveness (Gemini, Brilli 2023), che estende il tempo del “dal vivo” oltre l’evento effimero. Questa prospettiva converge con la temporalità di progetti culturali nell’ambito delle arti performative contemporanee non più necessariamente dirette alla creazione di un prodotto finale della ricerca ma piuttosto orientate a promuovere progetti di arte partecipativa, di community engagement e di welfare culturale. Tale convergenza richiede metodologie di ricerca appropriate, capaci di cogliere il tempo espanso dell’esperienza di spettatrici e spettatori che spesso entrano a far parte della progettazione stessa delle iniziative culturali e artistiche alle quali partecipano. Un ulteriore elemento di analisi, coerente con il processo di mediatizzazione, riguarda gli utilizzi delle tecnologie digitali e la piattaformizzazione culturale (Poell et al. 2021). App di messaggistica come WhatsApp e Telegram hanno assunto negli ultimi anni un ruolo interessante sia come tool per l’audience engagement, sia come spazi organizzativi, sia come strumenti per la ricerca qualitativa (Chen, Neo 2019; Colom 2022). Più limitato, invece, lo studio sull’impatto di questi strumenti nella facilitazione della discussione e nel confronto intorno a tematiche legate alle performing art e alla partecipazione culturale. Nel quadro che osserva la stratificazione della temporalità nel contesto della partecipazione culturale e della ricerca alla luce del processo di mediatizzazione del sociale, il presente contributo si propone di analizzare le funzioni di WhatsApp come strumento di coordinamento, coinvolgimento dei partecipanti e per la ricerca qualitativa in tre progetti di arti performative partecipative selezionati come casi di studio in un più ampio progetto Prin in corso. I progetti BAT - Bottega Amletica Testoriana, Sognando Apiria, Dance Well - molto diversi tra loro per entità, organizzazione, modalità partecipativa – sono stati oggetto di una fase di ricerca-azione che ha previsto l’analisi del contenuto del materiale postato sul gruppo BAT Spettatori/trici formatosi spontaneamente durante il progetto e la moderazione, raccolta, analisi delle conversazioni nei gruppi WhatsApp istituite dall’équipe di ricerca. Alla luce delle domande di ricerca di questa fase dell’indagine, volte a comprendere 1. quali siano i limiti e le potenzialità delle chat di WhatsApp nella ricerca-azione su progetti artistici partecipativi e 2. in che modo le possibilità offerte dalle chat danno forma alle esperienze pre- e post-performance, è possibile preliminarmente affermare come WhatsApp si riveli uno strumento efficace per la ricerca-azione e la co-progettazione, in particolare per ampliare le esperienze e i processi di riflessione dei partecipanti che hanno bisogno di essere sedimentate in temporalità espanse. Tuttavia, emergono delle sfide nel bilanciare le discussioni mirate con le conversazioni fuori tema, la libertà di espressione con l’inibizione dovuta alla presenza del gruppo di ricerca e le dinamiche tra utenti attivi e lurker. Se da un lato l’asincronicità delle chat offre più spazio per la riflessione sull’esperienza, dall’altro può generare un’aspettativa di “performatività competitiva” tra partecipanti che merita di essere approfondita. |
15:15 - 17:15 | Sessione 2 - Panel 03: Comunicazione ambientale e rischio climatico Luogo, sala: Aula Magna Baffi (A0-F) Chair di sessione: Roberta Paltrinieri |
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Comunicare il rischio alluvionale nel contesto del cambiamento climatico 1Università di Bologna, Italia; 2Università di Ferrara, Italia Gli eventi meteorologici sono dei pericoli ambientali che possono verificarsi quotidianamente (IPCC, 2022). Tra questi tipi di rischio, le inondazioni fluviali rappresentano quello con il maggior impatto economico in Europa (Paprotny et al., 2018) e si prevede che aumenterà ulteriormente nel prossimo futuro (Jongman, 2018). Un’efficace comunicazione del rischio è dunque fondamentale per collegare le conoscenze degli esperti e le pratiche di gestione con lo sviluppo della resilienza nelle comunità locali a rischio (Butler & Pidgeon, 2011). Tuttavia, l’attuale comunicazione del rischio spesso non riesce a soddisfare le esigenze informative dei cittadini (Rollason et al., 2018) ed è sovente accompagnata da un alto livello di sfiducia nelle organizzazioni che si occupano della comunicazione e della gestione (O’Sullivan et al., 2012). Numerosi studi hanno evidenziato che la comprensione dei fattori che influenzano la percezione del rischio di alluvione a livello locale è essenziale per ottenere una comunicazione efficace del rischio (Burns & Slovic, 2012) e per migliorare la resilienza delle comunità locali ai rischi naturali (Bradford et al., 2012). Tuttavia, la comunicazione del rischio in Italia sembra prevalentemente focalizzata sula fase emergenziale, cioè sulla fase di gestione del disastro. Riteniamo, in accordo con la letteratura internazionale, che la comunicazione del rischio dovrebbe fungere anche da moltiplicatore della fiducia tra cittadini e istituzioni, e che tale risultato potrebbe essere raggiunto attraverso un dialogo trasparente e partecipato. In linea con queste premesse, il nostro contributo intende presentare i risultati di un'indagine campionaria condotta nell’ambito del progetto ****. L’indagine, che ha usato una combinazione di tecniche CATI (Computer-Assisted Telephone Interviewing) e CAWI (Computer-Assisted Web Interviewing), ha coinvolto un campione di 2.500 intervistati, proporzionalmente rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne per genere, età, livello di istruzione e area di residenza. I dati raccolti rilevano l’esposizione alle fonti di informazione sul rischio, la consapevolezza dell’esposizione al rischio nella propria area di residenza, l’alfabetizzazione al rischio (Ramasubramanian et al., 2019), permettono di sviluppare una tipologia di sensibilità al rischio e di evidenziare l’importanza di strategie di prevenzione innovative e di approcci proattivi alla comunicazione del rischio. La cultura della sostenibilità e l’isomorfismo istituzionale: il ruolo della candidatura di Brescia all’European Green Capital Award Università Cattolica del Sacro Cuore, Italia A fronte dall’intensificarsi delle crisi ambientali, la comunicazione istituzionale risulta caratterizzata da una molteplicità di rappresentazioni della sostenibilità che generano una frammentazione delle culture istituzionali (Moscovici, 1981; Fisher et al, 2018). Fra i fattori che danno forma a questi immaginari e pratiche, una robusta tradizione di ricerca ha individuato l’isomorfismo istituzionale (DiMaggio & Powell, 2010) che descrive il processo secondo cui le organizzazioni tendono nel tempo a adottare pratiche, strutture e norme simili. In questo panorama culturale diversificato, l’European Green Capital Award (EGCA) rappresenta un caso studio significativo per analizzare le co-rappresentazioni istituzionali della sostenibilità e il processo di isomorfismo tra le culture della sostenibilità locali e quelle promosse dall’Unione Europea. L’EGCA premia le città che si distinguono per il loro impegno nella qualità della vita e nello sviluppo sostenibile (Gudmundsson, 2015). In questa sede ci si focalizza sulla candidatura non vincente della città Brescia all’EGCA 2025, ivi selezionata per due motivi principali: (1) evidenziare le complesse sfide ambientali che la città affronta, accompagnate da una crescente sensibilizzazione della società civile sulle tematiche ecologiche; (2) valutare l'impatto della mera candidatura delle città, indipendentemente dall'ottenimento del premio; una realtà che riguarda la maggior parte delle applicant cities ma che rimane ancora poco esplorata nel dibattito accademico. All’interno della cultura della sostenibilità, un ambito specifico riguarda il monitoraggio ambientale e la valutazione delle pratiche sostenibili. Attraverso un approccio metodologico misto – che combina etnografia, osservazione partecipante, interviste strutturate e analisi documentale dei prodotti istituzionali – questa ricerca si propone di individuare le trasformazioni chiave nel sistema di monitoraggio e governance della sostenibilità a Brescia. L’attenzione si concentra sull’introduzione di nuovi indicatori, sul loro grado di innovazione e sulla loro integrazione nelle pratiche istituzionali ordinarie. Per ciascun indicatore adottato dalla città sono state analizzate quattro variabili: (a) grado di novità, (b) prospettiva di integrazione nella governance, (c) origine interna o esterna e (d) grado di performance. I risultati evidenziano che la candidatura all’EGCA ha accelerato la capacità della città di misurare e gestire la sostenibilità nel lungo periodo, con impatti concreti su tre livelli: l’ampliamento del repertorio di indicatori, la ridefinizione delle narrazioni relative alla sostenibilità e un maggiore allineamento tra gli immaginari e le policy locali e transnazionali. Questo processo non solo ha determinato un’evoluzione tecnico-amministrativa, ma ha anche contribuito ad un cambiamento culturale nella concezione della sostenibilità all’interno delle istituzioni locali. Nessuno spazio per l’urgenza climatica. Egemonia del tempo o dello spazio nella costruzione o negazione dell’agenda mediatica dell’attivismo ambientale Sapienza Università di Roma, Italia Partendo dalla riflessione di Foucault (1967), la contemporaneità è caratterizzata da un passaggio dall'egemonia epistemica del tempo a quella dello spazio. Se il pensiero storico del XIX secolo aveva posto l'accento sulla temporalità, l’epoca contemporanea ha visto un interesse per le relazioni spaziali. Nel caso delle modalità di costruzione dell’agenda, il primato dello spazio influenza non solo la percezione di temi di interesse pubblico (come la crisi climatica), ma crea anche terreni di scontro dove logiche di visibilità e spettacolarizzazione prevalgono su urgenze temporali di azione politica. L’analisi della rappresentazione mediale delle politiche e del dibattito pubblico è un tema consolidato di indagine scientifica, con l’affermazione di strumenti come il “frame” e la “narrazione”. Il frame permette di individuare la connessione tra discorsi, argomenti ed “elementi” comunicativi riuniti da una stessa chiave metaforica (Gamson 2000; Lakoff 2008). La narrazione concentra l’attenzione sul modo in cui personaggi, catene d’azioni ed eventi contribuiscono a suscitare emozioni, attribuire responsabilità, instaurare giudizi morali. Nel tentativo di sistematizzare il campo di studi, chi scrive ha elaborato un modello di analisi che organizza le narrazioni del dibattito pubblico, mettendo a confronto news frame, definizioni di problemi sociali e politiche pubbliche. Sono state individuate tre domande di ricerca: D1. Dinamiche dell’attenzione e cambiamento climatico: Quanto spazio nella copertura dei media viene concesso alla crisi climatica? D2. Framing della crisi climatica. Quali sono i principali frame utilizzati per descrivere il riscaldamento globale? In quale modo la contrapposizioni tra frame improntate allo spazio o al tempo contribuiscono ai processi di riconoscimento o demonizzazione delle proteste? D3. Controframing e reframing. Che tipo di narrazione viene proposta dalle forze politiche e dai movimenti sociali e in che modo si confronta con le metafore chiave o le narrazioni dominanti proposta dall’establishment politico e del sistema mediale? A fronte di tali quesiti, due sono le metodologie e strategie di ricerca adottate: 1. l’analisi del contenuto dell’agenda dei principali quotidiani nazionali; 2. l’analisi del dibattito pubblico sui principali programmi di approfondimento televisivo. L'ipotesi di ricerca sostiene che i frame spaziali, dominanti nella narrazione pubblica, siano inadatti a trasmettere l’urgenza della crisi climatica e condizionino le forme di protesta, privilegiando azioni performative e mediageniche (Jenkins et al., 2016; Sobieraj, 2011). Questo favorisce la costruzione di contronarrazioni polarizzanti sui social media e l’attenzione dei media mainstream (DeLuca, 2005; Dunlap and McCright, 2010). Al contrario, i tentativi di reframing basati su metafore temporali faticano a ridefinire il dibattito, relegando la crisi climatica ai margini dello spazio politico e trasformandola in una questione post-politica, anziché un’emergenza da affrontare con urgenza (Hammond, 2017). Pressed for climate change. De-costruzioni e ri-costruzioni dei tempi della transizione ecologica Università di Napoli Federico II, Italia L’analisi della dimensione temporale assume un ruolo cruciale negli studi sociali sulla sostenibilità ambientale. I diversi mondi sociali coinvolti nella costruzione di politiche di mitigazione climatica sottolineano il carattere di ’urgenza’ della crisi climatica, palesato tanto dalle proiezioni diffuse dalle istituzioni scientifiche (ad es. le simulazione dell’IPCC che mostrano possibili scenari di una Terra inabitabile alla fine di questo secolo), quanto dalle timeline definite dalle politiche che definiscono obiettivi da raggiungere nel prossimo futuro (es. Agenda 2030, carbon-neutrality europea nel 2050). In questo contesto, una trasformazione degli stili di vita individuali orientata al concetto di sostenibilità ambientale rappresenta una delle strategie invocate ritenute necessarie. Nell’ambito di un progetto ****, è stata realizzata un’indagine finalizzata a rilevare i fattori sociali che concorrono nel determinare l’adozione (o la non adozione) di pratiche ecologiche in prospettive pro-sociali e pro-ambientali, relativamente ai temi della mobilità, dell’alimentazione e della climatizzazione degli ambienti. Attraverso 12 focus group condotti in quattro diverse regioni italiane, su un campione differenziato per fasce di età e contesti territoriali (urbani e suburbani) sono quindi state raccolte ed analizzate diverse sensibilità, esperienze e pareri. Dall’analisi di tali focus group la dimensione temporale emerge come significativa nel definire le scelte individuali volte a contrastare i cambiamenti climatici. Nella percezione dei partecipanti alla ricerca, l’adozione di tali pratiche è difatti vincolata a quelli che la ricerca identifica come generatori di tempo (Rinderspacher 1988) della vita quotidiana contemporanea, i dispositivi regolativi che a) creano requisiti e regolamenti temporali vincolanti; b) impongono un ritmo ai diversi sistemi sociali; c) standardizzano il tempo in ciascun sistema. Tali generatori temporali condizionano le pratiche di mobilità e di alimentazione, determinando asincronie all’interno delle differenti reti sociali (familiari, lavorative ecc.) nelle quali sono coinvolti. Sulla base di tale ricerca, il contributo propone un’interpretazione critica del processo di transizione ecologica informata da fonti afferenti alla teoria critica (Rosa 2015), alla sociologia economica (Wallerstein 2006), alla critica del valore e alla teoria della decrescita (Jappe 2013, Jappe 2014, Georgescu-Roegen 2003, Latouche 2007), alla Slowing Down Society (Torres e Gross, 2022; Vostal 2017). Alle asincronie rilevate tra i tempi richiesti dalle pratiche ecologiche e quelli dettati dall’accelerazione della vita nel capitalismo digitale (Wajcman, 2020), corrispondono difatti asincronie temporali delle politiche della transizione ecologica. I generatori temporali che emergono dall’analisi dei discorsi sulla transizione suggeriscono soluzioni rapide e semplificate rispetto alla complessità della tematica ecologica, ma difficilmente praticabili e, talvolta, dalla dubbia efficacia se analizzate in un’ottica di lungo termine. La de-costruzione e la ri-costruzione delle pratiche temporali della vita quotidiana appaiono dunque prassi fondamentali per attivare soluzioni – di natura infrastrutturale, organizzativa, politica - realmente sostenibili tanto in una prospettiva ecologica, quanto in una prospettiva sociale. Reimmaginare le (im)mobilità climatiche attraverso l’arte Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia, Università di Bologna Il contributo esamina attraverso un approccio critico le complesse narrazioni che legano cambiamenti climatici e migrazioni (Baldwin 2022; Farbotko 2017), concentrandosi su come la dimensione estetica e discorsiva (Habermas 1984) delle pratiche artistiche possa plasmare l’immaginario sulle migrazioni climatiche. Con l’intensificarsi dei cambiamenti climatici, il concetto di “rifugiati climatici” è diventato centrale nel dibattito politico, e viene spesso associato a una narrativa di minaccia che enfatizza il senso di insicurezza piuttosto che affrontare le disuguaglianze e cause geopolitiche che lo definiscono (Bettini 2013). Queste narrazioni distorte amplificano l’ansia nei riguardi delle migrazioni climatiche, portando a pratiche discriminatorie e a un inasprimento delle misure di sicurezza alle frontiere nel Nord globale (Giacomelli 2023). Sulla base di queste premesse, il presente contributo si propone di ampliare la comprensione dei discorsi che circondano le (im)mobilità indotte dai cambiamenti climatici, esplorando come varie forme di arte, estetica e rappresentazione possano rimodellare queste narrazioni (Mazzara 2019). In particolare, attraverso l’analisi delle narrative sui migranti climatici all’interno di diverse pratiche e sperimentazioni artistiche (Oso, Ribas-Mateos, Moralli 2015) si intende comprendere se queste rappresentazioni possano perpetuare o sfidare la distorsione mediatica mainstream. Si esplorerà, infine, come queste pratiche artistiche possano offrire degli spazi controegemonici per ripensare le varie forme di (im)mobilità climatiche, favorendone una comprensione più sfumata che riconosca le complessità della mobilità umana di fronte al cambiamento climatico. |
15:15 - 17:15 | Sessione 2 - Panel 04: Comunicazione politica Luogo, sala: Aula 5 (A1-D) Chair di sessione: Marco Mazzoni |
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Italians Bidding Farewell to Il Cavaliere: the Visual Construction of Silvio Berlusconi in Social Media Rituals of Commemoration 1Scuola Normale Superiore; 2The Hebrew University of Jerusalem Populism and social media share an electoral affinity. The affordances of the most popular digital platforms allow populist leaders to bypass editorial filters, algorithmically amplify sensational claims typical of their communicative style, and gauge the 'will of the people' in real time. While early studies of populism on social media focused overwhelmingly on written messages, recent years have seen a growing interest in the visual aspects of digital populism. Nevertheless, several areas remain under-explored. For example, while many have focused on how populist leaders discursively and visually construct 'the people' through their profiles, little is known about how people construct 'the leader' through images posted on social media. We followed an abductive iterative process involving several rounds of (a) manual screening of the corpus to identify potentially recurrent images, and (b) machine-assisted identification of identical or extremely similar images in the corpus using a custom algorithm we developed. This analysis revealed that the corpus is dominated by aggregate icons referring to three aspects of Berlusconi's persona: the success of the football club A.C. Milan under his ownership and presidency, his irreverence in institutional settings during his time as incumbent Prime Minister of Italy, and his personal friendship with controversial foreign leaders (notably Mu'ammar Gheddafi and Vladimir Putin). Fandom e Anti-Fandom politico nei social media: analisi comparata tra Italia, Francia e Spagna Università degli Studi di Perugia, Italia Negli ultimi anni, i social media hanno trasformato il modo in cui i leader politici vengono percepiti dal pubblico, accentuando la polarizzazione tra sostenitori e oppositori. La capacità delle piattaforme digitali di diffondere messaggi rapidamente e di coinvolgere gli utenti ha amplificato sia il fandom, inteso come sostegno entusiastico verso un leader, sia l’anti-fandom, ossia il rifiuto e la critica sistematica. Questa ricerca indagherà le dinamiche alla base di questi fenomeni in Italia, Francia e Spagna, evidenziando differenze e somiglianze nella formazione del consenso e del dissenso online. L’analisi si fonderà su un corpus di 1.368 post pubblicati su Instagram durante la campagna elettorale per le elezioni europee (precisamente tra aprile e il giorno del voto, 10 giugno 2024), un periodo di intensa attività politica e dibattito pubblico. Il confronto tra i tre Paesi consentirà di esaminare come il contesto nazionale influisca sulla polarizzazione del dibattito e sulle strategie comunicative adottate sia dagli attori politici, sia dagli utenti ordinari. Si analizzerà il ruolo di Instagram come spazio di aggregazione politica e veicolo di amplificazione delle narrazioni, valutando il peso dei diversi attori coinvolti nella diffusione dei contenuti. L’attenzione è rivolta a dodici figure politiche, quattro per ciascun Paese: Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Giuseppe Conte ed Elly Schlein per l’Italia; Emmanuel Macron, Marine Le Pen, Jean-Luc Mélenchon e Raphaël Glucksmann per la Francia; Pedro Sánchez, Santiago Abascal, Isabel Díaz Ayuso e Yolanda Díaz per la Spagna. L’analisi comparativa di questi leader consentirà di individuare schemi ricorrenti o specificità nazionali nelle dinamiche di fandom e anti-fandom, mettendo in luce quali leader sono più polarizzanti e quali generano livelli di consenso e dissenso meno estremi. L’indagine esaminerà il grado di polarizzazione in ciascun Paese e quale tipo di contenuti prevalga nei diversi contesti. Sarà fondamentale capire se in alcuni Paesi il fandom si sviluppi in modo più strutturato e coordinato, mentre in altri prevalga una tendenza più marcata verso l’anti-fandom. Inoltre, si esamineranno i diversi tipi di pubblicanti per individuare quali tipologie di utenti influenzino la narrativa pubblica e in quali modi. L’analisi del discorso politico online evidenzierà differenze nelle modalità di sostegno e critica ai leader, valutando in che misura il fandom sia associato a forme di identificazione e partecipazione attiva, mentre l’anti-fandom si manifesti attraverso sentimenti di opposizione e discredito. Saranno analizzate le principali strategie comunicative adottate nei tre Paesi, con particolare attenzione alle tecniche di engagement e mobilitazione, tra cui l’uso di retoriche populiste, strategie di attacco agli avversari e meccanismi di rafforzamento dell’identità del gruppo di sostenitori. Un ulteriore elemento di confronto riguarda l’influenza delle piattaforme digitali sui processi di formazione delle comunità di sostenitori e oppositori. In questo senso, si analizzerà se il dibattito sia maggiormente guidato da attori politici e mediatici o se prevalgano dinamiche più spontanee e decentralizzate, caratteristiche dell’interazione online. Questa prospettiva comparata consentirà di comprendere meglio le nuove forme di partecipazione politica negli ecosistemi digitali di questi tre Paesi, mettendo in luce il ruolo delle specificità nazionali nella creazione del consenso e nella diffusione delle critiche. L’obiettivo è fornire strumenti interpretativi utili a comprendere come i social media modellino il discorso politico contemporaneo, influenzando la percezione pubblica dei leader e ridefinendo le dinamiche di interazione tra politica e cittadini. Dall'autonarrazione al mito: ‘Partire da sé’ nella retorica di Giorgia Meloni. Luiss, Italia La narrazione autobiografica costituisce un dispositivo strategico sempre più rilevante nella comunicazione politica contemporanea, in quanto strumento di costruzione dell’identità e di legittimazione della leadership. Nel caso di Giorgia Meloni, il racconto della propria esperienza personale e del proprio passato assume una funzione centrale nella definizione della sua immagine pubblica, articolandosi attorno al mito neoliberale della self-made woman. Attraverso un’analisi della sua autobiografia Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee (2021), condotta mediante la Critical Discourse Analysis (CDA), questo contributo esamina il ruolo della narrazione personale nella costruzione del capitale simbolico della leader e nella normalizzazione di un modello di successo che marginalizza i vincoli sociali e collettivi a favore di una retorica della volontà individuale. In questo senso vengono identificati quei dispositivi simbolici (maternità, lealtà, competizione, volontà) che contribuiscono a questa costruzione. La Critical Discourse Analysis, in quanto approccio metodologico, permette di indagare le relazioni tra linguaggio, potere e ideologia, evidenziando come il discorso autobiografico di Meloni si inserisca all'interno di un quadro ideologico più ampio. L’analisi si concentra su scelte linguistiche, strategie retoriche e cornici narrative per individuare le modalità con cui il testo costruisce significati, rafforza specifiche visioni del mondo e legittima un immaginario politico basato sull’autosufficienza individuale. Pur riecheggiando la strategia femminista del "partire da sé", Meloni la riformula in una chiave individualista e meritocratica, presentandosi come un’underdog che ha scalato le gerarchie politiche grazie alla sola forza di volontà e al talento personale. In tal modo, la sua narrazione oscura le dinamiche strutturali di potere e le disuguaglianze sistemiche, contribuendo a consolidare un discorso politico fondato sulla responsabilità individuale, in linea con retoriche neoliberali e sovraniste riscontrabili anche in altri contesti di leadership femminile. Al tempo degli algoritmi: esperienze informative di giovani elettori e astenuti Univeristà di Sassari, Italia Alle Politiche 2022, il 40% dei potenziali first-time voters ha scelto l’astensione (Istituto Ixè, 2022), evidenziando un’apparente polarizzazione nella partecipazione giovanile. Tuttavia, (giovani) elettori e astenuti non sono gruppi monolitici, ma presentano diverse sfumature di impegno politico (Andersen et al., 2021) e diverse esperienze informative (Woodstock, 2014). Questo studio esplora le esperienze informative dei giovani italiani che hanno scelto di astenersi o votare alle Politiche 2022. Poiché le esperienze informative dei giovani sono sempre più influenzate dagli algoritmi sui social media, lo studio esplora – nello specifico – la loro percezione di questi algoritmi, facendo riferimento alla letteratura sulle “folk theories”. Nate nell’ambito della ricerca sull’interazione uomo-macchina (Eslami et al., 2015), le folk theories sono considerate risorse culturali strategiche che permettono agli individui di generare inferenze sugli effetti dei media e che influenzano gli usi concreti che gli individui fanno dei media (Siles et al., 2020; Toff & Nielsen, 2018; Ytre-Arne & Moe, 2020). Questo studio mira a capire 1) quali folk theories degli algoritmi di news selection sui social emergono tra i giovani italiani elettori e astenuti, 2) il contesto in cui queste teorie si sviluppano (impegno politico e civico dei giovani che le elaborano, frequenza e fonti con cui (non) si informano sulla politica), 3) le (eventuali) tattiche che vengono adottate, sulla base di queste teorie, per incoraggiare / scoraggiare questi algoritmi. A maggio 2023 sono state condotte 36 interviste semi-strutturate a giovani astenuti e votanti, con una strategia di variation sampling che bilancia caratteristiche sociodemografiche in grado di influenzare il senso di connessione alla vita pubblica. Le interviste hanno indagato la consapevolezza dell’esistenza di sistemi di personalizzazione dell’informazione sui diversi social media, la percezione degli effetti di questa personalizzazione e le eventuali strategie adottate per modificare le news visualizzate. Le interviste sono state analizzate attraverso un processo induttivo e iterativo. L’analisi delle prime 20 interviste ha fatto emergere cinque folk theories sugli algoritmi, che ho etichettato come: “pratici ma limitanti”, “riduttivi”, “predatori”, “funzionali”, “spie”. Secondo la prima teoria, gli algoritmi filtrano le informazioni ma limitano la visione del mondo. Questa teoria è sostenuta dal gruppo più numeroso (3 votanti, 4 astenuti), eterogeneo per partecipazione e diete informative. Nonostante la preoccupazione per i rischi di “segregazione”, solo un intervistato evita i like nella speranza di vedere contenuti diversi, mentre gli altri sono attivi in tattiche di personalizzazione. La seconda teoria sostiene che gli algoritmi commettono errori, offrendo rappresentazioni grossolane e contenuti irrilevanti. Condivisa da 3 votanti e 1 astenuto con medio-basso engagement politico e pratiche attive di ricerca di informazione, porta all’uso di strumenti come blocchi e segnalazioni. La terza teoria vede gli algoritmi come strumenti per massimizzare l’attenzione a fini commerciali o politici. Tre astenuti sfiduciati verso la politica sostengono questa teoria, senza però evitare azioni di personalizzazione algoritmica. Secondo la quarta teoria, gli algoritmi sono utili per mostrare contenuti interessanti. I sostenitori (2 astenuti, 1 votante), poco coinvolti politicamente, si affidano alla selezione algoritmica senza spirito critico e senza modificarla. La quinta teoria evidenzia l’utilità degli algoritmi, ma anche la sensazione di essere spiati. I sostenitori (3 votanti) sono poco impegnati politicamente e si informano incidentalmente. Il gruppo ha al suo interno gli unici due giovani che dichiarano di non sapere come funzionano gli algoritmi. Nonostante si sentono spiati, non adottano alcuna tattica significativa di resistenza all’algoritmo. Questi risultati contribuiscono all’avanzamento della conoscenza scientifica su giovani, partecipazione politica, ed esperienze informative, esplorando il potere algoritmico dal punto di vista degli utenti dei social media e guardando anche ai delusi / disinteressati alla politica in uno dei Paesi con le più basse competenze digitali in Europa. Measuring Destructive Polarization: How Emotions and Narratives Shape the Amplification of Political Content on Brazilian Facebook Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Italia The 2022 Brazilian presidential elections highlighted extreme polarization and widespread online misinformation, culminating in an attempted coup on January 8, 2023 (Bastos & Recuero, 2023). This study addresses the rise of destructive political polarization, characterized by dysfunctional communication driven by negative emotions and antagonism toward opposing political groups (Esau et al., 2024). Emotions play a critical role in destructive polarization. Anger and mistrust often reinforce group boundaries, escalating polarization (Barnes, 2022; Recuero et al., 2021; Sandvoss, 2020). Social media platforms, particularly Facebook, contribute significantly to this phenomenon. Facebook’s affordances—reactions, comments, and shares—offer valuable metrics to assess these negative emotions (Anwar & Giglietto, 2024). Comments can indicate a willingness to engage, sometimes leading to incivility (McCosker, 2014), while 'angry' reactions often reflect frustration with opposing content (Eberl et al., 2020; Muraoka et al., 2021). Our research expands on this by analyzing 'angry' and 'love' reactions alongside comments and shares, as well as circulated narratives as antecedents of amplification. While angry reactions and comments may reflect negative sentiments toward the 'other,' shares and 'love' reactions usually denote support and alignment (Eberl et al., 2020). We explore the following research question: What is the role of emotions in amplifying a hyperpartisan political post? Method This study is part of a European project that developed a news alert system to detect coordinated link-sharing by actors known for disseminating problematic information on Facebook (Giglietto et al., 2023). Our analysis of flagged links revealed consistent dissemination of content linked to Brazilian political pages and groups. We mapped Facebook accounts sharing these links and applied a modularity algorithm to identify 58 coordinated pages and groups supporting Bolsonaro. We collected over 12 million posts shared by this network between January 1, 2021, and December 31, 2023. The quantitative analysis examined interactions (comments, shares, love, and angry reactions) to identify engagement trends. Time series analysis of love/angry and share/comment ratios helped assess emotional polarization over time, with notable fluctuations during political events. Seven periods of high volatility, mainly in 2021 and 2023, were identified, narrowing our focus to 1,161,126 posts. We employed a qualitative grounded approach, analyzing 1,400 posts with the highest engagement during these volatile periods. We categorized 760 posts to fine-tune a Large Language Model (LLM), creating a classification scheme with three groups: target (Bolsonaro, his family, allies and supporters; The Supreme Federal Court and other public institutions; Armed forces / Military Police; Media Mainstream; Lula, his family, allies and supporters; Other), sentiment (positive, negative, neutral), and post typology (user-generated content, or news). This sample will be a gold standard for fine-tuning an OpenAI gpt-4o-mini model and building a regression model to assess how narratives and users’ emotions influence amplification. Preliminary Findings Our analysis focuses on three years of content shared by pro-Bolsonaro accounts (N=58). The angry/love and comment/share ratios range between 1 and -1, with values near 1 indicating dominant love reactions and shares and values near -1 showing a predominance of angry reactions and comments. In 2023, following the attempted coup, these ratios shifted, with comments and angry reactions becoming more prominent. While 2022 remained stable, volatility analysis revealed significant instability in 2021 and 2023. We will estimate a regression model using total interactions as a proxy for amplification, with narratives and emotional reactions (comments, shares, angry, and love) as independent variables. Control variables include timeframe, posting account, and content type. By shedding light on the interplay between emotions, narratives, and content amplification, this study enhances our understanding of how destructive polarization evolves within digital ecosystems. |
15:15 - 17:15 | Sessione 2 - Panel 05: Creator e influencer culture Luogo, sala: Aula Magna ex Facoltà di Scienze Politiche (B0-B) Chair di sessione: Alberto Marinelli |
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"Palestina cooking is resistance”. Memoria di cibo e guerra dei food influencer palestinesi. Università degli Studi di Catania, Italia La ricerca presentata si concentra sui micro-influencer nel mondo del cibo e del #foodporn nel contesto dell'escalation del conflitto israelo-palestinese. La conversione dei profili degli influencer da “creatori di contenuti dell’industria culturale” a “partecipanti attivi nei movimenti politici” è avvenuta in conseguenza all’inasprirsi della crisi e da un punto di vista empirico è interessante osservare come la grammatica (Gerlitz e Rieder, 2018) e i vernacoli (Burgess, 2006) di Instagram siano stati adattati dai food blogger come depositi di memoria mimetica. L'egemonia culturale occidentale che caratterizza il mondo professionalizzato dei food blogger, dominato da persone cis-etero abili, è raramente problematizzata. Secondo Salvio (2012) Dejmanee (2019), le culture alimentari delle minoranze vengono saccheggiate, appropriate, colonizzate e mercificate. Nel caso del cibo palestinese, vanno sottolineati almeno tre fattori fondamentali. Il primo è legato alla necessità della parte palestinese di preservare la propria tradizione e cultura anche attraverso il cibo. La rivendicazione del riconoscimento delle origini di molte ricette tradizionali palestinesi è una questione politica: studiosi israeliani come Yonatan Mendel, Dafne Hirsch e Ilan Baron (Kassis 2023; Shehadeh 2024) sostengono che vi sia stata una progressiva colonizzazione da parte di Israele della cultura culinaria palestinese, che ne mina la sua stessa esistenza. Il secondo è legato al collasso del sistema alimentare come denunciato dall'agenzia ONU World Food Programme (dicembre 2023). La conseguente disumanizzazione, effetto della strumentalizzazione mediatico delle immagini degli attacchi ai camion degli aiuti umanitari, viene contro-narrata dai food blogger palestinesi attraverso la narrativizzazione della routine, la preparazione del cibo, del pasto quotidiano. Il terzo è legato alle strategie di resistenza digitale: nella prima fase del conflitto la computational propaganda (Bonini, Trerè 2024) sembrava discriminare i filo-palestinesi. I digital creators si sono opposti utilizzando strategie di algorithmic amplification, algorithmic evasion, algorithmic hijacking. Il cibo è vettore di messaggi politici e al contempo custode di miti (Kasturi, 2023). Dal punto di vista teorico alla costruzione della memoria collettiva contribuiscono il presente, che viene interpretato secondo le cornici sociali degli individui e insieme narrazioni del passato, che contribuisce alla sua mitizzazione (Halbewachs 1950; Nicolosi 2024). In questo senso assumiamo la prospettiva halbewaachiana che intende la memoria come fatto sociale, ovvero come strumento che ci permette di organizzare il passato potendoci riconoscere dentro precisi racconti. La ricerca esamina quindi il funzionamento della piattaforma Instagram (follow the media) insieme all’analisi di tre account palestinesi (follow the native). Si tratta di micro-celebrity ovvero“no-actor as performer” (Senft 2008), vale a dire di una persona che viene seguita non per quello che appare ma per quello che fa o sa fare (Marwick 2015). In questo caso il micro -influencer riveste il ruolo di delegati del sapere che condividendo e archiviano il proprio ricordo biografico contribuiscono modellare la memoria collettiva (Assmann 1997) Uno strumento scraper, adatto per Instagram, ha estratto 177 reel postati da tre micro-influencer nel periodo compreso tra dicembre 2023 e novembre 2024. La prima fase dell’analisi include la descrizione dei profili e dei contenuti principali dei reel insieme ai i risultati della network analysis, che evidenzia le relazioni con altri attivisti e ONG. La seconda fase di analisi ha evidenziato il livello di polarizzazione e il tipo di lavoro relazionale dei foodblogger. I profili degli influencer mantengono la natura apparentemente frivola e narcisistica dell'auto-narrazione, necessaria per catturare l'attenzione, per creare un discorso orientato e fortemente empatico e affettivo.I primi risultati mostrano una spinta alla ri-significazione del #foodporn e del “food influencer” (Stagi 2016; Cava 2018) come progetto di attivismo digitale. L'uso di Instagram è finalizzato alla creazione di un archivio di identità e memoria collettiva, in una fase con elevate perdite materiali e immateriali. Narrazioni digitali delle contested illnesses: temporalità sospesa, riconoscimento e logiche di piattaforma Università degli Studi di Ferrara, Italia Se c’è una lezione che possiamo trarre dall’esperienza pandemica, è che una crisi sanitaria prolungata, accompagnata da periodi di isolamento e quarantena, può rimodellare profondamente la percezione del tempo e le pratiche quotidiane, influenzando anche il modo in cui narriamo noi stessi e costruiamo la nostra identità attraverso gli spazi digitali. Rimanendo nel campo della salute, le contested illnesses o medically unexplained symptoms (MUS), come fibromialgia, sindrome da stanchezza cronica e vulvodinia, rappresentano un caso emblematico per analizzare l’impatto della temporalità sull’esperienza della malattia e sulla sua possibilità di narrazione nel contesto delle piattaforme digitali. Queste patologie, segnate da incertezza diagnostica e riconoscimento istituzionale limitato, mostrano una tensione tra il rallentamento imposto dalla sofferenza e la pressione sociale verso produttività ed efficienza. Inoltre, chi ne è affetto sperimenta una temporalità sospesa, in contrasto con la logica biomedica, che privilegia diagnosi certe e trattamenti standardizzati. Attraverso l’analisi delle narrazioni digitali su piattaforme come Instagram e TikTok, questa ricerca esplora come lo storytelling online contribuisca alla ridefinizione dell’identità di malato, mettendo in discussione le tradizionali categorie di salute e agency dei pazienti. I social media hanno infatti facilitato la nascita di comunità di pazienti che, condividendo esperienze, generano nuove forme di legittimità epistemica. D'altra parte, le narrazioni digitali interagiscono con le logiche algoritmiche delle piattaforme, amplificando la loro visibilità attraverso pratiche di influence marketing. Questo fenomeno, detto anche influ-attivismo, se da un lato favorisce l’advocacy e il riconoscimento, dall’altro può piegare il discorso sulla malattia a logiche neoliberiste di engagement e self-branding. Un ulteriore aspetto critico riguarda l’autenticità: la crescente standardizzazione delle narrazioni digitali rischia di semplificare l’esperienza della malattia, riducendola a un racconto di crescita individuale che oscura le dimensioni strutturali della sofferenza. Questo fenomeno è particolarmente visibile nell’estetizzazione della malattia su piattaforme visuali, dove la narrazione del dolore diventa contenuto ottimizzato per la fruizione algoritmica. Così facendo, si rischia di riprodurre un’ideologia della self-improvement, che individualizza il vissuto e lo sottrae a una lettura politica delle disuguaglianze di accesso alle cure e delle ulteriori dinamiche di esclusione che caratterizzano patologie come quelle prese in esame. Per indagare queste tensioni, la ricerca adotta la thematic analysis all’interno di un contesto di etnografia digitale per identificare e interpretare temi ricorrenti all’interno di narrazioni sui social media. In particolare, questo studio intende concentrarsi sulle modalità con cui pazienti (e attivisti) costruiscono e comunicano la propria identità e il vissuto legato alla malattia esaminando, in particolare, il rapporto tra la temporalità sospesa dell’attesa diagnostica, la costruzione della legittimità epistemica e la tensione tra autenticità e normativizzazione della resilienza nelle piattaforme digitali. Attraverso l’analisi di post, commenti e contenuti audiovisivi pubblicati sui social media, è possibile indagare come il racconto della malattia non solo risponda a esigenze di riconoscimento, ma si inserisca in dinamiche più ampie di negoziazione epistemica e visibilità algoritmica. In conclusione, questo studio intende evidenziare come le narrazioni digitali non siano solo strumenti di autodeterminazione e di costruzione dell’identità di malato, ma anche pratiche sociali che ridefiniscono le frontiere della conoscenza medica e del riconoscimento istituzionale delle contested illnesses. Tuttavia, l’intersezione tra storytelling della malattia, logiche di piattaforma e dinamiche di self-branding impone una riflessione critica sulle ambivalenze di questi spazi digitali: se da un lato i social media favoriscono la creazione di comunità solidali e attiviste, dall’altro rischiano di conformare la sofferenza a modelli narrativi standardizzati, erodendo la complessità dell’esperienza della malattia e reinserendola in un’economia dell’attenzione dove la visibilità diventa condizione necessaria per il riconoscimento. Personalizzazione del discorso collettivo: influ-attivismo e pubblici nel caso mediatico di Più Libri Più Liberi Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Italia Le trasformazioni della sfera pubblica digitale nella società contemporanea hanno dato origine a nuove forme di partecipazione politica, influenzando le dinamiche di costruzione del discorso pubblico, caratterizzato da un’accelerazione della produzione e circolazione dei contenuti. Negli spazi digitali regolati dall’economia dell’attenzione, alcuni soggetti rilevanti - come influencer, attivisti digitali e organizzazioni (influ-activists, Murru et al., 2024) - possono giocare un ruolo centrale nella rapida diffusione dei contenuti e agire come mediatori nel dibattito pubblico, orientando le percezioni, le risposte e la mobilitazione dei pubblici. In questo contesto, i pubblici diventano soggetti attivi nella reinterpretazione e produzione delle narrazioni politiche. Le piattaforme digitali offrono un accesso democratico ai mezzi di produzione e distribuzione dei contenuti, rafforzando il senso di agency degli individui (Benkler, 2006; Boccia Artieri, 2012; Jenkins et al., 2016), che possono partecipare attivamente nella costruzione del discorso politico (Dahlgren & Alvares, 2013). L’appropriazione personale delle questioni politiche porta gli individui a produrre e condividere narrative individualizzate, intrecciando la propria dimensione privata con quella pubblica (Boccia Artieri, 2021). Questa ricerca si propone di analizzare la tensione tra dinamiche individuali e collettive nella partecipazione politica online, investigando il rapporto tra la comunicazione degli influ-attivisti e le risposte dei pubblici, con particolare attenzione alla produzione di narrative personalizzate all’interno del discorso pubblico. I dati sono stati raccolti attraverso il metodo della digital ethnography (Pink et al., 2015), che ha permesso di cogliere le rapide evoluzioni della conversazione nelle piattaforme di Instagram e Facebook. A partire dai contenuti pubblicati, tra il 20 novembre e il 20 dicembre 2024, dai profili ufficiali della fiera e degli autori e case editrici coinvolte, l’approccio etnografico ha permesso di estendere la ricerca ad altri soggetti attraverso commenti, condivisioni e riferimenti espliciti nei contenuti raccolti, portando alla costruzione di un dataset di circa 200 contenuti (n=200). I risultati della ricerca evidenziano come la personalizzazione del discorso sia un elemento centrale nelle pratiche comunicative degli influ-attivisti. Attraverso l’uso di narrazioni individualizzate, questi attori riescono a influenzare le dinamiche di costruzione del discorso pubblico e di partecipazione: l’uso di strategie comunicative differenti, che enfatizzano o meno dinamiche di polarizzazione e inciviltà, influenza le risposte dei pubblici e il modo in cui le questioni politiche vengono discusse, contribuendo alla costruzione di narrazioni collettive differenti. Trasparenza e fiducia nell'immediatezza digitale: studio su 300 influencer italiani Università Cattolica del Sacro Cuore, Italia Il paper indaga il rapporto tra trasparenza e fiducia nelle attività dei creatori di contenuti digitali, con particolare attenzione agli influencer. Il tema della fiducia e delle sue trasformazioni nell'ambito della società delle piattaforme rappresenta un aspetto centrale nella definizione della contemporaneità. La compressione dei tempi di elaborazione nel processo di attribuzione della fiducia rende sempre più necessaria la comprensione delle dinamiche (e delle strategie) che caratterizzano le relazioni comunicative accelerate dai social media. La figura dei creator, e in particolare di coloro che fondano la propria comunicazione sull'affidabilità e sulla capacità di esercitare influenza, costituisce un punto di osservazione privilegiato per analizzare questa compressione temporale. Il paper presenterà i risultati di un monitoraggio semestrale sulla trasparenza comunicativa di 300 creator sui social media, partendo da una duplice domanda di ricerca: come la trasparenza nella comunicazione promozionale si integra nelle strategie di costruzione della credibilità e quali sono le strategie di costruzione della fiducia di contenuti e creator che presentano forme di comunicazione meno trasparente? La ricerca ha analizzato oltre 300 influencer italiani per identificare contenuti promozionali non conformi alla Digital Chart dell'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP). Il monitoraggio si è focalizzato strategicamente su quattro settori chiave: Moda, Beauty, Finanza e Family Influencer, tutti attivi principalmente sulle piattaforme Instagram e TikTok, con un seguito che varia da 50.000 a 5 milioni di follower. La selezione di questi specifici settori risponde a criteri ben definiti: Moda e Beauty sono stati inclusi per la loro rilevanza numerica e per la consolidata presenza di creator che operano in questi ambiti. D'altra parte, i settori Finanza e Family Influencer sono stati selezionati in quanto rappresentano aree emergenti nel panorama dell'influencer marketing, caratterizzate da strategie di comunicazione peculiari e in rapida evoluzione. Oltre a presentare i risultati complessivi, il paper esplorerà specificamente il nesso tra strategie di costruzione della fiducia e trasparenza. L'analisi si fonda su due elementi chiave identificati in letteratura: la percezione che l'influencer "si prenda cura" dei propri follower, attributo fondamentale di affidabilità, e la costruzione di un "legame emotivo" basato sulla percezione di trasparenza (Xiao et al. 2018; Torres et al., 2019, Ladhari et al 2020; Ki et al 2020; Vrontis et al. 2021). Si verificherà l'ipotesi che la compressione temporale nei processi di attribuzione della fiducia sui social media possa compromettere il rapporto tra la necessità di mantenere trasparenza nei contenuti commerciali e la dimensione del "caring" nella relazione fiduciaria con i follower." La presentazione dei risultati includerà uno scenario sulla trasparenza comunicativa degli influencer, evidenziando somiglianze e differenze tra i settori monitorati e analizzando la correlazione tra livello di trasparenza e numero di follower. Seguirà un'analisi più approfondita focalizzata sui settori e sugli influencer con minore trasparenza. L'esame dei contenuti di questo campione specifico rivelerà le connessioni tra scarsa trasparenza e particolari strategie di costruzione della fiducia. Il monitoraggio si è avvalso di una piattaforma personalizzata sviluppata dalla software house Deus, che integra anche processi di intelligenza artificiale. La piattaforma, approvata dal punto di vista etico dall'EASA (European Advertising Standards Alliance che riunisce gli organismi di autoregolamentazione della pubblicità in diversi paesi europei), è stata "addestrata" con set di parole chiave derivate dallo studio delle strategie comunicative degli influencer nei settori esaminati, permettendo così l'identificazione del database di contenuti per il monitoraggio. La ricerca proposta intende condividere i risultati di una metodologia che combina analisi automatizzata dei contenuti social con analisi tradizionale, verificando le connessioni tra tecniche di costruzione della fiducia e trasparenza promozionale. Questo contribuisce alla più ampia discussione sul significato della fiducia nell'ecosistema dell'influenza sui social media. |
15:15 - 17:15 | Sessione 2 - Panel 06: Genere, identità e intimità Luogo, sala: Aula 6 (A1-F) Chair di sessione: Paola Rebughini |
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Negotiating migrant masculinities in the context of domestic time and space 1University of Trento, Italy; 2University of Glasgow, Regno Unito; Gran Bretagna How is the temporality of migration gendered, shaping migrants’ social mobility across the public/private divide? This paper explores the gendered nature of social time in relation to men who migrate as ‘followers’ of their wives and work as domestic/care workers in Italy. The analysis focuses on men’s temporal experiences of the home, family, and reproductive labour. It suggests, first, how time dilution through ‘waiting’ before emigration and loss of agency constitute an important feature of men’s experiences of dependency and de-skilling, and, secondly, how men negotiate domestic time and space to reassert autonomous male subjectivities as breadwinners. First, our paper develops a much-needed gendered analysis of the relation between migration and time, mapping how migrant masculinities are forged over biographies and different stages of migration and of the life course, reflecting migrant men’s experience of domestic time. Second, it complements existing analyses of migrant reproductive labour – which mainly focuses on femininities and on space across the private/public divide – through a discussion of the temporal dimensions of men’s (paid and unpaid) care/domestic work. Our method sheds light on the temporality of gendered migration: we conducted extensive ethnographic research including biographical and semi-structured interviews, in some cases with the same informants, over 15 years. This long timeframe revealed how, in individual biographical trajectories, entering or leaving paid care/domestic work informs shifting models of gender identification across time and through time. Il tempo dell’intimità: pratiche digitali e identità di genere nella vita quotidiana degli/delle adolescenti 1Università di Padova; 2Università Link Campus University; 3Università La Sapienza I media digitali sono ambienti che offrono ai/alle giovani agency e spazi in cui costruire ed esprimere la propria identità (boyd 2014), attraverso pratiche di bricolage (Willett 2008) e di sperimentazione anche per quanto riguarda genere e intimità (Livingstone & Mason 2015; Scarcelli 2015; De Ridder 2017; Metcalfe & Llewellyn 2020; Ferreira 2021). Gli studi esistenti si sono concentrati principalmente sulle interazioni comunicative (ad esempio il “sexting”) in connessione alla costruzione del genere e della sessualità (Ringrose et al. 2013; Scarcelli 2020); sulle dimensioni di genere delle rappresentazioni e autorappresentazioni della maschilità e della femminilità (Marshall et al. 2020; Caldeira 2021) e sull’uso di piattaforme per l’espressione personale e il supporto sociale, in particolare per le donne e le persone LGBTQ+ (Tortajada et al. 2021). Il tempo gioca un ruolo chiave nella lettura del fenomeno. Le temporalità digitali, caratterizzate da immediatezza, contatto costante - ma anche da improvvise possibilità di disconnessione - favoriscono la permanenza e l’evanescenza dei contenuti scambiati, ridefinendo il tempo della relazione e, di conseguenza, le pratiche di intimità. Sono stati realizzati 6 focus group con persone di età compresa tra i 16 e 18 anni delle scuole secondarie di sei città in tre diverse regioni italiane (Nord/Centro/Sud). Per consentire ai/alle partecipanti di esprimersi e riflettere su argomenti sensibili come la sessualità, l'intimità e l’identità di genere i focus group utilizzano i moodboard come metodi di elicitazione visiva (Spawforth-Jones 2021). I risultati dei focus group sono stati successivamente discussi con il gruppo delle/dei Young Researchers per interpretare il contenuto. Infine sono state condotte, sempre in Italia, 60 interviste semi-strutturate che hanno coinvolto ragazze e ragazzi tra i 16 e i 18 anni, con generi e orientamenti diversificati.I risultati descrivono un'ampia gamma di pratiche digitali particolarmente interessanti se analizzate in una prospettiva temporale, quali: l’evoluzione nel corso della adolescenza delle autorappresentazioni di genere sui social media; il ruolo dei media digitali nelle diverse fasi delle relazioni intime e affettive; la fruizione e lo scambio di contenuti intimi tramite smartphone e/o Internet; il monitoraggio costante di altri significativi reso possibile anche dalle funzioni di geolocalizzazione; le pratiche di ricerca e condivisione di informazioni riguardanti questioni di genere o sessuali e la fruizione di contenuti erotici e pornografici in relazione alle diverse fasce di età ed esperienze intime maturate. Ciao maschi. Emozioni, resistenze temporali e nuove corazze identitarie nell’epoca della crisi della mascolinità 1Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Italia; 2Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Italia Nell’epoca del capitalismo impaziente (Sennett 2006) e della modernità liquida (Bauman 2000), l’accelerazione dei ritmi di vita e la contingenza delle crisi – economiche, sanitarie, ecologiche e geopolitiche – minano profondamente la "sicurezza ontologica" (Giddens 1990), quel senso di stabilità identitaria che un tempo trovava fondamento nella prevedibilità delle routine e nella solidità delle istituzioni sociali. In particolar modo negli uomini, questo fenomeno alimenta la percezione di una "crisi della mascolinità" (Faludi 1999; Kimmel 2013) che si manifesta anzitutto come disallineamento temporale: i tradizionali modelli di virilità appaiono come relitti storici incompatibili con il presente, mentre nuove aspettative sociali incalzano senza fornire coordinate chiare ai giovani di oggi. Questo spiega perché molti discorsi sulla crisi maschile oscillano tra la celebrazione retorica di una mascolinità tradizionale, ormai difficile da incarnare, e la ricerca di nuovi modelli che rispondano alle richieste del presente, senza rinunciare completamente a un riconoscimento identitario radicato in una continuità temporale. In questo contesto, la cosiddetta manosphere (Nagle, 2017; Ging 2017), e in particolare i gruppi di attivismo per i diritti maschili, emerge come laboratorio affettivo dove giovani uomini (18-29 anni) elaborano risposte affettivo-discorsive alla pressione temporale della modernità accelerata (De Boise 2017; Allan 2015). Contrariamente allo stereotipo della mascolinità stoica e inespressiva (Seidler, 1989), questi spazi digitali offrono a molti uomini un'arena dove indossare la corazza identitaria del genere per fronteggiare l'ansia di un'età adulta emergente caratterizzata da transizioni irregolari e precarietà strutturale (Farci 2024) . La crisi non viene semplicemente subita, ma attivamente negoziata attraverso strategie di resistenza temporale: da un lato, un ritorno essenzialista che naturalizza i ruoli di genere come "habitus" (Bourdieu 1977), presentandoli come verità biologiche fattuali da recuperare; dall'altro, una retorica nostalgica che interpreta i cambiamenti sociali – particolarmente l'emancipazione femminile – come minacce all'ordine temporale "naturale", rafforzando un'identità collettiva vittimizzata contrapposta a un "loro" (donne e femministe) costruito come causa del disagio (Ahmed 2004). A partire da questo quadro teorico, obiettivo del presente lavoro è comprendere come la percezione accelerata del tempo sociale influenzi l'espressione e la mobilitazione delle emozioni negli spazi digitali dell’attivismo per i diritti maschili. In particolare, la ricerca esplora: quali emozioni (nostalgia, rabbia, ansia, frustrazione) spingano i giovani uomini verso questi spazi digitali; quali contenuti risuonino emotivamente con il vissuto di precarietà e disallineamento temporale dei partecipanti, rafforzandone il senso di appartenenza; come le emozioni siano strategicamente mobilitate per costruire una continuità biografica, in risposta all’accelerazione sociale e alla frammentazione delle traiettorie di vita; come queste configurazioni affettive contribuiscano a definire una mascolinità oscillante tra resistenza al cambiamento e ricerca di nuovi modelli identitari (Farci 2022; Farci, Righetti 2019). Per sondare queste dimensioni di analisi, sono state condotte interviste in profondità con dieci partecipanti attivi di pagine Facebook italiane che trattano temi convenzionalmente legati alla manosphere, selezionati attraverso una snowball sampling. L'analisi tematica dei dati raccolti permetterà di comprendere come le complesse, e spesso contraddittorie, negoziazioni emotive all'interno di questi ambienti rappresentino un elemento cruciale per capire come gli uomini interpretano e reagiscono allo spaesamento temporale causato dalla crisi del maschile. Discriminazione e resistenza nel mondo del lavoro: uno studio sulla comunità digitale r/childfree Università degli Studi di Messina, Italia Lo studio, realizzato nell’ambito del progetto ****, esplora il fenomeno delle scelte non riproduttive (childfree) attraverso una prospettiva di genere, indagando le implicazioni sociali e professionali vissute da coloro che decidono di non avere figli (Gillespie, 2000; Moore, 2014; Park, 2002; Veevers, 1980). Si analizzano, in particolare, le discussioni nella comunità digitale r/childfree su Reddit, uno dei forum più rilevanti sul tema, mettendo in luce le sfide strutturali e culturali affrontate dai lavoratori childfree, con un focus sulle discriminazioni di genere e sulle asimmetrie nelle aspettative lavorative (Goldscheider et al., 2015; Serri et al., 2019). La progressiva mercificazione del tempo privato (Harvey,1989) subordina sempre più frequentemente il tempo libero alle esigenze del mercato del lavoro. Questa tendenza si inserisce in quella che viene definita la “società dell’accelerazione” (Rosa, 2015), in cui la compressione dei tempi di vita genera uno stress costante e una precarizzazione delle esperienze quotidiane. All’interno di molte organizzazioni, il confine tra tempo di vita e tempo di lavoro risulta sempre più sfumato, determinando una crescente pressione temporale, che spesso penalizza coloro che non si conformano ai modelli normativi del lavoratore-genitore (Hochschild, 1997; Gerson, 2011). L’indagine ricostruisce le dinamiche di discriminazione e sovraccarico lavorativo di uomini e donne childfree, evidenziando come le trasformazioni economiche e culturali contemporanee abbiano rafforzato un modello di produttività basato sulla costante disponibilità lavorativa (Wajcman, 2014). Metodologicamente, lo studio si avvale di un’etnografia digitale (Sumiala & Tikka, 2020) e di un’analisi tematica, condotta manualmente e con il supporto del software Nvivo (Jackson & Bazeley, 2019). L’osservazione non partecipante del subreddit r/childfree, svolta tra luglio e dicembre 2024, si è focalizzata sulle narrazioni relative alle discriminazioni lavorative. A questa fase è seguita l’analisi tematica di 1.448 commenti, che ha permesso di classificare i contenuti in tre macrocategorie: discriminazione sul lavoro, dinamiche professionali e lavorative e commenti irrilevanti (Saldaña, 2021). I risultati rivelano che i lavoratori e le lavoratrici childfree sono frequentemente percepiti come più disponibili per straordinari e incarichi extra, una supposizione che ignora i loro impegni personali e contribuisce a una distribuzione iniqua del carico di lavoro (Budig & England, 2001). Le donne childfree, in particolare, affrontano ostacoli significativi, poiché la loro scelta amplifica le disuguaglianze di genere già presenti nei contesti professionali (Hochschild & Machung, 2012). Un aspetto centrale emerso dall’analisi riguarda il work-life balance, elemento essenziale per i lavoratori childfree, i quali considerano il proprio tempo libero una risorsa fondamentale per il benessere individuale, il riposo e la coltivazione di interessi extra-lavorativi. Tuttavia, numerosi utenti del subreddit riportano di essere frequentemente sovraccaricati di straordinari, turni extra e incarichi aggiuntivi, poiché i colleghi e le colleghe con figli vengono ritenuti meno disponibili. Questa dinamica si fonda sulla presunzione che chi non ha figli disponga di più tempo per il lavoro, trascurando il valore delle attività personali e la necessità di un equilibrio tra vita professionale e privata. Le misure aziendali volte a conciliare impegni lavorativi e personali tendono spesso a favorire chi ha responsabilità familiari, escludendo chi non rientra in questi schemi, con il rischio di alimentare percezioni di disparità e aspettative implicite di maggiore disponibilità per i dipendenti senza figli (Darcy et al., 2012). Gli utenti auspicano politiche aziendali che non considerino la genitorialità il principale criterio per determinare flessibilità lavorativa (Hobson & Fahlén, 2009). Sottolineano, inoltre, l’importanza di riforme organizzative che valorizzino la diversità delle scelte di vita, promuovendo una cultura lavorativa più equa e rispettosa delle esigenze individuali (Gill, 2012). Tra ricerca e comunicazione: come raccontare le storie delle donne in movimento? Unibo, Italia Che ruolo assume la comunicazione e i processi di disseminazione accademica nei percorsi di ricerca sociologica sulla migrazione? Quali sono le sfide da affrontare quando ci si relaziona con temi sensibili, persone vulnerabili e narrazioni mediali? Il progetto **** studia le dinamiche di ritorno delle donne provenienti da Marocco e Tunisia, indagando i meccanismi di successo e fallimento che si celano dietro al desiderio del ritorno e ponendo al centro della ricerca il tema dell’agency delle donne migranti. Il ritorno e le categorie ad esso associate - volontario o forzato, successo o fallimento - è un tema che assume significati complessi e a volte contraddittori, tanto più se si tratta di ritorni al femminile. Che siano associati al frame della sicurezza o a quello umanitario, i discorsi della politica e la retorica dei media restituiscono una migrazione tutta al maschile. Le donne risultano per lo più invisibili, o laddove presenti, soggette a stereotipizzazione dei ruoli: domestica, prostituta, madre, moglie, velata. Proprio per dare più visibilità al lato femminile della migrazione, che spesso è associata anche a scelte di innovazione sociale e imprenditorialità delle donne, oltre che a diventare agenti di cambiamento ed intermediarie nei processi di ritorno, il progetto **** ha posto al centro le attività di comunicazione e disseminazione artistica, che hanno quindi affiancato il processo di ricerca sin dalle prime fasi. Questo ha determinato l’apertura di una riflessione etica e metodologica su come raccontarsi durante il processo di ricerca e su quali strumenti fossero necessari per incidere sulle modalità di narrazione della migrazione femminile di ritorno. Ne sono emersi strumenti di comunicazione e disseminazione che hanno permesso di riflettere ulteriormente sul tema dell’agency delle donne nei processi migratori di arrivo e ritorno e sul ruolo che l’università assume (o può assumere) per far emergere più corrette narrazioni e migliori politiche pubbliche, di ciò che studia ma anche di come agisce nella ricerca. Tutto ciò ha permesso di affiancare ai risultati accademici tipici della ricerca sociale, risultati comunicativi raggiunti attraverso gli account social di progetto, così come strumenti di disseminazione artistica co-costruiti e linee guida operative co-prodotte con enti che operano nell’innovazione sociale sui temi di imprenditività ed imprenditorialità migrante e di genere, ispirati da un approccio post coloniale e femminista. |
15:15 - 17:15 | Sessione 2 - Panel 07: Pratiche e literacy dell'IA Luogo, sala: Aula 7 (A1-G) Chair di sessione: Giovanni Boccia Artieri |
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Learning to use/through the use of ChatGPT: the AI literacies of Italian students 1Università Cattolica del Sacro Cuore, Italia; 2Università di Milano Bicocca As with other new technologies, children and young people have been eager early adopters of Generative AI tools since the release of ChatGPT in November 2022. Research worldwide has documented the most common uses of GenAI tools among this age group, as well as their expectations and fears for the future. For example, young people in the US tend to engage with textual Gen AI more than image- or video-based GenAI, and they do so mainly to get assistance with their homework or to escape boredom (Madden et al., 2024). However, research is still sparse and mainly descriptive, leaving room for unsubstantiated public discourses that either reproduce the commercial hype around the revolutionary opportunities opened by Gen AI; or replicate media panics around the harmful negative effects for children and young people, as if students’ cheating in school, adolescents’ mental health problems, and disinformation campaigns, were only determined by Gen AI. Moreover, the question of young people’s AI literacies is still underexplored. This presentation reports on interviews with 15 13-to-17-year-olds in Italy, as part of a qualitative comparative research across 13 European countries (Austria, Czech Republic, Estonia, Ireland, Italy, Latvia, Luxembourg, Norway, Poland, Portugal, Serbia, Spain, the UK). The in-depth interviews were conducted both in person and online, to a diverse sample of adolescents in terms of gender, age balance, school type, socioeconomic status, urban or rural area. We examine the AI literacies of young people, and prerequisites and barriers to developing AI knowledge and skills (including individual resources and vulnerabilities, and structural enablers and barriers, Helsper, 2021). Informed by a conceptualisation of digital literacy as consisting of knowledge and skills elements as well as functional and critical aspects (Smahel et al., 2024), we define AI literacy as the combination of critical skills and knowledge about how Gen AI works. The findings confirm that AI literacy consists of both functional and critical skills and knowledge, and is influenced by age and context. Adolescents use GenAI primarily for schoolwork, especially to help them with writing tasks or to support them in appropriating difficult concepts or summarising long texts. By contrast, they tend to distrust GenAI when it comes to solving math problems. Accordingly, many interviewees understand ChatGPT as a direct replacement for search engines. Adolescents learn to use GenAI by themselves, through a learning by doing process; or via informal learning practices - including word of mouth, or videos on Instagram or TikTok. Only occasionally they are introduced to positive uses of ChatGPT and other tools by teachers. Family discussions on GenAI, instead, remain sporadic and parents do not play a significant role in scaffolding adolescents’ skills. their skills and knowledge around GenAI is unevenly distributed. While most interviewees share a basic understanding of GenAI capabilities as stemming from internet data, they tend to lack foundational technical knowledge or awareness of underlying mechanisms, and ignore risks related to datafication or algorithmic bias. As a result of limited AI literacy, when presented with hypothetical scenarios, adolescents reproduce dystopian discourses, with reference to the risk of disinformation and a totally AI-fabricated reality, cognitive disempowerment (where increased reliance on Gen AI may undermine critical thinking and independent problem-solving skills), and automation replacing human roles and decision-making. In conclusion, our study highlights how adolescents’ engagement with GenAI is shaped by diverse and fragmented learning pathways, with home, school, and social media representing potential educational loci offering uneven but equally insufficient support. Our findings contribute to the debate on the need for comprehensive AI literacy education that promote critical, ethical, and informed engagement with GenAI. Imparare senza appartenere? I “pubblici di pratica” dell’IA generativa visuale Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche I modelli di intelligenza artificiale generativa creano nuovi contenuti testuali, visivi e sonori. I progressi tecnologici hanno reso i prodotti generati dall'IA sempre più difficili da distinguere da quelli umani, e la loro rapida diffusione ha favorito applicazioni che spaziano dalla ricerca accademica ai contenuti politici. Per analizzare le pratiche legate all’uso dell’IA generativa e alla circolazione dei suoi output, proponiamo il concetto di pubblici di pratica. Li definiamo come formazioni sociali effimere che si aggregano attorno a un tema, connesse dalle infrastrutture sociotecniche dei social media e delle piattaforme digitali. La visualizzazione delle relazioni tra input e output nei sistemi sociotecnici, come l’IA generativa o i sistemi di raccomandazione, rende possibile l'apprendimento reciproco e la comprensione condivisa. I pubblici di pratica si formano attraverso interazioni con i sistemi sociotecnici: la creazione di contenuti e la loro circolazione nei media digitali. Piuttosto che organizzarsi attorno a un punto focale come un marchio o un tema, questi pubblici emergono dalla visibilizzazione della pratica, ad esempio mediante la condivisione di coppie input-output di IA generative sui social media. Nel caso dell’IA generativa, l’input testuale (o prompting) deriva da conoscenze individuali e collettive. La generazione di contenuti avviene attraverso la formulazione di prompt e la regolazione di parametri tecnici. L’output di un sistema GAI—da solo o insieme al suo prompt—riflette dunque competenze, convenzioni e contesti di produzione: un'immagine generata dall'IA rivela norme situate e preferenze estetiche, come ad esempio una predilezione per il fotorealismo rispetto ad altri stili. Quando condivise sui social media, queste immagini e i loro prompt diventano strumenti di apprendimento e contribuiscono alla costruzione di un quadro interpretativo per i contenuti futuri. I sistemi di IA generativa rendono la pratica visibile, favorendo l’apprendimento collettivo e la negoziazione delle interpretazioni attraverso la circolazione online degli output. La generazione di contenuti e l’interazione con l’IA costituiscono pratiche comuni che ricordano le tradizionali comunità di pratica (Warner, 2002), contribuendo allo sviluppo di un linguaggio condiviso e permettendo una negoziazione collettiva riguardo gli usi e le norme che circondando l’IA generativa. Qui, l’attenzione non è solo sulle formazioni sociali, ma su come gli output della GenAI incarnino la pratica. Attraverso un’analisi con metodi digitali cross-piattaforma (TikTok, Reddit e Twitter/X), descriviamo qualitativamente l’emergere dei pubblici di pratica attorno all’IA generativa visuale. Mostriamo come la creazione, la condivisione e la valutazione delle immagini artificiali siano modellate da strutture sociotecniche e norme, dagli usi degli utenti ai loro immaginari. Analizziamo queste pratiche rispetto alle piattaforme, alle affordance tecnologiche, e alle estetiche e ai discorsi influenzati dai modelli generativi visivi. Utilizzando metodi digitali, adottiamo approcci di raccolta dati nativi (Caliandro et al., 2024) per esplorare come le visualità e le pratiche generative varino nei diversi contesti (Niederer & Colombo, 2024). I risultati mostrano che le interazioni su Reddit, TikTok e Twitter sono più frammentate rispetto alle comunità stabili. Questi spazi strutturano pubblici di pratica, dove conoscenza e apprendimento collettivo si sviluppano e vengono negoziati attraverso le specifiche ‘grammatiche’ e ‘vernacoli’ di ciascuna piattaforma, considerando sia gli strumenti di IA generativa, che producono immagini artificiali tramite prompt, sia le infrastrutture sociotecniche che ne regolano la circolazione. Il nostro contributo è duplice: 1) esaminiamo usi, pratiche e circolazione delle immagini generate dall’IA; 2) introduciamo il concetto di pubblici di pratica per spiegare come le interazioni con i sistemi sociotecnici plasmino formazioni sociali ad hoc, favorendo apprendimento e interpretazioni condivise. Discutere di Ultima Generazione con ChatGPT: potenzialità e limiti dell’IA generativa nel dibattito democratico Università Cattolica di Milano, Italia L’intervento dà conto dei risultati di un esperimento volto a valutare le potenzialità dell’uso dell’IA generativa nel dibattito democratico per promuovere la comprensione della complessità di questioni pubbliche controverse – nello specifico, la valutazione politica dell’attivismo performativo del movimento ambientalista Ultima Generazione. L’esperimento, svolto nel 2024 e ispirato all’uso dei “serious games” nella ricerca sociale (Greenblat 1971), è consistito in una serie di focus group in cui gruppi di giocatori (selezionati tra gli studenti dei corsi di laurea in Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore) si sono confrontati ludicamente con GPT-4° con interfaccia vocale, difendendo e poi criticando le azioni di Ultima Generazione. Alla fine del gioco, giurie con differenti competenze (studenti, scienziati politici, esperti di IA con background sociologico) hanno assegnato un punteggio agli scambi comunicativi, confrontandosi tra loro e con i giocatori sulle ragioni della propria scelta e proclamando un vincitore. L’obiettivo dell’esperimento consisteva nell’analizzare criticamente le implicazioni delle interazioni con l’IA Comunicativa per il discorso democratico da tre punti di vista: (1) la forma assunta dai dibattiti pubblici su temi controversi, così come strutturata dall’IA; (2) le strategie retoriche e ideologiche messe in atto dall’IA; e (3) il contributo dell’IA alla comprensione, da parte dei partecipanti, della complessità delle questioni controverse. I risultati suggeriscono, innanzitutto, che ChatGPT tende a strutturare il discorso politico all’interno dei confini della razionalità e della cortesia formale (Lakoff, 1973), mettendo temporaneamente in scena una sorta di ideale sfera pubblica habermassiana. Mentre tale approccio risulta più apprezzato rispetto agli scambi accesi tipici dei talk show, i partecipanti sottolineano come la natura non umana dell’AIA si traduca in un ragionamento privo di empatia ed esperienza incarnata, in ultima istanza inadeguato nei dibattiti politici (Papacharissi, 2010, 2015). In secondo luogo, e nonostante la messa in scena di una situazione comunicativa ideale, i partecipanti hanno individuato diverse strategie discorsive “problematiche” adottate da ChatGPT. E’ il caso ad esempio della strutturazione tendenziosa del campo semantico dei concetti usati nel dibattito, come avviene per l’uso del termine “violenza” per gli atti di disobbedienza civile tipici di Ultima Generazione. Queste strategie evidenziano come operazioni persuasive poco trasparenti, scollegate dal “regime di verità” (Foucault, 2012), possano infiltrarsi in dialoghi che, in apparenza, mirano alla comprensione reciproca. Infine, riguardo al “potenziale epistemico delle opinioni contrastanti” nella sfera semi-pubblica (Habermas, 2023), il contributo di ChatGPT e quello dell’esperienza ludica nel suo complesso sono stati valutati diversamente. Da una parte, infatti, ChatGPT è stato considerato di scarsa utilità per l’ampliamento della conoscenza dei partecipanti sul caso di UG: i partecipanti hanno descritto l’IA come una sorta di “motore di ricerca per il senso comune” che riproduce acriticamente le opinioni dominanti sui movimenti ambientalisti. D’altra parte, però, il confronto pubblico dei giocatori e delle giurie con l’AIA, è stato apprezzato come un valido modo per condividere, e attivare nel discorso politico, conoscenze, opinioni, e punti di vista differenti. Terzo settore e IA, sfide e opportunità teoriche ed empiriche da una ricerca sul campo nel Nord-Italia. 1Università di Roma Tor Vergata, Italia; 2Ischire Considerando la partecipazione in tutti i campi della sfera sociale come strettamente connessa a questioni di potere e disuguaglianze (Carpentier, Wimmer 2024), essa costituisce una delle principali sfide per la realizzazione e la sussistenza dei processi democratici e per il superamento dei crescenti livelli di disuguaglianza nell'attuale epoca di disgregazione sociale e della sfera pubblica (Bentivegna, Boccia Artieri 2022, Bruns 2023, Bulchotz et al. 2024, Reckwitz 2021). Guardando al contesto italiano, ci concentriamo sui corpi intermedi della sfera pubblica (nello specifico gli enti del Terzo Settore, ETS) per riflettere sul loro ruolo e sulla loro capacità di partecipazione critica nei e attraverso i media, incorporando in questi ultimi la crescente presenza dell'IA. Gli ETS costituiscono realtà-cerniera che storicamente tutelano la coesione sociale, intervengono nella formazione delle comunità e rappresentano le istanze dei gruppi sociali più vulnerabili (persone con disabilità, ecc.) presso le istituzioni e gli organi politici (UnionCamere 2024). In tal senso, questi possono giocare ancora un ruolo chiave nella complessa interazione tra l'adattamento della politica agli sviluppi e ai bisogni della società e l'adattamento della società alle decisioni politiche che ne derivano, relativamente alle capacità di intervenire sulla riflessione e la risonanza democratica della società (Rosa 2022). Alla luce delle già note risorse precarie e la limitata strategia di comunicazione di questi attori, ma in particolar modo del loro potenziale di cambiamento culturale (Peruzzi, Volterrani 2016), esploriamo che tipo di approccio hanno adottato nei confronti dell'IA e quali potenzialità e rischi per il futuro derivano da questa relazione. Problematizzando la prospettiva che reputa l'IA come “benefica per tutta l'umanità”, visione propria dell’approccio anglo-americano (Gebru, Torres 2024), intendiamo esplorare la conoscenza algoritmica (Cotter, Reisdorf 2020) degli ETS in relazione alle implicazioni per la comunità a cui si rivolgono e che vorrebbero contribuire a fortificare considerando la difficoltà strutturale del sistema delle piattaforme in riferimento alla solidarietà (Couldry 2024). Poiché le piattaforme digitali non cambiano la vita umana da sole, ma il loro funzionamento e significato è sempre negoziato dagli individui attraverso combinazioni continue di processi di creazione di significato e sviluppo tecnologico (Couldry, Hepp 2017), è dirimente considerare le percezioni e le capacità degli ETS di impiegare l'IA nei loro processi di pianificazione e formazione interni/esterni. Utilizzando un approccio di Critical Data Studies (ad esempio Markham, Pronzato 2023; Medrado, Verdegem 2024), questo studio esplorativo è stato condotto attraverso note di campo in una serie di workshop di persona, un sondaggio online e interviste di follow-up in profondità con più di 100 diversi ETS nel Nord Italia dall'agosto 2024 al gennaio 2025 (Burrell 2024, Bradbury 2024, Huang, Chen 2024). Questi erano specializzati in diverse aree del lavoro sociale e impiegati in vari settori, dalla comunicazione all'ospitalità. I primi risultati rivelano un'iniziale diffidenza, resistenza e sfiducia che vanno nella direzione di appiattire le capacità tecniche di adozione e utilizzo degli strumenti. Nonostante il rischio di non diventare “comunità epistemiche per la sicurezza dell'IA” (Ahmed et al. 2024) ma solo pragmatiche, il processo iterativo di accompagnamento degli strumenti sembra affermare che la svolta partecipativa nell'uso dell'IA (Young et al. 2024, DiPaola et al. 2024) è in grado di restituire centralità all'educazione civica come pratica critica e sperimentale che promette di trasformare o riportare ad essere gli ETS incubatori e vettori di partecipazione scalare nei territori. Intelligenza artificiale nella salute e nella cura: analisi degli immaginari istituzionali Università Cattolica del Sacro Cuore, Italia Nell’ambito degli studi STS (Bijker et al., 1989; Mackenzie & Wajcman, 1999), è stato ampiamente evidenziato il ruolo degli immaginari nello sviluppo tecnologico fornendo cornici interpretative e influenzando i percorsi di innovazione tanto nella produzione quanto nel consumo (Bakiner, 2023; Sartori & Bocca, 2023). La loro analisi può quindi condurre, a ritroso, a comprendere meglio lo scenario e le direttrici entro cui le tecnologie vengono progettate e proposte. Diversi studi si sono occupati di indagare gli immaginari dell’Intelligenza Artificiale (IA) in documenti istituzionali quali l’AI Act UE e le policy nazionali, a livello generale o in specifici settori come quello della salute e della cura (Bareis & Katzenbach, 2022; Corsi & D’Albergo, 2024; Hoff, 2023; Sartori & Bocca, 2023; Tucker, 2023). Il presente contributo si inserisce in questo dibattito, analizzando gli immaginari e le cornici narrative presenti nei documenti istituzionali italiani che riguardano l’intersezione fra salute, cura e IA. La ricerca ha riguardato i documenti di istituzioni pubbliche nazionali rilasciati negli anni 2022-2024, in particolare la Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024-2026, il Modello predittivo 2.0 del Ministero della Salute, il Monitor 47 di AGENAS. È stata effettuata un’analisi del discorso codificando le macroaree narrative su evoluzione tecnologica (continuità/rottura, obiettivi, funzioni), attori coinvolti, dimensione temporale (accelerazione/decelerazione, archi temporali), dimensione spaziale (luoghi della cura), dimensione riflessiva (etica, rischi). I risultati preliminari mostrano che l’IA è immaginata come una forza rivoluzionaria, in grado di ottimizzare i processi, supportare la programmazione, migliorare il rapporto fra cittadini e istituzioni. Si tratta di un processo inevitabile: non si pone in questione se ma come adottare sistemi di IA. Gli attori coinvolti sono molteplici: autorità pubbliche, Pubblica Amministrazione, enti che si occupano di salute, formazione a tutti i livelli (scuole e università). Le istituzioni sono presentate come l’ente guida, promotore, regolatore e connettore. Gli orizzonti temporali sono a breve termine (attivazione di progetti e misure immediate) e medio/lungo termine (soprattutto per la ricerca). Il senso di urgenza è acuito dalla definizione delle politiche per l’IA come un “bersaglio mobile”, ovvero oggetto di costante revisione. I progetti concretamente finanziati sono ancora limitati. Per la sanità nazionale il principale è dedicato all’IA applicata al supporto dell’assistenza primaria nell’ambito dell’elezione della casa come luogo di cura, in particolare per pazienti cronici e over 65, pensando i servizi assistenziali in modo integrato. L’approccio è quello “One Health” in cui si sostengono prevenzione, stili di vita sani, cura delle persone fragili. Rispetto alla dimensione riflessiva, nella Strategia Italiana appare la consapevolezza di una non neutralità della tecnologia, con l’esigenza di produrre una IA che colga le specificità del contesto culturale italiano con soluzioni non proprietarie e con la visione antropocentrica propria dell’Unione Europea. Vi è consapevolezza dei rischi, ad esempio omogenizzazione culturale, digital divide, disuguaglianze sociali, inefficacia dei progetti. Nell’ambito della salute si deve prestare attenzione allo sviluppo di LLM etici, senza “allucinazioni”, proteggendo il diritto degli autori e rendendo disponibile la tracciabilità dei contenuti. L’immaginario risente del dibattito più recente (es. su bias e rischi dell’IA) e del contesto culturale europeo (istituzioni come regolatore vs deregulation). Nella Strategia Italiana salute, cura, benessere, impieghi sociali dell’IA hanno un peso marginale rispetto all’ampia attenzione dedicata al settore delle imprese. La limitatezza dei KPI di valutazione in particolare rispetto all’impatto sociale sui processi di cura e salute lascia trasparire la mancanza di un collegamento fra immaginari e pratiche, su cui invece sarebbe auspicabile una maggiore connessione anche in relazione alle sfide demografiche del nostro Paese. In relazione al tema della conferenza, questo studio offre una prospettiva critica su come le istituzioni pubbliche stiano incorporando e comunicando l’innovazione tecnologica in ambito sanitario e assistenziale. |
15:15 - 17:15 | Sessione 2 - Panel 08: Scuola, università e sistemi educativi Luogo, sala: Aula 11 (A0-B) Chair di sessione: Roberto Serpieri |
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Innovazione Sociale in Accademia: riflettere su Fast e Slow Academia attraverso la produzione di artefatti 1Università di Bologna, Italia; 2Università di Padova, Italia La cultura accademica contemporanea esige habitus rapidi e frenetici, spesso espressi attraverso metafore quali il celebre publish or perish, che enfatizzano la performance, i risultati e l’efficienza ai massimi livelli (Boynton 2021). Il declino del principio di acquisizione lenta della conoscenza rivela sempre più un’università dominata da accelerazione sociale e logiche mercantili, piuttosto che un’istituzione culturale capace di incarnare lentezza, profondità e riflessione (Eriksen e Visentin 2024). Le principali conseguenze sono la standardizzazione, l’eccesiva attenzione ai risultati quantitativi (Pardo-Guerra 2022), gli effetti sulla salute mentale e sul benessere degli accademici (Evans et al. 2017; Levecque et al. 2017; Martell, 2020; Padilla-González e Londoño, D. 2022), le disuguaglianze e la discriminazione nei confronti dei gruppi vulnerabili (Ahmed 2012). Tra questi, le donne sono una delle categorie più colpita dall’accelerazione accademica subendo frequentemente pratiche di sfruttamento e ingiustizia, che causano episodi o periodi di abuso (o auto-abuso: Coin 2018), precariato, quitting e disturbi di salute mentale (Coin 2017; Osbaldiston et al. 2019; Minello 2021). Come reazione, si sono sviluppate molte ricerche e riflessioni critiche afferenti agli studi femministi e di genere che si concentrano sulla Slow Academia e i concetti di cura collettiva, collaborazione e fiducia (Mountz et al. 2015; The Care Manifesto 2020; Bali e Zamora 2022). Vi sono poi ricerche sull’innovazione sociale nel settore educativo (Elliott 2013; Loogma et al. 2013; Benneworth e Cunha 2015; Rivers et al. 2015; Schröder e Krüger 2019; Kumari et al. 2020; Behrend et al. 2022), che invece riguardano varie pratiche di insegmanento, ricerca e comunicazione, accomunate dall’obiettivo di democratizzare l’accesso alla conoscenza, ridurre le discriminazioni legate alla disuguaglianza sociale degli studenti e combattere il divario di genere. Infine, soprattutto a seguito della pandemia da Covid-19, sono aumentate esperienze di pratiche alternative al lavoro accademico (Byron 2021; Gachago et al. 2021, Ganugi e Marocchini 2025) con l’obiettivo di connettere accademici appartenenti a contesti territoriali e universitari diversi, diffondendo un approccio più sostenibile al lavoro. Gli approcci slow e fast non sono necessariamente escludenti. È possibile trovare un equilibrio tra i due, adottando pratiche che favoriscano sia la produttività che il benessere. La scelta tra i due dipende spesso da contesto istituzionale, disciplina di riferimento, posizione accademica ricoperta e scelte individuali. Questo contributo mira a riflettere su queste pratiche, indagando il significato del lavoro accademico per le donne e l’impatto che gli eventi della vita hanno sulla loro carriera accademica e sulla conciliazione vita-lavoro. Un ulteriore obiettivo è favorire una riflessione critica e un discorso collettivo riguardo al lavoro in accademia, mostrando i diversi approcci possibili e la necessità di includerli e accettarli. Elaborando la letteratura presentata e altri lavori in cui le autrici sono parallelamente coinvolte, viene presentato un progetto di ricerca che raccoglie storie individuali e riflessioni collettive, applicando una tecnica creativa di ricerca sociale, basata sulla produzione di artefatti (Makela 2007; Giorgi et al. 2021). Nel corso del 2025, questa tecnica viene applicata allo svolgimento di più workshop, coinvolgendo donne in diversi ruoli accademici. La produzione di artefatti permette di attivare strategie di comunicazione non basate sulla parola, permettendo alle partecipanti di acquisire consapevolezza riguardo alla propria condizione ed esprimere aspetti personali, anche emozionali, in un contesto diverso da quello di un’intervista o focus group tradizionali, che rischierebbero di riprodurre le stesse relazioni di squilibrio esperite in accademia (Caretta e Vacchelli 2015; Vacchelli 2017). I risultati dei workshop riportano informazioni sulle storie di vita di accademiche donne e, allo stesso tempo, dati su pratiche accademiche socialmente innovative, contribuendo a un cambiamento culturale, che richiede un ripensamento di priorità e pratiche consolidate, ma che potrebbe portare a un’accademia più inclusiva, creativa e socialmente responsabile. Alla ricerca di un percorso di vita. Universitari tra studio e lavoro Università di Roma Tre, Italia Il paper presenta i primi risultati di una ricerca sul percorso dei giovani universitari, rilevati attraverso l’osservazione dei loro comportamenti e orientamenti e della loro progettualità. Un’attenzione specifica è stata rivolta a quanti di loro conciliano studio e lavoro. Nella loro esperienza universitaria, i giovani tendono a provare esperienze lavorative in alcuni casi anche con l’effetto di ritardare la conclusione del percorso di studi o di interromperlo del tutto (Triventi e Trivellato 2015). La figura dello studente lavoratore diventa sempre più presente anche in conseguenza dell’introduzione di forme di didattica integrata fruibile che da un lato ha stravolto il “ritmo accademico” (Colombo, Poliandri, Rinaldi, 2020), dall’altro lato può migliorare l’offerta esistente integrando metodologie e linguaggi d’insegnamento (Salmieri, Visentin, 2020). Tuttavia il sistema dell’educazione terziaria non ha modificato la sua struttura tradizionale, così la policy legata alla centralità degli studenti rimane spesso un esercizio di retorica (Harvey 2018). A dispetto del dibattito sulla qualità dell’insegnamento universitario in Europa (Keeling 2006) e del sistema di qualità introdotto dal processo di Bologna che invita a promuovere la missione accademica della didattica con una specifica attenzione (Marra, Moscati 2018). La resistenza al cambiamento è da attribuirsi alla chiusura verso metodologie di insegnamento, alla scarsa condivisione e pianificazione delle attività didattiche (Pompili, Viteritti 2020) alla crescente burocratizzazione e alla marginalità del peso specifico della didattica nella costruzione delle carriere accademiche (Normand 2016). L'indagine sul campo raccolgie interviste somministra questionariI agli studenti del Dipartimento di Scienze della Formazione dell'Università di Roma Tre. I risultati della ricerca si confrontano con il modello di integrazione accademica (Tinto 1997, Braxton et al. 2005, Larsen et al. 2013). L'analisi rileva l’importanza per gli studenti di costruire reti di relazione tra colleghi e con i docenti per proseguire il percorso universitario e orientarsi nella loro progettualità vocazionale in modo di «accrescere la conoscenza della propria specifica vocazione professionale in armonia con la vita sociale e biografica» (Dewey 2020). Artefatti digitali e pratiche quotidiane. Adolescenti, dirigenti, genitori e insegnanti a confronto 1Politecnico di Torino, Italia; 2Hellenic Open University, Grecia Come afferma Judy Wajcman (2015) “il tempo, a quanto pare, è un bene prezioso” e in una società dell’accelerazione ci si confronta con una costante percezione che ci sia “carestia” di questo bene e che la vita di oggi sia più veloce di quella di un tempo. In questa accelerazione e alienazione (Rosa 2015), i social media e, più in generale, le tecnologie digitali si sono radicate sempre più come strumenti abituali di comunicazione, interazione sociale e apprendimento, mediando non solo la vita quotidiana delle nuove generazioni ma, inevitabilmente, anche di quelle più anziane. Molteplici campi sociali, tra cui quello della scuola, vengono integrati dentro sistemi digitali, che se da un lato cercano di semplificare le relazioni, dall’altro ne aumentano la complessità (Albanese 2015). Il presente intervento muove da una serie di interviste strutturate condotte nell’ambito del progetto Europeo Erasmus+ DRONE (Teacher & school leaders training to promote Digital liteRacy and combat the spread of disinfOrmation among vulNerable groups of adolEscents) e rivolte a dirigenti e collaboratori/trici, professori e professoresse, studenti e studentesse e genitori/trici con l’obiettivo di indagare le dinamiche di digitalizzazione nelle scuole secondarie di secondo grado. Queste interviste consentono di cogliere differenti prospettive riguardo la digitalizzazione in relazione con i tempi di vita e di lavoro all’interno delle scuole. Nel caso dei/delle dirigenti, per esempio, emerge la complessità di gestione di differenti tempi che la scuola superiore richiede, tra le emergenze quotidiane e la pianificazione sul medio-lungo periodo. Dal punto di vista dei genitori, invece, si evince la complessità di alcuni strumenti digitali utilizzati a scuola che cambiano la relazione con la stessa. Un esempio riguarda il registro digitale, artefatto che genera reazioni discordanti tra i genitori stessi dal momento che per alcuni tale strumento responsabilizza figli/e e li aiuta a essere diligenti, per altri li de-responsabilizza portandoli a una non curanza. Ancora, nel caso degli/delle adolescenti gli artefatti digitali, come per esempio gli smartphone, diventano parte del loro vivere quotidiano e modificano il loro modo di relazionarsi con differenti mondi, tra cui anche quello scolastico ed educativo. In tal senso, come emerso dalle interviste, se da un lato, gli/le adolescenti utilizzano sempre più gli artefatti digitali per accelerare lo studio e dedicarsi ad altri mondi, dall’altro ci si scontra con alcuni metodi di insegnamento che al contrario ne vietano l’utilizzo, introducendo una contraddizione e tensione costante tra tempi educativi degli insegnanti più scanditi e quelli degli/delle adolescenti più veloci. L’intervento presente, allora, intende comparare le diverse prospettive nel dettaglio, mettendo in luce quelle che sono le pratiche quotidiane (Shove 2009), così come possono essere desunte dalle interviste, e mettendo in luce il ruolo degli artefatti, in particolare digitali, nel contribuire alle pratiche quotidiane e alle loro tempistiche. Educare nella “platform society”: tra interessi privati e valori pubblici Università di Palermo, Italia Negli ultimi decenni, la scuola (come pure l’università) ha attraversato un lungo e mai concluso processo di “crisi” in nome del quale sono state condotte una serie di riforme sempre più chiaramente integrate all’interno di un progetto neo-liberista di economia e società, i cui principi emergono nell’enfasi sul paradigma delle competenze, della competizione, della scelta scolastica e della valutazione come classificazione, un paradigma che si contrappone strutturalmente a ogni modello di educazione e istruzione intesa come promozione dell’uguaglianza, del pluralismo, della partecipazione e della salvaguardia della diversità, (Cappello, Pitzalis, in corso di stampa). L’affermazione di questo paradigma ha creato enormi opportunità di profitto per il settore dell’edu-business tecnologico, ridefinendo di fatto l’esperienza educativa e il significato stesso dell’insegnamento e dell’apprendimento oggi. L’effetto combinato degli investimenti crescenti delle grandi aziende della Rete nel settore educativo (amplificati durante la pandemia Covid) e dei processi di riforma neo-liberisti ha portato alla crescita di un enorme mercato di consumo per hardware, software e servizi online, indirizzando le politiche educative verso soluzioni ed-tech che generano enormi quantità di Big Data e nuove opportunità di profitto su larga scala. Ispirandosi all’ideologia del dataismo (Van Dijck, 2014), i policymakers in molti settori di servizio pubblico – sanità, welfare, istruzione – condividono la convinzione che i Big Data offrano una forma superiore di intelligenza e conoscenza, capace di generare intuizioni prima impossibili, con un'aura di verità, obiettività e accuratezza, tanto da poter essere considerati come ‘the holy grail of behavioural knowledge. Data and metadata culled from Google, Facebook, and Twitter are generally considered imprints or symptoms of people’s actual behaviour or moods, while the platforms themselves are presented merely as neutral facilitators’ (Van Dijck, 2014, p. 199, corsivo in originale). Sebbene si possa discutere se questi sviluppi siano intrinsecamente sbagliati o realmente innovativi, le domande che questo contributo intende affrontare, proponendo l’analisi di alcuni casi di studio in particolare, riguardano la deriva mercificante originata dalla crescente integrazione dell’edu-business tecnologico nell'istruzione, una deriva che ha portato a un’evidente (e forse irreversibile) dipendenza da soluzioni tecnologiche proprietarie, a scapito di soluzioni open source, che consentano l’uso, il riutilizzo e l’adattamento gratuito dei materiali educativi, evitando di dipendere dalle piattaforme digitali di aziende private (Williamson, 2017; Landri, 2018; Selwyn, 2019). Ciò richiama l’attenzione su aspetti critici relativi, per esempio, alla professione e al ruolo sociale dell’insegnante o alla dataveillance, ossia il monitoraggio e il tracciamento costante degli attori coinvolti (insegnanti, alunni, genitori, personale amministrativo, ecc.) mentre interagiscono negli ambienti online (. Ancora più critica è la (ri)definizione del concetto stesso di educazione e la contrapposizione di valori come Bildung versus skills, educazione versus learnification, autonomia degli insegnanti versus automatizzazione dei processi di insegnamenti e valutazione (i cosiddetti teacher bots), istituzioni pubbliche versus piattaforme private. Tutto questo solleva importanti questioni etiche relative a quattro aspetti interconnessi: (a) come questi attori modificano e autoregolano il proprio comportamento (consapevolmente o meno) per conformarsi agli standard stabiliti dagli algoritmi; IA ed Educazione: Un'Indagine Qualitativa sulle Percezioni e l'Uso tra gli Studenti Universitari Università di Udine, Italia L’Intelligenza Artificiale Generativa (GenAI) sta assumendo un ruolo sempre più centrale nell’istruzione superiore, sollevando interrogativi di natura etica, regolatoria ed educativa sul suo impatto nelle varie attività accademiche e nei processi di apprendimento. Sebbene questi strumenti offrano potenziali opportunità per la didattica, resta ancora poco indagato il modo in cui gli studenti li percepiscono e li integrano nella loro quotidianità. Gli studi esistenti si focalizzano principalmente su approcci di tipo quantitativo, trascurando invece quelli di tipo qualitativo, che invece, per loro stessa natura, potrebbero contribuire a fornire un quadro più approfondito delle effettive esperienze, percezioni e motivazioni degli studenti. Per colmare questa lacuna, il presente contributo analizza l’uso della GenAI tra gli studenti universitari attraverso interviste semi-strutturate (N=137) condotte con iscritti a diverse università italiane, prevalentemente situate nel nord-est. Il campione è composto da 85 studentesse, 51 studenti e una persona che si identifica con un genere non binario. Per quanto riguarda il livello di studi, 75 intervistati sono iscritti a un corso di laurea triennale, 52 a una laurea magistrale e 8 a un corso a ciclo unico, mentre due non hanno specificato il proprio percorso accademico. Gli obiettivi conoscitivi del presente studio sono: 1) indagare le motivazioni personali che influenzano l’adozione o il rifiuto della GenAI; 2) esplorare le opportunità e i rischi percepiti legati all’uso nel contesto universitario; 3) analizzare il ruolo delle istituzioni accademiche, tra divieti e regolamentazioni; 4) valutare le implicazioni più ampie della GenAI sulla società, sul mondo del lavoro, sulla creatività e sul pensiero critico. Attraverso domande filtro sono stati individuati tre gruppi di rispondenti: quelli che utilizzano GenAI per attività universitarie (n=73); quelli che la usano esclusivamente per attività personali (n=29); quelli che non la utilizzano (n=35). Le trascrizioni delle interviste sono state analizzate attraverso una codifica manuale, supportata dal software MaxQDA, per individuare e organizzare i temi emergenti. L’analisi ha rivelato differenze significative tra i tre gruppi in termini di percezione, utilizzo e impatto di GenAI. Coloro che la utilizzano per attività universitarie la considerano una risorsa utile per migliorare l’efficienza, la gestione del tempo e la ricerca informativa. La impiegano per ricerche, chiarimenti, riassunti, correzione grammaticale, traduzioni, generazione di idee per paper e tesi, e per creare presentazioni e contenuti grafici. Nonostante riconoscano i rischi e la fallibilità del sistema, la vedono come un'opportunità per il futuro accademico e professionale, auspicando che l’università fornisca linee guida chiare anziché limitarne l’uso. Gli studenti che dichiarano di utilizzare GenAI, ma non per l’università, ne apprezzano il valore per attività quotidiane (creatività, generazione di contenuti, intrattenimento), tuttavia sono cauti riguardo al suo utilizzo accademico, principalmente per motivi etici, di “orgoglio personale” o scarsa utilità percepita. Sebbene abbiano opinioni incerte sull’impatto dell’IA sul lavoro e sulla società, temono una riduzione del pensiero critico, disinformazione e omologazione, e auspicano una regolamentazione che promuova un uso etico e consapevole. Gli studenti che non utilizzano l’IA lo fanno prevalentemente per mancanza di necessità percepita, sfiducia nel sistema, motivi etici, preferenza per metodi tradizionali, mancanza di conoscenza o interesse. Pur considerando un possibile utilizzo futuro, esprimono generalmente una visione scettica. Richiedono restrizioni o divieti nel contesto universitario e temono che l’AI possa avere impatti negativi su società, arte, creatività, cultura, lavoro e pensiero critico. |
15:15 - 17:15 | Sessione 2 - Panel 09: Immaginari urbani e turistici Luogo, sala: Aula 12 (A1-B) Chair di sessione: Emiliano Ilardi |
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I tempi lenti del turismo alternativo e del cooperativismo di piattaforma: l’esperienza delle cooperative di comunità abruzzesi 1ENEA; 2Università degli Studi dell'Aquila, Italia; 3Legacoop – CulTurMedia; 4Università degli Studi Chieti–Pescara; 5Sapienza Università di Roma Il paper dà conto dei risultati di una ricerca-azione svolta con alcune cooperative di comunità abruzzesi, con cui abbiamo co-progettato una piattaforma digitale, “AbiTerrò”, che riflettesse nel design i loro valori e dinamiche sociali, così da comprendere -in una prospettiva emica- le pratiche culturali legate al turismo alternativo e al cooperativismo di piattaforma. Le cooperative di comunità che nascono in contesti marginali come l’Abruzzo (Vendemmia et al., 2021) promuovono il recupero di un tempo meno frammentato e più radicato nella quotidianità dei luoghi (Mori, 2014; Sforzi, Burini, 2020), proponendo attività ricreative non convenzionali e attente alla popolazione locale (Hannonen, 2018; Giampiccoli & Mtapuri, 2021) che favoriscono la condivisione autentica di esperienze (Gursoy et al. 2010; Triarchi & Karamanis, 2017). In questo senso, le cooperative possono essere considerate come comunità di resistenza (Sivanandan, 1981; Aiken, 2015) alle forme di turismo “mordi e fuggi” che dominano la scena globale (Becker, 2016; Neef, 2021). Esse adottano specifiche modalità sia di tutela e promozione del territorio, sia di accoglienza ed ospitalità, che rispondono criticamente all’intensificazione dei flussi turistici nelle grandi città (Triarchi & Karamanis, 2017; Dodds & Butler, 2019), favorita da piattaforme di settore come AirBnb e Booking (Nilsson, 2020; Celata & Romano, 2022). Il cooperativismo di piattaforma ben si presta a questa operazione giacché prova a risignificare la sharing economy sottesa alle piattaforme digitali in termini di maggiore tutela del lavoro, cura delle relazioni umane e protezione dei beni comuni (Papadimitropoulos, 2021; Rose, 2021). Facendo leva sul modello cooperativo tradizionale basato su legami di fiducia, relazioni di lavoro strutturate, e valori condivisi, le sperimentazioni realizzate finora in questo campo hanno provato (non sempre efficacemente, Bunders & De Moor, 2024) ad annodare i valori dell’innovazione sociale e della solidarietà alla profittabilità (Scholz, 2016; Di Maggio, 2019), per allentare la presa del capitalismo digitale, che tende sempre più ad uniformare i tempi e le esperienze delle persone. Questi due framework informano il disegno della nostra ricerca, improntato sulla Design Sociology (Lupton, 2018). Abbiamo applicato il Design Thinking come strategia creativa e collaborativa di risoluzione di problemi reali incentrata sull’utente e orientata alle comunità (Brown, 2019; Goi & Tan, 2021), e il Design Sprint come protocollo operativo per l’identificazione di obiettivi e soluzioni innovative da prototipare e validare con i/le partecipanti (Knapp et al., 2016). Nello specifico, abbiamo organizzato cinque workshop con i/le portavoce di otto cooperative di comunità abruzzesi che, al momento della ricerca, già lavoravano insieme su progetti di turismo alternativo attivati nei borghi di provenienza. L’analisi dei materiali raccolti durante le attività mostra che, nelle fasi iniziali e più “concettuali” del co-design, le cooperative di comunità si posizionano come appartenenti ad un unico territorio, con valori e pratiche condivise internamente che devono poi essere riconoscibili all’esterno. Pertanto, AbiTerrò è pensata sia come un ambiente digitale di backstage che le riunisce e che dà protagonismo alle comunità locali, sia come frontstage rivolto ai/alle guest in entrata, a cui propone un’offerta turistica lenta che favorisce un’immersione rispettosa nella cultura autoctona. Tuttavia, durante le fasi di ideazione, prototipazione e test della piattaforma, emergono difficoltà nel mantenere tale assetto “bifronte”. Entrare nelle maglie dell’architettura e dei meccanismi di funzionamento di AbiTerrò solleva questioni etiche, legali e gestionali tra i/le partecipanti circa la capacità effettiva della piattaforma di rispondere ai fabbisogni della popolazione locale mentre si rivolge ai flussi turistici in entrata. Ciononostante, i valori iniettati nella discussione restano saldamente ancorati alla necessità di evitare forme di consumo bulimico dei luoghi e favorire l’integrazione dei/delle guest nella vita delle comunità locali, allungando il loro tempo di permanenza nei territori e superando così la dicotomia ospite-abitante. Immaginario dell’autenticità e mediatizzazione delle pratiche di consumo nei borghi italiani Università di Urbino, Italia Il dibattito sui borghi delle aree interne italiane ha conosciuto una rinnovata attenzione durante la pandemia da Covid-19, in parte alimentato dal desiderio di fuga dai centri urbani densamente popolati (Fenu 2020, Bindi 2021). Questo contributo si concentra sugli immaginari mediali relativi ai borghi italiani, assunti come caso di studio all'interno della più ampia questione delle aree interne, caratterizzate da marginalizzazione economica e politica (Lucatelli, Luisi, Tantillo 2014). L'obiettivo è individuare le caratteristiche degli immaginari mediali dei borghi, in relazione ai fenomeni di cambiamento sociale e culturale catalizzati e amplificati dall’emergenza pandemica da Covid-19 (Boccia Artieri, Farci 2021, Bartoletti, Paltrinieri, Parmiggiani 2022). Tali immaginari sono strettamente connessi ai criteri di classificazione che valutano l’autenticità dei borghi (Sassatelli, Arfini 2024). Il contributo è rivolto a comprendere il coinvolgimento della categoria di autenticità all’interno di alcuni oggetti mediali, selezionati in ragione delle loro condizioni di produzione e diffusione presso i pubblici (Ciofalo, Pedroni 2022), sono in grado di raccontare l’immaginario dei borghi in modo particolarmente efficace ed influente. La costruzione del corpus di analisi è dunque orientata dal ruolo cardine di alcuni centri di produzione del discorso, tra cui in particolare quelli nati in seguito alla collaborazione tra l’associazione “Borghi più belli d’Italia” e il gruppo Deloitte. Per questa ragione il corpus di analisi è costituito da un cortometraggio prodotto da Deloitte intitolato Presto sarà domani (Placido 2022) e dalle recenti edizioni della trasmissione televisiva “Il borgo dei borghi”, in onda su Rai 3. L’autenticità raccontata da questi oggetti mediali verrà presa in considerazione in quanto dispositivo narrativo di costruzione del valore (Boltanski, Esquerre 2019), ovvero in quanto dispositivo che produce degli effetti sul piano della giustificazione e della legittimazione del valore dell’esperienza che è possibile fare nei borghi italiani, la quale rappresenta un caso particolare di esperienza, nel più ampio campo delle pratiche di consumo turistico (Gemini 2008, Zukin 2008, Urry, Larsen 2011, Sassatelli, Arfini 2017). Il modello prevalente di brevi soggiorni nei borghi promuove non solo la visita al patrimonio storico, culturale e naturale, ma riflette anche una recente tendenza a narrare l’incontro con le comunità locali attraverso registri comici e ironici. Tale rappresentazione mediale contribuisce a veicolare un'idea specifica dell’esperienza offerta dai borghi delle aree interne italiane, trascurando le problematiche legate alla marginalizzazione attraverso la celebrazione di una quotidianità idealizzata. L’analisi delle trasformazioni nei processi di autenticazione osservabili negli oggetti mediali consente di sviluppare una prospettiva critica sulle principali tendenze delle pratiche di consumo turistico nelle aree interne contemporanee, osservando continuità e discontinuità legate ai diversi periodi della pandemia. Cronotopie contese del nuovo turismo urbano. Narrazioni digitali ed esperienza dei luoghi in tre quartieri romani 1Sapienza Università di Roma, Italia; 2CulTurMedia LegaCoop Le grandi città sperimentano oggi forme inedite e voraci di abitare temporaneo, di norma (ma non esclusivamente) legate al turismo, che generano ricadute critiche sulla qualità della vita dei residenti e sull’esperienza stessa dei visitatori (Dodds & Butler, 2019). A Roma, dopo le aree di interesse artistico, il processo coinvolge quartieri semicentrali in cui da tempo si registrano trasformazioni nella composizione socioeconomica e nelle dinamiche socioculturali. Queste aree attirano i flussi di un nuovo turismo urbano (Roche, 1992), basato sulla ricerca di luoghi alternativi rispetto ai centri storici iperturistificati (D’Eramo, 2017), nei quali è possibile vivere esperienze e ritmi di vita “da residenti” (Füller & Michel, 2014; Mody 2016) – un fenomeno che comprime il mercato residenziale, esacerbando i fenomeni di gentrificazione e inaugurando specifiche modalità di mercificazione del capitale sociale e culturale dei luoghi (Smith, 2005; Novy & Colomb, 2016). Gli studi su piattaforme come Airbnb e Booking evidenziano il ruolo cruciale che queste giocano nell’accelerare tali processi (Nilsson, 2020), operando come attori politici (Parisi, 2018) con ruolo di indirizzo e mediazione algoritmica (Parisi, 2022). Da questo punto di vista, esse partecipano al processo di produzione dello spazio (Lefebvre, 1974) e alla sua governance (Fields et al., 2020), trasformando l’esperienza stessa della città (Caprotti et al., 2022). Il meccanismo di curation algoritmica genera inoltre immagini “sintetiche” della realtà urbana basate su rappresentazioni individuali e collettive negoziate dai meccanismi di piattaforma (Romano et al., 2023), sulle quali le città sono chiamate a modellare le proprie estetiche per non tradire le aspettative dei visitatori. Specifiche porzioni di territorio (una piazza, una strada, un luogo della movida) identificate come maggiormente rilevanti dall’interazione tra utenti e algoritmi (Celata et al., 2020) danno così forma all’identità percepita dei quartieri, orientano lo sguardo del turista e adattando l’immagine dei luoghi a una sensibilità globale (Urry 1990; 2008). A partire da queste considerazioni, il contributo presenta i risultati di una ricerca qualitativa sulle culture urbane in trasformazione in tre quartieri romani situati a ridosso del centro storico – Pigneto, San Lorenzo, Esquilino – la cui popolazione temporanea (Brollo & Celata, 2022) è in decisa crescita, anche per l’effetto di processi correlati (“foodification” e “studentification”, cfr Navarro-Jurado et al., 2023). Gli studi che hanno problematizzato le trasformazioni avvenute in questi quartieri (Parisi, 2014; Carbone & Di Sandro, 2019; Meli & Ricotta, 2022) raramente li inquadrano all’interno della riflessione sulle interferenze delle piattaforme digitali. La ricerca mira a colmare questa lacuna raccogliendo attraverso interviste in profondità il punto di vista di attivisti, associazioni culturali, commercianti, abitanti stabili e temporanei, al fine di identificare gli aspetti attrattivi e problematici dei tre quartieri e il ruolo delle piattaforme digitali nelle trasformazioni in corso, e raccogliere proposte di comunicazione della cultura dei luoghi che possano sensibilizzare a un’abitare temporaneo più consapevole. I primi risultati mostrano che queste aree assumono significati culturali che li collocano in opposizione ai flussi dell’overtourism; sono caratterizzati da un immaginario condiviso che combina memoria storica, creatività artistica, connotazione politica progressista o antagonista e una ampia offerta di luoghi dedicati al consumo (enogastronomia su tutti). I quartieri emergono come unità spazio-temporali in cui il tempo (memoria, storia e identità sedimentata, veicolate dal racconto dei media e dalla selezione algoritmica delle piattaforme) precipita nell’esperienza localmente situata della fruizione turistica e dell’abitare temporaneo. Questi cronotopi (Bachtin 1975), valorizzati dal (re)branding dell’identità dei quartieri, appaiono tuttavia contesi: la coolness che li circonda rende attrattivi i luoghi e le routine quotidiane dei residenti, ma contribuisce alla percezione di un cortocircuito culturale in atto, con il quale si confrontano campagne e iniziative di riappropriazione e risignificazione politica attivate trasversalmente negli spazi fisici e negli ambienti digitali. Utopie e distopie tra media e quotidianità: Immaginari futuri dei giovani sardi Università degli studi di Cagliari, Italia Negli ultimi anni, si è assistito ad una significativa proliferazione di narrazioni utopiche e distopiche nei media contemporanei, tra cui serie TV, film, videogiochi, romanzi. Questo fenomeno spesso è espressione di una rinnovata preoccupazione verso il futuro (Ilardi, 2018). Gli immaginari di società dove il controllo sulla popolazione è totalitario e pervasivo (Hunger Games, Divergent, The giver, Matrix, ecc.), si contrappongono a mondi post-apocalittici in cui ormai la società è giunta al collasso a causa di dinamiche autodistruttive (Mad Max, Umbrella Accademy, The 100, ecc.). Sebbene meno frequenti, esistono anche immaginari più ottimistici, in cui la natura riveste un ruolo centrale. Nell’insieme tali immaginari, come notano Mandich, Satta & Capozzi (2024), riguardano prevalentemente la società nel suo complesso. Come si inseriscono, invece, questi immaginari all’interno della vita quotidiana? Per rispondere a tale domanda è utile innanzitutto fare una distinzione analitica tra “big futures” e “little futures”. I “big futures” sono i quei futuri che riguardano le trasformazioni della società e prevedono quindi orizzonti spazio-temporali ampi (Tiger, 1995), mentre i “little futures”, secondo la definizione proposta da Micheal (2017), sono quei futuri che concernano la vita quotidiana delle persone. Lo stesso Micheal (2017) evidenzia come una maggiore attenzione sia stata rivolta finora ai big futures, spesso tralasciando le relazioni che intercorrono tra le due dimensioni. Gli immaginari menzionati in precedenza rientrano prevalentemente nella categoria dei big futures, sebbene sia possibile individuare diverse connessioni con i little futures. La dimensione quotidiana del futuro (little futures) è il focus di un’indagine qualitativa condotta attraverso una serie di interviste realizzate tra dicembre 2024 e marzo 2025 con giovani di età compresa tra i 18 ed i 35 anni che abitano nelle aree interne della Sardegna. Alla domanda “Come ti immagini la tua vita quotidiana tra dieci anni”, una risposta ricorrente è stata: “Bah, più o meno come quella di adesso”. Questa risposta riflette una percezione del futuro appiattito sul presente, un fenomeno che un’ampia e consolidata letteratura ha già ampiamente documentato (Mandich, 2022). Etichette quali “presentificazione” (Adam & Groves, 2007; Leccardi 2009, 2005) e “presente esteso” (Nowotny, 1994) descrivono questa tendenza, indicando come il presente sia il tempo di riferimento per l’azione. Tuttavia, è possibile andare oltre questo primo livello di analisi, forse il più immediato, e riflettere sugli immaginari che caratterizzano questa futura quotidianità. Secondo Jedlowski (2017), la quotidianità è per lo più prevedibile, perché è sorretta da assetti istituzionali che rendono relativamente stabili i comportamenti. Nella vita quotidiana, difatti, l’anticipazione è raramente il prodotto di una attività riflessiva o immaginativa. Mandich, Satta & Capozzi (2024) evidenziano però come vi sia un “avvicinamento dell’utopia alle pratiche quotidiane” (p.22). Già dagli anni ’90 del secolo scorso, il concetto di “realismo utopico” ha cercato di bilanciare l’eccessiva idealizzazione dell’utopia con il realismo. Davina Cooper (2004) ha introdotto in tempi più recenti il concetto di “everydays utopias”, quale modo di rottura della normalità del quotidiano per far emergere pratiche prefigurative. Il quotidiano può divenire così fonte di cambiamento. Se è possibile individuare immaginari utopici dei cosiddetti little futures, secondo le autrici i big futures tendono a essere prevalentemente connotati in senso distopico. Partendo da queste premesse, il presente contributo cerca di esplorare l’eventuale presenza di elementi distopici e/o utopici propri dell’immaginario letterario e cinematografico contemporaneo all’interno degli immaginari della vita quotidiani dei giovani sardi che vivono in aree caratterizzate da spopolamento. |
15:15 - 17:15 | Sessione 2 - Panel 10: Giornalismo e informazione in trasformazione Luogo, sala: Aula 13 (A1-C) Chair di sessione: Carlo Sorrentino |
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Attori e luoghi del racconto giornalistico della ‘ndrangheta Università degli Studi di Perugia, dottoranda in “Legalità, culture politiche e democrazia” La ‘ndrangheta è oggi la mafia glocal più potente al mondo. Presente carsicamente dalla Calabria alla Lombardia, lungo tutto lo stivale e oltre i confini nazionali (dalla Germania al Canada, fino all’Australia), l’organizzazione calabrese si è rivelata capace di colonizzare nuovi territori non a tradizionale presenza mafiosa, lontana dai riflettori dei media. Infatti, mentre in Campania scorreva il sangue delle mattanze delle camorre e Cosa nostra compariva tra le pagine dei quotidiani nazionali e stranieri – prima con la stagione dei “cadaveri eccellenti” degli anni Ottanta e poi con le Stragi degli anni Novanta – la ‘ndrangheta riusciva ad allargare i propri affari su scala locale e globale. Fatta eccezione per la stagione dei “sequestri di persona”, che per il calibro delle persone coinvolte – da Paul Getty III alla “mamma Coraggio” – attirarono l’attenzione dei media di tutto il mondo, l’organizzazione calabrese ha da sempre preferito la strada del silenzio e degli affari, diventando oggi la prima mafia per forza e prestigio, ma anche la meno studiata e conosciuta. Le immagini del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta che scende dall’aereo di ritorno dal Brasile, del boss Totò Riina alla sbarra del processo di Palermo o di Matteo Messina Denaro al momento dell’arresto fanno parte dell’immaginario collettivo. Allo stesso modo, grazie al successo internazionale di “Gomorra” – nonostante le rappresentazioni fortemente stereotipate – le camorre sono oggi note al grande pubblico. Quali sono, invece, i principali boss dell’organizzazione calabrese? Quali i personaggi del racconto giornalistico? Se della mafia siciliana e campana si conoscono i “cattivi” e i tantissimi “buoni” che vi si opposero, lo stesso si potrebbe affermare della ‘ndrangheta? Tale contributo nasce proprio da queste domande di ricerca, nel tentativo di comprendere quali siano i principali attori e luoghi del racconto giornalistico della ‘ndrangheta. Sulla base della ricerca quantitativa realizzata con il software "WordStat", questo intervento esamina i principali protagonisti delle narrazioni mediali dell'organizzazione calabrese. Lo studio è stato condotto attraverso l’analisi del coverage degli articoli riportanti la parola “‘ndrangheta” dal 2000 al 2023, sulle principali testate di tipo generalista: “Corriere della Sera”, “La Repubblica”, “La Stampa” e “Il Giornale”. A queste, per l’attenzione dedicata al tema della criminalità organizzata di stampo mafioso, si aggiungono i giornali “L’Avvenire” e “Il Fatto Quotidiano”, in un corpus totale di 29594 articoli. L’obiettivo di questo intervento è di comprendere, tramite lo studio delle occorrenze, se i principali nomi che emergono dal corpus selezionato siano connessi a personaggi politici, magistrati, vittime innocenti o boss mafiosi. A riguardo, un dato rilevante è la presenza del procuratore della Repubblica Nicola Gratteri, “volto pop” dell’antimafia calabrese, secondo per numero di occorrenze dopo Berlusconi. Oltre agli attori, verranno poi analizzati i principali luoghi, per capire se la narrazione della ‘ndrangheta si riveli ancora oggi fortemente ancorata ai territori di origine dell’organizzazione o rifletta, invece, la colonizzazione di aree non a tradizionale presenza mafiosa. Luoghi e attori sono componenti fondamentali delle narrazioni mediali che, costituite da protagonisti e riferimenti culturali facilmente identificabili dal lettore, permettono al grande pubblico di orientarsi nella complessità dell’evento raccontato. Da qui l’idea di questo contributo che, attraverso l’analisi delle rappresentazioni giornalistiche, si interroga sulla costruzione dell’immaginario collettivo e percezione della ‘ndrangheta. Rethinking Media Trust and News Efficacy in the Contemporary Information Ecosystem 1Università di Bologna, Italia; 2Università di Milano, italia; 3Universität Wien, Austria This study leverages a survey to be administered to a representative sample of the Italian population in February 2025 to propose novel measures for investigating news media trust and the underexplored yet pivotal concept of news efficacy. Empirically, it explores the relationship between these two dimensions, aiming to shed light on their interplay within today’s information ecosystem. Recent advancements in news media trust research challenge traditional definitions of trust as a mere attitude, suggesting instead that trust entails a decision to suspend vulnerability and uncertainty toward news media (Blöbaum, 2021). While prior studies employing this conceptual shift have predominantly relied on qualitative methods (Garusi and Juarez Miro, 2024), this paper extends the approach to a quantitative framework. Specifically, respondents are asked to evaluate the extent to which their decisions across various domains—including economics, health, environment, politics, lifestyle, and entertainment—have been taken by relying on the news consumed. The current media environment is characterized by contested truths and misinformation (Waisbord, 2018) and the rise of novel actors, like the so-called “newsfluencers” (Hurcombe, 2024), establishing novel relational patterns with their audiences. Hence, we hypothesize that individuals’ self-perception of “news efficacy” plays a central role in shaping trust decisions. To date, journalism studies have primarily conceptualized news efficacy through its internal dimension—i.e., an individual’s belief in their ability to comprehend and engage with news content (Park and Kaye, 2021; Hopp, 2022). However, drawing on the political science construct of political efficacy, which encompasses both internal and external dimensions, we argue that incorporating an external dimension of news efficacy could enrich both the explanatory potential of the concept and our broader understanding of news trust. We thus define—and measure accordingly—external news efficacy as a person’s belief in their capacity to influence the newsmaking process and their perception of the media system’s responsiveness and utility for them. By integrating this external perspective and advancing novel measures of news media trust, the study contributes both empirically and theoretically to the field of news media trust research, offering a comprehensive framework for analyzing trust dynamics in the contemporary information ecosystem. C’era una volta il giornalista del futuro. Un’indagine nazionale su IA e giornalismo tra opinioni, timori e aspettative dei professionisti dell’informazione LUMSA Università, Roma Il giornalismo e tutte le professioni dell’informazione sono direttamente coinvolti dalla rivoluzione avviata nell’ultimo decennio con la crescita esponenziale dell’intelligenza artificiale (IA). L’intero processo di raccolta, elaborazione e distribuzione delle informazioni viene profondamente modificato, sino a una ridefinizione della struttura pratica e teorica del giornalismo (Tariq, 2024). Lo sviluppo tecnologico, già in passato, ha stimolato riflessioni critiche sulle pratiche giornalistiche e sul ruolo dei professionisti (Wellman, 2001), rendendolo un'entità in continua evoluzione (Splendore, 2023). Da un lato, l'IA sembra presentare vantaggi nel giornalismo, automatizzando compiti ripetitivi e supportando l’analisi dei dati, permette ai professionisti di dedicarsi ad attività creative (Brennan et al., 2018; Sjøvaag, 2024). Dall’altro, studi evidenziano i potenziali rischi, tra cui la messa a repentaglio della job security (Kieslich, 2024; Lawal, 2024), la trasformazione delle aspettative a questa collegate (Ferrari, 2024; Vicsek, 2024) e l’introduzione di barriere all’adattamento alle nuove tecnologie (Jang et al., 2024). È quindi cruciale considerare non solo le sfide industriali ed economiche che l’IA pone, ma anche le conoscenze e le competenze dei giornalisti circa le tecnologie di IA, nonché il loro atteggiamento verso l'innovazione introdotta nelle redazioni (Paulussen, 2016; Noain-Sánchez, 2022). La letteratura ha fornito finora indagini soprattutto qualitative focalizzando l’attenzione su specifici contesti organizzativi - redazioni giornalistiche - o indagando lo stato dell’arte e le principali linee di sviluppo anche a livello globale (De Rosa, & Reda, 2023; Fubini, 2022). Questa ricerca, che grazie alla collaborazione con l’Ordine Nazionale dei Giornalisti può configurarsi come la prima indagine nazionale rivolta a tutti i giornalisti italiani, ha l’obiettivo di valutare: il livello di familiarità e di utilizzo delle tecnologie di IA; atteggiamenti, benefici e rischi associati all'adozione dell'IA; le attese in termini di competenza e formazione professionale. Più analiticamente, due domande di ricerca hanno guidato la costruzione del questionario: (RQ1) Qual è il livello di conoscenza dei giornalisti riguardo l’IA e in che misura viene utilizzata nelle loro pratiche professionali quotidiane? (RQ2) Quali sono i giudizi dei giornalisti sull'impatto dell'IA nel loro lavoro e quali sono le esigenze formative per un uso efficace di queste tecnologie? Il questionario è stato distribuito via e-mail dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti a tutti gli iscritti per un periodo di tre mesi concluso nel Gennaio 2025, raccogliendo l’opinione di 972 giornalisti. L’indagine evidenzia una scarsa conoscenza degli strumenti di IA tra i giornalisti. L’unico ambito con una discreta diffusione è la traduzione automatica, probabilmente per la sua utilità in contesti sempre più globali. Non a caso, la maggior parte dei giornalisti non ha mai utilizzato strumenti di IA nonostante la crescente disponibilità degli stessi. I giornalisti mostrano un atteggiamento ambivalente nei confronti della tecnologia: se da un lato la maggior parte dei rispondenti ne riconosce il potenziale nell’ottimizzazione della produzione di contenuti e nella raccolta delle informazioni, solo un giornalista su cinque ritiene che possa migliorare il processo di verifica delle fonti. Emergono inoltre preoccupazioni rilevanti, in particolare rispetto alla possibilità che l’IA contribuisca alla diffusione di contenuti di bassa qualità (50,2%) e all’aumento delle fake news, così come al rischio di un ampliamento del divario generazionale nelle redazioni. Approfondendo la dimensione etica, la maggioranza dei giornalisti (80,7%) sottolinea l’importanza di regolamentare l’uso dell’IA e garantire trasparenza, anche segnalando esplicitamente quando viene impiegata. Tuttavia, permane la convinzione che il giornalismo debba mantenere il suo ruolo critico e investigativo, con l’IA vista più come uno strumento di supporto che come un potenziale sostituto. Infine, emerge una forte domanda di formazione: il 90% dei rispondenti si dichiara interessato a una formazione specifica sugli strumenti di IA, specialmente per: raccolta e analisi dei dati, fact-checking automatizzato e implicazioni etiche dell’uso del fenomeno. “Media capture”: un framework teorico utile per l’analisi dei media oggi? University of Perugia, Italia L’European Media Freedom Act, approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio d’Europa nell’aprile 2024[1], ribadisce il ruolo che i media svolgono nel “promuovere il dibattito pubblico e la partecipazione civica, in quanto un’ampia gamma di fonti affidabili di informazione e di giornalismo di qualità consente ai cittadini di compiere scelte informate, anche in merito allo stato delle loro democrazie”. Allo stesso tempo, il documento mette in guardia dai rischi che tale obiettivo possa essere disatteso a causa di quello che esplicitamente viene definito “media capture”, intendendo il rischio di una scarsa indipendenza dei media. Il documento fa riferimento in particolare ai “fornitori di servizi di media”, specificando di intendere i professionisti che svolgono un servizio pubblico, in altre parole i giornalisti e le testate giornalistiche. Se questi ultimi sono “captured” e forniscono informazione distorta, i cittadini tenderanno ad informarsi tramite fonti alternative di notizie, disponibili soprattutto sulle piattaforme digitali. Il concetto di “media capture”, ripreso nel documento, è stato concepito inizialmente per descrivere la situazione dei media nei paesi dell’Europa centro orientale dopo la caduta del muro di Berlino in relazione alle interazioni dei media con la politica, le imprese e altri “interessi acquisiti”, in particolare (ma non esclusivamente) durante le transizioni da regimi autocratici a regimi democratici (Mungiu-Pippidi 2008, 2012). Oggi viene utilizzato per descrivere i media in varie parti del mondo che sono sotto il controllo diretto o indiretto di interessi politici/commerciali, anche se non sono più formalmente e pubblicamente sotto il controllo dello Stato (Dragomir 2024, Bajomi-Lázár 2024). Formulato prima dell’avvento di Internet, il concetto è stato recentemente esteso agli spazi digitali. Alcuni autori (Nielsen 2017, Shiffrin 2021) lo applicano anche alle piattaforme digitali, mentre altri propongono la definizione alternativa di “media environment capture” (Sevignani et al. 2025). Tuttavia, la letteratura attuale tende a limitare l’analisi all’interazione tra media tradizionali e piattaforme digitali, senza considerare pienamente le dinamiche proprie dell’ecosistema informativo attuale. L’informazione non è più esclusivamente appannaggio dei giornalisti professionisti e dei media tradizionali: attori politici, pubblicitari, influencer, cittadini privati e media alternativi contribuiscono alla formazione dell’agenda pubblica sui social media. Tra questi vi sono anche agenti malevoli che favoriscono la diffusione di disinformazione e misinformazione. Di conseguenza, il fenomeno della “media capture” può manifestarsi in forme diverse e per scopi eterogenei, coinvolgendo una molteplicità di attori. A nostro avviso il concetto di “media capture” è stato utilizzato nel tempo per indicare fenomeni diversi e necessita di una maggiore precisazione teorica. L’obiettivo del paper è problematizzare il concetto e proporre una nuova definizione attingendo ad altre tradizioni di ricerca sul giornalismo e sui media. Seguirà una proposta di operativizzazione del concetto del rischio di “media capture”, che cercherà di andare oltre le misure tradizionalmente individuate fin qui, quali ad esempio la garanzia del pluralismo dei media, l’indipendenza editoriale e la trasparenza della proprietà e dei finanziamenti alle testate giornalistiche. Sebbene queste condizioni siano necessarie, non sono tuttavia più sufficienti per garantire la promozione del dibattito pubblico e la partecipazione civica indicate dall’Unione europea. [1] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A32024R1083 “Migration Narratives” e “Non-Migration Narratives on Migration”: un’analisi diacronica delle narrazioni mediatiche e politiche sulla migrazione in Europa 1Universitas Mercatorum, Italia; 2Istituto Affari Internazionali (IAI), Italia Negli ultimi vent’anni, la migrazione è diventata una delle questioni più dibattute nell'UE, ampiamente presente nel discorso mediatico e politico europeo. Gli studi su media e migrazioni evidenziano l’interazione tra politica e media nel costruire specifiche narrazioni migratorie, con implicazioni significative sul piano socio-politico (Eberl et al., 2018; Goodwin e Milazzo, 2017; Heidenreich et al., 2020; Van Klingeren et al., 2015). Lo studio, finanziato dal Programma Quadro UE per la Ricerca Horizon 2020, indaga in che misura e in che modo le narrazioni mediatiche sulla migrazione permeano il dibattito politico e decisionale dell'UE e quali variabili intervengono nel renderne alcune “egemoniche”. L’analisi diacronica include due eventi cruciali: la crisi dei rifugiati del 2015 e l'ingente sfollamento ucraino conseguente all’attacco russo nel 2022. Il quadro teorico si fonda sulla distinzione di Schmidt (2008) tra sfera comunicativa (che include media e dibattito politico) e sfera coordinativa (arena decisionale o policy-making). Per valutare il dominio di una narrazione nelle arene considerate, adottiamo il Migration Narrative Success (MNS) di Garcés-Mascareñas e Pastore (2022), secondo cui una narrazione è egemonica se pervasiva in entrambe le sfere e trasformativa in termini di politiche adottate. Inoltre, per analizzarne l’evoluzione, integriamo il Narrative Policy Framework (NPF) di Jones e McBeth (2010), che traccia variazioni nei componenti narrativi: characters (villains, victims, heroes), narrator (chi produce o riproduce la narrazione), moral of the story (soluzione proposta) e setting (contesto storico e geografico della narrazione). La metodologia si basa su una triangolazione di approcci. La prima fase identifica le principali narrazioni mediatiche sulla migrazione tramite un’analisi qualitativa di dati tratti dalla ricerca condotta da Smellie e Boswell (2024) sui principali quotidiani di cinque Stati UE (Francia, Germania, Ungheria, Italia, Spagna) e Regno Unito. L’analisi ha permesso di costruire un codice analitico, applicato per la discourse analysis di 108 documenti UE, selezionati per la rilevanza coi due eventi. Sono state realizzate, inoltre, nove interviste semi-strutturate con funzionari UE attivi nei due periodi temporali considerati. Come emerso dallo studio, nel 2015 la narrazione mediatica dominante sosteneva la solidarietà intra-UE, ma si è confrontata con narrazioni concorrenti, riflettendo la polarizzazione del dibattito sulla crisi migratoria. Inoltre, pur prevalendo nel dibattito politico e decisionale europeo non ha trovato riscontro nelle policies adottate, che hanno privilegiato l’esternalizzazione. Tale narrazione, sebbene pervasiva, non è risultata trasformativa e dunque, secondo l’MNS, non egemonica. Nel 2022, invece, emerge una maggiore coerenza narrativa: la solidarietà (qui soprattutto esterna perché rivolta ai profughi ucraini) ha permeato tutte le arene senza resistenze, fino a tradursi nell’attivazione della Direttiva sulla Protezione Temporanea. In tal caso, la narrazione della solidarietà è stata non solo pervasiva, ma anche altamente trasformativa, e quindi, secondo l’MNS, ampiamente egemonica. Il confronto diacronico tra i due casi evidenzia il ruolo cruciale del setting nel determinarne il successo delle narrazioni. Il setting si riferisce al contesto storico e geopolitico, cui sono strettamente connesse le percezioni collettive consolidate sulla migrazione. Queste percezioni contribuiscono alla definizione dei frame attraverso cui la questione migratoria viene narrata, determinando così le fondamenta sulle quali si sviluppano e si articolano le diverse narrazioni migratorie. Nel 2015, la migrazione è stata inquadrata come “crisi” (Triandafyllidou, 2018), generando molteplici narrazioni polarizzanti che hanno ostacolato il raggiungimento di un consenso unanime. Nel 2022, invece, la migrazione è stata inserita in una più ampia cornice geopolitica, come parte di un conflitto alle porte dell’Unione, sia in senso geografico che ideologico (Barana et al., 2023). Ciò suggerisce che quando il setting inserisce le narrazioni in frame non esplicitamente migratori, si generano quelle che definiamo “non-migration narratives on migration”, le quali hanno maggiori probabilità di diventare egemoniche rispetto a narrazioni esplicitamente migratorie. |
15:15 - 17:15 | Sessione 2 - Panel 11: Cura come resistenza. Il potenziale immaginifico della vita quotidiana nelle fratture spazio-temporali della società dell’accelerazione Luogo, sala: Aula 11bis (A0-C) Chair di sessione: Caterina Satta |
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Cura come resistenza. Il potenziale immaginifico della vita quotidiana nelle fratture spazio-temporali della società dell’accelerazione 1Università di Cagliari; 2Università di Milano-Bicocca; 3Politecnico di Milano; 4Università di Bologna Da più prospettive interpretative e ambiti di ricerca, la dimensione della crisi ha assunto una centralità inedita (Touraine 2010). Le forme contemporanee della crisi rinviano a piani molteplici: interessano l’azione dei sistemi economici di stampo neoliberista e le loro implicazioni sul fronte delle istituzioni politiche e sociali, ma configurano anche nuovi e vecchi scenari, quali quelli climatici e sanitari, e quelli, che pensavamo relegati nel passato, dei conflitti bellici. Anche il rapporto con il tempo e lo spazio assume oggi un carattere di crisi (Harvey 1990). Le città sono diventate i luoghi in cui la crisi si materializza spazio-temporalmente, creando nuove forme di ingiustizia sociale e conflitti che si giocano nello spazio e a causa dello spazio (Soja 2009), e l’accelerazione sociale (Rosa 2015) pervade non solo i tempi-spazi delle istituzioni sociali (economiche, politiche, educative, famigliari), con l’effetto di generare un distacco crescente dagli attori sociali, ma permea le stesse biografie dei soggetti sempre più alienate e orientate all’individualismo (Elliott, Lemert 2009; Lasch 1981). La crisi della temporalità, mentre compromette la capacità del soggetto e delle istituzioni di rielaborare una memoria sociale e collettiva - elemento strategico per i rapporti intergenerazionali e per saldare i legami sociali –, pregiudica anche il rapporto con il futuro, tempo per definizione del possibile ma le cui potenzialità si fanno oggi più contratte (Adam 2007; Appadurai 2013; Coleman 2017; Sharma 2012). Muovendo da queste premesse, il panel intende focalizzarsi sul nesso tra crisi e vita quotidiana inteso come tempo-spazio della reiterazione ma anche della possibilità, ossia come terreno - in cui il tempo non è distinguibile dallo spazio – dove l’ordine sociale si riproduce ma dove al contempo quello stesso ordine (temporale, spaziale, di genere, generazionale e così via) può essere messo in discussione a favore di nuove forme del vivere sociale. La vita quotidiana, come già la fenomenologia sociale e autori come Goffman, Garfinkel, Lefebvre ma anche Simmel ed Elias hanno evidenziato, lungi dall’essere un’appendice residuale della vita sociale, ne rappresenta il cuore pulsante, lo spazio-tempo della costruzione sociale della realtà, dell’intersoggettività e delle pratiche, dell’edificazione magmatica di significati, visioni, valori, aspettative, modelli culturali su cui la società si regge. In ragione del suo carattere plastico e generativo la vita quotidiana si configura pertanto anche come lo spazio-tempo dell’innovazione e del mutamento sociale. Assumendo la fertilità dello spazio-tempo della vita quotidiana, si intende riflettere sui processi di riposizionamento e re-intepretazione, finanche di resistenza che i soggetti compiono di fronte alla (e in ragione di) rigidità delle strutture temporali, all’azione di controllo che svolgono e ai meccanismi di esclusione sociale che producono e legittimano. Lo si vuole fare prendendo in esame ambiti sociali che costituiscono le strutture portanti delle società contemporanee al centro di questo panel: gli spazi-tempi del lavoro e della sfera intima, delle istituzioni educative, del tempo libero e della partecipazione politica informale. In particolare, i processi di riposizionamento e ri-significazione dei soggetti che qui intendiamo distillare sono processi a tutti gli effetti creativi (Joas 1996; Pink 2012), sia nei termini della reinvenzione informale del quotidiano fatta dagli attori sociali (De Certeau 2010; Appadurai 2004), sia nella forma più codificata dell’arte come strumento di critica e insieme di resistenza al dominio economico-politico, culturale-simbolico, alle disuguaglianze sociali e al deturpamento del benessere sociale e collettivo. Da prospettive differenti, i paper mostrano le potenzialità della vita quotidiana, sotto il profilo delle capacità generative, innovative, emancipatorie. Ancor più chiaramente, rivelano come, osservando la dimensione creativa dei processi di risignificazione da parte degli attori sociali, si possa comprendere il potenziale immaginifico di una società e la sua capacità, parafrasando Rosa, di riappropriarsi di un “tempo buono”. Paper 1: Verso nuovi scenari temporali? Alienazione e reinvenzione del quotidiano nelle pratiche di cura-lavoro degli e delle smart workers Caterina Satta, Università di Cagliari La narrazione del lavoro su scala locale, nazionale e globale, sostenuta da innumerevoli rapporti sullo stato del mercato del lavoro, è contrassegnata dalla crisi. Disoccupazione, specialmente fra giovani e donne, peggioramento delle condizioni lavorative, crescita di lavoro a basso reddito, messi in relazione alla crisi del quadro macroeconomico, rendono indissolubile il binomio crisi-lavoro (cfr. su tutti Rifkin 2002) e hanno favorito la nascita di immaginari utopici di società senza lavoro (Thompson 2018; Aronowiyz, DiFazio 1995). Ugualmente, sul fronte delle relazioni intime, le trasformazioni dei legami familiari vengono ciclicamente descritte nel senso comune, ma anche nel discorso specialistico di una parte del sapere esperto, come manifestazioni della crisi della famiglia a causa del cambiamento di valori, norme e aspettative sociali (Smart, Neale 1999; Roseneil, Budgeon 2004), vale a dire a causa del fluire del tempo. All’interno di questa tendenza, l’accelerazione dei ritmi di lavoro e l’orientamento iperproduttivista delle società del tardocapitalismo neoliberale stanno generando insieme alla crisi del lavoro anche una crisi dei lavoratori e delle lavoratrici trasversale alle classi sociali, ben rappresentata negli ultimi anni da fenomeni come le dimissioni di massa o il cosiddetto quiet quitting (Frayne 2015; Coin 2023). La proposta, interna al Progetto PRIN 2022 (XXX) indaga, e rileva, la crisi concentrandosi proprio sul senso del lavoro nella vita delle persone che lo svolgono da remoto. La sovrapposizione tra i tempi della produzione e quelli della riproduzione, lo sconfinamento della pressione temporale dell’impiego nei ritmi e nelle dinamiche della sfera privata e domestica sono ciò che infatti caratterizza il lavoro da remoto (Azzolari, Fullin 2022; Bertolini et al. 2022; Bromfield 2022; Chung 2022; Gregg 2011). A partire da interviste, elicitate con l’uso di metodi visuali e creativi (Harper 2002; Pauwels 2015; Lury, Wakeford 2012; Holmes, Hall 2020), a lavoratori e lavoratrici impiegati/e nel settore del terziario avanzato, il paper evidenzia il malessere causato dalle nuove configurazioni spazio-temporali del lavoro e dall’erosione dei confini spazio-temporali tra casa e ufficio. Nelle storie di vita, affermava già Franco Ferrarotti nel 1981, si ritrovano le interazioni tra ciò che è privato e ciò che è pubblico, ed è pertanto in questi resoconti individuali sulle implicazioni della remotizzazione nel loro quotidiano che si possono cogliere le tracce della strutturazione alienante del tempo, così come quelle della riappropriazione soggettiva da parte dei lavoratori e delle lavoratrici. Se la sovrapposizione ha portato a un’espansione delle logiche efficientiste e a una dilatazione dell’orario lavorativo nella sfera privata, al contempo sta generando forme di resistenza con l’emergere di pratiche di cura interstiziali (materiali, relazionali, corporee) in grado di creare delle sospensioni nel flusso temporale e di generare spazi di consapevolezza verso nuove costruzioni biografiche sempre più svincolate da una concezione identitaria del lavoro, finanche dal lavoro. Tali pratiche, seppure embrionali e non ancora confluite in rivendicazioni collettive, prefigurano nuovi scenari temporali e differenti ricomposizioni nel rapporto tra sfera produttiva e sfera riproduttiva. Paper 2: Carespaces. Dispositivi progettuali di cura nel tempo della vita quotidiana Michele Bassanelli, Politecnico di Milano Le crisi contemporanee, siano esse di natura economica, sociale o ecologica, influenzano profondamente il modo in cui viviamo e abitiamo gli spazi della nostra quotidianità (Bassanelli 2022). Negli ultimi decenni, la società ha subito trasformazioni significative, soprattutto in relazione alla diversificazione dei modelli familiari, ridefinendo il concetto stesso di abitare. Ciò sta determinando, per esempio, una riflessione su nuove configurazioni abitative che siano in grado di soddisfare una richiesta crescente di spazi capaci di adattarsi alle esigenze mutevoli delle persone. Parallelamente, l’innovazione tecnologica ha introdotto nuovi strumenti e modalità di interazione che hanno trasformato la nostra percezione dello spazio e del tempo. Il lavoro da remoto e lo sviluppo delle piattaforme digitali hanno modificato radicalmente le dinamiche lavorative, favorendo la nascita di luoghi alternativi a quelli tradizionalmente preposti per tale attività. Oggi il lavoro può essere svolto in caffetterie, biblioteche, spazi pubblici, ma anche in casa o persino in strada, nel caso dei lavoratori della gig economy. Oltre alle trasformazioni sociali ed economiche, la crisi ecologica ha imposto un ripensamento del significato dell’abitare. Il rapporto con il territorio e il concetto di ‘genius loci’ assumono un ruolo fondamentale nella progettazione contemporanea, ponendo l’accento sulla dimensione collettiva dell’esistenza (Carrado 2020). Questa condizione ormai consolidata determina un modo diverso di intendere il progetto architettonico, non più come generatore di uno spazio statico, interpretato come eterno e immutabile, ma come uno spazio dinamico ossia uno spazio che si sviluppa in relazione alla dimensione temporale della quotidianità o del “tempo reale” (Bassanelli 2024). Si passa quindi da una visione tradizionale, centrata sulla creazione di spazi definitivi e permanenti, a una prospettiva più fluida e adattiva. Gli spazi vengono concepiti come elementi in continua trasformazione, capaci di adattarsi ai ritmi della quotidianità e alle esigenze degli individui. L’architettura diventa così un sistema dinamico che interagisce con il tempo reale. Un ruolo centrale in questa nuova visione è assunto dal concetto di “dispositivo”, inteso come un sistema in grado di attivare processi e di generare nuove relazioni spaziali. Il dispositivo architettonico non si limita a definire uno spazio fisico, ma lo rende attivo, stimolando interazioni e connessioni con l’ambiente circostante. Può trattarsi di un intervento a scala urbana, oppure di una trasformazione che riguarda l’interno di spazi esistenti in stato di abbandono, ma capace di ridefinire lo spazio in funzione delle nuove esigenze espresse dal contesto sociale. Questo approccio implica una progettazione basata su piccole trasformazioni, che non mirano a creare strutture rigide e definitive, ma a instaurare un dialogo costante con il contesto. Il progetto architettonico si configura così come un’azione di cura, intesa non solo in senso pratico, ma anche simbolico e relazionale. L’architettura diventa uno strumento per migliorare la qualità della vita, rispondendo alle esigenze mutevoli delle persone e promuovendo un uso più consapevole e sostenibile dello spazio. A partire dall’esperienza del laboratorio Carespaces, sviluppato all’interno del progetto PRIN2022 (XXX), si presenta una riflessione su nuovi spazi di lavoro, cura e servizi negli edifici esistenti che possano diventare un’infrastruttura a supporto della comunità (Saraceno 1980, 2020; Forino 2011, 2022), per esempio ospitando una cucina e un’aula per il doposcuola con la possibilità di collaborazioni intergenerazionali (nonne/i-nipoti). Il metodo utilizzato è quello della research by design condotta all’interno di un’esperienza didattica (workshop intensivo di due settimane) sviluppata in sinergia tra i dipartimenti di architettura e studi urbani e design di XXX. Paper 3: Ripensare lo spazio-tempo del quotidiano attraverso l’arts-based education Ilenya Camozzi e Zenia Simonella, Università di Milano-Bicocca Nella contemporaneità, lo spazio-tempo del quotidiano e i soggetti che lo abitano sono sempre più imbrigliati in forme di ingiustizia e disuguaglianza sociale ed interessati da dinamiche di esclusione della diversità. Ciò si accompagna a una progressiva cedevolezza delle istituzioni sociali (Dubet 2002; Touraine 2010). In particolare, il potenziale emancipatorio e democratico delle istituzioni educative sembra aver ceduto il passo a logiche di mercato di tipo neoliberista, votate al merito, alla concorrenza e alla quantificazione (Sandel 2020; Gunter et al. 2016). L’esito è quello di un generale indebolimento delle istituzioni educative sul fronte della loro capacità di guidare il cambiamento sociale. Se le sperimentazioni, i saperi e le pratiche educative che hanno prefigurato società eque e giuste si sono dissolti di fronte al dominio di posture economiciste, diventa urgente - anche nel senso di una sociologia pubblica (Burawoy 2005) - continuare a pensare, e plasmare, gli spazi-tempi educativi come spazi-tempi di possibilità, di dissenso e trasgressione (hooks 1994). Così intesi, gli spazi-tempi educativi possono ritornare ad essere cruciali nella ridefinizione del senso di comunità, di cura, di inclusione della diversità e di fabbricazione di soggettività agentive (Spanò, Romito, Pitzalis 2023). Di fronte ai processi di impoverimento e crisi dell’esperienza quotidiana degli spazi-tempi educativi, che in quanto spazi-tempi integrati alla struttura sociale (Elias, 1978) veicolano nell’esperienza dei soggetti la crisi, l’arte rappresenta una pratica di reinvenzione del quotidiano stesso: attraverso essa il soggetto è potenzialmente capace di rielaborare il senso, dando vita a nuove forme di riflessività e pratiche di convivenza e cura. Le arti sono assunte come creatrici di ambienti di apprendimento aperti e orizzontali, in cui i giovani esplorano la loro soggettività (Vecchi, 2010). Adottare entro i contesti educativi l’arts-based education significa catapultare, con un salto gestaltico, le nuove generazioni in quella “sub-provincia di significato” che è l’arte, per rileggere il mondo della vita quotidiana, intesa anch’essa come “provincia finita di senso”, a partire dal loro universo simbolico e dalla loro esperienza (Schütz, 1945). A partire da queste riflessioni, il paper presenta i primi risultati del progetto Horizon XXXX (2024-2027) che mira allo studio del ruolo dell’arte nei processi educativi, formali e non formali, sotto il profilo dell’inclusione dei e tra i giovani. Si darà conto di due casi-studio focalizzati sui contesti educativi non formali, ossia due organizzazioni non profit che operano in quartieri periferici e multiculturali della città di Milano. Questi due casi – che si contraddistinguono per la centralità assegnata all’arte nei processi educativi – vedono il coinvolgimento di giovani di età compresa fra i 10 e i 13 anni, in un caso, e tra i 15 e i 18 anni, in un altro. Tra febbraio e maggio 2025, sono state realizzate interviste con i responsabili e ideatori di questi progetti di arts-based education e osservazioni etnografiche durante le attività. Sono stati inoltre realizzati focus groups con i giovani coinvolti nei progetti. Per la realizzazione di questi ultimi sono state adottate tecniche creative (Pizzolati et al, 2021) finalizzate a decolonizzare il rapporto asimmetrico tra il/la ricercatore e i soggetti coinvolti nonché considerate eticamente rispondenti al coinvolgimento di soggettività marginali (Hulsbosch, 2010; Chappell et al, 2013); alle tecniche di rilevazione tradizionale “testo-centriche” si aggiungono così anche quelle legate all’arts-based research. A partire dai dati raccolti, si presenterà il modo in cui l’arte viene “usata” dagli educatori e dai giovani come lente per rileggere e risignificare gli spazi-tempi educativi e per pensarsi co-produttori di sapere, di forme di resistenza e di cura, non da ultimo di pensarsi attori nei processi di costruzione di società democratiche, proprio a partire dalla loro esperienza quotidiana (Dubet e Duru-Bellat 2020). Paper 4: Attivismo come cura: pratiche di partecipazione giovanile tra quotidianità e prefigurazione Ilaria Pitti, Università di Bologna Tra il 2012 e il 2017, una caserma abbandonata situata nel cuore di Bologna (Italia) è stata occupata e ristrutturata da un collettivo di giovani, dando vita a Làbas, un centro sociale autogestito. All'interno di Làbas sono stati sviluppati diversi progetti sociali (un asilo, un rifugio per persone senza dimora, una biblioteca, una pizzeria e un microbirrificio) e organizzati eventi pubblici (tra cui concerti, seminari, proiezioni di film e documentari) con l'ambizione di "restituire una piazza alla città”. Basandosi su dati etnografici, tra cui appunti di campo e interviste con attivisti e attiviste, l’intervento analizza Làbas come un esempio di utopia della cura (Fano Morrissey, Serughetti 2024) in cui nel quotidiano si manifesta una risposta alla crisi. In particolare, si propone di far luce sulle quotidiane "pratiche di cura" attraverso cui lo spazio è stato gestito e di esaminare l'uso strategico delle "narrazioni della cura" per difendere l'occupazione e le sue attività. In questa analisi, il paper attinge a prospettive femministe, riconoscendo la cura, l'amore e la solidarietà come "residui culturali di speranza" (Lynch, 2021) e il loro ruolo chiave nella politica prefigurativa. |
17:15 - 17:30 | Coffee break |
17:30 - 19:00 | Sessione 3 - Panel 01: La complessità del caregiving: Reti di supporto e percezione del tempo Luogo, sala: Aula A (B0-A) Chair di sessione: Donatella Bramanti |
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La complessità del caregiving: Reti di supporto e percezione del tempo 1Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano, Italia; 2Università del Molise - Campobasso, Italia; 3Università Telematica Giustino Fortunato; 4Università degli studi di Salerno; 5Università degli studi di Palermo Il caregiving rappresenta una pratica sociale e relazionale complessa, in cui si intrecciano attaccamento, bisogni e impegni di chi riceve e di chi fornisce supporto. Le reti di sostegno sono fondamentali per il benessere dei caregiver, ma la loro efficacia dipende dalla qualità e dalla configurazione delle relazioni che scontano il progressivo indebolimento delle relazioni di cura familiari. Le cause di tale indebolimento sono molteplici (Neri e Montesperelli 2009; Di Santo e Ceruzzi 2018). Le attuali dinamiche demografiche e sociali riducono il numero dei potenziali caregiver e, al contempo, incrementano il numero delle persone che necessiteranno di assistenza (Fine 2007). In simili contesti, i soggetti «sono sempre meno in grado di riconciliare e allineare i differenti orizzonti temporali della propria vita» (Rosa 2015: 116). Il presente panel condensa i primi risultati che emergono dal Progetto *****. In particolare, i 4 contributi presentati hanno posto al fuoco delle indagini differenti target di caregiver: caregiver informali e professionali, che si occupano di anziani e di disabili, in differenti ambiti territoriali. Il primo contributo presenta il tema in una prospettiva di genere: i primi risultati hanno evidenziato come il caregiving comporti costi emotivi e fisici significativi, in particolare per le donne, che tendono a riportare livelli di stress più elevati rispetto agli uomini, specialmente in situazioni di carico intenso. Le dinamiche di genere influenzano profondamente le esperienze di caregiving: gli uomini si concentrano su compiti pratici, mentre le donne adottano un approccio più relazionale, monitorando i servizi e cercando supporti esterni per gestire le attività pratiche ed emotive. Il secondo contributo si focalizza sul caregiving delle persone con disabilità. Nelle relazioni di cura si intersecano due strutture temporali: l'"abled time" e il "crip time" attraverso quest’ultimo, le persone, in condizione di disabilità sperimentano il tempo e il mondo. Dall'analisi qualitativa condotta su diadi, composte da caregiver e persone di riferimento, emerge una difficoltà nell'organizzazione del tempo di cura, spesso a scapito del tempo personale. La rete di supporto può svolgere una funzione di supplenza operativa, consentendo al caregiver di ritagliarsi momenti per sé. Tuttavia, si osserva anche una tendenza a negare il dolore e a non pianificare il futuro in termini negativi, riflettendo un approccio "foreverista" che si concentra sul presente. Il terzo contributo analizza una questione decisiva che impatta sulle dinamiche familiari e relazionali: la comunicazione di una diagnosi di disabilità, che richiede una rielaborazione della vita quotidiana e delle dinamiche familiari. Questo processo coinvolge una dimensione temporale complessa, in cui il tempo dedicato alla cura può sottrarre spazio ad altre aree della vita, come il lavoro e le relazioni sociali. Inoltre, emerge una tendenza a negare il dolore e a non pianificare il futuro in termini negativi, concentrandosi sul presente e trascurando progetti a lungo termine, con conseguenze significative per la vita della persona con disabilità, e per il sistema familiare. Tuttavia, la progettazione del futuro è spesso trascurata, con una mancanza di pianificazione per il "dopo di noi", che può avere ricadute negative. L’ultimo contributo pone al centro del lavoro di ricerca le relazioni di cura professionali. Dalle prime analisi è emerso che i caregiver tendono a costruire legami significativi con le persone assistite, andando oltre la mera relazione professionale. Quando la relazione con l'assistito non è soddisfacente, i caregiver cercano significato nella relazione con la persona di riferimento. La carenza di capitale sociale può portare a una compensazione emotiva, dove il caregiver riceve supporto dalla persona assistita, creando una dinamica di reciprocità. I primi risultati dei lavori presentati suggeriscono implicazioni per politiche di assistenza più efficaci. Riferimenti bibliografici Bramanti, D., Lombi, L., Nanetti, S. (a cura di), (2023). L’intervista diadica intergenerazionale. Acireale: Bonanno Bramanti D., Nanetti S., Moscatelli M, Le diadi di sostegno e il capitale sociale familiare nella transizione alla fragilità anziana, in Bramanti D., Donato S. (eds), La famiglia che invecchia. Vivere e accompagnare la transizione alla fragilità, Studi Interdisciplinari sulla Famiglia, n° 34, Vita e Pensiero, Milano , pp. 19-42. Fine, D.M. (2007). A Caring Society?: Care and the Dilemmas of Human Services in the 21st Century. Basingstoke: MacMillan. Rosa, H. (2015). Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità. Torino: Einaudi. Neri, M. T., & Montesperelli, P. (2009). Il caregiver familiare: il lavoro di cura tra prossimità e distanza. Milano: FrancoAngeli. Di Santo, P., & Ceruzzi, F. (2018). Il lavoro di cura e il sistema di welfare in Italia. Roma: Carocci. Tronca L., Sità C. (2019), Réseaux sociaux et travail social. Un défi pour l’interactionnisme structural, Revue européenne des sciences sociales, 57, 2, 193-227. Turner, J. B., & Turner, R. J. (2013), Social relations, social integration, and social support. Handbook of the sociology of mental health, 341-356. PRIMO CONTRIBUTO Capitale sociale e caregiving: Una prospettiva di genere sul tempo della cura in Italia Lucia Boccacin Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Dipartimento di Sociologia – e-mail: lucia.boccacin @unicatt.it Sara Nanetti Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Dipartimento di Sociologia – e-mail: sara.nanetti@unicatt.it Marco Carradore Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Dipartimento di Sociologia – e-mail: sara.nanetti@unicatt.it
Il caregiving costituisce una pratica sociale e relazionale, entro la quale è possibile osservare la complessità del tempo della cura, un tempo non lineare, caratterizzato da un intreccio tra attaccamento, bisogni ed impegni che sono espressione sia di chi riceve sia di chi fornisce supporto. Il presente studio intende esplorare le reti personali e le esperienze di caregiving verso anziani fragili e persone con disabilità in Italia, a partire dai risultati del progetto ****. La ricerca, attraverso un disegno di ricerca multimodale, ha raccolto interviste diadiche e schede di rete (personal network analysis) coinvolgendo 50 diadi formate dal caregiver e dalla persona di riferimento (che supporta il caregiver). Grazie alla triangolazione di dati qualitativi e quantitativi, lo studio ha consentito di mappare le forme di reciprocità e solidarietà che caratterizzano i reticoli di caregiving, evidenziando le interconnessioni tra capitale sociale e dinamiche di genere. Dall’analisi delle interviste è emerso come i compiti di cura comportano significativi costi emotivi e fisici (Sabo, Chin, 2021) soprattutto per le donne, che riportano livelli più elevati di stress rispetto agli uomini, in particolare a fronte di carichi particolarmente intensi (Willert, Minnotte, 2021). Si conferma inoltre una profonda correlazione tra dinamiche di genere ed esperienze di caregiving, in particolare: gli uomini risultano concentrati prevalentemente su compiti pratici e meno inclini alla fruizione di servizi di supporto, mentre le donne assumono un approccio più relazionale, monitorando attentamente i servizi e impiegando supporti esterni per gestire sia attività pratiche che emotive (Kokorelias et al., 2021). D’altra parte, la disponibilità di capitale sociale influenza le competenze e le condizioni di benessere dei caregivers, nello specifico: il capitale sociale di tipo bonding, basato su reti dense e coese, fornisce supporto immediato al caregiver ma può limitare l’accesso a informazioni nuove e risorse alternative; mentre il capitale sociale di tipo bridging, basato su legami più deboli e diversificati, offre vantaggi per l’acquisizione di conoscenze innovative e per la gestione delle relazioni di cura (Roth, 2020). In linea con quanto sostenuto da Baik et al. (2024) i caregiver che beneficiano di un maggiore supporto sociale formale e informale – ad esempio, attraverso la partecipazione ad attività religiose o di volontariato – tendono a sviluppare circoli virtuosi di reciprocità, migliorando sia il proprio benessere psicologico sia il capitale sociale complessivo. I risultati della ricerca avvalorano l'importanza fondamentale del capitale sociale e delle dinamiche di genere nelle pratiche di caregiving. Da un lato, le reti di sostegno costituiscono un elemento protettivo per il benessere dei caregivers, ma allo stesso tempo la loro influenza differisce a seconda della configurazione e della qualità delle relazioni. In particolare, le reti bonding, caratterizzate da coesione e vicinanza, offrono supporto immediato ma potrebbero restringere l'accesso a risorse esterne, mentre le reti bridging risultano più efficaci nel diversificare le strategie di gestione della cura, sebbene siano meno accessibili a chi è maggiormente impegnato nei compiti di assistenza quotidiana. Dall’altro, le differenze di genere mettono in luce come il caregiving al femminile presenti un impegno emotivo e gestionale più consistente, che influenza notevolmente lo stress e la qualità della vita, mentre il supporto maschile tende a limitarsi in misura prevalente agli aspetti pratici. Tali esiti invitano ad un approfondimento delle strategie di intervento, suggerendo che potenziare le reti bridging e migliorare l'integrazione tra sostegno formale e informale possa promuovere un equilibrio maggiore tra caregiving e benessere personale, diminuendo allo stesso tempo le disuguaglianze di genere nella cura. Riferimenti bibliografici Baik, S., Crittenden, J., & Coleman, R. (2024). Social capital and formal volunteering among family and unpaid caregivers of older adults. Research on Aging, 46(2), 127-138. Kokorelias, K. M., Naglie, G., Gignac, M. A., Rittenberg, N., & Cameron, J. I. (2021). A qualitative exploration of how gender and relationship shape family caregivers’ experiences across the Alzheimer’s disease trajectory. Dementia, 20(8), 2851-2866. Roth, A. R. (2020). Informal caregiving and social capital: A social network perspective. Research on Aging, 42(9-10), 272-280. Sabo, K., & Chin, E. (2021). Self-care needs and practices for the older adult caregiver: An integrative review. Geriatric Nursing, 42(2), 570-581. Willert, B., & Minnotte, K. L. (2021). Informal caregiving and strains: Exploring the impacts of gender, race, and income. Applied Research in Quality of Life, 16, 943-964.
SECONDO CONTRIBUTO Temporalità e relazioni di cura nelle esperienze dei caregiver delle persone con disabilità Fabio Ferrucci Università del Molise e-mail: ferrucci@unimol.it
La dimensione temporale costituisce una componente fondamentale delle relazioni sociali ed in particolare delle relazioni di cura (Urwin et al. 2023; Kelly, Heyman, White-Ryan 2017). Allo stesso tempo, la società tardo moderna si caratterizza per un regime temporale governato dalla logica dell’accelerazione che produce effetti alienanti: dallo spazio, dalle cose, dal nostro agire, dal tempo, da sé e dagli altri (Rosa 2015). In questa ottica, il caregiving delle persone in condizione di disabilità è un «sismografo» in grado di rilevare gli effetti generati dalla crescente accelerazione sociale. Nelle relazioni di cura delle persone in condizione di disabilità si intersecano due strutture temporali: il «crip time» e l’«abled time». In concetto di «crip time» è stato introdotto in tempi recenti per descrivere le specifiche modalità con cui le persone in condizione di disabilità sperimentano il tempo e il mondo (MacRuer 2018. Di conseguenza, l’organizzazione temporale della vita quotidiana dei caregiver è costruita attorno a programmi dettati dalle esigenze delle relazioni di cura (COFACE 2017). La letteratura scientifica fornisce evidenze empiriche che dimostrano come la disponibilità un sistema di relazioni di supporto sociale riduca il carico del lavoro di cura e migliori la qualità della vita dei caregiver (Chappell & Funk, 2011; Adelman et al., 2014). Al contrario, la carenza di supporto sociale può portare a una percezione alterata del tempo, caratterizzata da ansia e senso di isolamento (Pinquart & Sörensen, 2003). In particolare, i caregiver con un forte supporto sociale riescono a mantenere una struttura temporale organizzata, stabilendo routine che permettono loro di bilanciare il lavoro di cura con momenti di pausa e attività personali. Di contro, alla mancanza – o all’esiguità ─ di una rete di aiuto sono associate maggiori difficoltà nella gestione del tempo e ricadute negative sul benessere psicologico del caregiver. Il presente contributo presenterà i primi risultati di una indagine qualitativa, realizzata mediante la metodologia dell’intervista diadica (Bramanti, Lombi e Nanetti 2023) condotta su un campione nazionale di 25 caregiver di persone in condizione di disabilità e la persona che gli stessi caregiver hanno indicato come principale social support. In particolare, saranno discusse: la percezione del tempo del caregiver, l’impatto sul futuro e la progettualità, gli effetti sulle relazioni sociali e le strategie di gestione del tempo. L’esperienza della temporalità nella relazione di cura del caregiver sarà quindi messa in relazione con il network di supporto sociale su cui può fare affidamento, rilevato mediante la metodologia della personal network anlysis (Tronca 2021, 2013). I risultati della ricerca evidenziano come la percezione del tempo da parte dei caregiver informali dipende in larga misura dal grado di supporto sociale di cui dispone. Le interviste mostrano che il tempo viene vissuto diversamente a seconda della disponibilità di aiuti pratici e psicologici: quando il supporto è adeguato, il caregiver può pianificare e progettare il futuro; quando manca, il tempo diventa un flusso indistinto dominato dall’urgenza e dalla rinuncia. Coloro che ricevono aiuti da familiari o servizi dedicati riferiscono una maggiore prevedibilità e una riduzione dello stress quotidiano. Viceversa, chi affronta il lavoro di cura in solitudine sperimenta una compressione del tempo, con la sensazione di non avere mai pause o momenti per sé. I primi risultati dell’indagine suggeriscono di implementare programmi di supporto che facilitino la gestione del tempo dei caregiver potrebbe non solo migliorare la loro qualità della vita, ma anche favorire una migliore assistenza ai beneficiari. Inoltre, la creazione di reti di supporto tra pari, come gruppi di mutuo aiuto, potrebbe contribuire a una percezione più equilibrata del tempo e a una maggiore resilienza emotiva. Riferimenti bibliografici Adelman, R. D., Tmanova, L. L., Delgado, D., Dion, S., & Lachs, M. S. (2014). Caregiver burden: a clinical review. JAMA, 311(10), pp. 1052-1060. Bramanti, D., Lombi, L., Nanetti, S. (a cura di), (2023). L’intervista diadica intergenerazionale. Acireale: Bonanno Carretero, S., Garcés, J., Ródenas, F., & Sanjosé, V. (2009). The informal caregiver's burden of dependent people: Theory and empirical review. Archives of Gerontology and Geriatrics, 49(1), pp. 74-79. Chappell, N. L., & Funk, L. M. (2011). Social support, caregiving, and aging. Canadian Journal on Aging/La Revue canadienne du vieillissement, 30(3), pp. 355-370. COFACE Families Europe (2017). Who Cares? Study on the challenges and needs of family carers in Europe. Bruselles: COFACE. Kelly, P., Heyman, J. & White-Ryan, L. (2017). The Impact of Time Spent Caregiving on the Lives of The Hidden Workforce of Unpaid Caregivers. Innov Aging. Jun 30;1(Suppl 1): pp. 814–5. MacRuer, R. (2018). Crip Times: Disability, Globalization, and Resistance. New York University Press: New York. Pinquart, M., & Sörensen, S. (2003). Differences between caregivers and noncaregivers in psychological health and physical health: A meta-analysis. Psychology and Aging, 18(2), pp. 250-267. Rosa, H. (2015). Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità. Torino: Einaudi. Schulz, R., & Sherwood, P. R. (2008). Physical and mental health effects of family caregiving. The American Journal of Nursing, 108(Suppl 9), pp. 23-27. Tronca L. (2021), I personal network di sostegno e consumo ai tempi del COVID-19, in Id. e D. Secondulfo (a cura di), Terzo rapporto dell’Osservatorio sui consumi delle famiglie. Consumi e consumatori al tempo del COVID-19, Milano: FrancoAngeli, pp. 110-147. Tronca, L. (2013). Sociologia relazionale e social network analysis. Analisi delle strutture sociali, Milano: FrancoAngeli. Urwin, S., Lau, Y.S., Grande, G., & Sutton, M. (2023). Informal caregiving and the allocation of time: implications for opportunity costs and measurement, Social Science & Medicine, 334. https://doi.org/10.1016/j.socscimed.2023.116164. TERZO CONTRIBUTO Me time e foreverismo: l’hic et nunc dei caregiver delle persone con disabilità Marianna Coppola Università Giustino Fortunato – e-mail: m.coppola@unifortunato.eu Emiliana Mangone Università degli Studi di Salerno – e-mail: emangone@unisa.it
La comunicazione di una diagnosi di disabilità non è un aspetto che investe solo la persona coinvolta ma determina un effetto di rielaborazione e rinegoziazione di diversi aspetti della vita quotidiana e della realtà sociale della rete di sostegno in cui è inserito (in primis la famiglia). Questo complesso e articolato processo di rielaborazione coinvolge necessariamente la dimensione temporale, un tempo che è da considerare nell’accezione polisemica del termine e degli universi simbolici che investe: un tempo tangibile e fattuale, ovvero il tempo dedicato alla cura da parte del caregiver verso la persona con disabilità che, talvolta, sottrae tempo ad altri ambiti di vita quotidiana come il lavoro, la sfera degli hobbies e delle passioni, l’ambito delle relazioni e dei rapporti sociali; un tempo immateriale e concettuale ovvero la progettazione del futuro, un futuro personale, della relazione diadica con la persona assistita in termine di sussistenza e riposizionamento sociale in caso di morte del caregiver o di impossibilità – da parte di questi – a continuare l’azione di cura (in particolare se è un familiare stretto). In questa prospettiva un ruolo centrare lo svolgono la rete di sostegno e il social support network posseduto dal caregiver, come ambito relazionale in cui rintracciare sostegno, confronto e conforto nei momenti di necessità o come safe space. Il presente contributo ha lo scopo di analizzare gli aspetti psicologici, sociali e immaginari della percezione e del rapporto con il tempo di cura e della progettazione del futuro da parte dei caregiver che assistono persone con disabilità. A tal scopo è stata condotta un’indagine di tipo qualitativo, attraverso interviste diadiche, di 25 caregiver di persone con disabilità, residenti in diversi regioni d’Italia. Dalle interviste e dalle storie di vita prese in analisi è emersa una difficoltà del caregiver nell’organizzazione del tempo di cura, difficoltà che si riflette spesso in una riduzione progressiva del tempo personale per dedicarsi totalmente all’azione di caregiving. In questo caso la funzione della rete di supporto e delle persone che rientrano nella sfera dell’aiuto è di supplenza operativa, ovvero un possibile sostegno nelle attività di cura per permettere al caregiver di utilizzare uno spazio temporale per sé – ricerca del Me time -. Per quanto riguarda la progettazione del futuro, dall’analisi delle interviste, emerge una tendenza a negare il dolore e a non pensare al futuro in termini negativi e degenerativi, una modalità di vivere il tempo in linea con il recente pensiero foreverista - che ha tra i suoi assiomi l’idea di concentrarsi sul presente e celebrare il passato, negando la finitezza della vita -. In questa prospettiva il sistema familiare e sociale delle persone con disabilità non pianifica il futuro su una progettualità di “lunga durata” ma tende a concentrarsi sul qui ed ora, senza avviare progetti di “Dopo di noi” o piani di “Responsabilità condivisa”, con importanti ricadute sia sulla vita della persona con disabilità, sia sul sistema familiare e sociale in cui la stessa è inserita. Riferimenti Bibliografici Benner P. (1984) From novice to expert. Excellence and power in clinical nursing practice, Menlo Park, Addison-Wesley. Biancu S. (2014) Presente. Una piccola etica del tempo, Cinisello Balsamo, San Paolo. Collière M.F. (1992) Aiutare a vivere. Dal sapere delle donne all’assistenza infermieristica, Milano, Sorbona. Gamelli I (2005) Sensibili al corpo, i gesti della formazione e della cura, Roma, Meltemi. Giuliani L, Piredda M, Ghilardi G, D. Marinis M.G. (2015) Patient’s perception of time in palliative care: a metasynthesis of qualitative studies. Journal of Hospice & Palliative Nursing, 17: 413-426. Grafton Tanner, Foreverismo. Fenomenologia di ciò che non finisce, trad. e cura it. di R. Clamar, D. Sisto, effequ, Firenze 2024. Petrini M et al. Health Issues and Informal Caregiving in Europe and Italy. Annali dell'Istituto Superiore di Sanità. 2019; 55(1): 41-50 Petrini M, d'Amore A, Chiarotti F, Borgi M, Carè A, Ortona E. Stress, salute e differenza di genere nei Cargiver familiari. Notiziario dell'Istituto Superiore di Sanità. 2023; 36(7-8): 13-15 Sunders J. (2021) Me Time: The self-care guide that transforms you from surviving to thriving, New York, White Lion Publishing. QUARTO CONTRIBUTO Non è solo lavoro. Il capitale sociale per i caregiver professionali Rita Affatigato
Abbiamo studiato le relazioni di cura professionali attraverso dieci interviste diadiche a caregiver professionali e a una persona di riferimento del/la caregiver professionale stesso/a. Dai casi studiati emergono alcune regolarità nelle dinamiche di relazione che sono esplorate nel nostro contributo. I caregiver tendono a costruire relazioni significative con la persona assistita che vanno ben al di là della relazione professionale. E, quando la relazione con la persona assistita non offre possibilità di relazionalità e significatività, il/la caregiver le trova nella relazione con la persona di riferimento. Dai risultati delle interviste diadiche emerge come ciascuna diade (caregiver/persona assistita e caregiver/persona di riferimento) sviluppi, anche al di là della cornice dei ruoli lavorativi, relazioni basate sullo scambio di consigli, opportunità, affettività, sostegno morale e materiale. Una reciprocità che, da un lato, qualifica la motivazione alla cura, dall’altro esprime anche la permeabilità della cura stessa, tanto da rendere difficile la separazione con il contesto lavorativo. Questa regolarità può essere spiegata con la carenza di capitale sociale del caregiver. Quando il caregiver è povero di relazioni sociali compensa con le relazioni con la persona assistita e con la sua famiglia. Ma la relazione viene riempita di significati anche se tra caregiver e persona assistita c’è un differenziale di capitale culturale a vantaggio di quest’ultima. In questo caso il rapporto di assistenza e cura si capovolge: l’assistito/a finisce col dare al/la caregiver una assistenza di vario tipo (da quella psicologica a quella per gli adempimenti burocratici). Un altro scenario è quello nel quale la carenza di capitale sociale del caregiver è generata dal tipo di contratto di lavoro così totalizzante che non gli concede tempo di vita al di fuori della relazione con la persona assistita (non solo presta il proprio lavoro, ma vive mangia e dorme a casa della persona assistita). È una condizione che preclude la possibilità di una vita di relazione che non sia quella offerta dalla persona assistita, dalla sua famiglia e dalla cerchia delle persone attorno ad essa. In queste condizioni, abbiamo trovato che il/la caregiver investe significativamente nella relazionalità (sociale, affettiva, del tempo libero) nel contesto stesso del lavoro. Conferisce dunque un significato molto più che professionale alla relazione di lavoro che diventa sociale e affettiva. Le regolarità che abbiamo trovato nelle nostre storie avranno bisogno di essere confermate con numeri più ampi. Questi casi, tuttavia, sembrano dirci qualcosa che può andare al di là dei numeri. La relazione di assistenza non riesce a stare dentro i confini della mera relazione professionale. Ha bisogno di una reciprocità che si nutre di capitale sociale e, nello stesso tempo, lo nutre. Riferimenti bibliografici Bertani M. (2010), “Il capitale sociale come bene relazionale. Un’applicazione della network analysis nello studio delle reti di social support degli immigrati” in Mondi Migranti, 2, DOI: 10.3280/MM2010-002010; Bertani, M., Di Nicola P. (2012), “Presentazione” in Sociologia e Politiche sociali, n. 1, pp 5-7, DOI: 10.3280/SP2012-001001; Bertani, M., Di Nicola P. (2012), “Il capitale sociale nello studio delle migrazioni” in Sociologia e Politiche sociali, n. 1, pp 9-29, DOI: 10.3280/SP2012-001002; Bramanti, D., Lombi, L., Nanetti, S., L’intervista diadica intergenerazionale, Bonanno Editore, Roma 2023: 73 [https://hdl.handle.net/10807/236955]; Donati, P., Il capitale sociale. L’approccio relazionale, Franco Angeli, Milano 2007; Di Nicola, P., Stanzani, S. e Tronca, L. (2010), Forme e contenuti delle reti di sostegno. Il capitale sociale a Verona, Milano, FrancoAngeli; Di Nicola, P. (2013), «Capitale sociale, qualità delle relazioni, qualità della vita: benessere e soddisfazione» in Sociologia italiana, n. 1; Di Nicola P., Stanzani S., Tronca L. (2011). «Social Personal Networks as Social Capital: a Reserch Strategy to Measure Contents and Forms of Social Support» in Italian Sociological Review, 1 (1), pp. 1-14, DOI: 10.13136/isr.v1i1.7.1. |
17:30 - 19:00 | Sessione 3 - Panel 02: L’inciviltà come codice politico. L'ascesa dello scontro nella comunicazione contemporanea Luogo, sala: Aula 2 (AO-A) Chair di sessione: Alberto Marinelli Chair di sessione: Stefania Parisi |
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L’inciviltà come codice politico. L'ascesa dello scontro nella comunicazione contemporanea. 1Sapienza Università di Roma; 2Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”; 3Università degli Studi di Siena; 4Università Cattolica di Milano Negli ultimi anni abbiamo rilevato un preoccupante aumento dell'inciviltà e dell'ostilità nel discorso politico, fenomeno questo che sta trasformando in modo significativo il dibattito pubblico nelle principali democrazie contemporanee. I candidati e i partiti politici adottano con crescente frequenza strategie comunicative aggressive, intensificando l’ostilità contro gli avversari attraverso varie espressioni incivili. L'inciviltà politica, intesa come violazione delle norme socio-culturali che regolano una comunicazione rispettosa, si manifesta mediante diverse modalità che spaziano dagli attacchi personali, al ricorso a mistificazione e inganno, fino all'utilizzo di un linguaggio emotivamente carico e offensivo finalizzato a delegittimare gli oppositori. Tale condotta può giungere persino a ostacolare il processo decisionale democratico, impedendo il dialogo e il compromesso indispensabili per un’azione politica efficace. La definizione del concetto si estende, inoltre, alla mancanza di rispetto per i valori democratici fondamentali, quali inclusione, pluralismo e uguaglianza, nonché alla denigrazione delle stesse istituzioni democratiche. È rilevante osservare come, parallelamente al suo incremento quantitativo, l'inciviltà nel discorso politico stia gradualmente modificando il proprio ruolo. Non costituisce più soltanto una risorsa strategica utilizzata dai politici per ottenere visibilità mediatica e influenzare l'agenda pubblica, ma è diventata parte integrante della comunicazione politica contemporanea. Questo fenomeno deriva dalla progressiva normalizzazione di narrazioni e pratiche comunicative aggressive che tendono a far percepire l'inciviltà come elemento caratterizzante e indissociabile dall'attività politica stessa. A rafforzare questa tendenza contribuisce significativamente l'ecosistema mediale contemporaneo. Tanto i media tradizionali quanto le piattaforme digitali, spinti dalla crescente competizione per catturare l'attenzione di un pubblico sempre più distratto e dalla necessità di stimolare l'engagement degli utenti, conferiscono crescente visibilità alle manifestazioni di inciviltà. Di conseguenza, i cittadini che seguono l'attualità politica sono esposti con frequenza sempre maggiore a comportamenti incivili, sia attraverso i canali informativi tradizionali che mediante i social media, dove le notizie politiche circolano anche indirettamente secondo il meccanismo del “news reaches me”. Il rischio concreto è che l'inciviltà venga percepita non più come un'eccezione, ma come un attributo intrinseco e costitutivo della politica contemporanea. Tale trasformazione del discorso pubblico genera effetti tangibili sul tessuto democratico. La ricerca ha già evidenziato numerosi impatti dannosi dell'inciviltà politica, tra cui la disaffezione dei cittadini, l'aumento del cinismo politico e dell'alienazione dalla vita pubblica, nonché la crescente polarizzazione affettiva che porta i cittadini ad accrescere la propria avversione verso coloro che la pensano diversamente. Nonostante l'ampia documentazione dei molteplici effetti negativi, permangono importanti lacune conoscitive che richiedono ulteriore approfondimento. In questo contesto, il nostro panel intende esplorare alcune questioni ancora poco investigate: in che misura l'inciviltà politica viene percepita, interpretata e utilizzata dai diversi attori della scena pubblica? L'esposizione ripetuta ai comportamenti incivili degli attori politici aumenta la sensibilità dei cittadini verso tali comportamenti o, al contrario, conduce a una naturalizzazione e desensibilizzazione? Come viene interpretata e utilizzata l'inciviltà nelle diverse arene comunicative da politici e giornalisti? In che modo i pubblici digitali trasformano l'inciviltà in strumento di costruzione identitaria e partecipazione politica? Il panel presenta i risultati di un progetto di ricerca comparativo sull'inciviltà politica in Italia, Germania e Regno Unito ****, articolandosi in quattro presentazioni: uno studio comparativo sulla percezione dell'inciviltà politica condotto su un campione rappresentativo di cittadini italiani, britannici e tedeschi; una ricerca qualitativa basata su 30 interviste in profondità a cronisti, editorialisti e direttori provenienti da diversi ecosistemi giornalistici italiani, mainstream e digitali; un'indagine qualitativa che ha coinvolto 30 politici italiani rappresentativi dei diversi livelli istituzionali e appartenenze partitiche; un'etnografia digitale delle pratiche di riproduzione dell'inciviltà politica, o resistenza alla stessa, osservabili nelle piattaforme, con particolare attenzione ai talkshow politici. . PAPER Le mille sfumature dell’inciviltà politica nella lettura dei cittadini britannici, italiani e tedeschi.
Sara Bentivegna, Sapienza Università di Roma Al fine di verificare empiricamente se l’inciviltà possa considerarsi come un attributo della politica contemporanea, è stata svolta un’indagine comparativa – tramite survey – che ha registrato la percezione dell’inciviltà delle élite politiche in Italia, Germania e UK. I tre paesi presentano sistemi mediatici e politici nettamente distinti: l'Italia ha un sistema politico frammentato e polarizzato e un sistema mediale con alto parallelismo politico; la Germania ha un sistema consensuale e multipartitico e un mercato mediale più inclusivo; il Regno Unito, pur con una tradizione di servizio pubblico autorevole, ha visto crescere fonti di informazione più partigiane e una maggiore polarizzazione esacerbata dalla Brexit. Al di là delle specificità nazionali – relative tanto al sistema politico che al sistema mediale - emergono forti tratti comuni riguardo alla percezione dell’inciviltà. In tutti i paesi, i giovani (e gli uomini), probabilmente socializzati a un dibattito pubblico più aggressivo, tendono a percepire meno chiaramente l'inciviltà. Ancora più rilevanti delle variabili sociodemografiche, sono quelle legate alla cultura politica: la fiducia nella democrazia e la condivisione dei suoi valori predicono una maggiore sensibilità all'inciviltà, mentre l'anti-politica ha un effetto opposto. In sintesi, pur con sfumature legate ai diversi contesti nazionali, una visione più solida della democrazia rende i cittadini significativamente più critici verso le espressioni di inciviltà delle élite politiche, confermando il significato dell'inciviltà come attributo proprio della politica contemporanea. Il nesso che lega l’inciviltà politica e l’uso delle piattaforme digitali, invece, appare meno forte e univoco di quanto si potrebbe pensare. Non sempre, e non in tutti i paesi esaminati, un’elevata frequentazione delle piattaforme social si trasforma in una maggiore accettazione dell’inciviltà così come non sempre una ridotta frequentazione delle piattaforme porta a una minore accettazione dell’inciviltà. Diverse variabili moderano queste relazioni, tra le quali figurano in primo luogo quelle legate al rapporto che i cittadini intrattengono con la politica (interesse per la politica, fiducia politica e condivisione dei valori democratici). Nell’insieme emerge, quindi, un risultato significativo e affatto scontato: l'inciviltà politica, lungi dall'essere un semplice prodotto della digitalizzazione, si configura come un fenomeno complesso radicato nella qualità del rapporto tra cittadini e istituzioni democratiche, suggerendo che il rafforzamento della cultura democratica possa rappresentare una risposta all'erosione del dibattito pubblico contemporaneo. . Traiettorie esperienziali del giornalismo tra cause, conseguenze e cesure del discorso pubblico in Italia Giovanni Boccia Artieri, Stefano Brilli, Camilla Folena
Il contributo analizza l’inciviltà dal punto di vista dei giornalisti che si occupano di politica nazionale, regionale o locale, esplorando come il fenomeno venga concettualizzato attraverso le loro percezioni ed esperienze professionali e personali. Attraverso 30 interviste in profondità a cronisti, editorialisti e direttori provenienti da diversi ecosistemi giornalistici italiani, mainstream e digitali, lo studio indaga la percezione degli intervistati sugli attori coinvolti e sui contesti in cui l’inciviltà emerge con maggiore frequenza: dai media tradizionali ai social media fino agli spazi sociali ed istituzionali. Viene inoltre approfondito il ruolo dei processi comunicativi nell’amplificare o meno l’inciviltà, insieme alle dinamiche economiche e utilizzi strategici che ne possono influenzare la diffusione tra piattaforme e pubblici. Senza tralasciare il contesto legato alle cesure storico-politiche che hanno trasformato il discorso pubblico in Italia, lo studio esplora cause e conseguenze del fenomeno, analizzandone gli effetti sulla qualità del dibattito politico, sulla fiducia nei media e nelle istituzioni, finanche sulla stabilità del sistema democratico. La ricerca evidenzia, infine, i livelli di consapevolezza e responsabilità che il giornalismo si riconosce nel suo ruolo di osservatore, mediatore o persino promotore dell’inciviltà politica; mettendo in luce eventuali strategie di coping adottate, per gestire le pressioni del contesto socio-politico e mediale in cui opera attualmente. . L’inciviltà politica negli occhi (e nelle pratiche) dei politici Barbara Scivo, Simone Carlo, Laura Caroleo, Marina Villa
Il contributo indaga la percezione dell’inciviltà dal punto di vista degli attori politici, identificando le strategie discorsive, le pratiche comunicative e i comportamenti che i politici italiani interpretato come incivili. La ricerca qualitativa è stata realizzata attraverso 30 interviste non strutturate a osservatori privilegiati della politica italiana dislocati in tutto il territorio nazionale e rappresentativi dei diversi livelli istituzionali e appartenenze partitiche. In particolare, i 30 intervistati comprendono: 6 deputati, 6 senatori, 3 parlamentari europei, 6 tra consiglieri comunali e sindaci, e 9 tra consiglieri regionali e presidenti di regione, appartenenti ai diversi partiti di maggioranza e opposizione. Oltre a ricostruire le percezioni degli intervistati su ciò che costituisce l’inciviltà politica, sugli attori maggiormente coinvolti nel fenomeno, sui contesti in cui esso si manifesta e sui processi e ambiti comunicativi attraverso i quali si sviluppa, le interviste hanno permesso di indagare l’accettabilità sociale dell’inciviltà come comunicazione politica. Sono state analizzate le cause che, secondo gli attori politici, determinano l’emergere e l’incremento nel tempo dell’inciviltà politica, così come le conseguenze che essa produce sulle dinamiche politiche e sociali. I risultati mostrano, da parte dei politici, una comprensione dell'inciviltà politica come un fenomeno multidimensionale, che assume diverse manifestazioni a seconda del contesto comunicativo, sia esso istituzionale, mediale classico (televisivo, radiofonico, giornalistico) o di piattaforma. L'analisi evidenzia, inoltre, come l'esperienza dell'inciviltà vari significativamente a seconda del genere dell’intervistato e dal livello di governo, con dinamiche distintive tra l'arena nazionale, europea e locale. Emerge, infine, come gli attori politici non siano solo potenziali perpetratori o vittime di comportamenti incivili, ma anche osservatori privilegiati e interpreti di un fenomeno che sta ridefinendo le modalità del confronto democratico contemporaneo. . La normalizzazione dell’inciviltà nel politainment espanso: pratiche discorsive e costruzione identitaria nei pubblici digitali Giovanni Boccia Artieri, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo Nel contesto del politainment italiano, l’inciviltà online emerge come una pratica diffusa e normalizzata, alimentata dalla condivisione sui social media di clip estratti da talk show e programmi televisivi. Attraverso un’analisi che utilizza l’etnografia digitale, il capitolo investiga i pubblici online del politainment a partire dai dieci programmi di informazione politica che ricevono più engagement online. Lo studio utilizza un approccio qualitativo (scarsamente usato negli studi sul tema) per approfondire il ruolo dell’inciviltà politica non solo come infrazione discorsiva, ma come componente dell’intrattenimento e della discussione politica online. L’analisi etnografica rivela come i pubblici della politica online rielaborino e amplifichino toni aggressivi, insulti e polarizzazione, spesso estrapolando momenti di conflitto per creare contenuti virali. Questo fenomeno, definibile come “alone del politainment espanso”, trasforma l’intrattenimento politico in un terreno fertile sia per pratiche discorsive tossiche, sia per un utilizzo consapevole di contenuti incivili come strumento di partecipazione che va a nutrire un diffuso sentimento di antipolitica. Inoltre, meme, clip virali e contenuti condivisi usano l’inciviltà (o la denuncia della stessa) per rafforzare identità collettive di fandom e antifandom. I pubblici online utilizzano le forme, le pratiche e i linguaggi dell’inciviltà (ad es. toni aggressivi, insulti e polarizzazione) come strumenti di posizionamento rispetto a partiti e figure politiche, ma anche rispetto ai giornalisti, presentatori e ai frame dei media mainstream. Questo processo trasforma l’inciviltà in un vero e proprio costrutto identitario, dove la partecipazione politica passa attraverso la provocazione e la derisione, ridefinendo i confini tra intrattenimento, attivismo e ostilità. La ricerca evidenzia come tali dinamiche contribuiscano a normalizzare e insieme problematizzare i comportamenti ostili, ridefinendo i confini del dibattito pubblico online e trasformando l’inciviltà in un attributo performativo della politica contemporanea. |
17:30 - 19:00 | Sessione 3 - Panel 03: Tempi di crisi e d’emergenza. Pratiche comunicative, saperi esperti e narrazioni mediali Luogo, sala: Aula Magna Baffi (A0-F) Chair di sessione: Francesca Comunello Chair di sessione: Alessandro Lovari |
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Tempi di crisi e d’emergenza. Pratiche comunicative, saperi esperti e narrazioni mediali 1Università di Cagliari; 2Università degli Studi di Firenze; 3Sapienza Università di Roma; 4Università Kore di Enna; 5Università di Udine Tempi di crisi e d’emergenza. Pratiche comunicative, saperi esperti e narrazioni mediali Negli ultimi decenni la questione del rischio, come caratteristica della società contemporanea, è diventata centrale nel dibattito internazionale (Beck 1986; Giddens 1990) ed è legata al modo in cui le società gestiscono e affrontano i cambiamenti climatici, tecnologici e sociali (Furedi 2002). Gli studiosi definiscono la comunicazione del rischio come uno scambio bidirezionale tra istituzioni e pubblici (Balog-Way et al., 2020), nel quale i mass media ricoprono ancora oggi un ruolo chiave nell’amplificazione dei rischi (Kasperson et al., 1988), e in cui fattori come credibilità e fiducia possono favorire comportamenti protettivi, resilienza e partecipazione (Buzzanell 2017; Renn & Levine, 1991; Bonfanti et al., 2023). La letteratura ha evidenziato come uno degli aspetti cruciali nella gestione del rischio risieda nel processo di comunicazione e nella problematicità del rapporto tra il punto di vista e il linguaggio degli esperti e quello delle persone esposte ai rischi che, grazie alle piattaforme digitali, possono attivarsi e far sentire la propria voce di fronte a rischi e in casi di emergenza (Comunello, Mulargia 2018; Lovari, Bowen 2020). Queste dinamiche si sviluppano in uno scenario caratterizzato da sfiducia nei confronti delle istituzioni, come sottolineato dall’Edelman Trust Barometer (2023), secondo cui i governi godono di una fiducia inferiore (50%) rispetto alle aziende (62%). Ma quella della fiducia non è l’unica sfida. La diffusione della disinformazione è ormai un problema pubblico nell’agenda dei governi e dei media. Il World Economic Forum (2024) ha messo in evidenza come la disinformazione –anche legata all’IA - sia uno dei principali rischi percepiti a livello globale, subito dopo la crisi climatica. In questo contesto le questioni ambientali costituiscono un esempio concreto delle complesse e articolate dinamiche legate alla comunicazione del rischio e dell’emergenza. Dinamiche all’interno delle quali la gestione e la sincronia dei tempi degli interventi, anche di tipo comunicativo, rappresenta un fattore chiave anche in chiave di credibilità e fiducia, come sottolineato dal recente Eurobarometro sulla consapevolezza e preparazione ai disastri ambientali (2024). Il panel si compone di quattro contributi che riportano le evidenze empiriche e gli snodi critici relativi alla comunicazione del rischio, della crisi e dell’emergenza delle attività di ricerca di due progetti PRIN e di un progetto di Ricerca SPOKE PNRR. Il primo contributo mette a confronto giornalisti e comunicatori pubblici del rischio attorno alla gestione della comunicazione di alcune emergenze naturali (come alluvioni e incendi), tra processi di framing, spettacolarizzazione, rappresentazione degli attori e disinformazione. Il tutto attraverso la lente dell’insularità che caratterizza i due contesti analizzati. Il secondo contributo si concentra sulla figura degli esperti nelle attività di comunicazione della crisi in contesti mediatizzati, ibridi e frammentati, nei quale essi hanno assunto un’insolita visibilità con la pandemia. Dall’analisi del contenuto di 1200 comunicati stampa, la ricerca restituisce un panorama informativo sfaccettato e dinamico della figura dell’esperto in ambito ambientale (e non solo), della sua expertise e delle radici della sua credibilità. Il terzo paper analizza pratiche e competenze dei professionisti della comunicazione del rischio attraverso diciotto interviste semi-strutturate con esperti di istituzioni, istituti di ricerca, società di consulenza. Le interviste esplorano processi della comunicazione del rischio in contesti territoriali variegati e all’interno di organizzazioni con differenti modalità operative che impattano sull’autonomia decisionale e operativa degli intervistati. Infine, il quarto contributo analizza la cronemica dell’emergenza - individuata in pre-emergenza, emergenza, post-emergenza - e la modulazione dei frame utilizzati dalla stampa discriminando per tipi di eventi (disastri ambientali e allerta meteo) e per le due isole (Sicilia e Sardegna). A tal fine è stato costruito un database composto da 166 documenti provenienti dalla stampa nazionale, regionale e locale; i testi raccolti sono stati analizzati col metodo di profilazione socioculturale dell’Emotional Text Mining. Bibliografia Balog‐Way, D., McComas, K., & Besley, J. (2020). The evolving field of risk communication. Risk Analysis, 40(S1), 2240-2262. Beck U. (1986), Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne, Suhrkamp, Frankfurt; trad. it. (2000), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma. Bonfanti, R. C., Oberti, B., Ravazzoli, E., Rinaldi, A., Ruggieri, S., & Schimmenti, A. (2023). The role of trust in disaster risk reduction: a critical review. International journal of environmental research and public health, 21(1), 29. Buzzanell, P. M. (2017), Communication theory of resilience: Enacting adaptive-transformative processes when families experience loss and disruption, in Braithwaite, D. O., Suter, E. A., Floyd, K. (eds.) «Engaging theories in family communication: Multiple perspectives», Routledge, New York, pp. 98-109. Comunello F., Mulargia S. (2018), Shake networks. Social media in earthquake-related communication, Emerald Publishing Limited, Leeds. Edelman Trust Barometer, (2024), Global Report, www.edelman.com/sites/g/files/aatuss191/files/2024-02/2024%20Edelman%20Trust%20Barometer%20Global%20Report_FINAL.pdf Furedi F. (2002), Culture of Fear: Risk-Taking and the Morality of Low Expectation, Continuum International Publishing Group Ltd, London-New York. Giddens, A. (1990). The consequences of modernity. Cambridge: Polity Press. Greco F. (2016), Integrare la disabilità. Una metodologia interdisciplinare per leggere il cambiamento culturale, Franco Angeli. Kasperson R. E., Renn O., Slovic P., Brown H. S., Emel J., Goble R., Kasperson J. X., Ratick S. (1988), The Social Amplification of Risk: A Conceptual Framework, in «Risk Analysis», 8, 2, pp. 177-187. Lovari A., Bowen S. A. (2020), Social media in disaster communication: A case study of strategies, barriers, and ethical implications, in «Journal of Public Affairs», vol. 20, n. 1, pp. 1-9. Renn, O., & Levine, D. (1991). Credibility and trust in risk communication. Springer Netherlands. World Economic Forum (2024), Global Risks Report, 19th Edition, https://www3.weforum.org/docs/WEF_The_Global_Risks_Report_2024.pdf Primo contributo Alessandro Lovari, Cinzia Atzeni, Norma Baldino Costruire resilienza. Come media e istituzioni comunicano i disastri ambientali nei contesti insulari I disastri ambientali sono sempre più frequentemente tema di dibattito pubblico e nei media, così come oggetto di analisi accademica. La ricerca sociologica ha analizzato il ruolo dei media nel rapportarsi con il pubblico con gli specialisti della comunicazione delle istituzioni preposte alla gestione dei rischi e delle emergenze (Lovari, Bowen 2020; Comunello, Mulargia 2018). In tutte le fasi e (allarme, preparazione, salvataggio, soccorso e riabilitazione) i media tendono, infatti, a (ri)portare le informazioni dell’evento e a trasmettere indicazioni su comportamenti che contribuiscono al recupero individuale e ai processi di resilienza comunitari (Buzzanell 2017, 2019), non sempre in sintonia con la comunicazione istituzionale. A seconda dei frame con i quali sono costruite le notizie (Entman 1993; Goffman 1974), e rispetto a quella che Altheide (2002) definisce “logica dei media”, le testate giornalistiche plasmano la percezione dei disastri (Coombs 2012; Vogler, Meissner 2024) diventando “stazioni di amplificazione” volte a diffondere notizie e ad alimentare l’immaginario sociale del rischio (Luhmann 1996). Questi fattori sono ancora più rilevanti in contesti insulari con maggiore vulnerabilità ai rischi naturali (Ivčević et al. 2021; La Rocca, Lovari 2024). Inoltre Sellnow e Seeger (2013, 2016) evidenziano come una comunicazione del rischio efficace contribuisca a mitigare il panico, favorisca comportamenti proattivi tra i cittadini e aumenti la capacità delle comunità e delle istituzioni di rispondere e adattarsi agli eventi critici (Sellnow, Sellnow 2024). Questo contributo si inserisce all’interno di un progetto PRIN PNRR che si propone di indagare il ruolo strategico della comunicazione per favorire la resilienza nella gestione del rischio di disastri naturali, monitorarne la narrazione mediatica e promuovere un accesso inclusivo all'informazione, con l'obiettivo finale di stimolare il dialogo tra esperti, istituzioni e cittadini in due contesti insulari. L’obiettivo di questo contributo è indagare la costruzione della comunicazione del rischio correlato ai disastri nelle due principali isole italiane, Sardegna e Sicilia. In particolare gli eventi calamitosi oggetto di analisi sono stati: alluvioni, incendi, terremoti, maremoti, ondate di calore, mareggiate. Più specificatamente il contributo mira a identificare le relazioni tra la copertura mediatica dei disastri e la loro comunicazione da parte delle istituzioni regionali sarde e siciliane attraverso un approccio mix method basato su: a) media coverage e analisi del contenuto delle notizie sui disastri ambientali relativi alle due isole, dal 31.12.2021 al 30.04.2024, all’interno dei media web e cartacei, nazionali, regionali e locali; b) interviste in profondità semi-strutturate ad attori chiave nella comunicazione istituzionale (Regione, Protezione Civile e altre istituzioni) e giornalistica, nazionale e locale. In particolare il presente contributo ha lo scopo di indagare: a) la consapevolezza dei giornalisti nel processo di framing dei disastri naturali e della loro eventuale spettacolarizzazione, con un focus sui processi di newsmaking attraverso i quali sono prodotte le notizie calamitose e descritti i principali attori coinvolti (comprese le istituzioni regionali e nazionali); b) il rapporto tra le logiche e le pratiche della comunicazione pubblica istituzionale e del giornalismo nel trasmettere informazioni ai cittadini di fronte al manifestarsi di rischi e di eventi critici nelle aree insulari. L’obiettivo finale è evidenziare la qualità della relazione tra i comunicatori istituzionali e gli operatori dei media delle testate nazionali e locali, al fine di sviluppare trasparenza, fiducia e percorsi di resilienza nei cittadini. Bibliografia Altheide D. L. (2002), Creating fear: News and the construction of crisis, De Gruyter, Berlin. Buzzanell, P. M. (2017), Communication theory of resilience: Enacting adaptive-transformative processes when families experience loss and disruption, in Braithwaite, D. O., Suter, E. A., Floyd, K. (eds.) «Engaging theories in family communication: Multiple perspectives», Routledge, New York, pp. 98-109. Buzzanell P. M. (2019), Communication theory of resilience in everyday talk, interactions, and network structures, in S. R. Wilson & S. W. Smith (eds.) «Reflections on interpersonal on communication research», Cognella, San Diego, pp. 65–88. Comunello F., Mulargia S. (2018), Shake networks. Social media in earthquake-related communication, Emerald Publishing Limited, Leeds. Coombs W. T. (2012), Ongoing crisis communication: Planning, managing, and responding (3rd ed.), Sage Publications, New York. Entman R. M. (1993), Framing: Toward clarification of a fractured paradigm, in «Journal of Communication», vol. 43, n. 4, pp. 51-58. Goffman E. (1974), Frame analysis: an essay on the organization of experience, Harper and Row, New York. Ivčević A., Mazurek H., Siame L., Bertoldo R., Statzu V., Agharroud K., Bellier O. (2021), The importance of raising risk awareness: Lessons learned about risk awareness sessions from the Mediterranean region (North Morocco and West Sardinia, Italy), in «Natural Hazards and Earth System Sciences Discussions», pp. 1-25. La Rocca G., Lovari A. (eds) (2024), Comunicazione del rischio insulare. Prospettive in comunicazione, politiche pubbliche e analisi dei contesti, FrancoAngeli, Milano. Lovari A., Bowen S. A. (2020), Social media in disaster communication: A case study of strategies, barriers, and ethical implications, in «Journal of Public Affairs», vol. 20, n. 1, pp. 1-9. Luhmann N. (1996), On the scientific context of the concept of communication, in «Social Science Information», vol. 35, n. 2, pp. 257-267. Seeger M. W., Sellnow T. L. (2016), Narratives of Crisis: Telling the Stories of Ruin and Renewal, Stanford University Press, Stanford, CA. Sellnow T. L., Seeger M. W. (2013), Theorizing crisis communication, John Wiley & Sons Ltd, Chichester. Sellnow T. L., Sellnow D. D. (2024), Before Crisis: The Practice of Effective Risk Communication, Cognella Academic, Publishing, Cognella. Vogler D., Meissner F. (2024), The mediated construction of crises-combining automated and qualitative content analysis to investigate the use of crisis labels in headlines of Swiss news media between 1998 and 2020, in «Journal of International Crisis and Risk Communication Research», vol. 7, n. 1, pp. 83-112. Secondo contributo Laura Solito, Carlo Sorrentino, Letizia Materassi La parola agli esperti in tempo di crisi Il contesto di crisi è, per definizione, un contesto di incertezza e di provvisorietà: degli eventi e della loro evoluzione, delle conoscenze necessarie per governare gli accadimenti, degli strumenti e delle modalità di risoluzione della crisi stessa. Nella recente emergenza pandemica, la crisi non ha riguardato soltanto la salute pubblica, ma anche l’informazione, come riportato dall’AMA Journal of Ethics, tanto da portare l’Organizzazione Mondiale della Sanità a parlare di “infodemia”. In tale processo, la figura dell'esperto - scienziati, medici, ricercatori, etc. - ha assunto un ruolo importante, sia nelle attività di informazione e comunicazione della crisi, sia nella rappresentazione dell'esperto stesso, che in un contesto mediatizzato ha assunto un’insolita visibilità e centralità. Questa esposizione mediatica lo ha portato ad assumere il ruolo di mediatore e facilitatore della comprensione del fenomeno emergenziale, “cerniera” tra i luoghi di produzione del sapere e la cittadinanza, nodo di accesso al sapere esperto. Se da un lato questo fenomeno ha reso evidente il ruolo sociale degli esperti e il valore della ricerca scientifica come bene comune, dall’altro ha fatto emergere alcuni fattori di fragilità e di rischio. In primo luogo ha portato in contesti di ribalta – quotidiani, social media, talk show, etc. – dibattiti e discussioni tra scienziati su questioni controverse; una dialettica fisiologica, connaturata al modus operandi dello scienziato, che un tempo restava racchiusa tra le mura dei laboratori o dei dipartimenti e che oggi è esposta sul palcoscenico dei media, creando disorientamento, scetticismo. Una diffidenza dei pubblici che si sta protraendo ben oltre l’emergenza. Il Pew Research Center ha recentemente evidenziato (2024), difatti, come la fiducia dei cittadini americani negli scienziati, se da un lato mostra un trend di ripresa dopo gli anni del Covid, dall’altro riguarda prevalentemente l’intelligenza degli stessi, la loro capacità di lavorare in team, l’onestà e la predisposizione al problem solving. Molto meno fiducia si rintraccia nelle competenze comunicative degli esperti, ritenute inefficaci, fredde, asimmetriche. Anche Edelman Trust Barometer conferma la percezione dell’incapacità comunicativa degli esperti, soprattutto nel parlare la lingua dei “profani” e anche l’Osservatorio Observa, tra i fattori critici percepiti dai cittadini italiani, sottolinea l’uso strumentale e opaco della comunicazione da parte degli scienziati, in favore di obiettivi personali, di status e di carriera, di visibilità. Siamo dunque in un tempo di crisi degli esperti o di una crisi comunicativa degli esperti? Tale interrogativo è alla base del contributo che proponiamo, che nasce da un progetto di ricerca di interesse nazionale (PRIN) e vuole proporre una riflessione sul ruolo degli esperti nella comunicazione di crisi. A partire da un ampio corpus empirico, vedremo chi sono gli "esperti" convocati dalla principale agenzia di stampa italiana - ANSA -, quali le loro appartenenze disciplinari, accademiche o organizzative e quali i temi intorno ai quali viene sollecitato il loro contributo. La ricerca prende in esame un range temporale molto ampio – dal 2019 al 2024 - per comprendere se e come il ruolo degli esperti abbia subito una ridefinizione prima, durante e dopo il Covid-19. Gli ambiti tematici a cui faremo particolare riferimento corrispondono, ciascuno, ad una sottosezione del portale Ansa: salute, ambiente e scienza&tecnologia. L’estrapolazione dei comunicati ha condotto ad un dataset costituito da 1200 unità di analisi che, indagate attraverso l’analisi del contenuto, stanno restituendo un panorama informativo sfaccettato e dinamico della figura dell’esperto, della sua expertise e delle radici della sua credibilità. Riferimenti Bibliografici Bucchi, M., Pellegrini, G., Rubin, A., Saracino, B. (a cura di), (2024), Annuario Scienza Tecnologia e Società. Edizione speciale: Venti anni di scienza nella società, Il Mulino, Bologna. Caselli, D. (2020), Esperti. Come studiarli e perché, Il Mulino, Bologna Comunello. F. (2014), Social media e comunicazione d’emergenza, Guerini e Associati: Milano. Coombs, W. T. (2020), Public sector crises: Realizations from covid-19 for crisis communication, Partecipazione e conflitto, 13(2), pp. 990-1001. Giddens, A. (1990). The consequences of modernity. Cambridge: Polity Press. Gili, G. (2005), La credibilità. Quando e perché la comunicazione ha successo, Rubbettino, Soveria Mannelli. Edelman Trust Barometer, (2024), Global Report, www.edelman.com/sites/g/files/aatuss191/files/2024-02/2024%20Edelman%20Trust%20Barometer%20Global%20Report_FINAL.pdf Mangone, E. (2020), La comunicazione del rischio: la pandemia da Covid-19, Mediascapes journal, 15, 132-142. Perry, R.W. (2007), What is a crisis? In H. Rodriguez, E.L. Quarantelli, R.R. Dynes (eds). Handbook of Disaster research, 1-15, Springer. Pew Research Center (2024), Public Trust in Scientists and Views in Their Role in Policymaking, https://www.pewresearch.org/wp-content/uploads/sites/20/2024/11/PS_2024.11.14_trust-in-science_REPORT.pdf Pitrelli, N. (2021), Il giornalismo scientifico, Carocci, Roma. Reynolds, B., Galdo, J.H., Sokler, L. (2002), Crisis and Emergency Risk Communication, Centers for Desease Control and Prevention, Atlanta. Solito, L., & Materassi, L. (2023). Linguaggi visuali per la comunicazione pubblica digitale. Prospettive oltre l’emergenza. H-ERMES, 25, 133-152. Thomas, K., Senkpeni, A.D. (2020), What should health science journalists do in epidemic responses?, in “AMA Journal of Ethics”, 22, I. World Health Organization, (2020), Coronavirus disease 2019 (COVID-19) situation report–46. World health organization, 6. Terzo contributo Andrea Cerase, Sapienza Università di Roma Incertezza, media digitali e Intelligenza Artificiale: nuove sfide per i professionisti della comunicazione del rischio La comunicazione del rischio avviene in un contesto complesso (Cerase, 2017), segnato da incertezza (Aspers, 2024), disinformazione e un ecosistema mediale saturo. La letteratura descrive la comunicazione del rischio come uno scambio bidirezionale tra le istituzioni e i pubblici (Balog-Way et al., 2020), dove credibilità e fiducia favoriscono comportamenti protettivi e partecipazione (Renn & Levine, 1991; Bonfanti et al., 2023). I professionisti della comunicazione del rischio operano in un panorama arricchito di nuovi strumenti applicativi (Massa & Comunello, 2024), contraddistinto dal consolidamento delle pratiche del digitale (Comunello & Mulargia, 2018) e dalla possibilità di adoperare soluzioni innovative ma eticamente (e operativamente) insidiose, come l’intelligenza artificiale. Tuttavia, il lavoro dei professionisti della comunicazione del rischio è particolarmente complesso a causa di diversi fattori: l'incertezza delle stime probabilistiche (Spiegelhalter, 2017) e la tendenza del pubblico a rifiutare tale incertezza (Smillie & Blissett, 2010), le ambiguità normative (Amato et al., 2019), culture organizzative non sempre risk-ready(Massa et al., 2022), la molteplicità di attori coinvolti (Lovari & Ducci, 2022). Questo contributo analizza pratiche e percezioni dei professionisti della comunicazione del rischio, attraverso un’indagine empirica basata su interviste qualitative, parte di un progetto PNRR finalizzato alla comprensione degli elementi distintivi della comunicazione del rischio. L’obiettivo delle interviste è comprendere come i professionisti discutano in maniera autoriflessiva rispetto alle proprie competenze e le adattino ai temi emergenti della comunicazione del rischio, come il consolidamento degli strumenti digitali, incertezza e intelligenza artificiale, rispondendo a due domande di ricerca: RQ1. Come i professionisti della comunicazione del rischio adattano le loro competenze al panorama mediale, considerando le pratiche digitali e i nuovi strumenti? RQ2. Quali sono le strategie adottate per gestire la comunicazione dell’incertezza? La ricerca si basa su interviste semi-strutturate condotte a un campione di convenienza di esperti/e operanti in diversi ambiti della comunicazione del rischio, tra cui istituzioni pubbliche, istituti di ricerca, società di consulenza. A febbraio 2025 sono state raccolte 18 interviste. La raccolta delle testimonianze sarà interrotta al raggiungimento della saturazione. Questo campione eterogeneo ha permesso di esplorare processi della comunicazione del rischio in contesti territoriali variegati – e sui quali insistono diversi rischi – e all’interno di organizzazioni contraddistinte da differenti modalità operative, le quali impattano sull’autonomia decisionale e operativa dei/le nostri/e intervistati/e. L’analisi qualitativa, condotta tramite thematic analysis (Braun & Clarke, 2021), ha permesso di identificare alcune tendenze chiave relative alle strategie comunicative, alle difficoltà e fattori di inibizione rilevati, e alle soluzioni adottate per migliorare l’efficacia delle proposte di comunicazione. In particolare, la restituzione dei risultati si concentrerà intorno a tre focus tematici: 1. La discussione delle pratiche del digitale; 2. La comunicazione dell’incertezza; 3. L’integrazione degli strumenti di intelligenza artificiale. La discussione dei risultati integrerà diversi framework teorici, tesi a comprendere i modelli di comunicazione del rischio che sostengono le pratiche dei professionisti/e, le media ideologies (Gershon, 2010) che contribuiscono a dare forma agli output di comunicazione e le rappresentazioni dei pubblici che definiscono il loro target. I risultati preliminari mostrano come i/le professionisti/e della comunicazione siano consapevoli di dover adattare le pratiche alla molteplicità di canali e di strumenti offerti dal panorama mediale contemporaneo. In particolare, mentre si evidenziano le caratteristiche di flessibilità e pervasività degli strumenti digitali, si riconosce la necessità di nuove competenze o figure professionali ad-hoc dovute ai meccanismi black-box e ai rischi connessi alla disinformazione e all’overload informativo. Inoltre, emerge la difficoltà di comunicare l’incertezza, a fronte di pubblici che si aspettano di ricevere informazioni costanti, immediate, ma prive delle complessità proprie delle stime probabilistiche. Le aspettative sull’intelligenza artificiale riflettono una fascinazione per gli strumenti, ma sollevano questioni di responsabilità e accountability. Riferimenti bibliografici Amato A., Flora G., Valbonesi C. (2019). Scienza, diritto e processo penale nell'era del rischio. Milano: Giappichelli. Aspers, P. (2024). Uncertainty: Individual Problems and Public Solutions. Oxford University Press. Balog‐Way, D., McComas, K., & Besley, J. (2020). The evolving field of risk communication. Risk Analysis, 40(S1), 2240-2262. Bonfanti, R. C., Oberti, B., Ravazzoli, E., Rinaldi, A., Ruggieri, S., & Schimmenti, A. (2023). The role of trust in disaster risk reduction: a critical review. International journal of environmental research and public health, 21(1), 29. Braun, V., & Clarke, V. (2021). Thematic analysis: a practical guide. Sage Cerase, A. (2017). Rischio e comunicazione. Teorie, modelli e problemi. Egea. Comunello, F., & Mulargia, S. (2018). Social media in earthquake-related communication: Shake networks. Emerald Publishing Limited. Gershon, I. (2010). Media ideologies: An introduction. Journal of linguistic anthropology, 20(2), 283-293. Lovari A., Ducci G. (2022). Comunicazione pubblica. Istituzioni, pratiche e piattaforme. Milano: Mondadori. Massa, A., & Comunello, F. (2024), Natural and Environmental Risk Communication: A Scoping Review of Campaign Experiences, Applications and Tools, International Journal of Disaster Risk Reduction, 114, 104936,https://doi.org/10.1016/j.ijdrr.2024.104936. Massa, A., Ieracitano, F., Comunello, F., Marinelli, A., & Lovari, A. (2022). La comunicazione pubblica alla prova del Covid-19. Innovazioni e resistenze delle culture organizzative italiane. Problemi dell’Informazione, 47, 1: 3. DOI: 10.1445/103466 Renn, O., & Levine, D. (1991). Credibility and trust in risk communication. Springer Netherlands. Smillie, L., & Blissett, A. (2010). A model for developing risk communication strategy. Journal of Risk Research, 13(1), 115-134. Spiegelhalter, D. (2017). Risk and uncertainty communication. Annual Review of Statistics and Its Application, 4(1), 31-60. Quarto contributo Gevisa La Rocca, Università Kore di Enna Cronemica dell’emergenza e prossemica della stampa: analisi dei disastri ambientali in Sicilia e Sardegna mediante l’Emotional Text Mining Negli ultimi quattro decenni la questione del rischio, come caratteristica della società contemporanea, è diventata centrale nel dibattito internazionale (Beck 1986), ed è legata al modo in cui le società gestiscono e affrontano i cambiamenti climatici, tecnologici e sociali (Furedi 2002); le questioni ambientali costituiscono un esempio concreto di questa tematizzazione. I disastri ambientali – difatti – sono divenuti sempre più di frequente oggetto di analisi della ricerca in ambito sociologico e nei communication studies (Comunello, Mulargia 2018). Nella costruzione delle emergenze e nella gestione dei disastri naturali i media veicolano frame in grado di influenzare l’elaborazione delle informazioni e la percezione stessa di tali disastri naturali da parte del pubblico (Entman 1993; Altheide 1997; Coombs 2012; Vogler, Meissner 2024). Già la teoria dell’amplificazione sociale del rischio (SARF – Kasperson et al., 1988), si è dedicata al ruolo centrale che i media svolgono nell’amplificare o nell’attenuare la percezione del rischio; individuando le teorie della comunicazione quali fondamentali per comprendere come comunichiamo sul rischio e sull’incertezza (Arvai, Rivers 2013) e sugli effetti sociali prodotti. La narrazione operata dai media si snoda e segue l’articolazione delle vicende legate ai disastri ambientali, attribuendo alla percezione un imprinting che, se analizzato a posteriori, restituisce un sensemaking retrospettivo (Weick 1995) di un evento e della sua impalcatura comunicativa. Il sensemaking è da intendersi come un processo di coevoluzione continua tra il preriflessivo (senso) e il riflessivo (significato), essendo legato ai processi di significazione. Il sensemaking si fonda sulla costruzione dell’identità, essendo implicito che nell’operazione del definire qualcosa o qualcuno si definisca contemporaneamente anche se stessi; è restrospettivo, poiché quando si ricerca il senso documentario ciò che si sta facendo è un’analisi retrospettiva di quanto già accaduto; è istitutivo di ambienti sensati; è sociale; è continuo ed è plausibile. Ciò che mediante le operazioni di sensemaking si punta qui a realizzare è una chiarificazione all’indietro di situazioni sociocomunicative. Riconoscendo l’importanza delle fonti di informazione nel plasmare la percezione pubblica rispetto ai disastri naturali e alle relate risposte e con l’obiettivo di procedere a una estrapolazione del sensemaking si è costruito un database concentrandosi sulla stampa nazionale, regionale e locale, nonché sui giornali web. Sono stati raccolti tutti gli articoli delle testate giornalistiche locali e nazionali disponibili sulla piattaforma Eco della Stampa, il cui rinvenimento è stato operato mediante le parole chiave: disastri ambientali o allerta meteo associate a Sardegna e Sicilia, per il periodo che va da gennaio 2022 a dicembre 2023. I 166 documenti individuati sono stati raccolti in un corpus di medie dimensioni composto da oltre 80 mila parole che è stato analizzato col metodo di profilazione socioculturale dell’Emotional Text Mining, (ETM; Greco, 2016). La ricostruzione di questo processo sociocomunicativo ha richiesto l’individuazione di punti di osservazione, assumendo quali discriminanti le fasi dell’emergenza: pre-emergenza o tempo di pace, emergenza o gestione del soccorso, post-emergenza o superamento. L’obiettivo del lavoro di ricerca è quindi innestare la cronemica dell’emergenza sulla modulazione dei frame utilizzati dalla stampa discriminando per tipi di eventi (disastri ambientali e allerta meteo) e per le due isole (Sicilia e Sardegna), al fine di rispondere a due domande di ricerca: [RQ1] Come muta al variare della cronemica dell’emergenza la postura comunicativa della stampa? [RQ2] Esistono delle differenze tra cronemica dell’emergenza e postura comunicativa della stampa rispetto a disastri ambientali e allerta meteo per Sicilia e Sardegna? L’obiettivo che orienta questo percorso pone, inoltre, l’attenzione sui meccanismi attraverso cui i media definiscono e classificano i rischi evidenziando le dinamiche tra visibilità e invisibilità delle isole, collegandosi alla ricerca intrapresa all’interno di un progetto Prin 2022 PNRR. Riferimenti bibliografici Altheide D. L. (1997), The news media, the problem frame, and the production of fear, in «The Sociological Quarterly», vol. 38, n. 4, pp. 647-668. Arvai J., Rivers III L. (Eds.). (2013), Effective Risk Communication (1st ed.), Routledge. https://doi.org/10.4324/9780203109861 Beck U. (1986), Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne, Suhrkamp, Frankfurt; trad. it. (2000), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma. Comunello F., Mulargia S. (2018), ShakeNetworks. Social media in earthquake-related communication, Emerald, Leeds. Coombs W. T. (2012), Ongoing crisis communication: Planning, managing, and responding (3rd ed.), Sage Publications, New York. Entman R. M. (1993), Framing: Toward clarification of a fractured paradigm, in «Journal of Communication», vol. 43, n. 4, pp. 51-58. Furedi F. (2002), Culture of Fear: Risk-Taking and the Morality of Low Expectation, Continuum International Publishing Group Ltd, London-New York. Greco F. (2016), Integrare la disabilità. Una metodologia interdisciplinare per leggere il cambiamento culturale, Franco Angeli. Kasperson R. E., Renn O., Slovic P., Brown H. S., Emel J., Goble R., Kasperson J. X., Ratick S. (1988), The Social Amplification of Risk: A Conceptual Framework, in «Risk Analysis», 8, 2, pp. 177-187. Vogler D., Meissner F. (2024), The mediated construction of crises-combining automated and qualitative content analysis to investigate the use of crisis labels in headlines of Swiss news media between 1998 and 2020, in «Journal of International Crisis and Risk Communication Research», vol. 7, n. 1, pp. 83-112. Weick K. E. (1995), Sensemaking in Organizations, Sage, London. |
17:30 - 19:00 | Sessione 3 - Panel 04: Memoria, comunicazione e crisi Luogo, sala: Aula 5 (A1-D) Chair di sessione: Claudia Gina Hassan Chair di sessione: Anna Lisa Tota |
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Memoria, comunicazione e crisi 1University of Rome Tor Vergata, Italia; 2University of Roma 3; 3University of Bologna; 4University of Bergamo PANEL Memoria, comunicazione e crisi. Stream I: Comunicazione: organizzazioni, istituzioni e media alla sfida della cronemica Introduzione Il panel Memoria, tempo e crisi affronta il tema delle trasformazioni sociali e delle sfide epistemiche della società post-globale attraverso la lente della memoria declinata da diverse angolature. L'assunto centrale è quello che gli effetti dell'accelerazione dei tempi investigati da Paul Virilio prima e da Hartmut Rosa and William Scheuerman rispettivamente sulla vita sociale e sui processi democratici, costringono ad un ripensamento del rapporto tra il passato, il presente e il futuro (Luhmann,1976, Jedlowsky, 2017). In questo contesto le categorie tradizionali degli studi sulla memoria vengono rimodulate non solo nei suoi paradigmi ma anche in relazione alla temporalità. Le crisi che caratterizzano la societa post-globale hanno modificato il nostro modo di ricordare e interpretare il passato aprendo nuovi spazi di riflessione caratterizzati dalla cosiddetta ultima ondata dei memory studies riferendosi alla memoria multidirezionale (Rothberg, 2009) alla solidarietà di memoria (Lim e Rosenhaft, 2021) agli spazi di memoria transnazionali (Wüstenberg e Sierp, 2020) o infine dalla memoria unbond (Bond, Caps and Vermeulen, 2017). In linea con le riflessioni contemporanee sulla memoria il panel si propone di analizzare le implicazioni per la memoria di contesti eccezionali come quello del Covid, la connessione tra la memoria e la società digitale, il ruolo dell'arte e dell'artivism nel costruire immaginari simbolici e infine le conseguenze politiche dell'avanzare della memoria illiberale in un contesto di crisi epistemica. Infatti questa analisi multidimensionale delle trasformazioni della memoria nelle società contemporanee, ha allo stesso tempo come sfondo e come oggetto di ricerca il mondo algoritmico, le crisi storiche e sanitarie e le pratiche artistiche come risposta e speranza. I tempi compressi dell’immediatezza mediatica, si diffondono rapidamente attraverso piattaforme digitali, cambiando profondamente il rapporto con la memoria. Le dinamiche di alienazione e disallineamento sociale prodotte in un’epoca caratterizzata dalla "società del rischio" (Beck), l’accelerazione dei ritmi di vita e la continua urgenza delle emergenze tendono a frammentare il senso del tempo, rendendo difficile elaborare risposte collettive coerenti. Il senso di disorientamento che ne emerge è terreno fertile per la proliferazione di ideologie che offrono risposte semplicistiche e caricaturali, che fanno leva su visioni di un "ordine perduto". Ma è proprio questo contesto che sviluppa una nuova forma di arte che è allo stesso tempo protesta, attivismo e proposta di bellezza. Attraverso l’intersezione di queste prospettive, il panel si propone di esplorare le dinamiche della memoria nel contesto mutato della nostra società. La ricerca sulla memoria nelle discipline sociologiche ha alimentato una rinascita della storia culturale, ma ha mostrato carenze metodologiche nei suoi studi sulla memoria collettiva. La maggior parte degli approcci si concentra sulla rappresentazione in contesti specifici, senza considerare adeguatamente l"'audience". Il panel si propone dunque di connettere in maniera ancora più stringente gli studi sulla comunicazione e quelli sulla memoria. Una prima strategia è la contestualizzazione all'interno della quale avviene questa condensazione. La memoria collettiva si inserisce così dentro processi complessi che contemplando i consumi culturali, la digitalizzazione e la piattaformizzazione, le crisi storiche riconoscendo anche l'arte come costruttrice creativa di memoria. Il panel coglie dunque la sfida di utilizzare metodi provenienti dagli studi sulla comunicazione e l'analisi dei contesti storici. ABSTRACT Media, memoria e trasformazioni sociali: dalle memorie connesse alle memorie algoritmiche in pratica. Roberta Bartoletti, Università di Bologna. roberta.bartoletti@unibo.it Il rapporto tra media e società è cruciale per comprendere le crisi e le trasformazioni sociali. Queste trasformazioni non possono essere lette semplicemente attraverso la categoria di rimediazione ma dovrebbero essere comprese alla luce del più strutturale concetto di mediatizzazione (Boccia Artieri 2022) che si concentra sulle interconnessioni complesse e profonde tra media e società, che modellano le forme delle relazioni sociali, dell’esperienza e le forme del ricordare e del dimenticare. Il contributo si concentra in particolare sulla memoria dei social media, cercando di definire un programma di ricerca sulle trasformazioni della memoria nella recente stagione dei media algoritmici (Boccia Artieri e Bartoletti 2023) e sulla memoria digitale in pratica. Se in una prima stagione di Internet e dei social network si è profilata l’emergenza di forme di memoria connesse e condivise, con una centralità della dimensione individuale e collettiva della memoria, sia comunicativa che culturale (Bartoletti 2011), nella stagione delle piattaforme e dei media algoritmici sta emergendo una nuova forma di memoria sociale (nel senso di Esposito 2001), che si profila come memoria algoritmica. Sappiamo che gli algoritmi non possono essere considerati tout court come attori di memoria: la memoria digitale può essere concepita come la capacità di trattare informazioni indipendentemente dal significato (Esposito 2017), legame che invece caratterizza la memoria umana, così come nella memoria algoritmica si riconfigura la stessa relazione tra il ricordare e il dimenticare per come la conosciamo. Se gli algoritmi non producono memoria, ma informazioni, è attraverso le relazioni tra utenti e algoritmi che la memoria sociale algoritmica contribuisce alla formazione delle memorie connesse, le alimenta e le modella secondo proprie logiche, privilegiando la connettività sulla condivisione, la datificazione (Van Dijck e Poell 2013) e la decontestualizzazione : pensiamo a una piattaforma come TikTok dove gli stessi processi di costruzione dell’identità sono sempre più indipendenti dalle connessioni sociali con altri utenti a fronte della centralità dei contenuti, che sono sempre più autonomi dal loro contesto, storico, culturale, personale (cfr. “content without context”: Bhandari e Bimo 2022), o a quelle che possiamo riconoscere come affordances per ricordare (ad es. le Facebook memories proposte dall’algoritmo della piattaforma) o per dimenticare (le forme di contenuti effimeri). Ci chiediamo quali siano le principali sfide che un tale programma di ricerca dovrebbe affrontare, e quali siano le tematiche centrali, con una particolare attenzione alle forme della memoria, del ricordare e del dimenticare, che emergono dal rapporto tra utenti e piattaforme, tra utenti e algoritmi, e ai nuovi disagi e possibilità della memoria con cui gli utenti delle piattaforma devono fare i conti. Riferimenti bibliografici Bartoletti R. (2011), Memory and Social Media: New Forms of Remembering and Forgetting, in “Learning from Memory: Body, Memory and Technology in a Globalizing World”, Ed. B. Pirani, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle UK, pp. 82-111, ISBN: 1-4438-2884-X Bhandari, A., & Bimo, S. (2022), Why’s Everyone on TikTok Now? The Algorithmized Self and the Future of Self-Making on Social Media, “Social Media + Society”, 8(1). https://doi.org/10.1177/20563051221086241 Boccia Artieri G., Comunicare: la mediatizzazione, in Bichi R. (a cura di) Sociologia generale, Vita e Pensiero, 2022, cap. 36, pp. 443-454 Boccia Artieri G., Bartoletti R. (2023), Algoritmi e vita quotidiana: un approccio socio-comunicativo critico, "Sociologia della comunicazione" N. 66, pp. 5-20, DOI: Doi 10.3280/SC2023-066001 Esposito E. 2001 La memoria sociale. Mezzi per comunicare e modi di dimenticare, Laterza, Roma-Bari. Esposito E. (2017), Algorithmic memory and the right to be forgotten on the web. BIG DATA & SOCIETY, 4(1), 1-11 [10.1177/2053951717703996]. Van Dijck, J., Poell, T. (2013), Understanding Social Media Logic, “Media and Communication”, Vol. 1, n. 1, pp. 2-14, Doi: 10.12924/mac2013.01010002 Memoria illiberale e crisi epistemica. Claudia Hassan Università degli studi di Roma Tor Vergata. Le riflessioni sull'accelerazione del tempo (Rosa, 2005) e sulle trasformazioni nel contesto delle crisi contemporanee offrono un’importante lente analitica per comprendere le radici e le dinamiche del mutamento del concetto di memoria universalistica in quello sempre più diffuso di memoria illiberale, (Rosenfeld, 2023) che, alimentato dalla velocità della comunicazione digitale e dal disorientamento sociale, contribuisce a rafforzare una cultura cospirazionista. La memoria illiberale, quindi, non solo diventa un elemento centrale per la costruzione di narrative di crisi, ma rappresenta anche un ostacolo significativo alla creazione di una trasformazione all'interno del tessuto democratico. I cambiamenti sono spesso contestuali e non lineari. Le congiunture all'interno delle quali avvengono queste trasformazioni sociali si possono individuare nei seguenti quattro punti: l'erosione della memoria cosmopolita, il cambiamento strutturale della sfera pubblica, (Habermas, 2023) l'irruzione di forze illiberali a sfondo populista nelle diverse sfere pubbliche europee e internazionali, i cambiamenti geopolitici in atto. L'intervento è focalizzato dunque sulla connessione e intersezione di due elementi che attraversano la crisi della società contemporanea: la crisi epistemica e l'irruzione di memorie illiberali. La crescente incertezza epistemica è allo stesso tempo frutto e prodotto dell'erosione della fiducia nelle istituzioni tradizionali e assume una valenza centrale nel radicamento di narrazioni illiberali a sfondo spesso complottista. La memoria illiberale dunque escludente e autoritaria è segnata dalla compressione temporale e da un surriscaldamento delle informazioni. La confluenza, dunque di questi due fattori si configura come una risposta alla percepita perdita di controllo sul tempo, sulla storia e sull’identità collettiva. Quindi l'interazione tra media digitali, velocità dell’informazione e crisi globali contribuisce alla formazione di nuove forme di alienazione sociale. L’intensificazione delle emergenze, vissute attraverso un flusso continuo e immediato di notizie, rispecchia un cambiamento radicale nella nostra percezione del tempo, dove il presente è costantemente minacciato da una percezione di catastrofe imminente. In questo contesto, la memoria illiberale con la sua capacità di creare un tempo sospeso, dove la riflessione e la valutazione critica sono ridotte al minimo è il luogo simbolico da cui partire per comprendere come alcune riflessioni di Adorno e Horkheimer siano ancora oggi valide. L'intuizione sulla permanenza contemporanea dei "presupposti sociali oggettivi già presenti nelle società autoritarie" è confermata da narrative e grammatiche uscite dalla latenza a causa delle quattro specifiche contingenze sociali sopra citate. Come Adorno rifletteva sulle contraddizioni della modernità, oggi siamo chiamati a esaminare le contraddizioni della post-modernità e della società post-globale, caratterizzate da una crisi epistemica diffusa. L'emergere di forze illiberali e la proliferazione di teorie cospirazioniste sono sintomi di un deficit di riflessione critica, che alimentano la persistenza di pregiudizi e polarizzazioni. In questo scenario in cui confluiscono memoria illiberale e disorientamento informativo emerge la necessità di un ripensamento di un benessere epistemico inteso come indice della qualità delle democrazie. Riferimenti bibliografici Boccia Artieri G., Bartoletti R. (2023), Algoritmi e vita quotidiana: un approccio socio-comunicativo critico, "Sociologia della comunicazione" N. 66, pp. 5-20 Butter, M. and Knight, P. (2020) (eds), Routledge Handbook of Conspiracy Theories, NewYork: Routledge. Habermas (2023) Nuovo mutamento della sfera pubblica e politica deliberativa, a cura di Marina Calloni, Milano: Cortina. Horkheimer M e Theodor Adorno (1966) Dialettica dell’illuminismo, Torino: Einaudi. Rosa H. (2005) Beschleunigung: Die Veränderung der Zeitstruktur in der Moderne, Frankfurt: Suhrkamp.tr. it Rosa, H. (2015). Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità. Torino: Einaudi. Rosa H. and Scheuerman W, High-Speed Society. Social Acceleration, Power, and Modernity (University Park: Penn State University Press, 2010). Rosenfeld,G. (2023) “The rise of illiberal memory”, MemoryStudies16(4),819-836. Memorabile, non commemorabile. Come (non) ricordiamo la pandemia Lorenzo Migliorati, Università degli Studi di Bergamo. Sembra ieri che eravamo chiusi in casa a far lievitare impasti e attendere sera per poter aspettare il mattino seguente. Sembra ieri che le bare di Bergamo hanno fatto irruzione nella bolla della strana quotidianità delle nostre giornate di allora. Sembra ieri che le mascherine, le zone rosse e quelle arancioni, il lockdown e i vaccini. Sembra ieri. O forse, no. Forse, sembra più un secolo fa. Forse, non è neppure per davvero accaduto. La pandemia, il Covid, il lockdown appaiono ai nostri occhi e alle nostre esperienze attuali cose di chissà quale tempo andato e ferocemente trasfigurate nella memoria (chi di noi attende, ogni anno, il 18 marzo per fare memoria delle vittime della pandemia?) Io stesso, mentre scrivo queste note, mi chiedo se valga davvero la pena tornare con la memoria lì, a quei giorni, a quei mesi a quel memorabile 2020. Memorabile, sì; ma non così commemorabile. La pandemia di Covid-19 è stata un evento peculiare e inusitato nella storia recente dell’umanità, a memoria della maggior parte di tutti noi. Dal suo apparire, verso la fine del 2019 ad oggi, circa 800 milioni di persone nel mondo hanno contratto il virus e sette milioni ne sono morte. Al di là dei numeri, la pandemia ha sconvolto il mondo e le vite di tutti noi a causa della sua pervasività, della sua globalità e della sua indefinitezza. La mia ipotesi è che proprio il concorso di questi tre fattori abbia impedito e continui ad impedire l’avvio di un efficace processo di memorializzazione e istituzionalizzazione del ricordo della pandemia (o del Covid? O del lockdown? Insomma, di che cosa ci dovremmo ricordare?) Di più, siamo portati a pensare che proprio quella condizione di pervasività, globalità e indefinitezza dell’esperienza collettiva accentui le divisioni in ordine a ciò che è ci accaduto e di cui vorremmo fare memoria. Così, se da un lato disponiamo di un campionario abbastanza ampio di pratiche memoriali sorte sull’onda dell’emotività degli eventi in corso e, possiamo immaginare, esistono e resistono forme memoriali particolaristiche, un frame memoriale complessivo, meno che mai globale, come pure ci si potrebbe aspettare di fronte ad un evento, per definizione, globale, non c’è. Così come mi pare che non disponiamo di un canone memoriale altrettanto consolidato. Nel contributo vorrei riflettere sulle condizioni che hanno reso impossibile (o soltanto marginalmente possibile) costruire delle memorie collettive della pandemia, da quelle più strettamente private e familiari a quelle pubbliche e istituzionalizzate, liberi come siamo e contemporaneamente condizionati da regimi temporali invisibili, indiscussi e inarticolati determinati dalla logica dell’accelerazione sociale. Riferimenti bibliografici Alexander J. C. (2012), Trauma. A Social Theory, Polity Press, Cambridge; tr. it. Trauma. La rappresentazione sociale del dolore, Meltemi, Milano, 2018. Bauman Z. (2006), Paura liquida, Laterza, Roma-Bari Beck U. (1986), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma.
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Migliorati L. (2006), Rischio, una parola pericolosa. Uno studio sulla funzione sociale del rischio, quiedit, Verona.
Memoria pubblica, arte politica e artivismo Anna Lisa Tota, Università Roma Tre. annalisa.tota@uniroma3.it
In una contemporaneità profondamente segnata dalle guerre, dai terrorismi e dalle conseguenti migrazioni forzate di fasce crescenti delle popolazioni colpite, i linguaggi delle arti possono offrirci inedite modalità per iscrivere nel discorso pubblico eventi altamente controversi, per incidere sulla definizione pubblica di ciò che sta avvenendo sotto i nostri occhi e che talora stentiamo a riconoscere e ad interpretare compiutamente (Dekel e Tota, 2017). Le voci degli artisti e delle artiste, le loro opere divengono così un materiale particolarmente prezioso capace di contribuire ai processi di formazione dei simboli delle memorie, per dare forma culturale alle rappresentazioni del passato (e del presente) che si susseguono in incessante contrapposizione. La riflessione sociologica contemporanea ha messo a tema una concezione di arte intesa come “agency” (Zolberg, 1996; Schwartz e Wagner-Pacifici, 1991; Schwartz e Bayma, 1999), fra i molti altri che potremmo citare) già negli scritti dei suoi fondatori e fondatrici, considerando gli artefatti artistici come dispositivi sociali capaci di incidere profondamente sul tessuto politico, sociale e culturale di una collettività. L’arte diviene così dispositivo potenzialmente capace di liberare dai dogmi, far cadere il velo dagli occhi, sfidare i potenti, denunciare le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani, promuovere i processi di inclusione sociale, fare e disfare processi di memoria pubblica, educare alla cittadinanza, combattere le molteplici forme di discriminazione sociale (Tota e De Feo, 2020). In molto casi si tratta di un’arte profondamente politica, legata spesso a vere proprie forme di attivismo (da qui il termine “artivism”) che colloca idealmente gli artisti e le artiste in una posizione privilegiata, riconoscendo loro la prerogativa della visione e la capacità di attivare - o almeno favorire – efficaci processi di trasformazione sociale. Per questo motivo il binomio arte e memoria diviene così intrinsecamente fruttuoso: perché le arti informano con i loro linguaggi i processi di iscrizione delle memorie, ma anche le traiettorie sociali future dei passati che intendono narrare e custodire (Tota e Hagen, 2016). In questo modo ai linguaggi delle arti possiamo affidare sia le rappresentazioni del passato, sia quelle del futuro (Wagner-Pacifici, 2010). In questo contributo, facendo riferimento ai risultati di una ricerca qualitativa in corso legata al Progetto PRIN TRAMIGRART (www.tramigrart.it), si documenta il ruolo delle arti come forme di resistenza, come atti insurrezionali rispetto a cliques interpretativi e agli stereotipi condivisi. L’arte diviene capace, nelle parole degli artisti (Trione, 2022), di: “riscoprire il diritto alla bellezza, anche dove la bellezza sembra non avere più dimora”, “redimere lo spazio urbano”, “creare nuove forme di communitas estetico-politiche”, “progettare processi insicuri di effrazione”, “ricordare a noi tutti che il futuro è di nostra competenza” e, last but not least, produrre memory work a favore dei processi di pace. Riferimenti bibliografici Dekel I., Tota, A.L. (2017) (Eds.) Claims to Truth: Authenticity in Aesthetic Paths to Justice and Public Memory, Special Issue in Honour of Vera Zolberg, in «European Journal of Cultural and Political Sociology», 4:3. Macdonald S., Fyfe G. (1996), Theorizing Museums. Representing identity and diversity in a changing world, Blackwell, Oxford. Schwartz B., Bayma T. (1999), Commemoration and the politics of recognition: the Korean War veterans memorial, in « American Behavioral Scientist », 42(6), pp. 946-967. Tota A. L., Hagen T. (Eds.), (2016), Routledge international handbook of memory studies, Routledge, London. Tota A. L., De Feo A. (2020), Sociologia delle arti. Musei, memoria e performance digitali, Roma, Carocci. Wagner-Pacifici R., Schwartz B. (1991), The Vietnam Veterans Memorial: Commemorating a Difficult Past, in “American Journal of Sociology”, 97, 2, pp. 376-420. Trione, V. (2022), Artivismo. Arte, politica, impegno, Torino, Einaudi. Wagner-Pacifici R. (2010), Theorizing the restlessness of events, in “American Journal of Sociology”, 115(5), pp. 1351-86. Zolberg V. L. (1996), Museums as contested sites of remembrance: the Enola Gay affair, in Macdonald, Fyfe (eds.) (1996), pp. 69-82. |
17:30 - 19:00 | Sessione 3 - Panel 05: Famiglie e genitorialità in transizione: nuove configurazioni tra crisi e prospettive future Luogo, sala: Aula Magna ex Facoltà di Scienze Politiche (B0-B) Chair di sessione: Isabella Crespi Chair di sessione: Elisabetta Carrà |
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Famiglie e genitorialità in transizione: nuove configurazioni tra crisi e prospettive future 1Università di Macerata; 2Università Cattolica del sacro Cuore Milano; 3Università di Torino; 4Università di Padova; 5Università del Piemonte Orientale Il panel “Famiglie e genitorialità in transizione: nuove configurazioni tra crisi e prospettive future” si propone di esaminare le trasformazioni nelle pratiche genitoriali e nelle configurazioni familiari in un contesto caratterizzato da cambiamenti sociali accelerati e da forme di vulnerabilità emergenti. La letteratura recente ha evidenziato come la crisi dei modelli familiari tradizionali non sia solo il riflesso di mutamenti economici, giuridici e culturali, ma anche il risultato di una rinegoziazione quotidiana dei ruoli e delle identità genitoriali. L’esperienza della maternità e della paternità assume oggi forme sempre più plurali, attraversando dinamiche di riconoscimento sociale, tensioni normative e processi di adattamento che si sviluppano nel tempo. Il panel intende riflettere su queste trasformazioni attraverso il contributo di studi empirici che esplorano la costruzione della genitorialità in contesti segnati da discontinuità, ridefinizioni identitarie e nuove configurazioni relazionali. L’esperienza della maternità con disabilità offre una prospettiva privilegiata per riflettere sulla tensione tra i modelli egemonici di genitorialità e le temporalità vissute. Il contributo di * analizza il modo in cui le madri con disabilità negoziano il tempo della cura e reinterpretano l’autonomia attraverso il concetto di crip time, mettendo in discussione il paradigma normativo della maternità e la pressione sociale sulla performance genitoriale. La maternità non bio-normativa delle donne lesbiche rappresenta un’altra frontiera della trasformazione delle pratiche genitoriali. Il lavoro di * esplora il processo di costruzione dell’identità materna nelle madri lesbiche non biologiche, evidenziando come il desiderio materno e la legittimazione del ruolo genitoriale si articolino in percorsi distinti dalla gravidanza, attraversando dinamiche di riconoscimento e resistenza ai modelli monomaternalisti dominanti. Le traiettorie di genitorialità funzionale, che si sviluppano al di fuori dei legami biologici e giuridici riconosciuti, sono al centro dell’analisi di *. Il loro contributo indaga le dinamiche attraverso cui si costruiscono nel tempo relazioni di cura di fatto, ponendo in evidenza la crescente pluralizzazione delle configurazioni familiari e le sfide poste dalla mancanza di un riconoscimento giuridico per le forme di genitorialità esercitate al di fuori dei confini tradizionali. Infine, la maternità nell’accademia evidenzia le tensioni tra percorsi professionali e traiettorie riproduttive in un contesto caratterizzato da precarietà e aspettative di dedizione totale alla carriera. Il contributo di * mette in luce i diversi modelli di transizione alla maternità tra le accademiche, mostrando come fattori strutturali, relazionali e di genere influenzino le scelte di fecondità, il posponimento della maternità e le strategie di gestione del tempo tra vita personale e professionale. ABSTRACT 1 Oltre il tempo normativo: maternità, disabilità e la risignificazione della cura Ester Micalizzi (Università di Torino) Le società contemporanee sono caratterizzate da un’accelerazione dei tempi e dei ritmi di vita e di lavoro (Rosa, 2015) che investe non solo il lavoro retribuito ma anche le sfere della cura e della genitorialità (Fraser, 2017), imponendo modelli di efficienza, perfomance e produttività. In questo contesto, la maternità con disabilità viene spesso percepita in quanto distante alle aspettative di abilità e autonomia che definiscono i modelli egemonici di buona genitorialità (Kafer, 2013; Fritsch, 2017; Campbell, 2019). Questi modelli associano la buona genitorialità alla capacità di gestire in modo autonomo e performativo le esigenze quotidiane di cura. L’essere una “buona madre” è spesso associato a una disponibilità costante di tempo, energie e risorse nonché a un investimento incondizionato nella cura dei figli (Cooper, 2020; Spradley, 2023). L’esperienza della genitorialità in condizioni di disabilità o malattia cronica si sviluppa, quindi, in una costante tensione tra le aspettative normative sulla maternità e le temporalità vissute, spesso incompatibili con i ritmi imposti dalle società contemporanee (Kafer, 2013; Fritsch, 2017). Le madri con disabilità devono costantemente negoziare tra il tempo della cura, il tempo della gestione della propria salute e del proprio corpo– in cui si riflettono le esigenze di riposo, cura e gestione della fatica—e quello imposto dai ritmi accelerati delle istituzioni (Robertson, 2015). La malattia cronica, per esempio, introduce una ciclicità del tempo legata a momenti di crisi e remissione, mentre la disabilità implica spesso una pianificazione temporale flessibile, adattata ai bisogni del corpo e della cura (Wendell, 1996; Pieri, 2020). In questo scenario, le politiche di welfare raramente considerano il tempo come un elemento di disuguaglianza, strutturando servizi e supporti secondo un modello di tempo normativo che esclude chi vive temporalità divergenti (Norsted et al. 2022). L’obiettivo di questo contributo è esplorare come le madri con disabilità o malattie croniche negozino il tempo della cura con le responsabilità genitoriali e reinterpretano l’autonomia e il bisogno di supporto attraverso il concetto di crip time (Kafer, 2013; McRuer, 2018). Il tempo crip, concetto sviluppato nell’ambito dei Feminist Disability Studies (Garland-Thomson, 2005), evidenzia proprio questa frattura tra il tempo imposto e quello vissuto, mettendo in discussione il paradigma della temporalità normativa del capitalismo. Questo studio si basa su una ricerca qualitativa condotta tra il 2021 e il 2022, focalizzata sulle traiettorie riproduttive e di maternità incorporata delle donne con disabilità motoria residenti nel Nord Italia. Sono state svolte 33 interviste biografiche in profondità, permettendo di esplorare le loro esperienze di cura, autonomia e gestione del tempo. I risultati evidenziano come molte madri con disabilità vivano una tensione costante tra il bisogno di rallentare, delegare e ridefinire i ritmi della cura, in un equilibrio precario tra il bisogno di tempo per sé e la gestione della propria condizione di salute. La cura dei figli si intreccia inevitabilmente con queste necessità, dando vita a forme di gestione del tempo di cura che non rientrano nei modelli standardizzati di produttività e disponibilità continua della “buona madre”. Inoltre, emerge la contraddittorietà del concetto di indipendenza: molte madri con disabilità sono costrette a dimostrare di essere “sufficientemente indipendenti” per essere riconosciute come “buone madri”, il che spesso le porta a minimizzare o negare la propria condizione (Daniels, 2019). Allo stesso tempo, qualsiasi richiesta di supporto viene percepita come un segnale di inadeguatezza, creando un paradosso che le obbliga a muoversi tra aspettative abiliste di autonomia e il bisogno concreto di assistenza (Fine e Glendinning, 2005). Bibliografia Campbell, F. K. (2019), Precision ableism: A studies in ableism approach to developing histories of disability and abledment. Rethinking History 23(2): 138- 156 Cooper, H. (2020), The Fantasy of Maternal Autonomy and the Disabled Mother, Studies in the Maternal 13(1): 13. doi: https://doi.org/10.16995/sim.296 Daniels, J. (2019). Disabled Mothering? Outlawed, Overlooked and Severely Prohibited: Interrogating Ableism in Motherhood, Social Inclusion, 7(1), 114-123. https://doi.org/10.17645/si.v7i1.1551 Fine, M., & Glendinning, C. (2005). Dependence, independence or inter-dependence? Revisiting the concepts of 'care' and 'dependency'. Ageing & Society, 25(4), 601 621. https://doi.org/10.1017/S0144686X05003600 Fritsch, K. (2017). Contesting the Neoliberal Affects of Disabled Parenting: Towards a Relational Emergence of Disability. in Rembis, M. (eds), Disabling Domesticity, New York, NY: Palgrave-Macmillan, pp. 243-268. Fraser, N. (2017), La fine della cura, tr. it. Mimesis, Milano. Garland-Thomson, R. (2005), Feminist Disability Studies. Signs 30(2): 1557-1587. Kafer, A. 2013. Feminist, Queer, Crip. Bloomington: Indiana University Press. McRuer, R. (2018), Crip Times. Disability, Globalisation, and Resistance. New York: New York UP. Morris, J. 1993. Independent Lives? Community care and disabled people. London: Macmillan. Mühlemann, N. (2023). Future Clinic for Critical Care: MOTHER–Exploring Crip Maternal Time in the Theatre. In Out of Time? (pp. 167-175). Routledge. Norstedt, M., Lundberg, S., Mulinari, P., Nordling, V., Öberg, K. (2022). Editorial: waiting in and for the welfare state. European Journal of Social Work, 25(6), 939–944. https://doi.org/10.1080/13691457.2022.2142887 Piepzna-Samarasinha, L. L. 2018. Care work. Dreaming disability justice. Vancouver: Arsenal Pulp Press. Pieri, M. 2023. LGBTQ+ People with Chronic Illness. Chroniqueers in Southern Europe. London: Palgrave MacMillan. Robertson, R., (2015) “Out of Time: Maternal time and disability”, Studies in the Maternal 7(1), 1-13. doi: https://doi.org/10.16995/sim.194 Rosa H. (2015), Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità, Einaudi, Torino. Spradley, EL (2023) ‘Ableism and Motherhood: Invisible Illness and Moral Implications of “Good” Mothering’, In Refiguring Motherhood Beyond Biology (pp. 120-133). London, England: Routledge. Wendell, S. (1996), The Rejected Body. Feminist Philosophical Reflections on Disability. New York, Routledge. ABSTRACT 2 Diventare madri senza partorire. Ludovica Aquili e Luca Trappolin Negli ultimi tre decenni, le società occidentali hanno assistito a significative trasformazioni nell’ambito della maternità lesbica. Il nostro contributo si colloca nel dibattito sulla crescente visibilità in Italia delle famiglie lesbiche pianificate, focalizzandosi sul processo di transizione alla genitorialità delle madri lesbiche non biologiche (NBLMs – “non-birth lesbian mothers”). Quest’ultimo è un tema ancora poco esplorato, e la discussione che proponiamo trascende le due prospettive predominanti negli studi attuali: da un lato, gli studi incentrati sui processi decisionali delle coppie lesbiche che pianificano la genitorialità (Eriksson Kirsch & Evertsson, 2023), dall’altro le ricerche, in espansione anche nel contesto italiano, focalizzate sulla precarietà e vulnerabilità delle madri lesbiche che non partoriscono (Keegan et al., 2023). Pur illuminando aspetti cruciali dell’esperienza delle NBLMs, questi approcci non riescono a catturare pienamente le specificità e l’evoluzione temporale del processo di costruzione dell’identità materna nelle NBLMs, che prende avvio prima della formazione della coppia e si sedimenta all’interno della relazione, nonostante la vulnerabilità sociale e giuridica dello status delle madri che non hanno partorito. La base empirica del nostro intervento sono 13 interviste qualitative con 13 NBLMs italiane che vivono in famiglie same-sex pianificate, raccolte nell’ambito di una ricerca sulle traiettorie di maternità al di fuori della coppia eterosessuale. L’analisi delle loro narrazioni punta a comprendere come le intervistate articolano retrospettivamente l’emersione del desiderio materno e progressivamente ancorano la loro identità, “svincolando la maternità dalle sue radici biologiche” (Dunne, 2000, p. 15). Il nostro sguardo mette a fuoco le modalità attraverso le quali le partecipanti hanno interpretato e riordinato il loro passato dalla posizione del presente, mobilitando discorsi e vocabolari culturali per adattarsi o resistere agli schemi dominanti. Per facilitare la produzione del racconto, la struttura dell’intervista ha seguito una temporalità cronologica, esplorando i momenti che costituiscono il processo di transizione alla maternità, dagli immaginari pre-genitorialità alle pratiche quotidiane del lavoro materno. Le interviste rivelano come le NBLMs contrastino le ideologie eteronormative e monomaternaliste che caratterizzano il contesto italiano, dando voce a diverse traiettorie che coesistono all’interno della stessa categoria NBLM. La genesi e lo sviluppo del desiderio materno vengono narrate attraverso discorsi che lo dissociano dall’esperienza della gravidanza, sfidando così le premesse normative dell’istituzione della maternità’ (Rich, 1977) e mettendone in luce la natura convenzionale. Parallelamente, lo “script della coppia nucleare” emerge come strumento volto a legittimare la distinzione tra il desiderio di maternità sociale delle NBLMs e la maternità biologica delle loro partner, rappresentandoli come percorsi complementari che si sviluppano simultaneamente. In questo caso, il copione tradizionale della complementarità della coppia viene strategicamente mobilitato per sostenere la desacralizzazione della gravidanza e l’affermazione della famiglia polimaterna. Il contributo si sofferma in particolare sugli snodi temporali attraverso cui si sviluppa l’esperienza di “sentirsi madri”. Alcune intervistate descrivono l’ancoraggio della loro identità evidenziando una temporalità distinta rispetto alle partner, raccontando di aver attraversato fasi di identificazione materna in momenti diversi. Altre, invece, riconoscono la capacità della coppia di trascendere questa asincronia temporale, superando simbolicamente, nel corso della loro esperienza, la precarietà iniziale del loro status. Le interviste raccolte e l’interpretazione che proponiamo mettono a tema la normalizzazione di percorsi non convenzionali verso la maternità, rivelando anche la metamorfosi dei paradigmi genitoriali e la resistenza alle narrazioni egemoniche sulla maternità. Ciò a cui puntiamo è una comprensione più sfumata delle configurazioni familiari contemporanee e della “categoria materna”, che supera sia le semplificazioni del dibattito pubblico che quelle legate a un’adesione acritica all’ipotesi della simmetria/intercambiabilità delle partner di una coppia genitoriale same-sex. Riferimenti bibliografici Dunne, G.A. (2000). Lesbians blurring the boundaries and transforming the meaning of parenthood and kinship. Gender & Society, 14(1), 11-35. Eriksson Kirsh, M. & Evertsson, M. (2023). Taking turns: Lesbian couples’ decision of (first) birth mother in Sweden. Journal of Family Studies, 29(4), 1865-1883. Keegan, M.E., Nixon, E. & Creaner, M. (2023). Becoming a birth mother in the context of a planned same-sex family: ‘As amazing as it is, it’s kind of a tough road to navigate’. Journal of Family Studies, 29(2), 807-823. Rich, A. (1977). Of woman born: Motherhood as experience and institution. WW Norton. ABSTRACT 3 Trovarsi a fare i genitori: costruzione di legami di fatto nel tempo e forme di riconoscimento Chiara Bertone, Università del Piemonte Orientale Il paper discute il contributo della prospettiva sociologica ad un progetto interdisciplinare sul riconoscimento giuridico della “genitorialità funzionale”. Nel contesto italiano sociologi e demografi delle dinamiche familiari fanno riferimento ad una rivoluzione nei comportamenti familiari in atto negli ultimi decenni, guidata dalle coorti più giovani, con una diffusione accelerata di convivenze, divorzi, figli fuori dal matrimonio, unioni tra persone dello stesso sesso, con l’effetto di un aumento della complessità familiare (Aassye et al. 2024). Questi mutamenti implicano una crescente pluralizzazione delle costellazioni relazionali e delle modalità di vita in cui si svolgono le pratiche di cura verso i bambini. In tale contesto, che vede al tempo stesso l’aumento di condizioni di povertà e vulnerabilità, forme di genitorialità non riconosciute vengono in molti casi esercitate attraverso situazioni imprevedibili in cui le persone si trovano a costruire nel tempo una relazione di cura con un bambino ed assumere nei fatti una responsabilità genitoriale. Per dare una risposta adeguata a questi cambiamenti nelle pratiche familiari, autorevoli analisi di sociologia del diritto sostengono che l'Italia dovrebbe orientarsi verso il riconoscimento giuridico di forme plurali di genitorialità, riconoscendo le configurazioni variabili di persone che esercitano le funzioni di cura e responsabilità genitoriali nei confronti di un minore (Maggioni, Ronfani 2020). Traendo principale ispirazione dalle dottrine della genitorialità funzionale diffuse negli Stati Uniti (Joslin, Douglas 2023), il progetto XXXXXX, promosso dal XXXXXXX, vuole affrontare le lacune del sistema giuridico italiano rispetto alla tutela dei legami affettivi dei bambini, elaborando un sistema innovativo di riconoscimento giuridico della genitorialità in grado di conciliare le richieste di uguaglianza della comunità LGBTQI+ (Guerzoni, Nothdurfter, Trappolin 2024) con il più ampio pluralismo dei modelli familiari emergenti in Italia. Adottando la prospettiva delle pratiche familiari (Morgan 2009), la ricerca sociologica integrata nel progetto XXXXXXXXX si pone la questione di come individuare diverse situazioni di fatto che potrebbero essere rilevanti per l’introduzione di una forma di riconoscimento della genitorialità funzionale nel nostro sistema legale, ragionando al contempo su quali siano quelle attualmente intercettate da altri istituti, tra cui l’affido e l’adozione (Favretto, Scivoletto 2020) o il tutore volontario di minori non accompagnati (Ricucci, Zreg 2023). Tale percorso di ricerca prevede di indagare, con una prospettiva interdisciplinare e in collaborazione con i servizi per le famiglie e i minori in un contesto metropolitano, alcune esperienze di genitorialità di fatto intercettate dai servizi, analizzando le possibili implicazioni di un riconoscimento giuridico nei termini della genitorialità funzionale. Riferimenti Aassve, A., Mencarini, L., Pirani, E., Vignoli, D. (2024). The last bastion is falling: Survey evidence of the new family reality in Italy. Population and Development Review, 50(4), 1267-1288. Favretto, A.R., Scivoletto, C. (2020). Genitorialità sociale affidataria e continuità dei legami affettivi. Sociologia del diritto, 1, 131-152. Guerzoni, C.S., Nothdurfter, U., Trappolin, L. (2024). Genitorialità queer in Italia. Filiazione, relazioni familiari, percorsi di legittimazione, Mondadori. Joslin, C.G., Douglas, N. (2023). How Parenthood Functions. Columbia Law Review 123 (2), 319–434. Morgan, D.H.J. (1996) Family Connections. An Introduction to Family Studies, Polity Press, Cambridge. Ricucci, R., Zreg, W. (2023). Il tutore volontario: una genitorialità sociale sui generis?. Mondi migranti, 3, 129-141. Ronfani, P., Maggioni, G. (2020). Dossier: il diritto di fronte alle trasformazioni delle relazioni di filiazione e di genitorialità: introduzione. Sociologia del diritto, 1, 41-47. ABSTRACT 4 Diventare madre in accademia: tempi, traiettorie e transizioni Maddalena Cannito e Manuela Naldini È ormai noto in letteratura che il lavoro accademico pone a chi ha figli problemi di conciliazione (Thun 2019; Ceci et al. 2014; Fox et al. 2011), producendo anche in Italia svantaggi in termini di carriera soprattutto per le donne che sono anche madri (Picardi 2020; Gaiaschi 2022; *). Questo genera anche delle aspettative rispetto agli impatti negativi che la maternità può avere sul lavoro accademico, che possono agire nella forma di biases nei processi di valutazione (Checchi, Cicognani e Kulic 2019) conducendo le ricercatrici all’adozione di strategie per limitare questi effetti che sfociano spesso nel posponimento o addirittura nella rinuncia al fare figli (Thébaud e Taylor 2021). Meno esplorati sono, invece, i corsi di vita delle donne in accademia, le scansioni e le cadenze nei vari passaggi, le tensioni tra progetti di vita familiare e la carriera accademica, le interdipendenze tra le varie carriere, gli intrecci tra le traiettorie del corso di vita, proprie e del proprio partner o di coloro a cui le nostre “vite sono collegate” (Elder 1995), e le ricadute sulle scelte di fecondità e sul timing del diventare madri. Il presente contributo intende, dunque, colmare tale vuoto prestando attenzione a livello micro ai corsi di vita delle donne e come essi siano intrecciati con i contesti macro utilizzando un ricco materiale empirico qualitativo che si compone di 64 interviste semi-strutturate con professoresse associate e con ricercatrici precarie, sia con figli che senza, raccolte nell’ambito del Progetto XXXXXXX ha coinvolto quattro università italiane - XXXXXXXXXXXXXX- con lo scopo di esplorare le disuguaglianze di genere nelle carriere accademiche in Italia. I risultati mostrano che ci sono diversi timing e scansioni nei modelli di transizione alla maternità che sono influenzati sia dalle caratteristiche e pratiche lavorative del contesto accademico e dall’area disciplinare (STEM o SSH) o dalla coorte di appartenenza, sia da fattori quali il timing dell’entrata in una coppia stabile, la forza del collegamento con le vite degli altri, la sicurezza del lavoro del partner, il supporto (percepito) del partner nella condivisione del lavoro familiare e di cura, la presenza di una rete di supporto e il raggiungimento di una posizione tenure-track. Bibliografia Ceci S.J., Ginther D.K., Kahn S. e Williams W.M., 2014, Women in academic science: A changing landscape, in «Psychological Science in the Public Interest», 15, 3, pp. 75-141. Checchi, D., Cicognani, S., & Kulic, N. (2019). Gender Quotas or Girls’ Networks? Evidence from an Italian Research Selection. Work, Employment and Society, 33(3), 462-482. https://doi.org/10.1177/0950017018813071 Fox M.F., Fonseca C. e Bao J., 2011, Work and family conflict in academic science: Patterns and predictors among women and men in research universities, in «Social Studies of Science», 41, 5, pp. 715-735. Elder 1995, Life Course Dynamics: Trajectories and Transitions, 1968-1980. Ithaca, Cornell University Press. Gaiaschi C., 2022, Doppio Standard. Donne e carriere scientifiche nell’Italia contemporanea, Roma, Carocci. Picardi, I., 2020, Labirinti di cristallo. Strutture di genere nell’accademia e nella ricerca, Milano, Franco Angeli. Thébaud S. e Taylor C.J., 2021, The specter of motherhood: Culture and the production of gendered career aspirations in science and engineering, in «Gender & Society», 35, 3, pp. 395-421. Thun C., 2019, Excellent and gender equal? Academic motherhood and «gender blindness» in Norwegian academia, in «Gender, Work & Organization», 27, 2, pp. 166-180. |
17:30 - 19:00 | Sessione 3 - Panel 06: Il futuro che resiste al presentismo. Ricerche sull’utopia possibile Luogo, sala: Aula 6 (A1-F) Chair di sessione: Carmen Leccardi Chair di sessione: Sabino Di Chio |
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Il futuro che resiste al presentismo. Ricerche sull’utopia possibile. 1Università di Milano Bicocca; 2Università degli Studi di Bari, Italia; 3Università di Napoli Federico II; 4Università di Bergamo La teoria sociale converge nell’indicare il futuro come la dimensione temporale principale della modernità: progresso, emancipazione e utopia si intrecciano in un atteggiamento culturale prospettico (Koselleck 1985, Berman 1982). Non sorprende, quindi, che una delle riflessioni più significative nel delineare la fase successiva alla modernità sottolinei proprio il declino della centralità del futuro a favore del presente (Nowotny 1993, Lübbe 2009) e il “presentismo” come regime temporale dominante nelle società avanzate (Hartog 2015). Tuttavia, la perdita di valore culturale del futuro non implica la sua scomparsa: immaginare, anticipare e progettare ciò che verrà rimangono questioni cruciali. Di conseguenza, resta rilevante una sociologia delle aspirazioni e delle aspettative (Urry 2016; Beckert, Suckert 2021) che esplori il legame tra scelte individuali e visioni collettive. Tra catastrofismo e narrazione commerciale del progresso, emergono esperienze che offrono alle scienze sociali un’occasione per riflettere sul rapporto tra immaginario collettivo e coscienza politica, riaprendo il dibattito sul ritorno di una dimensione utopica. Il panel ha l’ambizione di mettere in dialogo alcune esperienze di ricerca nel contesto italiano che, negli ultimi anni, hanno concentrato la loro attenzione sulla riemersione del futuro nelle biografie e nei macro-fenomeni collettivi. Il primo contributo riferisce i dati di un’indagine longitudinale quali-quantitativa che ha studiato le pratiche con cui i giovani agiscono riflessivamente all’interno dei contesti quotidiani, ridefinendone confini, possibilità e spazi di identità. Nella costruzione delle identità giovanili emergono dinamiche di azione inedite (ad esempio sotto il profilo della partecipazione politica), dotate di senso e di concretezza e plasmate da una sorta di «utopia del possibile». Il secondo contributo analizza criticamente come le tecnologie digitali stiano plasmando la temporalità contemporanea. Nel quotidiano, la cultura digitale si propone come ambiente di elaborazione del futuro ma, sia da un punto di vista tecnico che retorico, esso appare al momento sintetizzato nella forma dell’anticipazione, funzionale alle esigenze del presente. Il terzo contributo analizza i processi di soggettivazione dei giovani imprenditori italiani in relazione alle visioni del futuro imposte dal regime neoliberale e a quelle autonomamente elaborate. Lo studio evidenzia un continuum tra due poli: l’esilio, caratterizzato dalla perdita delle radici e dall’isolamento, e il pellegrinaggio, inteso come ritorno creativo alla comunità. In questo quadro, le tecniche di cura del sé aprono spazi di riflessività, permettendo di immaginare forme di soggettivazione alternative alla logica neoliberale. Il quarto, infine, esplora come la conoscenza della violenza di genere si costruisca all'intersezione di tre temporalità: la cronaca giornalistica, spesso sensazionalistica e presentista; la prospettiva femminista, che colloca il fenomeno in un quadro di lungo periodo; e l’expertise di professionisti e società civile. Attraverso l'analisi della stampa locale, si indagano le tensioni tra presente e futuro, evidenziando il ruolo dei dati come strumenti di conflitto, potere e trasformazione sociale. La costruzione biografica giovanile, l’impegno privato e pubblico di adozione dell’innovazione tecnologica e produttiva, la lotta per il superamento delle discriminazioni di genere propongono un’estensione dell’orizzonte temporale condiviso (Leccardi, Jedlowski, Cavalli 2023; Di Chio 2015), favorendo una visione del futuro che oscilla costantemente tra immaginazione e azione concreta nel presente (Cooper 2014). Si tratta di utopie diverse da quelle che hanno caratterizzato il ‘900: non più basate sulla realizzazione di un modello ideale, ma sulla costruzione continua del cambiamento (Santambrogio 2022). Queste nuove forme di utopia, definite “possibili” (Geugen, Laurent 2022), sono radicate nelle esperienze quotidiane, nelle biografie individuali e nella corporeità (Adam, Groves 2007; Mandich 2024), riconoscendo il legame profondo tra progettualità e ambiente sociale. Nei settori presi in esame dal panel, la necessità di un ripensamento radicale della temporalità emerge dall’intersezione tra vulnerabilità fisica, esperienza diretta del pericolo o della discriminazione, sensibilità emotiva e capacità di “sentire” il futuro (Mandich, Satta e Cuzzocrea 2024). L’utopia possibile, in questo senso, si configura come una risposta alla neutralizzazione etica del presentismo, promuovendo la richiesta di nuove istituzioni capaci di considerare il futuro come una responsabilità collettiva, che tenga conto degli effetti a lungo termine e della solidarietà tra le generazioni. Primo paper Vite aperte al possibile… un’analisi dei vissuti giovanili in Italia Maria Grazia Gambardella e Carmen Leccardi (Università Milano-Bicocca) Com’è ben noto, al cuore della concezione moderna di biografia c’è la capacità di progettare e di progettarsi [Berger e Luckmann 1966]. Il nesso tra progetti e biografia risulta, se possibile, ulteriormente stretto nel tempo che stiamo vivendo. Esso dipende sempre di più dalle decisioni dell’attore sociale, dalla sua capacità di agency in un contesto problematico come il nostro [Rampazi 2009]. Ciò accade perché la modernità contemporanea mette in gioco tutte le certezze, ridiscute le identità, crea nuovi rischi personali e sociali, riconfigurando il rapporto con le istituzioni e imponendo una «individualizzazione degli individui» [Beck et al. 2003], tutti fattori che rendono intrinsecamente instabile la vita sociale e spingono i soggetti a farsi più riflessivi. L’azione umana e sociale è sempre meno guidata dall’habitus e sempre più dal bisogno, tra l’altro, di comprendere il senso ultimo delle proprie scelte. Queste dinamiche coinvolgono in particolare i giovani in quanto impegnati nei difficili processi di transizione all’età adulta, e dunque di ri-ridefinizione identitaria. A loro è richiesto di utilizzare qualità che oltrepassano la sfera meramente cognitiva, di tenere insieme emozioni [Cerulo 2024; Santambrogio 2021], forme plurime di razionalità e percorsi ricognitivi esterni e interiori. In questa cornice, i giovani devono saper costruire un repertorio quasi infinito di «mosse di riserva», di pratiche adattive ed esplorative per navigare nella contingenza [Leccardi 2012; Wyn et al. 2020] e declinare in modo nuovo le aspirazioni all’autonomia e all’indipendenza. A partire da questi presupposti, nel giugno del 2019 il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca ha avviato un’indagine longitudinale quali-quantitativa sui corsi di vita in Italia. In particolare, il gruppo qualitativo si è concentrato sull’analisi dei vissuti giovanili, delle vite di giovani uomini e donne impegnati nei processi di transizione alla vita adulta. Nel corso di tre wave di rilevazione (2020, 2021, 2022) sono state realizzate più di 300 interviste in profondità fra giovani tra i 23 e i 29 anni e 18 focus group con 80 studenti universitari (tra i 20 e i 25 anni) di tre grandi atenei collocati in contesti metropolitani (rispettivamente nel nord, nel centro e nel sud Italia). Alla luce degli esiti di questa ricerca [Leccardi 2024], il paper si concentra sulle pratiche attraverso le quali i giovani agiscono riflessivamente all’interno dei loro contesti quotidiani, ridefinendone confini, possibilità e spazi di identità [Martuccelli 2014]. Detto altrimenti, abbiamo voluto capire, in un quadro tutt’altro che facile, se, in che misura e secondo quali modalità, i nostri giovani siano comunque in grado di «addomesticare l’incertezza», trasformando condizioni sfavorevoli di partenza in dinamiche di mutamento aperte al possibile. L’indagine ha analizzato diverse aree tematiche, ma in particolare è emerso come la ri-definizione di pratiche temporali del quotidiano rappresenti la principale dimensione strategica messa in atto dai giovani e dalle giovani incontrati nel tentativo di aprirsi comunque a prospettive di mutamento direzionato. Immersi in un ambiente fortemente marcato da ambivalenze e insicurezze, i soggetti scelgono di agire in un orizzonte di breve respiro, entro cui poter controllare le conseguenze delle proprie azioni. Questo processo non genera tuttavia una fuga dal futuro o un puro e semplice appiattimento sul presente; produce piuttosto anche dinamiche di azione inedite (ad esempio sotto il profilo della partecipazione politica), dotate di senso e di concretezza [Mandich 2020]. Il terreno della costruzione identitaria diviene dunque sempre più quello delle pratiche quotidiane - luogo per eccellenza del presente. In questo spazio temporale i soggetti affermano la propria vita come ‘età del possibile’. Senza ovviamente ignorare i vincoli strutturali, da alcuni soggetti il tempo può essere infatti percorso e vissuto nella consapevolezza che punti di vista diversi dal mainstreaming (ad esempio sotto il profilo biografico) sono comunque oggi praticabili. Vengono messe in atto, in tal modo, forme di time work [Flaherty 2020], forme di agency temporale capaci di sopperire all’impossibilità di costruire veri e propri progetti a lungo termine attraverso forme di sperimentazione centrate sul qui-e-ora del presente. Prendono forma, in tal modo, azioni plasmate da una sorta di «utopia del possibile». Mentre la forza di orizzonti utopici tradizionalmente intesi languisce, la capacità di reinventare la relazione tra passato, presente e futuro a partire dal quotidiano si rafforza [Camozzi 2022]. In altre parole, il presentismo tout court sembra alle nostre spalle, almeno sul piano individuale. Senza, ovviamente, voler negare la crisi del futuro a lungo termine in cui siamo immersi, nuove rappresentazioni del mondo e del suo tempo vanno facendosi strada tra i giovani. Riferimenti bibliografici Beck, U., Bonss, W. e Lau, C. [2003], The theory of reflexive modernization: Problematic, hypotheses and research programme, in «Theory, Culture & Society», 20, 2, pp. 1-33. Berger, P. e Luckmann, T. [1966], The Social Construction of Reality: A Treatise in the Sociology of Knowledge, New York, Doubleday. Camozzi, I. [2022], La forza trasformativa delle utopie quotidiane. Un’introduzione, in «Cambio. Rivista sulle trasformazioni sociali», 12(24), pp. 5-14. Cerulo, M. [2024], Sociologia delle emozioni, Bologna, il Mulino. Flaherty, M.G. [2020], The lathe of time. Some principles of temporal agency, in M. G. Flaherty, L. Meinert e A.L. Dalsgârd (a cura di), Time Work. Studies of Temporal Agency, New York-Oxford, Berghahn, pp. 13-28. Leccardi, C. [2012], I giovani di fronte al futuro: tra tempo storico e tempo biografico, in O. De Leonardis e M. Deriu (a cura di), Il futuro nel quotidiano. Studi sociologici sulla capacità di aspirare, Milano, Egea. Leccardi, C. [2024] (a cura di), Vite aperte al possibile. Un’indagine longitudinale qualitativa sulle realtà giovanili in Italia, Bologna, il Mulino. Mandich, G. [2020], Modes of engagement with the future in everyday life, in «Time & Society», 29, 3, pp. 681-703. Martuccelli, D. [2014], Les sociétés et l’impossible. Les limites imaginaires de la réalité, Paris, Armand Colin. Rampazi, M. [2009], Storie di normale incertezza. Le sfide dell’identità nella società del rischio, Milano, LED. Santambrogio, A. [2021], Il mondo emotivo comune. Un approccio fenomenologico alla sociologia delle emozioni in «SocietàMutamentoPolitica», 12(24), pp. 13-24. Wyn, J., Cahill, H., Woodman, D., Cuervo, H., Leccardi, C. e Chester, J. [2020] (a cura di), Youth and New Adulthood. Generation of Change, Berlin, Springer. Secondo Paper L’utopia anticipata. Il futuro nella temporalità digitale. Sabino Di Chio (Università di Bari Aldo Moro) Come tutte le determinazioni culturali, anche le tecnologie contribuiscono alla produzione delle temporalità. Nel contesto culturale contemporaneo, ritenuto in letteratura prevalentemente presentista (Hartog 2015; Lübbe 2009), all’innovazione tecnologica digitale è riconosciuto il ruolo di laboratorio dell’elaborazione del futuro. Nel quotidiano, l’utilizzo dei dispositivi digitali riduce per gli utenti i costi delle azioni orientate al futuro: programmazione, progettazione, prevenzione, gestione delle emergenze. Nella sfera pubblica, la cultura digitale appare un bacino di pratiche e discorsi che indicano la strada dell’emancipazione collettiva: è un’impronta che accomuna sia il lato strumentale, orientato al decision-making attraverso gli algoritmi, sia quello narrativo, declinato sulla promessa costante di liberazione da vincoli burocratici e cognitivi. Per esplorare l’apparente contraddizione tra enfasi digitale sul futuro e una forma di vita contemporanea segnata da incertezza strutturale e primato del presente, il paper che proponiamo per il VII convegno nazionale SISCC riporta i primi risultati di un’indagine critica della temporalità digitale, svolta attraverso la mappatura dei principali contributi sul tema nel dibattito teorico-sociale contemporaneo. Da un punto di vista tecnico, nel digitale il futuro interessa in quanto oggetto di una predizione. Il cuore dell’innovazione risiede nell’elezione dei dati a nuovo fattore produttivo. Il processo di produzione in serie dei dati, la datificazione, è combustibile di un’operazione di contemplazione del futuro: l’analisi predittiva (Mayer-Schönberger, Cukier 2013). Essa permette di ridurre l’incertezza mettendo al servizio della ponderazione della plausibilità degli scenari una potenza di calcolo delle probabilità inedita. Il rafforzamento dell’analisi predittiva però, è letto come foriero del rischio di una ingegnerizzazione dei comportamenti, ovvero l’adozione di una “economia d’azione” per provocare reazioni emotive, acquisti, spostamenti fisici sempre più prevedibili e quindi commercializzabili (Zuboff 2019). Da un punto di vista retorico, invece, il futuro interessa in quanto oggetto di una promessa perpetua. Nel dibattito, le tech companies si distinguono per l’insistenza su un futuro a breve termine, costantemente in procinto di realizzarsi (Balbi 2022). Gli operatori si propongono come medium in grado di accelerare il corso del tempo per ridurre il gap tra un presente imperfetto e la soluzione imminente. Fuori dalle immediate esigenze del marketing, la riflessione socio-filosofica sul futuro offerta dai think tank allineati alle sensibilità della Silicon Valley si riconoscono in un’ideologia “lungotermista” (Bostrom 2014, MacAskill 2022) in cui l’etica mutua l’approccio quantitativo della datificazione algoritmica per massimizzare decisioni politiche e interventi di beneficenza privata in grado di ridurre il rischio di estinzione della specie umana. Le dottrine lungotermiste hanno il merito di riportare il lungo periodo al centro dell’attenzione ma, risultando basate su una fiducia acritica nelle tecnologie e nelle forme di governance economiche contemporanee, rivelano un presentismo latente che invita ad incidere sulle decisioni politiche individuando nell’attualità una favorevole “plasticità” idonea a trasformazioni radicali. Se si integrano le visuali tecniche e retoriche, emerge un filo rosso che le unisce nella promozione di un futuro messo al servizio delle esigenze immediate del presente. Il futuro della cultura digitale sembra assumere una forma definita, quella della anticipazione (Kitchin 2023): il compito dello sguardo prospettico è reincantare il presente attraverso una speculazione sul futuro (Adams et al. 2009) affinché esso possa essere il prima possibile spendibile nelle forme di soluzione, insight, acquisto, consulenza. Riferimenti bibliografici Adams, V., Murphy, M. and Clarke, A. E. (2009) “Anticipation: Technoscience, life, affect, temporality”. Subjectivity, 28(1): 246–65. Balbi, G. (2022), L’ultima ideologia. Breve storia della rivoluzione digitale, Roma-Bari: Laterza Bostrom, N. (2014) Superintelligence. Paths, Dangers, Strategies, Oxford: Oxford University Press. Hartog, F. (2015) Regimes of Historicity: Presentism and Experiences of Time, New York, NY: Columbia University Press. Kitchin, R. (2023) Digital Timescapes, Cambridge: Polity. Lübbe, H. (2009) ‘The Contraction of the Present’, in H. Rosa and W.E. Scheuerman (eds) High- Speed Society: Social Acceleration, Power, and Modernity, University Park, PA: Penn State University Press, pp 159– 178. MacAskill, W. (2022), What we owe the future, London: Oneworld. Mayer-Schönberger, V. e K. Cukier (2013) Big Data, Milano, Garzanti. Nowotny H. (1993), Tempo privato, Bologna: Il Mulino. Zuboff, S. (2019), Il Capitalismo della Sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Roma: Luiss University Press Terzo paper Un futuro tra impresa e utopia: soggettivazioni di giovani imprenditori. Roberto Serpieri e Sandra Vatrella (Università di Napoli Federico II) Il contributo propone la rielaborazione di alcuni risultati emersi nell’ambito del Progetto di ricerca Prin 2017: “Mapping Youth Futures. Forms of anticipation and youth agency” (Serpieri, Vatrella 2024; Vatrella, Serpieri 2022); progetto con il quale si è inteso analizzare il modo in cui i giovani italiani “project into the future and how this informs young people’s current lives, strategies and multiple transitions” (https://www.mappingyouthfutures.it/). Si tratta di un obiettivo ambizioso perseguito attraverso una strategia investigativa che ha impegnato l’unità di ricerca dell’Università di Napoli Federico II, nella realizzazione di 40 interviste discorsive a giovani imprenditori di età compresa tra i 25 e i 34 anni. A partire da questa cornice, la nostra proposta si focalizza sui processi di soggettivazione (Foucault 2005) dei giovani imprenditori e sul modo in cui questi processi incorporano specifiche visioni del futuro, risultanti dall’intersezione tra le proiezioni implicate nelle soggettivazioni veicolate dal regime di verità neoliberale e quelle ricercate in forma autonoma e consapevole. Queste ultime sono studiate attraverso l’analisi delle tecnologie per la cura del sé (Foucault 1992): quell’insieme di pratiche, cioè, alle quali i giovani ricorrono lungo il percorso che conduce (almeno nelle intenzioni e nelle prefigurazioni individuali) all’acquisizione di uno stato ritenuto auspicabile. Lo studio mostra come i processi di soggettivazione assumano configurazioni ambivalenti fortemente connesse al modo in cui costoro interpretano se stessi in relazione agli spazi sociali di cui hanno fatto esperienza: lo spazio delle origini, ma anche quello della formazione del loro “capitale umano” attraverso l'investimento in competenze e in processi di mobilità territoriale (Foucault 2005). Questa specifica focalizzazione ci consente di “situare” i processi di soggettivazione indagati collocandoli lungo un continuum compreso tra due poli. Il polo dell’esilio costituito da coloro che patiscono la perdita, la mancanza delle radici, in un orizzonte che li costringe ai margini della storia da cui sono ri-mossi e, dunque, in direzione di un futuro di impresa, per lo più solitario; e il polo del pellegrinaggio; di coloro che intraprendono la via del ritorno, che ritornano cioè alla patria perduta, quale meta utopica da ri-creare e ri-trovare dentro se stessi e con gli altri. In conclusione, mentre i processi di costruzione del sé risultano per tutti complessi, ambigui, confusi, in tensione tra istanze confliggenti nella forma e negli esiti, la possibilità o meno di emanciparsi dalle distopie quotidiane, che pure emerge, sembra subordinata alla capacità di rendersi consapevoli della cogenza specifica che il regime di verità neoliberale dispone mediante i riti di passaggio che impone (formazione e mobilità). Al contempo, malgrado i vincoli di s-oggettivazione che in qualche modo esige, il ricorso alle tecniche di cura del sé apre nuovi spazi di riflessività e favorisce la creatività dell’agency orientando il sempre più incerto futuro individuale (cfr. Leccardi 2025) verso l’esplorazione di altre vie e forme della soggettivazione. Entra così in gioco anche una tensione etopoietica (Marzocca 2016) che, se in taluni casi finisce con lo smarrirsi in una resa radicale al nomos neoliberale dell’imprenditore di se stesso, in altri assume consistenza in soggettivazioni “altre”; forme di auto-governo etico situate dentro l’orizzonte utopico di una ecopoiesi comunitaria. Riferimenti bibliografici Foucault M. (1992), Tecnologie del sé, in Martin L.H., Gutman H. and Hut-ton P.H., eds., Tecnologie del sé. Un seminario con Michel Foucault, Bol-lati Boringhieri, Torino. Foucault M. (2005), Nascita della biopolitica: corso al Collège de France (1978-1979), Feltrinelli, Milano. Leccardi C. (2025), Vite aperte al possibile. Un'indagine longitudinale qualitativa sulle realtà giovanili in Italia, il Mulino. Marzocca O. (2016), Foucault ingovernabile. Dal bios all’ethos, Meltemi, Milano. Serpieri, R., & Vatrella, S. (2024). Tecniche del sé e soggettivazione: Confessioni di giovani imprenditori. FrancoAngeli, Roma. Vatrella S. e Serpieri R. (2022), “Le tecnologie del sé per il futuro. Etopoiesi di un giovane imprenditore”, Studi culturali, 19, 2: 233-252. Quarto Paper Violenza di genere e stampa locale: tensioni e intrecci di temporalità nella costruzione dei saperi esperti Arianna Mainardi, Maria Francesca Murru, Alberta Giorgi (Università di Bergamo)
La politica del nominare e contare è stata fondamentale per i movimenti femministi che si mobilitano contro la violenza di genere (D’Ignazio 2024). Sulla scia della tradizione femminista che discute le basi epistemologiche e metodologiche di ciò che è considerato “scientifico”, la comprensione femminista dei dati mostra che il calcolo non è un atto neutrale, al contrario i dati possono essere uno spazio di conflitto e potere (D’Ignazio et al. 2023). La produzione di dati alternativi su molestie e femminicidi, transicidi, lesbicidi, nonché di categorie nuove o perfezionate per la raccolta e l'analisi dei dati è stata di fondamentale importanza per riformulare la questione in gioco e renderla visibile nella sfera pubblica e politica (Walklate and Fitz-Gibbon 2023; Walby 2023). Le sfide a questa forma di produzione di conoscenza incarnata, situata e collettiva hanno riguardato la legittimazione delle competenze e la circolazione dei dati (Cayli Messina 2022). Analizzando la stampa locale, il contributo si propone di esplorare come la conoscenza della violenza di genere si costruisce all’intersezione tra tre dimensioni temporali concorrenti. La prima coincide con la temporalità giornalistica della cronaca intorno alla violenza di genere, in larga parte raccontata attraverso frame “presentisti” ed episodici, che evocano, in un quadro sensazionalistico, un’eccezionalità che pare situata fuori dal tempo (Barnhurst 2011; Franciscato 2005; Zelizer 2021). La seconda riguarda la temporalità messa in gioco dalla riflessione femminista rispetto alla costruzione dei dati, che legge le violenze di genere in una prospettiva di lungo periodo (Weil 2016). La terza dimensione, infine, considera la temporalità delle expertise che trovano spazio nel discorso giornalistico attraverso l’esposizione di saperi a vario titolo “esperti”, come professionisti e società civile (Laursen e Trapp 2019; Mathisen 2021). L’intersezione tra le tre temporalità attiva tensioni tra presente e un immaginario di futuro. Analizzando la discussione sui dati relativi alla violenza di genere nella stampa locale, il documento si propone di esplorare le grammatiche e i frame sull'expertise che circolano nella sfera pubblica, il modo in cui i movimenti sociali li affrontano e le diverse tensioni temporali che mettono in gioco. Riferimenti bibliografici Barnhurst, K (2011) The problem of modern time in American journalism. KronoScope 11(1–2): 98–123. Cayli Messina, B. (2022). Breaking the silence on femicide: How women challenge epistemic injustice and male violence. The British Journal of Sociology, 73(4), 859–884. D’Ignazio, C. (2024) Counting Feminicide: Data Feminism in Action. MIT Press. D’Ignazio, C., Cruxên, I., Suárez Val, H., Martinez Cuba, A., García-Montes, M., Fumega, S., Suresh, H., & So, W. (2022). Feminicide and counterdata production: Activist efforts to monitor and challenge gender-related violence. Patterns (New York, N.Y.), 3(7), 100530. Franciscato, C. (2005) Journalism and change in the experience of time in western societies. Brazilian Journalism Research 1(1): 155–175. Laursen, B., & Trapp, N. L. (2019). Experts or Advocates: Shifting Roles of Central Sources Used by Journalists in News Stories? Journalism Practice, 15(1), 1–18. https://doi.org/10.1080/17512786.2019.1695537 Mathisen, B. R. (2021). Sourcing Practice in Local Media: Diversity and Media Shadows. Journalism Practice, 17(4), 647–663. https://doi.org/10.1080/17512786.2021.1942147 Walby, S. (2023). What is femicide? The United Nations and the measurement of progress in complex epistemic systems. Current Sociology. La Sociologie Contemporaine, 71(1), 10–27. Walklate, S., & Fitz-Gibbon, K. (2023). Re-imagining the measurement of femicide: From ‘thin’ counts to ‘thick’ counts. Current Sociology. La Sociologie Contemporaine, 71(1), 28–42. Weil, S. (2016). Making femicide visible. Current Sociology. La Sociologie Contemporaine, 64(7), 1124–1137. Zelizer, B. (2021). Why journalism’s default neglect of temporality is a problem. Media, Culture & Society, 43(7), 1213-1229. |
17:30 - 19:00 | Sessione 3 - Panel 07: Rappresentazioni e presenze del tempo nelle storie e nelle serie a fumetti Luogo, sala: Aula 7 (A1-G) Chair di sessione: Stefano Cristante |
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Rappresentazioni e presenze del tempo nelle storie e nelle serie a fumetti 1Università del Salento; 2Università di Bologna; 3Università della Calabria; 4Università degli Studi di Milano Bicocca; 5Università del Salento Ci sono molti tempi in azione nel medium fumetto. C’è il tempo rallentato o velocizzato per via del montaggio delle tavole (un po’ come avviene nel cinema e nella letteratura). C’è il tempo diacronico interno a ciascuna storia (un tempo di inizio e di fine, per esempio nei graphic novel), collegato al concetto di fumetto come arte sequenziale. C’è il tempo circolare e apparentemente senza fine delle serie dove i personaggi sono bloccati in una determinata epoca e ad una determinata età anagrafica (per esempio Tex Willer o Diabolik). C’è il tempo dei fumetti che evolvono diacronicamente (quello dove i personaggi invecchiano, come nella strip Gasoline Alley, che esce senza interruzioni dal 1918). E c’è naturalmente il tempo necessario per la produzione dei fumetti, che si presenta storicamente molto differenziato (pensiamo ai tempi lunghi della produzione artigianale e artistica individuale novecentesca, a quelli accelerati delle syndication americane, a quelli spasmodici di certi manga giapponesi e a quelli ibridati con le nuove tecnologie digitali di una crescente produzione contemporanea). Il panel cercherà di sondare questi vari aspetti, comparando i diversi tempi del fumetto tra loro ed esaminando la loro connessione con i tempi “reali” della condizione umana e della vita quotidiana nelle diverse fasi che coprono l’arco di presenza del fumetto nel tempo storico, e prendendo in osservazione tematiche e dinamiche sociali. Il focus sulla problematizzazione dei tempi fumettistici consente di legare tra loro quattro diverse riflessioni. Rispettando un’istanza cronologica, il primo intervento si ripromette di rivisitare l’immersione nel tempo già a partire da alcuni casi di studio risalenti ai fumetti di inizio secolo, periodo la cui temperie culturale deve includere anche le teorie sulla relatività di Einstein, che hanno rivoluzionato la concezione del tempo. Anche i fumetti hanno, a loro modo, creato le proprie dinamiche narrative incrinando il concetto di tempo assoluto e lineare. Sul rapporto tra memoria e narrazione si incentra il secondo intervento, che prende le mosse dall’osservazione che i media sono spesso considerati fonte di indebolimento della memoria storica e del suo significato sociale. Al contrario, invece, esistono storie a fumetti (a volte anche organizzate in serie) che riescono a lavorare sui fatti e sulle situazioni storiche in modo profondo, dando vita a un’esaltazione delle possibilità più nascoste negli accadimenti, e spesso portando il contributo biografico degli autori direttamente nel cuore delle storie. Alla tematica dell’incorporamento nei fumetti è dedicato il terzo intervento, che si propone di analizzare un insieme di prodotti fumettistici che hanno al centro le malattie del comportamento alimentare, mettendo in luce la chance di andare al di là della pura rappresentazione di identità per coinvolgere biografie corporee e storie incorporate. In questo senso l’intervento metterà a confronto narrazioni tipicamente finzionali e narrazioni in cui viene messa al centro anche l’auto-narrazione, per cogliere come si trasforma la percezione temporale del racconto quando entra in scena il corpo nella sua vulnerabilità. Infine, l’ultimo intervento orienta la propria attenzione verso un tempo accelerato presente nelle lavorazioni dell’industria del manga e delle anime giapponesi. I tempi stressanti e a volte disumani della produzione sono messi a confronto con un modo di raccontare disegnato che fa della dilatazione e della sospensione del tempo un proprio marchio distintivo, generando paradossi nel rapporto tra team autoriali e loro narrazioni. Riferimenti bibliografici essenziali Barbieri D. (1991), I linguaggi del fumetto, Bompiani, Milano. Brancato S., Cristante S., Ilardi E. (2024), Storia e teoria della serialità, Vol. II, Meltemi, Milano. Bindi V., Raffaelli L. (2021), Che cos’è un fumetto, Carocci, Firenze. Gubern R. (1974), El lenguaje de los comics, Peninsula, Bercelona. Miller F., Eisner Will (2005), Conversazione sul fumetto, Kappa Edizioni, Bologna. Pintor I. (2020), Figure del fumetto. Forma, tempo e narrazione sequenziale, Alessandro Polidoro Editore, Napoli. Primo contributo: Lo spazio-tempo nei fumetti tra gioco e sogno, istanze moderniste e postmoderne Mattia Arioli (mattia.arioli2@unibo.it) Mentre Einstein discuteva la propria teoria della relatività, attraverso l’elaborazione di due concetti chiave — la relatività ristretta (1905) e la relatività generale (1925) — andando a mettere in discussione la fisica newtoniana dell’epoca e, in particolare, la concezione del tempo come assoluto, i fumetti di inizio secolo erano anch’essi impegnati, a modo loro, nell’esplorazione delle implicazioni di questa nuovo modo di concepire la temporalità (Gardner, 2015). Infatti, quest’ultima non era più rappresentata attraverso forme lineari, che raffiguravano un asse in cui il presente si allontana sempre più dal passato per proiettarsi verso un futuro immaginato e ancora da costruire. Pertanto, seguendo un’estetica modernista, alcuni dei primi autori di fumetti, tra cui Winsor McCay e Gustave Verbeek, posero al centro delle proprie investigazioni artistiche proprio il concetto di “tempo”. Di fatto, questi fumetti esploravano le possibilità offerte dal medium di rappresentare ed indagare la sincronicità, anche attraverso soluzioni avanguardistiche, capaci di raffigurare in modo provocatorio singole unità giornaliere, compressioni ed estensioni del tempo narrativo, cambiamenti negli schemi temporali all’interno del testo, oltre alle dimensioni soggettive, oniriche e persino ludiche dello spazio-tempo. A tale proposito è interessante notare come nel linguaggio del fumetto spazio e tempo tendano a coincidere, spesso attraverso convenzioni derivanti dai primi esperimenti di fine Ottocento sulla fotografia, che mettevano in sequenza immagini statiche per creare l’illusione dello scorrere del tempo. Come osservato da McCloud (1993: 97), “Portraying time on a line moving left to right this puts all the images on the same vertical axis. And tangles up time beyond all”. Eppure, questi fumetti “modernisti” si ripropongono di superare tale visione lineare attraverso le opportunità offerte dalla composizione delle vignette sulla pagina e la lettura “rizomatica” e “panottica” del lettore (Sousanis, 2015). Pertanto, il tempo non è più concepito soltanto come seriale, ma anche come simultaneo. Nei fumetti di McCay si osserva la compresenza di due tempi narrativi, quello della cornice, in cui il protagonista si addormenta, e quello della storia principale, il sogno. Tale soluzione può essere vista come un tentativo simbolico di resistenza all’uniformità degli orologi e alla standardizzazione del tempo (produttivo) che regola la vita degli individui, recuperando di fatto una dimensione personale. Nei fumetti di Gustave Verbeek le sperimentazioni relative allo spazio-tempo assumono connotazioni ludiche-interattive, in quanto il lettore può accedere alla storia completa ruotando di 180 gradi il fumetto. Infine, è interessante notare come alcune di queste sperimentazioni artistiche sulle implicazioni dello spazio-tempo siano al centro di fumetti contemporanei e post-moderni, tra cui Meanwhile (2010) di Shiga e Here (2014) di McGuire. Bibliografia essenziale Gardner, Jared (2015). “Time Under Siege”. In Daniel Worden The Comics of Joe Sacco: Journalism in a Visual World. Jackson: University Press of Mississippi. pp. 21-38 McCay, Winsor (1904-1925). Dream of the Rarebit Fiend. New York: New York Herald. McCay, Winsor (1905-1927). Little Nemo in Slumberland. New York: New York Herald McCloud, Scott (1993). Understanding Comics. The Invisible Art. New York: Harper Collins. McGuire, Richard (2014). Here. New York: Pantheon. Shiga, Jason (2010). Meanwhile. New York: Abrams Sousanis, Nick (2015). Unflattening. Cambridge, Massachusetts: Harvard University Press. Verbeek, Gustave (1902-1905). The Upside Downs of Little Lady Lovekins and Old Man Muffaroo. Chicago: Sunday Record-Herald Secondo contributo: Il fumetto, il tempo e la memoria storica. Una pluri-accentuazione della Storia in chiave biografica Olimpia Affuso (olimpia.affuso@unical.it) Al crocevia tra sociologia della comunicazione e sociologia della memoria, un elemento rilevante per la riflessione contemporanea emerge dalla questione del controverso rapporto tra senso storico, memoria storica e mezzi di comunicazione. Da più parti si imputa ai media la “responsabilità” di indebolire il senso storico e la memoria storica. Il che non è del tutto fuori luogo, se si considera che nella ridondanza mediale, la distinzione tra i fatti e il loro significato storico perde di rilevanza. Come sottolinea Zerubavel, il senso storico ha invece bisogno di distinguere i periodi, segnare differenze, marcare il punto zero a partire dal quale una certa comunità mnestica si forma. Ma è proprio sempre vero che i media indeboliscano il senso storico? Avviene con ogni medium, o vi sono differenze tra generi e linguaggi? La media logic incide sulla logica del ricordo? In linea di massima, si può dire che i media abbiano un ragguardevole impatto sulle memorie storiche, in parte indebolendole - per la logica di flusso - nella loro significatività “qualitativa”, ma in parte anche rafforzandole, attraverso la narrazione evenemenziale, o fornendo materiali conoscitivi. Dunque, si può assumere che tale impatto sia variabile e connesso alle modalità espressive dei diversi media, così come alle pratiche fruitive. In tale direzione, qui si intende proporre una riflessione sulla specificità del contributo del fumetto al senso storico del tempo. Al cuore del discorso si porranno in evidenza almeno quattro aspetti dirimenti. Il primo riguarda le tecniche narrative ed espressive impiegate dal fumetto e il loro specifico effetto mnestico: il fumetto è un’arte sequenziale, e costruisce il tempo mettendo in sequenza eventi separati (Eisner, 2010). Il secondo elemento riguarda un aspetto più generale, per cui da un lato la memoria riesce ad assumere la forma, il senso, il pathos, delle narrazioni in cui i fatti transitano, in quanto vi si radica fortemente; dall’alto lato esiste come un codice espressivo della memoria, che è socialmente legittimato (un paradigma ne è il museo) e che come tale pone un problema di egemonia del codice stesso. Oggi il codice dominante sembra quello dell’immagine fotografica, con la sua malintesa pretesa di verità storica. E il fumetto può dare un contributo specifico alla coscienza storica, perché configura un design di memoria alternativo, in cui la “trasfigurazione” del reale aiuta a vederne certi aspetti come tutt’altro che naturali. Il terzo aspetto riguarda la storia che il fumetto racconta, tanto con la sua stessa storia (Brancato, 2017), come prodotto della società di massa, quanto come medium di confine, in cui si collegano linguaggi diversi, dove si gioca anche un’importante pratica di ri-accentuazione continua di materiali simbolici. Per cui, mentre documenta la storia per frammenti, anche in serie, recuperandone il senso temporale, il fumetto “lavora” sul passato, come fosse creta, lo risignifica, offrendo input per nuove visioni. Ultimo punto, il fumetto si è sviluppato non solo come prodotto dell’industria culturale, ma anche come strumento di introspezione soggettiva di artisti che hanno consegnato ai lettori un patrimonio di memorie biografiche situate, a loro volta intessute di una temporalità peculiare. Per molti autori il fumetto è stato lo spazio di un tempo biografico: quel tempo soggettivo capace di appropriarsi della Storia mentre la si stava vivendo (cfr. Jedlowski, 2025). A partire da tali aspetti, nel contributo ci si soffermerà su alcuni esempi, come “Maus” di Spiegelmann, o come la serie di “Dylan Dog” della Bonelli, o come alcune tavole di Pazienza, o ancora il graphic novel autobiografico di Judd Winick, “Pedro and me”, che mostrano come la cifra del fumetto sia offrire alla coscienza e alla conoscenza storica disegni di realtà: tavole in cui i fatti prendono la forma del tratto (tondo, sfumato, spigoloso) e, nella loro trasfigurazione, si prestano alla possibilità di essere “sentiti” quasi a livello corporale, come con il tatto. Riferimenti bibliografici Brancato S. (2017), Il segno dei tempi. Fumetto come fonte di storia, fumetto come narrazione della storia, in Mediascapes journal, 8/2017. Eisner W. (2010), L’arte del fumetto. Regole tecniche e segreti dei grandi disegnatori, Milano, BUR. Jedlowski P. (2025), Il tempo intimo della biografia, Meltemi, 2025. Tota A.L. (2007), Memoria, patrimonio culturale e discorso pubblico, in Elena Agazzi e Vita Fortunati (a cura di), Memoria e saperi. Percorsi transdisciplinari, Roma, Meltemi. Zerubavel E. (2005), Mappe del tempo. Memoria collettiva e costruzione sociale del tempo, Bologna, il Mulino. Terzo contributo: Processi di incorporamento e struttura temporale dei fumetti: le malattie del comportamento alimentare come caso studio Terzo contributo: Barbara Grüning (barbara.gruning@unimib.it) Abstract: Il paper esplora la relazione tra tempo e fumetti a partire da quella che si ritiene essere una loro specificità, la capacità, cioè, di rendere visibili i processi di incorporamento e dare con ciò concretezza alla trama emozionale delle loro storie. Se tale capacità dipende dalle affordance del medium, ossia dalle sue possibilità e dai suoi vincoli espressivi, ciò riguarda non solo come il doppio codice visuale e testuale del fumetto è combinato nelle singole vignette e poi articolato nella loro successione grafica, ma anche la pratica stessa del fare fumetti, in quanto sforzo fisico e mentale, che presuppone un continuo confronto con la materialità degli strumenti adoperati (dalla carta, alla matita, alla china, ecc.) e della realtà osservata o immaginata che si “riporta” poi sulla pagina (cfr. Chute, 2010; El Refraie, 2012; Grant, 2019; Mitchell, 2010). In tal senso, focalizzare sui processi di incorporamento nei fumetti offre un accesso singolare alle narrazioni del sé meno in termini di, rappresentazioni di identità (Foucault, 1980; cfr. Hall, 1997), quanto di biografie corporee (Gugutzer, 2002) e storie incorporate (Bourdieu, 1979). Se nella prima accezione l’attenzione è essenzialmente rivolta a decostruire come i soggetti figurati sono oggettivati secondo alcune loro variabili essenziali e identificabili attraverso il corpo (genderizzato, sessuato, etnicizzato, disabile ecc.), le altre due accezioni, una più fenomenologica, l’altra più struttural costruttivista, condividono l’idea che il sé è incarnato e si trasforma nel corso del tempo vissuto e e/o narrato. La comprensione bourdieusiana di storia incorporata (e dei processi di incorporamento) aggiunge però a questo nucleo comune l’idea che il sé nel fare ed incorporare esperienza struttura un habitus che si manifesta in una hexis, riflettendo con ciò uno specifico rapporto tra l’individuo e gli spazi sociali cui esso appartiene, sia in chiave relazionale che temporale. In sintesi, prestare attenzione ai processi di incorporamento consente di individuare analiticamente alcune dimensioni del tempo nei fumetti, spesso poco considerati, e di arricchire allo stesso tempo l’eventuale analisi del fenomeno narrato. Come principali dimensioni è possibile indicare: - il rapporto tra la sfera sensibile dei personaggi (interiorità) e le loro azioni (esteriorità), e, dunque tra tempo soggettivo e tempi sociali, così come scanditi dalla spazializzazione della narrazione a fumetto, tanto nelle vignette quanto attraverso la gabbia (layout) e la struttura grafica dell’intera storia (cfr. Mikkonen, 2017); - il ruolo delle interazioni simboliche e corporee nel costruire il ritmo della storia attraverso la successione delle vignette; - la costruzione di una identità narrativa (cfr. Somers, 1994) che, se scandita secondo la struttura temporale astratta della trama, assume significati specifici e concreti a seconda di come questa è visualizzata graficamente e, dunque, di come graficamente si trasforma secondo la stessa struttura temporale della storia. Per meglio illustrare le interrelazioni tra tali dimensioni si guarderà ai fumetti che hanno ad oggetto le malattie del comportamento alimentare, dove i corpi narrati sono innanzitutto corpi vulnerabili (cfr. Szep, 2020), sebbene non sempre questa vulnerabilità emerga. A tale riguardo, si proporrà un confronto tra narrazioni finzionali e auto-finzionali (Caillou 2010; Davis e Kettner, 2017; Debeurme, 2007; Fairfield, 2009, Gold, 2022; Green, 2013; Heimgartner e Schneider, 2006; Hofer, 2018; Krans, 2020; Sabish, 2011; Shivak 2007; Valentini, 2017; Ying, 2023; Zuzu, 2019), concentrandosi in particolare su: la struttura temporale e il ritmo della storia; la percezione ed esperienza temporale dei protagonisti come si manifesta attraverso i loro pensieri, i loro dialoghi e le loro pratiche (e routine); la rappresentazione dei corpi sia sul piano mimetico – la trasformazione fisica del corpo nel suo divenire “anoressico” o “bulimico” –che metaforico-visuale (cfr. El Refaie, 2019) – rispetto cioè a come il corpo è sentito e visto dal soggetto sofferente nel corso della storia. L’obiettivo del confronto è duplice: da un lato, si vuole mettere in luce come la differente attualizzazione dei processi di incorporamento nei due tipi di narrazioni grafiche incida sulla comprensione del fenomeno delle malattie del comportamento alimentare; dall’altro, traslando lo sguardo da quello del fumettista a quello del sociologo, si vuole aprire uno spazio di riflessione, più generale, su come il proprio posizionamento incida sulla individuazione, significazione e comunicazione di fenomeni di rilevanza sociale. Riferimenti bibliografici BOURDIEU P. (1979), La distinction, Edition de Minuit, Paris. CHUTE H. (2010), Graphic Women: Life Narrative and Contemporary Comics, Columbia University Press, New York. EL REFAIE E. (2012), Autobiographical Comics. Life writing in pictures, University Press of Mississippi, Jackson. EL REFAIE E. (2019), Visual metaphor and embodiment in graphic illness narratives, Oxford University Press, New York. FOUCAULT, M. (1980), Power/Knowledge, Brighton, Harvester. GRANT P. (2019), The Board and the Body: Material Constraints and Style in Graphic Narrative, in “The Comics Grid: Journal of Comics Scholarship”, 9, 1, pp. 1–18. GUGUTZER R. (2002), Leib, Körper, Identität, Westdeutscher Verlag, Wiesbaden. HALL S. (1997), The work of representation, in Id. (ed.) Representation. Cultural representations and signifying practices, Walton Hall, The open university, pp. 13-74. MIKKONEN K. (2017). The narratology of comic art, Routledge, New York and London. SOMERS M. (1994), The Narrative Constitution of Identity: A Relational and Network Approach, in “Theory and Society”, 23, pp. 605-49. SZEP E. (2020), Comics and the body. Drawing, reading and vulnerability, The Ohio State University Press, Columbus. Graphic novel CAILLOU H. M. (2010), La chair de l’Airaigné. Éditions Glénat. DAVIS L. J., KETTNER, J. (2017), Ink in Water: An Illustrated Memoir: Or, How I Kicked Anorexia’s Ass and Embraced Body Positivity! New Harbinger Publications, Inc., 2017. DEBEURME, L. (2006). Lucille. Futuropolis. FAIRFIELD, L. (2009). Tyranny. Tundra Books. GOLD H. (2022), Nervosa, Street Noise Books. GREEN K. (2013). Lighter than My Shadow. Random House. HEIMGARTNER S., SCHNEIDER, K. (2006). Durch Dick und Dünn. Schulverlag. HOFER R. (2018). Blad. Luftschacht. KRANS K. (2020), Blossoms and Bones: Drawing a Life Back Together, HarperOne SABISCH I. (2011). 41,3 kg Magersucht? Gütersloher Verlagshaus. SHIVAK N. (2007). Inside Out: Portrait of An Eating Disorder. Atheneum. VALENTINI F. (2017). Il vuoto intorno a Sandra. Shockdom. YIN V. (2023), Hungry Ghost, Hachette Romans. ZEROCALCARE (2011), La profezia dell’armadillo, Bao. ZUZU (2019), Cheese, Coconino Press. Quarto contributo: Le forme del tempo nel manga: narrazione e produzione di una cultura del tempo Ilenia Colonna(ilenia.colonna@unisalento.it Lo scorrere del tempo, insieme all’armonia tra uomo e natura, è uno degli elementi alla base della cultura e dello stile giapponese. Questa centralità si riflette anche nei manga, produzioni in cui il tempo si configura come una dimensione poliedrica che intreccia la struttura narrativa, le logiche produttive e il contesto culturale in cui l’industria si sviluppa. Se da un lato la gestione del tempo narrativo assume una funzione determinante nel plasmare l’esperienza del lettore – il manga è strutturato per una lettura molto rapida e, allo stesso tempo, per estendere il più possibile la narrazione in vista di una lunga serialità – dall’altro lato i ritmi produttivi imposti ai mangaka riflettono valori profondamente radicati nella cultura giapponese. Dal punto di vista narrativo, il manga si distingue per una gestione sofisticata del tempo. Non sempre le vignette che compongono una tavola indicano un passaggio temporale. In molti casi rappresentano frammenti di uno stesso momento, attraverso una moltiplicazione di dettagli, punti di vista diversi di una stessa scena, senza indicazione di una successione temporale tra le vignette. Si pensi, ad esempio, alle serie incentrate sul calcio, in cui il tempo che intercorre fra il momento in cui il personaggio effettua il tiro e quello in cui il pallone entra in rete viene dilatato su più pagine, mostrando – tra le vignette dei due momenti – la palla, la rete verso la quale essa si dirige, i volti degli spettatori, gli occhi del calciatore che ha effettuato il tiro, quelli del portiere avversario. Come fattore narrativo, il tempo è quindi sospeso e il lettore raccoglie frammenti sparsi di una scena che percepisce come simultanei. Sono tecniche che creano un effetto di sospensione poetica, restituendo centralità soprattutto al personaggio, alle sue espressioni facciali, ai suoi movimenti, ai suoi pensieri, svalutando il contesto. Parallelamente, queste tecniche – insieme ad altre pratiche narrative – permettono a editori e disegnatori di produrre una grande quantità di tavole in un flusso continuo. Da questa prospettiva, il tempo si impone come fattore determinante nell’industria del manga. La produzione segue ritmi serrati, con mangaka costretti a rispettare scadenze settimanali o mensili, spesso a discapito del proprio benessere fisico e mentale, fino anche alla morte per eccesso di lavoro. Questo modello lavorativo è il riflesso di una cultura del lavoro che premia la dedizione assoluta e il sacrificio personale, condizionando anche il rapporto tra produzione e consumo, dove il pubblico stesso è abituato a un ciclo costante di uscite serializzate, alimentando una domanda sempre crescente. La tensione tra tempo creativo e tempo industriale si riflette anche nella produzione degli anime – che spesso dipendono dai ritmi dei manga originali – la cui fruizione, insieme a quella dei manga, ha subito un’accelerazione negli ultimi anni, in particolare a causa della diffusione dello streaming, modificando la temporalità del consumo e ridefinendo il rapporto tra lettori, spettatori e industria. Il presente intervento si propone di esplorare le molteplici declinazioni del tempo nel manga, considerando il tempo non solo un elemento di costruzione narrativa, ma una chiave di lettura per comprendere i meccanismi produttivi e le dinamiche culturali che regolano l’industria giapponese. Riferimenti bibliografici essenziali Johnson-Woods T., 2010, Manga. An anthology of Global and Cultural Perspective, Continuum International Publishing Group, London Pellitteri M., 2022, I manga. Introduzione al fumetto giapponese, Carocci, Roma. Famularo M., 2023, Destinazione manga, Il Mulino, Milano-Bologna. |
17:30 - 19:00 | Sessione 3 - Panel 08: Organizzazione del tempo e pratiche di consumo nell’epoca dell’accelerazione sociale. Criticità e possibili traiettorie di trasformazione Luogo, sala: Aula 11 (A0-B) Chair di sessione: Roberta Paltrinieri Chair di sessione: Francesca Setiffi |
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Organizzazione del tempo e pratiche di consumo nell’epoca dell’accelerazione sociale. Criticità e possibili traiettorie di trasformazione. 1Università di Bologna; 2Università di Padova; 3Università di Bologna; 4Università Mercatorum; 5Università IULM; 6Sapienza Università di Roma; 7Università di Trento; 8Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo Panel precostituito Organizzazione del tempo e pratiche di consumo nell’epoca dell’accelerazione sociale. Criticità e possibili traiettorie di trasformazione. Nota introduttiva La logica dell’accelerazione sociale pervade vita e strutture temporali della società moderna (Rosa 2015). Le tecnologie di produzione e comunicazione hanno spinto gli individui ad adottare delle logiche di governo della propria vita basate su “efficienza” e “risparmio del tempo” e la già nota fusione tra pratiche di lavoro e consumo espone gli individui a nuove forme di alienazione sociale. Tentativi di reazione sociale contrari all’imperativo della performance sono ormai visibili e riguardano la messa in discussione di stili di vita (e di lavoro) opprimenti anziché espressivi delle necessità individuali, come ben riassunto in ambito lavorativo dal fenomeno delle “grandi dimissioni” (Coin 2023). Globalizzazione, digitalizzazione e insostenibilità ambientale e sociale, associati alle crescenti disuguaglianze, rendono l’epoca contemporanea critica sotto vari aspetti. La logica del consumo produttivo è entrata in crisi perché spesso è dominata dall’imperativo della performance, nonostante inizino a diffondersi pratiche alternative e sostenibili, rese possibili anche dall’accesso alle piattaforme digitali. Ponendo l’enfasi su note dicotomie quali fast/slow, convenience/care, cultura materiale/ambienti digitali, i contributi del panel esplorano possibilità di sintesi proponendo un superamento di posizioni opposte. Partendo da contesti e oggetti di studio diversi – le piattaforme, il cibo e gli oggetti di consumo – il panel Organizzazione del tempo e pratiche di consumo nell’epoca dell’accelerazione sociale. Criticità e possibili traiettorie di trasformazione riesce a cogliere le varie sfaccettature delle strutture temporali contemporanee che collegano, per richiamare ancora Rosa (2015), il microcosmo individuale al macrocosmo sociale. Oltre a rimettere in discussione categorie sociali note nella letteratura accademica, gli abstract proposti nel panel si interrogano sulle conseguenze sociali riconducibili alle pratiche di consumo digitale, ai sistemi alimentari (produzione, distribuzione e consumo), alle pratiche di costruzione del gusto alimentare e alla funzione della cultura materiale nella definizione delle memorie di famiglia. Proprio come forma di contrapposizione alla logica dominante della performance, le pratiche di consumo sostenibili possono trovare spazio in ambito digitale. Sono sempre più presenti nel dibattito pubblico critiche serrate alla società dei consumi, così come si è evoluta in Italia dal periodo del boom economico fino ad oggi. Meno chiare sembrano invece essere le soluzioni per ripensare ambiguità e opportunità insite in un progressivo allargamento del benessere materiale, che ha posto la “crescita” come unico obiettivo economico e sociale da perseguire. Si rinnova oggi la necessità di riflettere su pratiche innovative di consumo nate in risposta a un contesto economico e sociale contemporaneo che potrebbe essere foriero di una svolta culturale della società dei consumi nella quale benessere e felicità siano (anche) sinonimo di fiducia, sostenibilità e giustizia sociale (Paltrinieri 2021). Nei prossimi anni, la crisi climatica e l’incessante innovazione tecnologica potrebbero provocare delle ripercussioni maggiormente evidenti su stile di vita e pratiche di consumo con potenziale capacità di adattamento delle classi sociali ampiamente diversificato. Riprendendo Paltrinieri (2021), ripensare la società dei consumi significa incorporare considerazioni di tipo politico in aspirazioni di benessere e felicità individuale. Nella logica performativa e dell’accelerazione sociale, come si sta riconfigurando la cultura del consumo? Il panel discute orientamenti attuali e possibili conseguenze sociali nella vita quotidiana considerando le dimensioni temporali del vivere moderno (stream III). Riferimenti bibliografici Coin F. (2023). Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita. Einaudi, Torino. Rosa H. (2015). Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità. Einaudi, Torino. Paltrinieri R. (2021). Felicità responsabile. Il consumo oltre la società dei consumi. FrancoAngeli, Milano. Il Paradosso del Working Consumer, ritardo culturale e distruzione creatrice nella società accelerata delle piattaforme Piergiorgio Degli Esposti, Università di Bologna Abstract L’accelerazione dei ritmi di vita, tratto distintivo della modernità avanzata, ha determinato una trasformazione del consumo, rendendolo un processo sempre più rapido, automatizzato ed efficiente, e ridefinendo, di conseguenza, la relazione tra produzione e fruizione. Muovendo dal modello della McDonaldizzazione teorizzato da George Ritzer (2010) - fondato sui principi di efficienza, calcolabilità e prevedibilità applicati al consumo di massa - si assiste oggi a una sua ulteriore radicalizzazione all’interno della platform society (Srnicek, 2016). In tale contesto, il consumatore assume anche il ruolo di lavoratore (working consumer), contribuendo inconsapevolmente alla generazione di valore attraverso la propria attività online, la produzione di contenuti e la fornitura di dati. Riferimenti bibliografici Ogburn, W. F. (1922). Social Change with Respect to Culture and Original Nature. Viking Press. Trame di famiglia: il ruolo delle pratiche di consumo nel kinkeeping Stefania Fragapane (Università Mercatorum) Abstract In un’epoca caratterizzata da rapidi cambiamenti sociali, mobilità geografica e mutamenti nei modelli familiari, la figura del kinkeeper, definito da Hornstra e Ivanova (2023, p. 367) come “a person who takes on the task of connecting family members, managing rela2onships on behalf of the familial household, and facilitating ties that have become disrupted”, assume una particolare rilevanza come mediatore che non solo facilita la comunicazione tra i membri della famiglia e mantiene vive la memoria e le tradizioni, ma svolge anche un ruolo cruciale nel garantire la solidarietà e il supporto reciproco. In tale prospettiva, i kinkeepers contribuiscono a rinsaldare il legame tra le diverse generazioni, facilitando la condivisione di conoscenze, tradizioni e valori culturali che altrimenti, in un contesto in cui le famiglie sono sempre più nucleari e geograficamente disperse, potrebbero andare persi. La letteratura (Barnwell, 2022; Leopold et al., 2024) mette in evidenza come, tradizionalmente, siano le donne le principali custodi dei legami del gruppo, fonte di conoscenza sulle storie e le memorie familiari, ma anche figure centrali nell’organizzazione di incontri e riunioni che coinvolgono la famiglia estesa. Ricerche recenti (Leopold et al., 2024) hanno confermato che, ampliando l’analisi delle relazioni familiari oltre il legame tra genitori e figli, emergono significative differenze in base alle linee di parentela: i parenti materni hanno, in media, maggiori probabilità di essere parte di reti familiari significative rispetto a quelli paterni. Un aspetto sorprendentemente poco indagato in letteratura è il ruolo ricoperto dalle pratiche e dai prodotti di consumo nelle dinamiche del kinkeeping, una lacuna che non permette di comprendere a fondo come le esperienze condivise, i rituali, ma anche gli oggetti di consumo possano giocare un ruolo rilevante nel rafforzare la memoria (Hoskins, 1998) e la coesione familiare, ad esempio facilitando la trasmissione della storia della famiglia tra le generazioni (Troll, 1994), o rafforzando i legami affettivi tra i suoi membri. In tale prospettiva, il contributo proposto presenta i dati preliminari di una ricerca qualitativa volta a comprendere il ruolo degli oggetti e delle pratiche di consumo nel supportare l’attività di kinkeeping, così da identificare le prassi più significative e diffuse. Il progetto si propone, inoltre, di analizzare come tali esperienze contribuiscano alla costruzione e al mantenimento dell’identità familiare, dei legami intergenerazionali e della memoria condivisa. Da un punto di vista metodologico, i ricercatori hanno previsto di utilizzare lo strumento dell’intervista semistrutturata da somministrare a un campione composto da 30 diadi familiari (ciascuna comprendente un/una giovane tra i 18 e i 24 anni e un soggetto da lui/lei indicato come kinkeeper familiare). Per garantire una rappresentazione più diversificata sotto il profilo culturale e sociale, si è deciso di distribuire gli intervistati/e fra tre aree geografiche (Nord, Centro e Sud Italia), anche con l’obiettivo di comprendere se i diversi contesti possano influenzare le attività di kinkeeping e il ruolo specifico ricoperto dagli oggetti di consumo nell’ambito di tali dinamiche. Riferimenti bibliografici Barnwell, A. (2022). “Aunting as family shadow-work”, Journal of Family History, 47(3), pp.317-33. Hornstra, M. and Ivanova, K. (2023), “Kinkeeping across families: The central role of mothers and stepmothers in the facilitation of adult intergenerational ties”, Sex Roles, 88(7), pp.367-382. Hoskins, J. (1998), Biographical Objects: How Things Tell the Stories of People's Lives. Routledge. Leopold, T., Raab, M., Becker, C.C., Buyukkececi, Z. and Çineli, B. (2024). Mapping modern kinship networks: First results from the KINMATRIX survey. Journal of Marriage and Family, DOI: 10.1111/jomf.13049. Troll, L. E. (1994). "Family Issues in Intergenerational Linking." Generations, 18(4), 48-52 Dal campo allo schermo: apprendimento e attivismo alimentare nell'era digitale Francesca Forno, Università di Trento Abstract Negli ultimi anni, il dibattito sulle Reti Alimentari Alternative (AFNs) ha visto una crescente attenzione verso l’innovazione digitale come strumento per promuovere pratiche alimentari più sostenibili (Bos & Owen, 2016; Cuy, 2014; Schneider, 2019). Se inizialmente la ricerca si è focalizzata sulle opportunità offerte dalle nuove tecnologie ai piccoli produttori, studi recenti hanno esplorato il potenziale delle piattaforme digitali non solo come alternativa ai canali di distribuzione dominati dalle filiere globali, ma anche come spazio di coinvolgimento civico e attivismo alimentare (De Bernardi, 2019; Dal Gobbo et al. 2022). Tuttavia, resta ancora da comprendere in che misura queste innovazioni possano effettivamente contribuire alla transizione verso sistemi alimentari più sostenibili e resilienti. Questo contributo si inserisce in questo dibattito, approfondendo il ruolo della digitalizzazione nei processi di apprendimento e partecipazione all’interno delle AFNs. Basandosi su 83 interviste in profondità condotte in Irlanda, Germania e Italia, lo studio confronta le dinamiche di apprendimento e coinvolgimento nei diversi contesti fisici e digitali delle AFNs, con particolare attenzione al principio del “learning by doing”. Le evidenze mostrano che le AFNs non si limitano a fornire canali alternativi di approvvigionamento, ma creano anche spazi di socializzazione e apprendimento collettivo, in cui i consumatori sviluppano una maggiore consapevolezza critica sugli impatti ambientali e sociali delle loro scelte alimentari (Brunori et al., 2012; Etmanski, 2017; Savarese, et al. 2020). Attraverso questa analisi, il contributo esplora come le piattaforme digitali trasformano l’impegno dei consumatori, ridefinendo i meccanismi di apprendimento e coinvolgimento nelle pratiche alimentari alternative. In un contesto segnato dalle crisi climatiche, sanitarie ed economiche, comprendere le potenzialità e i limiti della digitalizzazione nelle AFNs è cruciale per valutare il loro ruolo nella costruzione di modelli di consumo più sostenibili e inclusivi. Riferimenti bibliografici Brunori, G., Rossi, A., & Guidi, F. (2012) On the New Social Relations around and beyond Food. Analysing Consumers Role and Action in Gruppi di Acquisto Solidale (Solidarity Purchasing Groups), Sociologia Ruralis, 52(1), pp. 1–30. doi: 10.1111/j.1467-9523.2011.00552.x. Bos, E., & Owen, L., (2016). Virtual reconnection: the online spaces of alternative food networks in England. J. Rural Stud. 45, 1–14. https://doi.org/10.1016/j.jrurstud.2016.02.016 Cui, Y. (2014). Examining farmers markets’ usage of social media: an investigation of a farmers market Facebook page. Journal of Agriculture, Food Systems, and Community Development 5, 87–103. https://doi.org/10.5304/jafscd.2014.051.008 Dal Gobbo, A., Forno, F., Magnani, N., (2022). Making “good food” more practicable? The reconfiguration of alternative food provisioning in the online world. Sustain. Prod. Consum. 29, 862–871. https://doi.org/10.1016/j.spc.2021.07.023 De Bernardi, P., Bertello, A. and Venuti, F. (2019) Online and on-site interactions within alternative food networks: Sustainability impact of knowledge-sharing practices, Sustainability (Switzerland), 11(5), p. 1457. doi: 10.3390/su11051457. Etmanski, C., & Kajzer Mitchell, I. (2017). Adult learning in alternative food networks. New Directions for Adult and Continuing Education, 2017(153), 41–52. https://doi.org/10.1002/ace.20220 Savarese, M., Chamberlain, K. and Graffgna, G. (2020) Co-creating value in sustainable and alternative food networks: The case of community supported agriculture in New Zealand, Sustainability (Switzerland), 12(3). doi: 10.3390/su12031252. Schneider, T., Eli, K., Dolan, C. & Ulijaszek, S. (eds.) (2019). Digital Food.
La temporalità come antinomia del gusto nei consumi alimentari. Evoluzione fatalistica dei dilemmi gustativi e polarizzazione delle scelte nei foodscape del rischio alimentare totale Maria Giovanna Onorati, Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo Abstract Nell’ambito dei consumi alimentari, la temporalità rappresenta una dimensione cruciale che modella le abitudini di consumo e orienta gli stili dietetici e le preferenze, sia sotto il profilo pratico che valoriale. Essa si manifesta nel dilemma che Warde (1997) ha annoverato tra le antinomie fondamentali del gusto, ovvero care/convenience, traducibile, seppur in modo imperfetto, come “cura” e “praticità”. Nel processo di modernizzazione dei sistemi alimentari, il modello della “cura”, fondato sull’attenzione ai dettagli e sulla dedizione alla qualità, e il relativo investimento di tempo, ha progressivamente ceduto il passo al paradigma della “praticità”. Quest’ultimo, privilegiando facilità, accessibilità ed efficienza, ha favorito la diffusione di stili alimentari allineati al modello della McDonaldizzazione (Ritzer, 1993), basato su standardizzazione, calcolabilità e scalabilità, contribuendo all’accelerazione della globalizzazione delle filiere alimentari, con tutte le implicazioni e i rischi conseguenti. Sebbene il polo della “convenience” non abbia mai goduto della stessa fiducia quasi-meccanica accordata alla “cura”, è quello che nel tempo si è affermato, permettendo ai foodscapes della tardo-modernità di de-tradizionalizzarsi e assumere una connotazione neofilica, orientata all’esplorazione gastronomica e a stili di consumo caratterizzati da una crescente individualizzazione del gusto, progressivamente tradottasi in una forte diversificazione degli stili dietetici.La digitalizzazione delle culture alimentari (Lupton – Feldmann, 2018), in particolare quella delle comunità digitali diet/etiche, ha accentuato questo processo attraverso un’inedita combinazione di frammentarietà temporale e informazionale, immediatezza e, al contempo, una straordinaria capacità di incorporare nel tempo dell’esperienza individuale una riflessività del tempo glaciale (Lash – Urry, 2002), alimentando una crescente domanda di cibo sostenibile. Questo fenomeno ha contribuito alla nascita di quella che, in linea con Beck (2000), può essere definita una riflessività gastronomica del rischio globale, che, a partire dal 2020, si è trasformata in riflessività gastronomica del rischio totale. Le etiche del cibo hanno dunque progressivamente abbandonato gli scenari anomici ad alto rischio, orientandosi verso contesti caratterizzati da elevata regolamentazione sociale, in cui le policies del cibo hanno acquisito centralità (basti pensare al proliferare delle certificazioni), la domanda di diversificazione alimentare si è trasformata in domanda di tipizzazione, e la necessità di rassicurazione ha prevalso su quella di esplorazione. L’antinomia originaria della temporalità (cura/praticità) ha assunto nuove configurazioni, evolvendo in dilemmi sempre più fatalistici, come “sicurezza e rischio”, o più essenzializzanti e dogmatici, come “autentico e falso”, in cui la fiducia del consumatore diviene facilmente preda di euristiche fuorvianti (ad es. l’etichetta). Questa forma di consumo fatalistico ha portato la comunità di destino, a cui la domanda di consumo alimentare tende ad aggrapparsi in periodi di crisi, a polarizzarsi tra due scenari: uno caratterizzato da neo-fobica ri-tradizionalizzazione, in cui concetti come “autentico”, “origine” e “identità”, così come tutte le declinazioni del “naturale”, sono diventati metonimie di qualità e sicurezza e in cui le euristiche dell’immediatezza favorite dai media digitali hanno un ruolo; l’altro segnato una domanda di innovazione e neo-personalizzazione radicalmente orientata al futuro, in cui novel food e tecnologie (tutte) rappresentano la chiave imprescindibile per garantire la sostenibilità dei sistemi alimentari.Esempi di recenti ricerche condotte sia negli ambienti digitali che nei contesti offline del consumo, ormai inscindibili, evidenziano come l’evolversi della strutturazione temporale del gusto in senso fatalistico stia plasmando la dialettica delle scelte alimentari, contribuendo più alla loro polarizzazione che alla sintesi, e ponendoci di fronte al grande interrogativo su quale dei due scenari le attuali tecnologie digitali tenderanno a favorire. Riferimenti bibliografici Beck U., 2000 [1986], La società globale del rischio, Roma: Carocci. Lash S., Urry J., 2002 [1994], Economies of Signs and Space, London, Thousand Oaks, New Dheli: SAGE. Lupton, D., and Feldman, Z. (eds.) (2020). Digital Food Cultures. London: Routledge. Ritzer, G. (1998). The McDonaldization Thesis. Explorations and Extensions. London; Thousand Oaks: SAGE. Warde, A., 1997. Consumption, Food & Taste. London, thousand Oak: SAGE. |
17:30 - 19:00 | Sessione 3 - Panel 09: Sport e Attività fisica e le sfide dell’Age of “extreme present” Luogo, sala: Aula 12 (A1-B) Chair di sessione: Giovanna Russo Chair di sessione: barbara mazza |
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Sport e Attività fisica e le sfide dell’Age of “extreme present” 1quot;AMS" Università di Bologna, Italia; 2Sapienza Roma, Italia; 3CY Ileps Cergy Paris Université; 4Università di Messina, Italia; 5Università di Firenze, Itali; 6Università di Salerno, Italia A lungo le tematiche della temporalità nella teoria sociologica sono state inglobate nei concetti di mutamento e di evoluzione delle grandi narrazioni. Antony Giddens ha forse compiuto lo sforzo più consistente (e relativamente recente) per re-introdurre la categoria della temporalità, come “fattore banale dell’attività sociale” (1979, p. 202) da essere considerata, insieme allo spazio, “condizione ambientale” nella quale la condotta sociale si svolge, dimensione inscindibile dalla cultura intesa come conoscenza e, infine, fenomeno strettamente legato a presente e passato, eppure osservabile e sfruttabile come risorsa scarsa. Ed è proprio quest’ultima caratteristica ad emergere fortemente nell’attuale “era dell’eterno presente” (Basar et al. 2015), nella quale passato e futuro sono stati polverizzati dalla velocità della trasformazione digitale, sospinta più recentemente dal capitalismo delle piattaforme, che ha dato nuova forma all’esperienza fondamentale del tempo e dello spazio contribuendo alla formulazione di nuove pratiche, narrazioni e linguaggi della cultura contemporanea. In tale scenario la sociologia dello sport si interroga sulla capacità del sistema sportivo, dei suoi attori principali e delle sue pratiche di interpretare e rappresentare le trasformazioni della vita quotidiana in un più ampio contesto di cambiamenti veloci, profondi, radicali, in cui l’imporsi di una incertezza diffusa sembra aver istituzionalizzato la diffusione del dubbio (Giddens, 1990), la crisi della democrazia, la progressiva perdita di diritti (istruzione, salute, lavoro..), l’aumento delle diseguaglianze (Pioletti, Porro 2013), disegnando così un nuovo rapporto fra il cosiddetto Nord e il Sud del mondo. La ricerca sullo sport e l’attività fisica in tal senso sta assumendo un ruolo sempre più centrale per lo studio della società contemporanea e delle sue trasformazioni, nella consapevolezza che esso replica ed evidenzia tutte le contraddizioni dell’era contemporanea, anche in riferimento al ritmo del cambiamento e alla sua portata. Lo sport e l’AF si trovano quindi a interrogare il proprio presente su molteplici fronti: dalla espansione di forme linguaggi mediali della narrazione sportiva; alla pervasività di dispositivi, ambienti e tecnologie digitali (tra cui quelli connessi al Metaverso e all’AI), che hanno significativamente modificato le pratiche, le relazioni sociali e le modalità di fruizione dello sport nelle sue diverse articolazioni. Dagli imperativi performativi, all’ossessione quantistica di misurazione dell’efficienza del proprio corpo; dalla ricerca di salute e ben-essere del singolo, della collettività e dell’ambiente, alle istanze valoriali, sociali, identitarie che coinvolgono atleti, praticanti, fruitori e consumatori di sport e attività fisica (Martelli, Matteucci, Russo 2019). Senza dimenticare gli aspetti identitari, educativi e formativi che costituiscono l’essenza dello sport non solo come “fatto sociale totale” (Mauss, 1965), ma anche condizione costitutiva, onnipervasiva della società contemporanea che, ormai giunta alla fine del primo quarto del XXI secolo, rintraccia nella sfera sportiva un utile “dispositivo” atto ad affrontare la sfida del presente per riformulare il tempo del futuro e di ripensare, riattivare e riconfigurare le memorie del passato (talvolta in chiave nostalgica) di una società sempre più in movimento. In ciò l’obiettivo dello sport del futuro è quello di abbattere ostacoli e costruire cultura. Il panel intende affrontare alcuni dei mutamenti strettamente collegati alle diverse possibili configurazioni della relazione tra sport e temporalità, nelle sue molteplici sfaccettature, come importante sfida nell’ambito degli Sport studies sia a livello teorico sia empirico. I paper che si presentano seguono in quest’ottica un comune fil rouge. Attraverso la lente dell’accelerazione essi discutono infatti delle seguenti trasformazioni: 1) l’affermarsi, molteplice eppure discontinua della second screen experience come rivelano i dati della fruizione dei Giochi Olimpici di Parigi 2024; 2) l’evoluzione della narrazione sportiva in contesto sempre più iper-vetrinizzato che ridefinisce i tempi, contenuti, significati della relazione tra pubblici sportivi e atleti, con 3) relative fratture spazio-temporali introdotte da “strumenti di correzione” del gesto sportivo (si veda il Var nel gioco calcio) le cui ricadute modificano geneticamente la struttura emozionale di tutti gli attori in gioco; 4) fino a mutare fortemente l’immaginario sportivo che, nella stretta dell’accelerazione, paradossalmente produce un sentimento di nostalgia per lo “sport di una volta”. Sintesi Bibliografica Bifulco, L., Formisano, A., Panico, G., Tirino, M. (a cura di) (2023), Sport e comunicazione nell’era digitale. FrancoAngeli. Elias, N., & Dunning, E. (1986). Quest for excitement. Sport and leisure in the civilizing process. Basil Blackwell. Germano, I. (2012). La società sportiva: significati e pratiche della sociologia dello sport. Rubbettino. Soveria Mannelli. Giddens, A. (1979). Central Problems in Social Theory, The McMillan Press. Giddens, A. (1984). Space, Time and Politics in Social Theory: An Interview with Anthony Giddens, in AaVv., Environment and Planning D: Society and Space. vol.II (a cura di D. Gregory). Giddens, A. (1994). Le conseguenze della modernità. Il Mulino. Martelli S., Matteucci I, Russo G. et al. (2019), Keep fit. Ben-essere attivo e nuove tecnologie. Franco Angeli. Mauss, M. (1965). Teoria generale della magia e altri saggi. Einaudi. Pioletti AM., Porro N. (2013), Lo Sport degli Europei. Cittadinanza, attività, motivazioni. Franco Angeli. Porro N., Martelli, S. (2018). Nuovo manuale di Sociologia dello sport e dell’attività fisica, Franco Angeli. Tirino, M., Russo, P., Castellano, S. (a cura di) (2024), L’atleta digitale. Editpress. Tranquillo F. (2020). Lo sport di domani. Costruire una nuova cultura. Add Ed. ABSTRACT N.1 La second screen experience tra continuità e discontinuità: il caso delle Olimpiadi di Parigi 2024 Alessandra Palermo, CY ILEPS Cergy Paris Universitè, AGORA (EA7392) – GERiiCO (ULR4073) Lo sport e la sua fruizione mediale continuano ad essere un indicatore di profondo mutamento anche nell’Age of “extreme present”, in cui la second screen experience (Horowitz, 2021), rappresenta una delle espressioni dell’accelerazione contemporanea della trasformazione digitale in atto dove il tempo non è più lineare, ma è un susseguirsi di momenti che si esauriscono nell’istante stesso in cui si riproducono. È noto che seguire un evento sportivo non è più un’esperienza fine a sé stessa, ma rappresenta un’interazione tra piattaforme in cui la simultaneità dell’informazione sostituisce la narrazione sequenziale in cui lo schermo, gli schermi, diventano uno spazio di estensione della performance sportiva (Courtois, D'heer 2012). Questa evoluzione si inserisce in un contesto più ampio in cui il rapporto tra corpo, tecnologia e identità, virtuale e reale assumono un nuovo significato rendendo la second screen experience, una manifestazione del tempo presente in cui i livelli di realtà da abitare mediaticamente (Postman, 1983) e contemporaneamente sono molteplici. La ricerca da cui sono tratte queste riflessioni si è svolta online tra dicembre 2024 e gennaio 2025 su un campione di 1000 partecipanti. L’obiettivo di tale studio è di esplorare le dinamiche di iperconnessione durante le Olimpiadi di Parigi 2024, confermate dall’80% degli intervistati che ha affermato di aver utilizzato uno smartphone o navigato sui social media guardando le Olimpiadi, non solo per seguire l’evento, ma per parteciparvi attivamente. Questa analisi evidenzia come lo sport mantenga una significativa permanenza mediatica nell’ecosistema digitale contemporaneo, configurandosi come un dispositivo di partecipazione continua e diffusa. I risultati sottolineano inoltre la necessità di un adattamento tempestivo a un contesto in continua accelerazione e caratterizzato da una connessione permanente, riflettendo così la fluidità della società odierna (Bauman, 2000). Key words: second screen experience; simultaneità; Paris 2024; sport digitale. Riferimenti bibliografici Basar, S., Coupland, D., & Obrist, H. U. (2015). The age of earthquakes: A guide to the extreme present. Blue Rider Press. Bauman, Z., (2000). Liquid Modernity. Cambridge: Polity Press. Courtois C., D'heer E. (2012). Second screen applications and tablet users: constellation, awareness, experience, and interest. In Proceedings of the 10th European Conference on Interactive TV and Video (EuroITV '12). Association for Computing Machinery, New York, NY, USA, 153–156. https://doi.org/10.1145/2325616.2325646 Horowitz Research, (2021). State of Gen Z 2020 in https://www.horowitzresearch.com/wp-content/uploads/2021/03/State-of-Gen-Z-2020-TOC_SP.pdf Postman N., (1983). Ecologia dei media. L'insegnamento come attività conservatrice. Roma: Edizioni Armando. ABSTRACT N.2 Identità o rappresentazione nello sport. Il tempo e lo spazio dell’ipervetrinizzazione e l’immaginario nella cyber-arena Francesco Pira, Roberta Casagrande, Umberto Spaticchia Lo sport, oltre a essere espressione di valori e disciplina, si configura come una forma estetica che stimola l’immaginario attraverso il gesto atletico (Zecchi, 2016). La crescente digitalizzazione ha trasformato questa dimensione, ridefinendo il rapporto tra sport, identità e temporalità. L’atleta, un tempo narrato attraverso l’epica sportiva, diventa oggi una figura costantemente esposta sui social media, dove la performance si estende oltre il campo di gara. Nel nuovo ecosistema digitale, la temporalità dello sport subisce un’accelerazione: non si limita più all’evento in sé, ma si dilata in un flusso continuo di contenuti, che alimentano una narrazione senza soluzione di continuità (Floridi, 2014). La spettacolarizzazione sportiva si fonde con il gossip e la costruzione dell’identità pubblica dell’atleta, che non è più solo un modello di performance fisica, ma anche un soggetto della cultura visuale e della società dell’influencer. Il digitale trasforma così lo sport in un ambiente multipiattaforma, dove il gesto atletico viene vetrinizzato in una dimensione temporale ininterrotta, capace di attrarre audience e generare engagement (Han, 2018). Questa continua esposizione ha implicazioni profonde: il corpo dell’atleta diventa un elemento centrale nella costruzione dell’identità pubblica, in un processo che richiama la fluidità e la provvisorietà identitaria teorizzate da Bauman (2000), in contrasto con Giddens (1991). Il rapporto tra pubblico e atleta si trasforma in un’interazione incessante, in cui la dimensione privata viene resa accessibile, alimentando il processo di celebrityfication. In questo scenario, la narrazione sportiva non si esaurisce più nella cronaca dell’evento, ma si estende in una dimensione di iper-comunicazione (Han, 2022), dove informazione, emozione e spettacolo si mescolano, ridefinendo il tempo e il senso dello sport. Le tecnologie, ormai “incise sulla carne” (Abruzzese, 2001), dissolvono i confini tra reale e virtuale, riconfigurando la presenza dell’atleta nello spazio sociale. Keywords: Sport, iperindividualismo, media digitali, piattaformizzazione, performatività. Riferimenti bibliografici Abruzzese A, (2001). Forme estetiche e società di massa, Marsilio Editori, Venezia. Abruzzese A., (2012). La bellezza per te e per me. Saggi contro l'estetica, Liguori, Napoli. Bauman Z., (2011). Modernità liquida, Laterza, Roma – Bari. Buasingher H., (2008). La cultura dello sport, Roma, Armando Editore. Beck U., (2000). La società del rischio: verso una seconda modernità, Carocci, Roma. Bennato D., (2011) Sociologia dei media digitali: relazioni sociali e processi comunicativi del web partecipativo, Laterza, Roma-Bari. Boccia Artieri G., Gemini L., Pasquali F., Carlo S., Farci M., Pedroni M., (2017) Fenomenologia dei social network: Presenza, relazioni e consumi mediali degli italiani online, Guerini Scientifica, Milano. Brancato S., Cristante S. (2022). L' avventura umana nella comunicazione. Dal corpo dei Sapiens agli algoritmi, Luca Sossella Editore, Roma. Casagrande R., (2021). Pink power, Di Nicolò Edizioni. Castells M., (2015) Reti di indignazione e speranza. Movimenti sociali nell’era di Internet, Egea, Milano. Codeluppi V., (2007). La vetrinizzazione sociale, Bollati. Di Gregorio L., (2017). La società dei selfie. Narcisismo e sentimento di sé nell’epoca dello smartphone, FrancoAngeli, Milano. Han Byung-Chul., (2015). Nello sciame visioni del digitale, Edizioni Nottetempo, Milano. Morin E., (1977). I divi, Garzanti, Milano. Pira F., (2022). Giornalismi digitali, misinformation e fake news. Quale giornalismo sportivo, pp 499 – 511, Rivista di diritto Sportivo 2. Pira F., (2021). Figli delle app. Le nuove generazioni digital-popolari e social-dipendenti, FrancoAngeli, Milano. Pira F., (2021) La crisi del modello della produzione culturale: la vetrinizzazione esasperata = The crisis of the cultural production model: the exasperated vitrinization. 247-268. H-ermes, J. Comm. 20, 247-268. ABSTRACT N.3 Passioni fredde: la regolazione temporale e emotiva nel tempo del VAR Pippo Russo (Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali – Università di Firenze) Presentato come uno strumento che avrebbe dovuto conferire oggettività alla decisione arbitrale e all’applicazione del regolamento nel calcio, il VAR (Video Assistant Referee) ha comportato conseguenze e implicazioni impreviste. Fra queste vi è la reiterata interruzione del corso di gara. Un corso che è soggetto a costante sospensione per porre al vaglio ogni episodio minimamente controverso. La duplice frattura spaziale (la gara in campo, la Sala VAR a centinaia di chilometri di distanza) e temporale (l’immediatezza dell’episodio, il differimento della sua ratifica) comporta una rivoluzione della struttura passionale e emotiva della partita di calcio, con la creazione di una sequenza di micro-climax il cui effetto è mutare geneticamente la struttura emotiva e percettiva della partita di calcio. In queste condizioni la partita di calcio si trasforma nel territorio di una trasformazione indotta dalla tecnologia, che impone una ristrutturazione a ampio raggio. Questa trasformazione ha impatto sugli attori della partita, sugli spettatori, sulla rappresentazione, sulla narrazione, e infine sul senso di giustizia legato all’esito della gara. Tutto quanto avviene entro un quadro temporale che si fluidifica, che perde il quadro unitario per ricomporsi in una serie di cornici dalle forme irregolari e asimmetriche. Di questa frammentazione diventa emblema l’esultanza per il gol, trasformata sempre più spesso in una passione fredda perché messa in stand by e fatta slittare in una temporalità differita, come se fosse consumare un podcast. La presentazione intende porre un quadro concettuale su questa realtà in evoluzione. Parole chiave: VAR; Emotività; Passioni fredde; Fratture spaziali; Fratture temporali. Riferimenti bibliografici: M. Armenteros, A. J. Benitez, M. Betancor, The use of video technologies in refereeing football and other sports, London, Routledge, 2019. L. Bifulco, A. Formisano, G. Panico, M. Tirino, Sport e comunicazione nell’era digitale, Milano, Franco Angeli, 2023; C. Ruggero, P. Russo, Il calcio in tv. Storia, formati, ibridazioni, Roma, Fausto Lupetti, 2018. D. Samuel, C. Englert, I. Basevich e Y. Galily, The effects of VAR interventions on self-rated mental fatigue and self-rated performance of football referees, International Journal of Performance Analysis in Sport, online first. 2024. Guttmann A. (1990). From Ritual to Record. The Nature of Modern Sport, New York, Columbia University Press. Magdalinski Tara (2009). Sport, Technology and the Body. The Nature of Performance, London and New York, Routledge. Russo P. (2018). Filippide al Pit Stop. Performance e Spettacolo nello Sport Postmoderno, Firenze, Editpress. Volpicelli L. (1966). Industrialismo e Sport, Roma, Armando. ABSTRACT N.4 “Ma che ne sanno i Duemila?”. Celebrità calcistica, forme della memoria e pratiche mediali nella community Facebook “Serie A – Operazione Nostalgia” Mario Tirino (Università degli Studi di Salerno) Secondo Wunenburger (1991), l’immaginario include sia la capacità di creare rappresentazioni, che si manifesta attraverso sistemi simbolici, sia una componente emotiva che influenza la vita quotidiana. L’immaginario sportivo, in particolare quello calcistico, si espande nella società, grazie al ruolo crescente che simboli, valori e figure sportive rivestono nell’arena pubblica (Jarvie, 2006). In Italia, il calcio ha plasmato l’immaginario collettivo di milioni di persone dal dopoguerra, grazie alla diffusione di narrazioni attraverso i media. I racconti delle gesta dei calciatori e delle partite memorabili hanno contribuito a creare un immaginario popolato da eroi, leggende, eventi epocali, radicati nella memoria collettiva di generazioni di tifosi. Questo immaginario esercita un forte impatto emotivo, accentuato dalla natura rituale dell'evento sportivo, anche quando fruito attraverso i media (Bifulco e Tirino, 2018). La mediatizzazione, insieme a commercializzazione e globalizzazione, ha profondamente modificato valori, simboli e significati sociali del calcio contemporaneo (Frandsen, 2020). L’accelerazione dei tempi sociali (Román Maldonado, 2015), con focalizzazione sul presente, ha paradossalmente alimentato un sentimento di nostalgia per il “calcio di una volta” (Gammon e Ramshaw, 2013), specialmente per i protagonisti degli anni Ottanta e Novanta, quando la Serie A ospitava alcuni dei migliori giocatori del mondo. Questo desiderio nostalgico può essere interpretato come reazione al senso di discontinuità e smarrimento (Davis, 1979) che i tifosi provano di fronte a un presente calcistico percepito come meno glorioso rispetto al passato. Il paper, attraverso un’analisi netnografica e di contenuto, esamina le espressioni culturali e le dinamiche emotive della nostalgia calcistica all’interno della community Facebook “Serie A – Operazione Nostalgia”. La ricerca si concentra su: 1) le forme in cui si manifesta il culto degli eroi calcistici del passato, come reazione alla commercializzazione del calcio moderno e come idealizzazione di una presunta “età dell’oro” irripetibile; 2) i processi attraverso cui le caratteristiche di Facebook influenzano e modellano i sentimenti nostalgici (Niemeyer, 2014); 3) il ruolo di oggetti (magliette, gagliardetti e fanzine) nell’alimentare la retromania (Reynolds, 2011); 4) la riattivazione della memoria collettiva attraverso eventi che vedono protagoniste le ex glorie del calcio in competizioni amichevoli; 5) l’influenza della nostalgia nella creazione di nuove forme di tifo, dove la rivalità tra tifoserie avversarie è attenuata. L’analisi di questa community FB indaga l’ambivalenza della nostalgia nello sport. Da un lato, essa alimenta la retorica confortante di un passato idealizzato (Boym, 2001); dall’altro, genera una serie di pratiche (riattivazione affettiva della memoria, partecipazione ad eventi, merchandising), proprie del capitalismo delle piattaforme. Riferimenti bibliografici Bifulco, L., & Tirino, M. (2018), “The Sports Hero in the Social Imaginary”, Im@go, 11, 9-25. Boym, S. (2001), The Future of Nostalgia, New York, Basic Books. Davis, D. (1979), Yearning for Yesterday: A Sociology of Nostalgia, New York, Free Press. Frandsen, K. (2020), Sport and Mediatization, London-New York, Routledge. Gammon, S., & Ramshaw, G. (2013), “Nostalgia and sport”, in A. Fyall & B. Garrod (Eds.), Contemporary Cases in Sport, Oxford, Goodfellow Publishers, pp. 201-219. Jarvie, G. (2006), Sport, Culture and Society: An Introduction, London, Routledge. Niemeyer, K. (Ed.) (2014), Media and Nostalgia: Yearning for the Past, Present and Future, Basingstoke, Palgrave Macmillan. Reynolds, S. (2011), Retromania: Pop Culture’s Addiction to Its Own Past , London, Faber & Faber. Román Maldonado, C.E. (2015), “Sobre la aceleración del tiempo social en la sociedad capitalista contemporánea”, Civilizar, 15(28), 263-276. Wunenburger, J.-J. (1991), L’imaginaire, Paris, PUF. |
17:30 - 19:00 | Sessione 3 - Panel 10: Accelerazione, limite di rottura, implosione Luogo, sala: Aula 13 (A1-C) Chair di sessione: Giovanni Ragone Chair di sessione: Nello Barile |
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Accelerazione, limite di rottura, implosione 1Università di Roma "La Sapeinza"; 2Unversità IULM di Milano; 3Università di Napoli L'Orientale; 4Università degli Studi di Cagliari; 5Università di Roma "La Sapeinza" Accelerazione, limite di rottura, implosione Sia una “sociologia del tempo” che la mediologia hanno sviluppato dal secondo Novecento significativi frame teorici per interpretare le trasformazioni dei modelli di organizzazione e distribuzione del tempo e dei modelli percettivi. Quei modelli che le ricerche empiriche, spesso con scarse interrelazioni rispetto a un background teorico, provano a indagare raccogliendo dati su come categorie sociali specifiche distribuiscono le attività durante periodi determinati, e in minor misura su come la comune sensazione di accelerazione del tempo influisce sul benessere psicologico. Come sintetizzare e attualizzare le teorie disponibili? E quali indicazioni di metodo si possono offrire per la ricerca? Condividendo un’idea del tempo come costruzione sociale e come struttura/processo culturale, le scienze umane hanno riflettuto profondamente sull’impatto delle tecnologie della comunicazione (Kern 1995); all’accelerazione delle comunicazioni e degli scambi corrisponde una sostanziale sottrazione di futuro, che si esprime in varie forme, dalla “presentificazione” (Rushkoff, D. 2013), alla nostalgia, nei modi della "retromania" (Reynolds 2010) o della "retrotopia" (Bauman 2017). La modificazione del tempo, e il suo rapporto con lo spazio, sono il risultato della crescente diffusione nella vita quotidiana delle scoperte della tecnoscienza, da un lato, e dei nuovi ambienti immaginati dalle produzioni creative, dall’altro. Per quanto riguarda la mediologia, la passione di McLuhan al contempo per i protagonisti della fisica quantistica e per le avanguardie (“l’artista come antenna”), sottolinea la centralità della trasformazione dello spaziotempo tanto nella dimensione macrosistemica quanto in quella del quotidiano. L’accelerazione, un processo che supera via via soglie significative già in fase preindustriale (Ragone 2021), supera un limite di rottura nel passaggio all’era elettrica, ribaltando la percezione del tempo da una dimensione lineare ed espansiva ad una circolare e implosiva, in cui la ritribalizzazione e una nuova oralità ricongiungono il moderno al primitivo. Ma altri modelli più aperti possono integrare la compartimentazione schematica tra le due Galassie mcluhaniane, centrifuga e lineare quella Gutenberg, centripeta e circolare quella Marconi (McLuhan 1964), riflettendo su un soggetto contemporaneo alle prese in epoca dgitale con una dimensione implosiva ancora più visibile che non al tempo dei media di massa e delle formazioni collettive degli anni ‘60. Come, ad esempio, la sociologia figurazionale di N. Elias (1990), nella sua capacità di ricongiungere il quotidiano con il macrosistemico, pur se occorre confrontare la sua idea di homines aperti, nella sua dimensione plurale e processuale, con la realtà del nuovo ecosistema digitale (Barile 2022), dato che le tecnologie radicali (Greenfield 2017) della Silicon Valley, più che strutturare un legame neotribale tra i loro utenti, enfatizzano in maniera drammatica la dimensione individuale (Barbrook&Cameron 1995), generando forme di isolamento e di crisi del legame empatico (Turkle 2012; Lanier 2018). Parallelamente, sul piano del modello interpretativo, non solo le riflessioni di McLuhan o di Elias sul tempo, ma anche altre significative tradizioni (da Benjamin, Foucault, Baudrillard, Virilio alla sociologia urbana), invitano a sviluppare tecniche di individuazione delle strutture temporali attraverso l’analisi degli spazi, degli oggetti, degli ambienti di vita. Tecniche che possono essere formalizzate e divenire di uso comune. Riferimenti: Reynolds, S., 2011, Retromania: Pop Culture’s Addiction to Its Own Past. New York: Faber & Faber. Ragone, G., 2021, Sulla genesi del medium romanzo, in H-ermes. Journal of Communication H-ermes, J. Comm. 20, 139-170. Rushkoff, D. (1994), Cyberia: Life in the Trenches of Hyperspace. San Francisco: Harper-SanFrancisco. Rushkoff, D., 2013, Present Shock: When Everything Happens Now. New York: Penguin Current. Trapassati dal futuro: accelerazione e soppressione del tempo da McLuhan alla Silicon Valley Nello Barile, Università IULM di Milano
L’intervento propone una riflessione sulle recenti trasformazioni della “ideologia californiana” che passa dall’enfasi posta sul “presentiamo infomaniacale” e sul “mcluhanismo New Age” (Rushkoff 1994) degli anni Novanta, a una combinazione paradossale tra avvenirismo e nostalgia. Dagli scritti del mediologo canadese (McLuhan 1964), trapelano numerosi riferimenti che sottolineano lo stretto legame tra mcluahanismo e avanguardie artistiche. In particolare il futurismo è un esempio plastico dei modi in cui l’arte anticipi le trasformazioni percettive che saranno implementate e diffuse dalle “nuove” tecnologie (si pensi al concetto di simultaneità e al ruolo dell’artista come “antenna”). Il legame di McLuhan con le avanguardie tecnologiche può essere brevemente sintetizzato dal commento dell’artista Sudcoreano Nam June Paik che apostrofò: "il solo problema di McLuhan è che ancora scrive libri" (Chun 2014, p. 38). L’influenza mcluhaniana sulle controculture digitali è forse ancor più profonda, a tal punto da essere provocatoriamente considerato come uno dei primi scrittori “Cyber Punk” (ibidem). Se nelle visioni di McLuhan, l’implosione produceva “un campo totale di consapevolezza inclusiva” (McLuhan 1964: 104), caratteristico del Villaggio globale, oggi la dimensione implosiva ha più a che vedere con il soggetto contemporaneo saturato dalle informazioni e alle prese con dispositivi digitali che producono uno shock del presente (Rushkoff 2013). Rispetto alla prima Ideologia Californiana agli anni Novanta, (Barbrook&Cameron 1995), subentra oggi una nuova voglia di futuro che è però declinata attraverso un'estetica retrotecnologica che si salda con la nostalgia per le identità forti del passato, tipica delle formazioni populiste e sovraniste. L’estetica retromaniaca (Reynolds 2010) in qualche modo ha anticipato e preparato l’avvento della retrotopia politica (Bauman 2017). Già dalle elezioni mid term del 2022 (Barile 2022), Elon Musk rappresentava l’esponente più significativo di tale processo, essendo passato dal confezionamento di un immaginario retrotecnologico e steampunk (si pensi al brandname e al logo della Tesla) al nuovo colonialismo interspaziale della conquista di Marte. Se l’accelerazionismo da sinistra di Mark Fisher (2009) mirava a usare la tecnologia creata dal capitalismo per accelerare le contraddizioni del sistema e creare le basi per una società futura, l’attuale ruolo dei guru della Silicon Valley pare invece quello di istituire una nuova concezione di soggetto e di temporalità che legittima e struttura nuove forme di potere. Assistiamo oggi a una riposizionamento drastico della Silicon Valley, della sua idea di futuro, dei valori che orientano la sua azione politica e culturale, in una nuova colonizzazione delle relazioni sociali attraverso i dati, operando una profonda riorganizzazione dello spazio, del tempo, dell’ordine sociale” (Couldry&Mejas 2019). Riferimenti Barbrook, R. & Cameron, A., 1995, The Californian Ideology, in Alamut. Bastion of Peace and Information, August. Retrieved from www.alamut.com/subj/ideologies/pessimism/calif Ideo_I.html. Chun, W. H. K., 2014, Marshall McLuhan: The First Cyberpunk” Journal o/Visual Culture, vol. 13, n. l (April 2014): 36-8. Couldry, N. and Mejias U. A., 2019, Data Colonialism: Rethinking Big Data’s Relation to the Contemporary Subject, Television & New Media, Volume 20, Issue 4. Fisher, M., 2009, Capitalist realism: Is there no alternative? Ropley, England: O Books. Reynolds, S., 2011, Retromania: Pop Culture’s Addiction to Its Own Past. New York: Faber & Faber. Rushkoff, D., 1994, Cyberia: Life in the Trenches of Hyperspace. San Francisco: Harper-SanFrancisco. Rushkoff, D., 2013, Present Shock: When Everything Happens Now. New York: Penguin Current. Ricorsività e tecnogenesi nelle macchine computazionali Tiziana Terranova, Università di Napoli L’Orientale. La conferenza introduce il concetto di ricorsività nella teoria dei media digitali e la sua utilità nel pensare il rapporto contemporaneo tra tempo, media digitali e le strutture di sapere/potere. A partire dalla nozione tecnica di ricorsione, così come utilizzata nella programmazione informatica dove indica la procedura attraverso cui una routine precedente viene richiamata nello svolgimento di un compito, il concetto di ricorsività insieme a quello di contingenza è stato sviluppato da teorici e teoriche della computazione come Yuk Hui (2019), Luciana Parisi, e Ezekiel Dixon-Roman (2020) per definire il divenire temporale degli esseri tecnici. In particolare, in tecnologie come il machine learning e la generative AI, la ricorsività indica il modo in il meccanismo cibernetico del feedback (retroazione) utilizza i dati e altre strutture computazionali (come i grafi o le reti neurali) ai fini della programmazione e riprogrammazione algoritmica delle interfacce digitali. La ricorsività nei media digitali solleva la questione del il modo in cui il sociale è incorporato nelle tecnologie computazionali e media digitali (Chun 2021, Terranova 2024) attraverso un movimento a spirale che mescola computabile e incomputabile, ripetizione e contingenza, determinazione e indeterminatezza partecipando alla reinvenzione di tecnologie di potere così come a quella della loro sovversione. La temporalità della ricorsività dunque spiega non solo quella che Katherine N. Hayles (2012) definisce la tecnogenesi (la coevoluzione di umani e tecnologia), ma la tecnosociogenesi (cioè la transindividuazione collettiva delle società umane e delle loro tecnologie). Riferimenti Chun, Wendy Hui Kyong. Discriminating Data: Correlations, Neighborhoods, and the New Politics of Recognition. Cambridge, Mass.: The MIT Press, 2021. Hayles, N. Katherine. How We Think: Digital Media and Contemporary Technologies. Chicago and London: The University of Chicago Press, 2012. Hui, Yuk. Recursivity and Contingency. Lanham, Maryland: Rowman & Littlefield Publishers, 2019. Parisi, Luciana, and Ezekiel Dixon-Román. “Recursive Colonialism & Cosmo-Computation.” Social Text, no. Control Societies @ 30: Technopolitical Forces and Ontologies of Difference (2020). Terranova, Tiziana. “Technoliberalism and the Network Social.” Theory, Culture & Society 41, no. 7–8 (2024): 89–104. Troppo spazio e poco tempo. Contraddizioni e paradossi del capitalismo informazionale Emiliano Ilardi – Università di Cagliari Hartmut Rosa nel suo famoso e fortunato libro Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità (2010), ha scritto che uno degli effetti principali dell’“accelerazione del tempo”, che secondo lui è il segno distintivo della modernità occidentale, è stato e continua ad essere “la contrazione dello spazio”. Il che è sicuramente vero se consideriamo come “spazio” solamente quello di natura fisico-materiale. Ciò che sfugge a Rosa (che non a caso ha come principali riferimenti la Scuola di Francoforte e la Teoria Critica) è che l’evoluzione mediale (prima con i media elettrici e poi, soprattutto con i media digitali) ha prodotto dimensioni spaziali alternative che si sono aggiunte a quella materiale e oggi l’hanno addirittura surclassata, almeno dal punto di vista dell’economia e delle relazioni sociali. E allora se lo consideriamo da un punto di vista mediologico, il rapporto tra tempo e spazio va invertito rispetto alla raffigurazione di Rosa. Così scriveva il mediologo Régis Debray 25 anni fa all’alba della rivoluzione digitale: “I mass-media dell’ubiquità declassano i media più o meno affannati della storicità. I primi hanno ridistribuito i rapporti tra il qui e l’altrove in modo molto più sensibile e vistoso dei rapporti tra il prima e il dopo. Di qui il privilegio spontaneamente accordato dallo spirito pubblico ai mezzi di addomesticamento dello spazio sui mezzi di addomesticamento del tempo. Lo abbiamo rilevato più volte: il nostro territorio si allarga, il nostro calendario si restringe (2000, pp. 45-46). La tesi che si vuole provare qui a dimostrare è che nella tarda modernità il capitalismo informazionale si è imposto e autolegittimato in Occidente, e senza provocare i conflitti sociali che avevano caratterizzato la modernità industriale, perché, a fronte di una violenta accelerazione del tempo in tutti ambiti della vita degli individui, ha fornito loro, in cambio, una enorme quantità di spazio in cui estroflettere e costruire desideri e identità e quindi percepirsi come autonomi e autodeterminati. A tal punto che le due dimensioni si alimentano a vicenda: la moltiplicazione degli spazi e la loro interconnessione (la fusione tra spazi della produzione e del consumo, ad esempio), elementi tipici della mediasfera digitale, accelerano e contraggono il tempo (l’opposto di quanto pensa Rosa) e, contemporaneamente, costituiscono l’unica condizione che ne permette l’accettazione sociale. Il patto che per prime le società occidentali, consapevolmente o inconsapevolmente è da stabilire, hanno stipulato con il Mefistofele del capitalismo digitale prevede proprio la cessione totale del tempo, che deve diventare esclusivamente produttivo, in cambio di dimensioni spaziali apparentemente libere e autonome. Ma si può essere liberi e autonomi nello spazio se abbiamo alienato la dimensione del tempo? Riferimenti Castells, M., La nascita della società in rete (1996). Bocconi Universiy Press, Milano 2014. Debray R., Introduzione alla mediologia (2000). Meltemi, Milano 2024. Elias, N., Saggio sul tempo (1984). Il Mulino, Bologna 1986. Rosa H., Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità (2010). Einaudi, Torino 2015. Virno, P., Grammatica della moltitudine. Per una analisi delle forme di vita contemporanea, DeriveApprodi, Roma 2001. Ripartendo da Elias. Sul tempo e sul controcampo artistico Donatella Capaldi – Sapienza Università di Roma Le basi tuttora più solide nella riflessione sociologica sul tempo sono in Norbert Elias. Ed è evidente la convergenza tra il suo impianto e quello della teoria mediologica, da McLuhan a Castells, a iniziare dal rilievo dato ai cambiamenti delle soggettività tra modo di sviluppo agricolo, industriale e informazionale. La concettualizzazione di Elias si fonda sulla storicità delle rappresentazioni del senso del tempo, per individuare la dinamica della coscienza e della conoscenza nel succedersi di trasformazioni simboliche connesse alla interdipendenza, nelle diverse dimensioni individuali e sociali, naturali e storiche, cosmiche e culturali. Lo sviluppo della società in termini di complessificazione, di processi di integrazione e disintegrazione della vita sociale, e di sviluppo tecnologico – vettori di “figurazioni” che i gruppi sociali trasformano di continuo – portano a superare soglie successive, in particolare quella della modernità oltre la quale il tempo può essere progettato, e l’esperienza del tempo può essere vissuta in forme diverse, in relazione agli ambienti sociali in cui i soggetti e i gruppi si muovono (Elias 1984). Nei miei studi ho potuto approfondire alcuni aspetti del pensiero eliasiano, in particolare su tecnologia e utopia, traducendo saggi finora inediti in Italia (Elias 2025). Una base teorica che evitando generalizzazioni astratte e riduzioni dell’orizzonte al presente insegna a mettere in relazione tra loro fenomeni che si sviluppano sul lungo periodo. Come utilizzarla riguardo alle relazioni sociali nell’ambiente dei media digitali è oggetto di alcuni contributi sociologici sulla dinamica di contrazione del tempo, focalizzati soprattutto sul senso della memoria e del futuro (Mathieu 2020, Leccardi, Jedlowski and Cavalli 2023; Mandich 2023). La frammentazione e moltiplicazione delle visioni sul passato nell’ambiente digitale e l’aumento esponenziale di ciò che può essere conservato cambia le forme della memoria e le sue relazioni con il presente, a fronte di una contrazione dell’orizzonte e di un futuro sempre meno progettabile e più insicuro, mentre si acutizzano le fratture tra i “patrimoni generazionali” e le soggettività individuali. Per una attualizzazione teorica e di metodo il mio contributo esaminerà – per converso – la serie recentissima delle riflessioni sul tempo che su vari fronti vengono sviluppate dagli artisti nell’ambiente permeato dalle tecnologie dell’AI. Inseguendo i sentieri interrotti della memoria per ricomporre un passato non vissuto, ma avvertito come cruciale per il soggetto; o immaginando archivi come un dataset mai fatto emergere per discriminazioni sociali e politiche; o recuperando ancora materiali del passato che sviluppano forme nuove: un inespresso che la AI ricrea e fa emergere.
Riferimenti Elias, N., Saggio sul tempo (1984). Il Mulino, Bologna 1986. Elias, N., Natura e conoscenza. Stato-nazione e utopia. Introduzione e traduzione di D. Capaldi, Meltemi, Milano 2025 (in corso di pubblicazione) Leccardi, C., Sociologie del tempo. Soggetti e tempo nell’età dell’accelerazione. Laterza, Roma 2009. Leccardi, C, Jedlowski, P. and Cavalli, A., Exploring new temporal Horizons. Bristol University Press, 2023 Mandich, G., Sociologie del futuro. Meltemi, Milano 2023. Mathieu, J., Zeit und Zeitperzeption: Historische Beiträge zur Interdisziplinären Debatte. W & R. Unipress, Goettingen 2020. Ragone G., Memorie. Grande Dizionario Enciclopedico UTET, Torino 2014. |
20:30 | Cena Sociale Luogo, sala: Sa Manifattura |
Data: Venerdì, 20/06/2025 | |
10:00 - 10:30 | Registrazione e welcome coffee 2 Luogo, sala: Cortile davanti Aula A Il 20 giugno la registrazione resterà aperta fino alle 12.00. |
10:30 - 12:30 | Sessione 4 - Panel 01: Comunicazione pubblica e strategica Luogo, sala: Aula A (B0-A) Chair di sessione: Laura Solito |
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Il livello di consapevolezza algoritmica nella popolazione italiana: alcune indicazioni per lo sviluppo dell’algorithmic literacy. Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Italia Nel quadro istituzionale sempre più ampio in materia di media literacy (UE 2018, 2024; Lacourt, 2024), media and information literacy (UNESCO 2013; OECD 2024), digital literacy (Vuorikari et al., 2022) e digital citizenship education (CoE 2019; OSCE-RFOM 2024), assume sempre più rilevanza l’algorithmic literacy, intesa come quell’insieme di capacità relative alla consapevolezza e alla conoscenza degli algoritmi alla base del funzionamento delle piattaforme online (Zarouali et al. 2021), nonché alla comprensione delle modalità per gestire e regolare le impostazioni predefinite dalle piattaforme algoritmiche ai fini della curation dei contenuti (Bucher 2017), che possono risultare estremamente utili anche per riconoscere e intraprendere le opportune azioni di fronte a contenuti di disinformazione (Chung, Wihbey 2024). In particolare, nell’ambito dell’alfabetizzazione digitale e mediatica, è stata avanzata in letteratura una definizione di algorithmic literacy di tipo user-centric che fa riferimento a due livelli: consapevolezza e conoscenza delle rappresentazioni e delle tattiche che ruotano intorno ai sistemi algoritmici; azioni implicite ed esplicite degli utenti per curare i contenuti con gli algoritmi e modificare di conseguenza i propri comportamenti di fruizione delle piattaforme algoritmiche (Frau-Meigs 2024). Partendo da questo approccio, nell’ambito di una ricerca sui fabbisogni di alfabetizzazione digitale e mediatica avviata da ****, è stata indagata la dimensione dell’algorithmic literacy con particolare riferimento alle piattaforme online (di social networking, condivisione video, video-on-demand, e-commerce) che utilizzano algoritmi di raccomandazione dei contenuti. L’indagine è stata svolta attraverso una survey effettuata su un campione di 7.053 individui, rappresentativo della popolazione italiana per zona di residenza, genere e classe di età. Le interviste sono state condotte nei mesi di marzo e aprile 2024 e la somministrazione del questionario è stata effettuata, per il 75% dei casi con il metodo CAWI, e, per il residuo 25% dei casi con metodo CATI. La survey si è basata su un questionario elaborato da ****, che ha dedicato una specifica sotto-sezione della rilevazione agli aspetti connessi all’algorithmic literacy. In questo contributo verranno in particolare illustrati i principali risultati della survey relativi alla conoscenza e alla consapevolezza degli algoritmi raccomandazione dei contenuti utilizzati dalle principali piattaforme online da parte della popolazione italiana dai 14 anni in su e alla capacità degli utenti di svolgere specifiche azioni per curare i contenuti con gli algoritmi e modificare di conseguenza i propri comportamenti di fruizione delle piattaforme algoritmiche. Inoltre, verrà proposto uno specifico indice di algorithmic awareness e sarà analizzata la distribuzione delle fasce di popolazione italiana distinta per classe di età, reddito, titolo di studio, accesso a Internet, utilizzo dei diversi mezzi di comunicazione per livello di consapevolezza algoritmica. Il contributo si concluderà con alcune indicazioni, che, sulla scorta delle principali evidenze della reportistica (EDMO, 2024; Ecorys, 2024; Winstone, 2024) e della letteratura scientifica in materia di alfabetizzazione digitale e mediatica (Buckingham 2013; Bulger, Davison, 2018) e disinformazione (De Blasio, Sorice 2023; Osatuyi, Dennis 2024), nonché dei dati analizzati, evidenzieranno alcune specifiche azioni da intraprendere, sia a livello di politiche pubbliche sia nell’implementazione di iniziative già esistenti, per aumentare il grado di algorithmic literacy nelle diverse fasce della popolazione italiana. Svelare i codici, ripensare la comunicazione: strategie e ambivalenze nella narrazione della violenza di genere 1Università degli Studi di Genova; 2Università degli Studi di Cagliari, Italia La violenza di genere, e più nello specifico, la violenza maschile sulle donne è un fenomeno strutturale che in un’epoca di transizione assume forme e significati specifici. Come ha mostrato Bauman, l’ansia per un futuro incerto e rischioso genera una “retrotopia”, certamente facilitata dal permanere di fantasmi del passato che continuano a generare a far risuonare la eco di modelli, copioni e significati antichi nel presente (Fisher) . È nella tensione tra le spinte al cambiamento e la resistenza che oppongono le profonde radici della maschilità egemonica che si generano quelle ambivalenze che nutrono visioni nostalgiche e reazionarie, che producono il backlash, che stanno alla base della diffusione delle istanze dei movimenti antigender. Ed è all’interno di questa tensione che, dunque, si sviluppa quello che è il discorso pubblico sulla violenza maschile sulle donne. Ma in che modo è possibile ideare e promuovere strumenti e strategie tanto di ordine metodologico e di ricerca, quanto di intervento, all’interno di questa tensione? È possibile disvelare le ambivalenze e contraddizioni che si rintracciano nei discorsi pubblici, nelle retoriche neo sovraniste, nei vari livelli della produzione culturale? Se, come sottolineato da D’Ambrosi e colleghe/i (2024), la comunicazione sul tema da parte del settore pubblico è da considerarsi come il risultato di complesse dinamiche tra l'adozione di regole, la tendenza a replicare pratiche consolidate e lo sviluppo di una dimensione creativa nelle strategie di comunicazione, diviene necessario “ripensare” le modalità di creazione e promozione di campagne efficaci proprio partendo dal confronto tra ciò che è stato prodotto fino a oggi, al fine di rintracciare l'esistenza di codici comunicativi naturalizzati e percepiti come universali (Magaraggia, 2015). Il nostro contributo presenterà alcuni risultati preliminari del progetto **** con particolare riferimento a due aspetti: a) analisi delle campagne comunicative sulla violenza maschile sulle donne e b) presentazione di alcuni prodotti costitutivi di una campagna di sensibilizzazione pensata per studenti dell’università, frutto di un percorso video-laboratoriale partecipativo con il corpo studentesco dell’Università di Genova. Imprese e comunicazione alla prova della pandemia. Valore delle relazioni e dell'alleanza durante e oltre il lockdown 1Sapienza, Italia; 2Università Politecnica delle Marche La ricerca esplora l’evoluzione della comunicazione d’impresa durante e a seguito della pandemia Covid-19. A seguito del lockdown della primavera 2020, istituzioni e mondi vitali sono stati costretti a misurarsi con una turbolenza di carattere sanitario e sistemico (Beck, 1986), che ha comportato un improvviso capovolgimento della quotidianità e del “dato per scontato”. La società, il lavoro e il consumo hanno dovuto adattarsi a molteplici mutamenti: fra questi, il dilagare della crisi sanitaria e infodemica (Rothkopf, 2003), legata a un eccesso di informazioni e interpretazioni; il radicalizzarsi dei processi di glocalizzazione, in un sempre più vorticoso equilibrio fra territori e reti (Boccia Artieri e Farci, 2021); una repentina accelerazione digitale, presupposto per un cambiamento a lungo termine del lavoro e degli stili di vita (Lombardo e Mauceri, 2020). L’emergenza ha indotto le imprese a sospendere o rallentare per un certo periodo la propria attività, adottare misure di prevenzione e sicurezza, snellire e dematerializzare i processi aziendali e, in alcuni casi, riconvertire il modello produttivo e distributivo (Istat, 2020). A un tempo, la pandemia ha rappresentato un’occasione senza precedenti per rinnovare la vicinanza verso lavoratori e cittadini, più che mai inclini a riconoscere nelle imprese un decisivo corpo intermedio, capace di contribuire alla tenuta dei consumi, del lavoro e del benessere sociale (Edelman, 2021). Alla luce di questo scenario, il contributo presenta i risultati di un’indagine qualitativa sulle evoluzioni della comunicazione delle imprese italiane di fronte all’eccezionalità del Black Swan (Taleb, 2008). Attraverso testimonianze di prima mano dei decision-maker organizzativi, la ricerca ha esplorato strategie e azioni messe in campo per informare, rassicurare e coinvolgere i pubblici, sulla base di un corpus di oltre cento interviste in profondità a imprenditori, responsabili della comunicazione e del personale e altre figure di vertice in ambito nazionale. Le testimonianze restituiscono in modo vivido l’esperienza di imprese e professionisti nel breve-medio termine, suggerendo molteplici spunti di riflessione circa il lascito della crisi sulla cultura e pratica della comunicazione nelle organizzazioni e sul valore che queste ultime attribuiscono al proprio capitale di relazioni e alleanze. L’ipotesi chiave è che la comunicazione abbia garantito le risorse immateriali di fiducia e relazione indispensabili per fronteggiare la minaccia collettiva (Mazzei, 2015), così dispiegando nelle organizzazioni quel primato etico e strategico da sempre invocato a livello teorico-disciplinare, ma lungi dall’essere realtà soprattutto nel pre-pandemia (Martino et al., 2023; Martino e Rossotti, 2021). Tra le tendenze passate in rassegna si segnalano, in particolare, una sempre più stringente integrazione della comunicazione, a partire da un saldo focus sulla comunità e l’identità aziendale; l’emergere di strategie e strumenti orientati al valore condiviso (Porter e Kramer, 2011) e al modello di impresa purpose driven (Basu, 2017; Coda, 2023), tesa a trascendere le tradizionali formule della filantropia e della responsabilità sociale; la valorizzazione di una relazione comunitaria con gli stakeholder interni, i mercati e le comunità locali (Burke, 1999; Harrington, 2018; Magnani, 2016); non da ultima, la professionalizzazione e istituzionalizzazione della comunicazione secondo un avanzato modello strategico-comportamentale (Grunig, 2016), in grado di incidere positivamente sull’empowerment delle organizzazioni e sulla qualità dei loro processi decisionali. A emergere come un faro dal chiaroscuro della crisi è, di fatto, il valore delle relazioni e partnership strategiche (Giesecke, 2012), basate su una comunanza di obiettivi e sull’impegno reciproco tra un’organizzazione e i suoi stakeholder: lavoratori, consulenti, partner, consumatori, istituzioni e realtà del non profit, finanche ad altre aziende e persino realtà competitor. Soggetti molto diversi tra loro, che nella crisi hanno intravisto la possibilità di interagire e collaborare secondo un più avanzato modello relazionale e spirito d’alleanza, che apre enormi margini di sperimentazione e innovazione relazionale e sociale. Comunicazione del rischio e vulnerabilità sociale: una mappatura del panorama informativo Università degli Studi di Udine, Italia Dal punto di vista delle scienze sociali, disastri naturali ed emergenze di massa rappresentano dei fenomeni di tipo complesso, che mettono a dura prova la capacità di risposta di interi territori, esacerbando le sfide climatiche, politiche, economiche e sociali preesistenti. Simili eventi minano la salute e il benessere dell’intera società, ma colpiscono in modo particolarmente grave coloro che sono già in origine più fragili e vulnerabili, aggravando così condizioni strutturali di disuguaglianza. Classe, genere, età, etnia, stato socio-economico emergono come variabili fondamentali per comprendere le diverse modalità non solo di esperire il disastro all’interno di una stessa comunità (Blaikie et al., 1994; Cutter, Boruff, Shirley, 2003; Tierney, Lindell, Perry, 2001), ma anche di anticiparlo, fronteggiarlo e recuperare le conseguenze derivanti dal suo impatto. Diversi sono gli studi che evidenziano come la comunicazione svolga un ruolo strategico nella prevenzione, preparazione e risposta alle emergenze e, più in generale, nella gestione del rischio e la riduzione delle perdite (Bradley et al., 2016; Fekete, 2012; Yamori, 2020). Questi studi, se da un lato sottolineano l’importanza di integrare e porre al centro le esigenze delle comunità locali cui questa comunicazione deve rispondere (Rodriguez, Quarantelli, Dynes 2007), dall’altro, molto spesso, tendono a vedere queste comunità come un qualcosa di omogeneo, senza soffermarsi sui diversi gruppi sociali che si trovano a vivere in condizioni di fragilità e sulle loro specifiche necessità. A partire dagli eventi extra-ordinari più recenti che hanno interessato il nostro Paese, il presente contributo si propone di analizzare la dimensione della vulnerabilità all’interno dell’attuale panorama informativo attraverso una valutazione retrospettiva dei materiali prodotti da attori istituzionali quali Protezione Civile, Croce Rossa, Vigili del Fuoco, ecc. La ricerca costituisce il primo step di un progetto più ampio sviluppato nell’ambito del ****, e si focalizza soprattutto sul contesto locale. Mediante un approccio esplorativo basato su una mappatura documentale e su una griglia di analisi appositamente costruita, il lavoro intende rispondere alle seguenti domande di ricerca: 1) In che modo i materiali informativi istituzionali definiscono e rappresentano la vulnerabilità sociale nelle situazioni di emergenza?; 2) In che misura le diverse tipologie di vulnerabilità vengono considerate nello sviluppo dei materiali informativi e nella pianificazione dell’emergenza?; 3) Quali categorie di vulnerabilità sono maggiormente considerate nella comunicazione del rischio e quali invece risultano trascurate?; e 4) Quali barriere limitano l’accessibilità della comunicazione del rischio per i diversi gruppi vulnerabili? L’analisi delle strategie comunicative esistenti rivela che la comunicazione del rischio presenta ancora diverse criticità in relazione alla vulnerabilità sociale. Molte delle iniziative identificate si configurano come canali di comunicazione unidirezionale, limitando l’interattività e la possibilità per le comunità vulnerabili di partecipare attivamente. Dal punto di vista dell’inclusione, sebbene alcune iniziative abbiano cercato di integrare misure di accessibilità (es. traduzioni multilingue, interpretariato LIS, funzioni di chiamata silenziosa per persone con difficoltà comunicative), manca una strategia coerente e sistematica per rispondere alle esigenze di gruppi vulnerabili diversi, come persone con disabilità non sensoriali, migranti, senzatetto o individui con difficoltà cognitive. Questi risultati sottolineano l’urgenza di sviluppare strategie comunicative più inclusive e partecipative, che tengano in stretta considerazione le specifiche esigenze, temporanee o permanenti, dei soggetti e le diverse cause della vulnerabilità. Affinché queste strategie possano realmente ridurre l’impatto delle emergenze future, è fondamentale integrarle in un quadro più ampio di gestione del rischio, che preveda il coinvolgimento attivo delle comunità locali e dei gruppi vulnerabili nei processi decisionali. Pochi secondi ci salvano la vita. Valutazione ex-ante per lo sviluppo di un sistema di Earthquake Early Warning modellato e incentrato sulla popolazione. Sapienza Università di Roma, Italia I terremoti minacciano l'incolumità delle persone e il contesto socioeconomico, soprattutto in aree ad alta sismicità come l’Italia. Anche eventi di bassa intensità, che avvengono in un contesto territoriale vulnerabile, possono generare danni significativi e causare vittime. I sistemi di allarme sismico (Earthquake Early Warning Systems - EEWS), già implementati in alcune aree del mondo, offrono un intervallo di preavviso, variabile da pochi secondi a decine di secondi, durante il quale è possibile allertare la popolazione o attivare automaticamente sistemi di protezione (Cremen et al., 2022). Questo tempo, seppur breve, risulta fondamentale per ridurre il rischio di danni e vittime prima dell’arrivo delle onde sismiche più distruttive. In Italia, non è ancora operativo un EEWS. Nelle Marche però, con il supporto dei progetti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia “Rete Multiparametrica” e “DL.50-Ricostruzione Centro Italia” è avvenuta la simulazione dell’operatività di un sistema di allerta sismica. La simulazione (Festa et al., 2018, Ladina et al., 2021) è avvenuta grazie ad una rete di sismometri a larga banda che, dal 2016 ad oggi, hanno popolato un vasto database con ottimi dati sismici successivamente analizzati con gli algoritmi sviluppati per il progetto PRESTo (Satriano et al., 2011). Questa integrazione ha dimostrato che un sistema di EEW è in grado di avvisare, con un preavviso di 5-10 secondi, le comunità situate a 30 km o più dall’epicentro di un terremoto, offrendo un intervallo di tempo sufficiente per attivare misure di protezione automatiche di mitigazione del rischio. Tuttavia, l’efficacia di un EEWS dipende tanto dalla componente tecnica (upstream) quanto dalla risposta della popolazione (downstream). Per questo è essenziale che le informazioni trasmesse siano modellate sul pubblico target per essere accettate e comprese efficacemente. Per analizzare l’accettazione, i bisogni informativi e le reazioni comportamentali dei destinatari dell’allerta, è stato tradotto e adattato un questionario sviluppato da Becker et al. (2020, A). Il questionario, auto-somministrato tramite Google Moduli e accessibile via QR code, è stato proposto a un campione di studenti delle scuole superiori della provincia di Ancona. Composto da 25 domande suddivise in quattro sezioni, lo strumento ha permesso di raccogliere dati utili a comprendere l’efficacia percepita degli EEWS e i fattori che influenzano l’adozione di comportamenti protettivi. I risultati preliminari suggeriscono che un Sistema di Allerta Precoce per Terremoti (EEWS) è generalmente accettato dalla popolazione quando questa possiede un'adeguata consapevolezza del rischio sismico e ha ricevuto sufficienti informazioni sui comportamenti da adottare (Comunello et al., 2015, Weyrich et al., 2020; Becker et al., 2020, B). Elementi come credibilità e fiducia nelle Istituzioni preposte alla comunicazione di emergenza giocano un ruolo imprescindibile. L'analisi dei dati indica che i rispondenti accettano un margine di sovra- o sottostima nelle allerte, a condizione che il sistema contribuisca a ridurre l'incertezza sugli effetti del sisma. Un aspetto importante e controverso che emerge dai dati raccolti è che la percezione del rischio sismico, rilevata al campione di studenti che sostengono di aver esperito un terremoto anche forte e recente, è mediamente scarsa. L'integrazione di soluzioni tecnologiche avanzate e strategie di comunicazione del rischio (Cerase, 2017; Massa & Comunello, 2024) facilitano il passaggio dalla comunicazione del rischio a una risposta emergenziale tempestiva ed efficace. I sistemi di allerta rapida, infatti, consentono di ridurre l'incertezza di impatto purchè la popolazione abbia gli strumenti per decodificare il messaggio. La sensibilizzazione costante del pubblico rafforza la percezione del rischio e favorisce l'adozione di comportamenti protettivi, rendendo questi sistemi un complemento fondamentale per la protezione delle comunità vulnerabili, soprattutto in contesti a elevata sismicità. |
10:30 - 12:30 | Sessione 4 - Panel 02: Piattaformizzazione, vita quotidiana e industria culturale Luogo, sala: Aula 2 (AO-A) Chair di sessione: Francesca Pasquali |
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Dal tempo continuo al tempo discreto: analogico, digitale e nuova fruizione della serialità televisiva Università di Cagliari, Italia Se per Marshall McLuhan, “il medium è il messaggio” allora, a prescindere dal contenuto, il mezzo attraverso il quale viene veicolata un'informazione ha un impatto sulla società e sul modo in cui le persone percepiscono la realtà. Ogni mezzo di comunicazione ha caratteristiche uniche che influenzano il modo in cui le persone lo utilizzano, il modo in cui interpretano le informazioni e il modo in cui interagiscono tra loro. Quando la tecnologia elettrica era analogica la trasmissione dell’immagine sullo schermo televisivo avveniva attraverso un segnale continuo. Se, sempre sulla scorta di McLuhan, i media elettrici estendono il nostro sistema nervoso centrale, allora, in un ambiente analogico, quest’ultimo era connesso a una rete di trasmissione di segnali continui e la percezione della realtà, e quindi del tempo, era inevitabilmente continua. Con la tecnologia elettrica digitale la trasmissione dell’immagine sullo schermo avviene attraverso un segnale discreto con conseguente cambiamento della nostra percezione della realtà e del tempo. Non a caso, se il movimento della lancetta dei secondi in un orologio meccanico è continuo, quello degli orologi al quarzo scandisce il tempo con movimenti a scatti della lancetta dei secondi risultando così discreto. Lo scandisce come un inesorabile conto alla rovescia per cui non siamo più noi a inseguire il tempo ma e il tempo a inseguire noi, determinando così quella accelerazione e alienazione nella tarda modernità di cui parla Hartmut Rosa nella sua teoria critica del tempo. Questo cambio di paradigma dall’analogico al digitale, e quindi dal discreto al continuo, ha modificato le modalità di produzione e fruizione dei prodotti audiovisivi anche in considerazione del fatto che, se in epoca analogica lo schermo era prevalentemente quello del televisore, oggi gli schermi si sono moltiplicati, dal tablet allo smartphone, consentendone la mobilità. In questa ottica, a differenza del cinema, la serialità televisiva, come la lancetta di un orologio al quarzo, scandisce la narrazione in episodi, determinandone una trasmissione, e quindi una fruizione, discreta. Ma se non siamo più noi a inseguire il tempo ma il tempo che ci insegue, allora ecco che per andargli dietro nasce il fenomeno del binge racing, ovvero quell’evoluzione del binge watching per il quale si guarda tutto d’un fiato un’intera serie tv, spesso fatta di molte stagioni. Questa modalità di fruizione è praticata prevalentemente sulle piattaforme televisive, in cui gli episodi delle serie TV vengono rilasciati insieme simultaneamente. La percezione del tempo negli scacchi contemporanei: velocità, digitalizzazione e spettacolarizzazione Università Milano-Bicocca, Italia Nel suo articolo Time to Play: The Temporal Organization of Chess Competition, pubblicato più di un decennio fa (2012), Gary Allan Fine esplora come la gestione del tempo strutturi l’esperienza degli scacchi, evidenziando la tensione tra riflessione strategica e pressione temporale. Da allora, questa tensione si è evoluta radicalmente grazie alla digitalizzazione del gioco, che ha trasformato la percezione e l’organizzazione del tempo negli scacchi contemporanei. Le piattaforme digitali come Chess.com e Lichess hanno introdotto formati sempre più rapidi, come le partite blitz (3-5 minuti per giocatore), rendendo il gioco non solo più accessibile ma anche più dinamico. Questo abstract propone un’analisi di come tali cambiamenti stiano ridefinendo il rapporto tra tempo, competizione e fruizione sociale degli scacchi. Il podcasting come spazio di rallentamento nell’era dell’informazione accelerata Università degli Studi della Tuscia, Italia Nell’era dell'accelerazione sociale (Rosa, 2015) e del presentismo mediatico (Hartog, 2003), l’informazione è spinta verso un costante bisogno di velocità e immediatezza, con la prevalenza di un consumo rapido e superficiale delle notizie. Social media e piattaforme digitali alimentano una spirale di frenesia informativa, in questi spazi digitali gli algoritmi favoriscono l’engagement e la viralità, a discapito dell'approfondimento critico (Canavese, Colombo, 2022). Infatti, il ciclo di notizie 24/7, alimentato dalla convergenza tra giornalismo tradizionale e nuove piattaforme digitali, impone un ritmo incessante che penalizza la qualità dell’analisi e della comprensione (Boccia Artieri, 2012). In questo contesto il podcasting emerge come spazio alternativo, offrendosi come possibilità nuova rispetto alla logica dell'informazione istantanea, e favorendo una riflessione più lenta, ponderata e significativa. Questo lavoro esplora come il podcasting agisca da strumento di "resistenza mediatica", proponendosi come un ri-allineamento a delle modalità di fruizione consapevoli e come alternativa mediale all’iper-accelerazione dell’informazione. Si sostiene che, attraverso modalità di narrazione più distese, il podcast sia capace di offrire esperienze di ascolto che pongano l’accento sulla complessità e la profondità dei temi trattati. Il contributo si concentra sul ruolo del podcasting nella creazione di spazi di “decelerazione” temporale e cognitiva. Particolare attenzione sarà data alla capacità dei podcast investigativi e narrativi di proporre forme alternative di informazione rispetto ai media mainstream e ai social media, stimolando una fruizione più consapevole e intenzionale. Attraverso casi studio significativi, il lavoro esplorerà come il podcasting non solo rappresenti uno strumento di divulgazione, ma un vero e proprio dispositivo che riorganizza il tempo mediale, favorendo un’esperienza di consumo più profonda e meno reattiva. Metodologicamente, l’analisi si avvarrà di un approccio qualitativo, includendo un'analisi semiotica dei contenuti e dei formati dei podcast, con particolare attenzione alla costruzione della temporalità nei prodotti audio digitali. Sarà adottata una prospettiva socio-comunicativa che considera la relazione tra tecnologie digitali e la ristrutturazione dell’esperienza mediale (Couldry, 2012; Fuchs, 2021). L’approccio mirerà a esaminare come il podcasting, lontano dalla logica della viralità e della frenesia digitale, possa favorire forme di consumo critico dell’informazione, proponendo alternative al consumo passivo che domina la contemporaneità. I podcast utilizzati all’interno dell’analisi sono "E poi il silenzio. Il disastro di Rigopiano" e “Indagini”. Il primo è un podcast investigativo realizzato da Pablo Trincia, che esplora il disastro di Rigopiano, analizzando le dinamiche e le implicazioni di una tragedia che ha scosso l’Italia. Il podcast adotta una narrazione profonda e riflessiva, distaccandosi dalla frenesia informativa e offrendo uno spazio per l’approfondimento e la comprensione dei fatti. Il secondo, “Indagini”, è un podcast del quotidiano online Il Post, scritto e narrato da Stefano Nazzi, che approfondisce casi di cronaca nera italiana una volta al mese. Questo podcast è un esempio di come il formato audio possa servire a esplorare crimini complessi e le sue implicazioni sociali in modo dettagliato e riflessivo, lontano dal consumo rapido e spettacolarizzato tipico dei media mainstream. Le domande principali che guideranno questa ricerca sono: Quali pratiche e strategie permettono al podcast di sfuggire alla logica della viralità e dell’iperstimolazione? Come il podcasting può contribuire alla creazione di un rapporto più riflessivo e profondo con l’informazione in un’epoca di accelerazione cognitiva e sovrastimolazione mediatica? Queste domande pongono il lavoro all'interno del dibattito sulla crisi dell'attenzione e sul rapporto tra media digitali e percezione del tempo, interrogandosi su come il podcasting possa ridisegnare la fruizione dell'informazione. Coolness Level Up. Sfide contemporanee dell’attrattività nei videogiochi Università Lumsa, Italia La cultura videoludica, intesa come l’insieme di pratiche discorsive, esperienziali e simboliche, si configura come un campo in continua evoluzione (Crawford, 2012). La sua pervasività nella società contemporanea ne fa un osservatorio privilegiato delle trasformazioni socioculturali e dei processi di mediatizzazione (Muriel & Crawford, 2018). In Italia, i videogiochi costituiscono un settore centrale dell’industria culturale, rilevante sia per l’impatto economico (Report IIDEA, 2024), sia per l'influenza sul piano del costume (Carbone e Fassone, 2020). Diversi studi (McKechnie-Martin et al., 2024; Dalisay et al., 2015; Stapleton et al., 2003) hanno indagato le motivazioni che guidano l’esperienza videoludica, concentrandosi sugli elementi che ne influenzano la fruizione. Sebbene non vi sia consenso al riguardo, alcuni identificano elementi quali la personalizzazione dell'esperienza (Streiche et al., 2015), la competitività (Vorderer, et al., 2003), e la gratificazione intrinseca (Kępka & Strzelecki, 2024) come determinanti per l'attrattività di un videogioco. In questo contesto, il concetto di coolness (attrattività), adottato negli studi sull'esperienza di fruizione di prodotti innovativi, aiuta a comprendere le dinamiche di percezione e adozione degli utenti. La coolness è una valutazione multidimensionale che integra utilità, appeal subculturale e originalità (Sundar et al., 2014), influenzando le percezioni degli utenti sia in chiave utilitaristica che edonistica (Kim et al., 2015). Questa ricerca, ****, analizza la percezione dell'attrattività dei videogiochi in Italia, identificando le dimensioni che intervengono nella relazione tra i giovani e le pratiche videoludiche. Lo studio, dunque, si propone di rispondere alle seguenti domande di ricerca: RQ1: Come si costruisce e si negozia l’attrattività dei videogiochi nel contesto culturale contemporaneo? RQ2: Quali dinamiche portano alla perdita della coolness di un videogioco e in che modo si ridefinisce il suo valore simbolico e culturale? Sono stati condotti quattro focus group (Corrao, 2005) con un totale di 25 partecipanti, di età compresa tra i 14 e i 25 anni. Tre sono stati svolti in presenza, in Lombardia, Lazio e Sicilia, mentre uno, rivolto esclusivamente a soggetti minorenni, è stato realizzato online. L'analisi delle trascrizioni ha definito categorie relative alla coolness, evidenziando che alcune dimensioni si strutturano specularmente, con la loro presenza o assenza che contribuisce alla costruzione o decostruzione del concetto. L’asse centrale della coolness si sviluppa lungo cinque dimensioni, ognuna con elementi che ne favoriscono o ostacolano l’affermazione. Le esperienze di anticipazione giocano un ruolo cruciale, ad esempio, l’influenza familiare può contribuire alla costruzione della coolness, mentre un’eccessiva esposizione pubblicitaria può generare pregiudizi. Le emozioni rappresentano un altro fattore spesso definito come determinante, con l’identificazione tra utente e personaggio che rafforza la percezione di attrattività e, al contrario, la perdita di affezione che ne mina la solidità. L’esperienza di gioco, intesa come momento individuale o condiviso, può alimentare il senso di appartenenza attraverso la condivisione di una passione comune, ma può anche essere compromessa dalla tossicità della community. Le aspettative, se soddisfatte o superate, rafforzano la coolness, mentre la loro disattesa ne favorisce il declino. Infine, il rapporto con la vita offline gioca un ruolo chiave, lo sviluppo di un senso critico può consolidare la percezione di coolness, mentre l’evoluzione personale del giocatore può portare a una sua ridefinizione. Queste dimensioni offrono una prospettiva privilegiata per analizzare il videogioco come forma di consumo culturale significativo. Attraverso esse, è possibile comprendere i meccanismi di costruzione del valore sociale, mediante i quali determinate pratiche vengono legittimate o marginalizzate, contribuendo a definire mete più o meno desiderabili. Più in generale, questa analisi fornisce spunti per comprendere come le persone attribuiscono significato non solo all’esperienza videoludica, ma anche alle esperienze mediali in senso più ampio. |
10:30 - 12:30 | Sessione 4 - Panel 03: Crisi climatica e sostenibilità Luogo, sala: Aula Magna Baffi (A0-F) Chair di sessione: Paola Parmiggiani |
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Temporalità istituzionale e comunicazione ambientale: una sfida centrale per le culture della sostenibilità Università Cattolica del Sacro Cuore, Italia Temporalità istituzionale e comunicazione ambientale: una sfida centrale per le culture della sostenibilità Nel processo di implementazione dello sviluppo sostenibile incarnato nell'Agenda 2030, la comunicazione istituzionale sul piano locale svolge un ruolo essenziale nell’armonizzare le diverse percezioni della sostenibilità con le tempistiche proprie delle istituzioni (Weber, 1922) e delle crisi ambientali. Il concetto di "ultimo miglio" rappresenta la fase finale di questo flusso comunicativo, in cui le informazioni fluiscono dalle istituzioni locali ai cittadini per favorire il compromesso tra le diverse rappresentazioni sociali e culturali legate alla sostenibilità (Moscovici, 1981; Fisher et al, 2018). Il discorso istituzionale tende a dichiarare l’ingaggio comunicativo della cittadinanza come prioritario. Tuttavia, lo sguardo etnografico sulla cultura istituzionale locale evidenzia come la messa in forma di tale flusso comunicativo sia influenzata dall’interazione conflittuale di una molteplicità di temporalità eterogenee. La letteratura sulle crisi ambientali sottolinea l'importanza di risposte immediate per limitare i danni ecologici ed economici (Lundgren et al, 2015; Gunderson & Holling 2002). Al contrario, le risposte istituzionali spesso non risultano in grado di tenere il passo con la velocità del degrado ambientale (Jurin, 2010), a causa delle specifiche temporalità da un lato dei decisori (legata, nei paesi democratici, tipicamente a cicli elettorali) e dall’altro delle burocrazie che concretamente animano le istituzioni. In tal senso, le problematiche ambientali si configurano come processi che si sviluppano su scale temporali incompatibili con la reattività delle istituzioni e con la ricerca del consenso (Howlett, 2020). La ricerca si concentra quindi sulla seguente domanda: quali fattori interagiscono con queste temporalità abilitando o ostacolando l’efficacia della comunicazione istituzionale ambientale sul piano locale? Il presente studio esamina il caso di Brescia, e specificamente della bonifica del Sito di Interesse Nazionale Caffaro, ex-area industriale pesantemente contaminata. Il processo della bonifica, progetto controverso dalla durata ormai ventennale, vede una pluralità di stakeholder affrontarsi in molteplici arene politiche e comunicative. Fra esse, il saggio si focalizza sull'Osservatorio Caffaro, struttura partecipativa istituita nel 2021 dal Comune di Brescia per discutere le iniziative legate alla bonifica. Dal 2022, l’osservatorio sta cercando di mettere in forma una strategia comunicativa di “ultimo miglio” rivolta alla cittadinanza: tale processo è risultato significativamente controverso e conflittuale, e su di esso si focalizza il caso di studio. In particolare, l’analisi si concentra sul coinvolgimento degli stakeholder (Dryzek, 2005; Putnam, 2000), l'uso dei media digitali (Bartoletti et al, 2016), la trasparenza istituzionale (Istrate, 2022) e i processi di costruzione del consenso (Turnhout et al, 2010). Per rispondere alla domanda di ricerca, il saggio adotta in prospettiva diacronica un approccio metodologico multilivello, combinando osservazione partecipante, analisi di materiali comunicativi (report, linee guida, politiche), e interviste con attori chiave (decisori politici, funzionari, membri della comunità). I risultati mettono in luce come l’efficacia degli oggetti comunicativi analizzati risulti pesantemente influenzata dalla discrasia tra le diverse temporalità in gioco – anche a prescindere dalle azioni specificamente rivolte verso di essi dai portatori di interesse. Ciò ha finito non soltanto per rallentare la costruzione di un consenso tra gli stakeholder atto a dare una forma definitiva all’oggetto di comunicazione e a definire immaginari condivisi; ma ha anche determinato le concrete forme degli oggetti comunicativi e la loro disseminazione. Questo studio contribuisce, quindi, a una riflessione più ampia sulle dinamiche di adattamento delle istituzioni pubbliche alle sfide della sostenibilità, suggerendo che la comunicazione ambientale non possa essere concepita come un processo lineare, bensì come un'arena di negoziazione continua tra vincoli strutturali e opportunità di coinvolgimento attivo della cittadinanza. Contro le snack news: il giornalismo a fumetti e la crisi climatica, tra racconto lento e tempo profondo Università di Bologna, Italia Secondo Gottschall (2022), fra i motivi che possono spiegare la lenta risposta dell’umanità al riscaldamento globale va annoverato il fatto che si tratta di una storia raccontata male. In Italia, la tendenza di quotidiani, telegiornali e account Instagram di agenzie di informazione a coprire la questione climatica quasi esclusivamente in occasione di eventi estremi di prossimità o dell’annuale Conferenza delle Parti per il Clima (Osservatorio di Pavia 2024), fa sì che la crisi climatica si perda tra un’emergenza e l’altra (Pacini 2022). Ad essere poco tematizzate sono soprattutto le sue cause e le possibili soluzioni. I limiti di questo racconto non riguardano solo il fatto che il cambiamento climatico sia talvolta deliberatamente taciuto, o raccontato in maniera parziale, da testate e agenzie votate all’ostruzionismo climatico (Brulle et al. 2024), ma anche che esso sfidi alcune delle tradizionali categorie di notiziabilità. Da un lato, le routine giornalistiche sono «attrezzate per trattare “eventi” intesi come “rotture” o momenti distinti nel tempo e nello spazio» (Bødker & Morris 2022: 2) e si basano su una concezione del tempo “stretta” sul presente (Adam 1998); dall’altro, in contrasto con tutto ciò che “fa notizia”, il cambiamento climatico si presenta come una “violenza lenta”, dispersa nel tempo e nello spazio (Nixon 2011). Il cambiamento climatico pone dunque delle sfide al suo racconto anche o soprattutto per una questione di scala, spaziale e temporale, implicando di raccontare fenomeni interconnessi sul lunghissimo periodo e contemporaneamente a varie latitudini (Hulme 2017; Morton 2018). Decentrando lo sguardo dall’informazione mainstream, un’opportunità interessante per il racconto del cambiamento climatico è quella offerta dal graphic journalism, un giornalismo non interessato alle breaking news, che propone un ritorno all’approfondimento e che richiede una lavorazione più dilatata in fase di produzione e un consumo più lento e “impegnato” da parte dei lettori (Duncan et al. 2016; Syeda & Heeba 2018; Brancato 2020). Grazie alla particolare combinazione di struttura narrativa e potere visivo, il fumetto è riconosciuto come uno strumento particolarmente adatto a rappresentare la simultaneità dell’intreccio della vita quotidiana tra luoghi, storie e scale temporali diverse (Forde 2022), agendo come un dispositivo di “scalatura” o “focalizzazione” (Sou 2022). Con questo paper ci proponiamo di esaminare i limiti e le opportunità che il giornalismo a fumetti offre al racconto della crisi climatica prendendo come caso di studio La Revue Dessinée Italia. Attraverso un’analisi qualitativa del contenuto testuale e visuale di un corpus di 16 articoli sulla crisi climatica, pubblicati in 10 numeri de La Revue Dessinée Italia tra il 2022 e il 2024, e interviste allo staff editoriale della rivista, intendiamo esaminare se e quali lacune dell’informazione mainstream questo formato permetta di colmare relativamente al racconto multiscalare delle dimensioni scientifiche, sociali e politiche della crisi climatica. I risultati rivelano come la rivista comunichi efficacemente le cause, le conseguenze e le soluzioni del cambiamento climatico attraverso storie che raccordano la dimensione locale con quella locale del fenomeno, orientate all’azione, e che connettono in maniera intersezionale la difesa dell’ambiente alle questioni di giustizia sociale. Partecipazione e comunicazione nel volontariato civico di emergenza. Una ricerca-azione europea nel progetto Cerv-See Università di Roma Tor Vergata, Italia Da più fronti emergono evidenze che assottigliano i margini di efficacia degli interventi possibili in risposta alla crisi climatica (Hu, Hewitt, 2024; Spano et al., 2020). Si pensi ad esempio alle recenti alluvioni verificatesi a Valencia e in Italia e alle loro drammatiche conseguenze. Le difficoltà nella preparazione della popolazione da un lato e le poche azioni di prevenzione dall’altro conducono alla necessità sia di un’analisi degli scenari per l’implementazione e l’avvio di processi che sappiano favorire il coordinamento dell’azione collettiva e situata sia un lavoro di engagement civico più ampio ed articolato. In tal senso emerge l’importanza della svolta partecipativa registrata nell’ultimo decennio, che ha segnato stili di volontariato più diversificati, fluidi ed episodici anziché a lungo termine e ad alto impegno (McLennan et al., 2016, Strandh, 2019). Questi risultano del tutto coerenti con l’impianto di una società in cui la partecipazione è sempre più informale e contestualizzata per tema in relazione alle sensibilità individuali, vincolate a una contrazione della coesione sociale e della solidarietà collettiva (Couldry, 2024). Una tale frammentazione restituisce la multidimensionalità del concetto di partecipazione, che affonda le sue radici proprio nell'intima motivazione personale (Bucholtz et al., 2024). Sebbene i cittadini siano riconosciuti come i primi soccorritori in un’emergenza (Helsloot, Ruitenberg, 2004), la svolta partecipativa pone di fronte: 1. all’inevitabilità delle azioni volontarie, ossia estranee e inesperte, ma complementari e di supporto alla risposta ufficiale di organizzazioni governative e non (Paciarotti et al., 2018), 2. all'importanza di connessioni territoriali e relazionali pregresse e aggiuntive alla mobilitazione, influenti sulla spinta altruistica individuale, richiedendo una migliore integrazione degli sforzi (Nissan et al., 2021). Inoltre, questa svolta partecipativa suggerisce di adottare un approccio civic-centred, capace di includere i volontari spontanei nel disegno di piani di intervento macro-locali insieme a istituzioni ed enti (Daddoust et al., 2021). Se da un lato la sfida riguarda la capacità di coinvolgere, motivare e massimizzare il potenziale dei volontari informali da parte degli enti non govervativi (Arnon et al., 2022), spesso con risorse circoscritte e culture organizzative rigide (Massa, Comunello 2024); dall’altro la condivisione delle conoscenze e il sostegno continuo ai membri della comunità nelle fasi emergenziali sempre più beneficia dei canali digitali attraverso processi di negoziazione e partecipazione, specie di tipo istituzionale (McCosker et al. 2024). Considerando che i processi di preparazione e prevenzione della popolazione nella sua totalità faticano a penetrare i meccanisimi di protezione civile (Volterrani, 2021), l’accompagnamento di questi processi e l’armonizzazione degli sforzi spontanei e istituzionali è l’obiettivo del presente lavoro. Interno al Progetto ****, tuttora in corso, e riguardante Germania, Slovenia, Italia, Francia e Grecia, lo studio mira a co-costruire framework di intervento emergenziali in risposta alla crisi climatica europea e situati, a partire dai bisogni dei territori, interrogandosi circa: a. sfide, opportunità e rischi della prospettiva grounded; b. approcci, temi e resistenze a livello nazionale e comparato. L’impianto metodologico della ricerca-azione adottato (Whitehead, 2009, Anderson, McLachlan, 2016, Bradbury, 2024) consta di tre fasi: 1. sessione partecipativa con le associazioni coinvolte e familiarizzazione con le metodologie, 2. coinvolgimento del territorio (circa 60 interviste con volontari formali e informali), 3. cinque incontri civici partecipati con le istituzioni locali, impiegando world cafés e fish bowls. I risultati preliminari evidenziano come postura e percezione delle associazioni siano dirimenti per promuovere connessioni più profonde tra cittadini e gestione delle emergenze. L’esperienza di una sorta di dissonanza ontologica (St.Pierre, 2017) rispetto al proprio modus operandi permette di comprendere la rilevanza della miscellanea delle competenze quale punto di arrivo per costruire nuovi piani di azione in un percorso di condivisione continuo. Guadagnare tempo. Nudge e comunicazione pubblica per prevenire il rischio e praticare la sostenibilità 1Università di Camerino, Italia; 2Università degli studi di Macerata, Italia Di fronte alle nuove sfide globali, dai cambiamenti climatici alle crisi sanitarie, si fa sempre più necessaria una comunicazione pubblica credibile, efficace, pervasiva sui temi del rischio e, più in generale, sulle questioni relative all’ambiente e alla sostenibilità. La ricerca che si intende presentare individua un particolare strumento, quello dei nudge - le “spinte gentili” –, sia analogici che digitali, come nuovo territorio nel quale innestare un'alternativa comunicativa che può tentare di disinnescare le criticità relative ai tempi di crisi e di emergenza, lavorando sulla prevenzione nei periodi di pace e migliorando comunque la risposta collettiva a crisi sanitarie e ambientali in un ecosistema multirischio. Nello specifico, vengono presentati i risultati di una ricerca sull’applicazione dei nudge nella comunicazione pubblica istituzionale, prendendo in considerazione casi studio nazionali e internazionali, in ottica di salute estesa e globale, includendo esempi significativi legati alla pandemia da COVID-19, altri in cui viene contrastato il rischio ambientale (come il piano Day Zero per la gestione della siccità a Città del Capo, il Palau Pledge per la conservazione dell’ecosistema e contrasto al turismo dannoso, e il programma Clean India Mission per la salute/igiene pubblica), fino ad alcuni casi relativi al miglioramento della qualità della vita in ambito urbano. La ricerca ha avuto l’obiettivo di esplorare i “livelli di spinta” impiegati nei diversi nudge nel tentativo di colmare il fabbisogno comunicativo necessario per riequilibrare la distanza fra rischio reale e rischio percepito, e per raggiungere l’impatto desiderato anche in termini di sostenibilità a più livelli (economica, ambientale, sociale), dimostrando l’efficacia delle politiche comunicative basate su questo tipo di strumenti. La metodologia utilizzata è di tipo quanti-qualitativo. In una prima fase sono stati selezionati 18 casi di applicazioni di nudge e si è proceduto con un’analisi esplorativa che evidenziasse obiettivo, strategie comunicative e architettura/euristica impiegata, utilizzando le tipologie indicate in letteratura. In una seconda fase è stato assegnato a ciascun nudge un punteggio su scala da 1 a 5 (dove 1=minimo e 5=massimo) sia per la variabile del “Livello di rischio percepito” sia per quella dell’”Impatto” (collaborazione X frequenza del nudge): attraverso l’analisi della relazione tra queste due dimensioni, si è valutato il livello di spinta necessario per raggiungere i livelli di sostenibilità auspicati (economica, ambientale, sociale). I risultati hanno dimostrato come, in situazioni a differenti livelli di rischio percepito, all’aumentare della spinta del nudge cresce la consapevolezza del rischio reale e anche l’impatto sulla popolazione e sul territorio, con un corrispondente posizionamento crescente sulla scala della sostenibilità. Da una mera sostenibilità economica, relativa ai costi, si può spingere i territori, le popolazioni, i cittadini a mantenere nel tempo qualità e riproducibilità delle risorse naturali, fino a raggiungere una sostenibilità sociale, intesa come capacità di garantire benessere umano in modo equo. La ricerca dimostra anche come coinvolgendo attivamente le comunità nella gestione del rischio, promuovendo soluzioni innovative e sostenibili per affrontare le sfide contemporanee, si possa superare la dittatura del tempo. Comunicare la lentezza nell’epoca dell’accelerazione: il caso della moda sostenibile Università Cattolica del Sacro Cuore, Italia Nella complessità dell’età contemporanea (Morin, 1993) coesistono processi che si sviluppano in direzioni divergenti. Da un lato, la digitalizzazione ha accelerato i ritmi sociali (Rosa, 2013), trasformando il mondo produttivo e i tempi di fruizione dei contenuti: la quantità di informazioni è cresciuta esponenzialmente, spingendo le strategie comunicative verso formati rapidi che privilegiano messaggi brevi, immagini e contenuti facilmente condivisibili (Meikle, 2016; Bessarab et al., 2022). Dall’altro, si è affermata una crescente attenzione alla sostenibilità, stimolata sia da iniziative istituzionali – come l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (2015) – sia da movimenti sociali come Fridays For Future, che promuovono una transizione ecologica non solo tecnica, ma anche culturale (Spini, 2023), enfatizzando valori di lentezza, riflessività e consapevolezza (Casalegno et al., 2022). Questi orientamenti contrastanti generano inevitabilmente frizioni, evidenti soprattutto in alcuni campi, tra cui quello della comunicazione della sostenibilità (Kapoor et al., 2021): come trasmettere un messaggio che invita a rallentare, a soffermarsi e a riflettere, in un ecosistema dominato dalla velocità e dalla frammentazione? Per indagare la tensione tra spinta alla digitalizzazione e spinta alla sostenibilità, il nostro studio si è concentrato sul settore della moda. In questo ambito, la componente comunicativa ha sempre rivestito un ruolo di primo piano, sia per ragioni di marketing, sia per la costruzione di significati e valori (Kalbaska et al. 2018); con la spinta alla digitalizzazione e l’avvento delle piattaforme di social networking, le dinamiche comunicative hanno però subito una profonda trasformazione: i tempi di diffusione e il formato dei contenuti si sono evoluti, evidenziando il ruolo chiave degli influencer (Uzunoğlu & Kip, 2014). Parallelamente, la sostenibilità – un tempo marginale – ha guadagnato crescente rilevanza, alimentata da campagne come Detox My Fashion di Greenpeace (2011) e dal movimento Fashion Revolution, nato nel 2014, in seguito al tragico crollo del Rana Plaza di Savar, in Bangladesh, verificatosi l’anno precedente. Il presente contributo indaga la comunicazione della sostenibilità nel settore della moda analizzando il posizionamento di 25 content creator attivi nella moda sostenibile, mediante interviste semi-strutturate condotte tra il 2022 e il 2025 (Adeoye‐Olatunde & Olenik, 2021). I partecipanti – 22 donne e 3 uomini – sono stati selezionati tra chi gestisce un blog o un profilo Instagram/TikTok con almeno duemila follower. Le interviste hanno evidenziato una distinzione tra influencer e content creator, ampliando risultati già presenti in letteratura (es. Jacobson & Harrison, 2022): mentre gli influencer tendono a orientarsi verso logiche di mercato e monetizzazione, i content creator si vedono più come divulgatori, ritenendo incompatibile il modello tradizionale di influencer con i valori della moda sostenibile. Alcuni rifiutano collaborazioni retribuite per preservare la propria indipendenza, sebbene ciò impedisca loro di trasformare l’attività in una professione stabile, costringendoli a svolgere altre attività lavorative. Inoltre, l’elevato ritmo di pubblicazione imposto dalle piattaforme social acuisce la tensione tra l’interesse per la sostenibilità e la capacità di tradurlo in uno stile di vita coerente, soprattutto in termini di gestione del tempo, dello stress e del benessere quotidiano (Hoose & Rosenbohm, 2024). Queste dinamiche sembrano sollevare interrogativi più ampi sulla compatibilità tra digitalizzazione e sostenibilità. Il concetto di twin transition (Christmann et al. 2024), che auspica una trasformazione simultanea verso un futuro digitale e sostenibile, risulta problematico: le logiche di accelerazione e immediatezza tipiche del digitale sembrano contrapporsi ai principi di lentezza e riflessività propri della sostenibilità, rischiando di sacrificarla. In conclusione, l’analisi della comunicazione della moda sostenibile rappresenta un caso emblematico di due tensioni divergenti presenti nella società contemporanea. Il settore moda si configura come un laboratorio privilegiato per comprendere il rapporto tra digitalizzazione e sostenibilità, offrendo spunti di riflessione sulle possibilità e i limiti della comunicazione sostenibile nell’era dei social media. |
10:30 - 12:30 | Sessione 4 - Panel 04: Divulgazione e nuovi intermediari culturali Luogo, sala: Aula 5 (A1-D) Chair di sessione: Giovanni Ciofalo |
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Ogni attimo è prezioso: genitorialità e nutrizione nella fascia 0-2 nei contenuti dei/lle professionisti/e sanitari/e su Instagram Università Cattolica del Sacro Cuore, Italia Negli ultimi anni, anche a seguito della pandemia di Covid-19, si è assistito a un forte aumento di contenuti divulgativi e di ricerche sui social media inerenti ai temi della salute (Ducci et al., 2022; Hodson et al., 2022). I genitori sono fra i target più esposti alla ricerca di informazioni e si registra una abbondante produzione di contenuti a loro dedicati (Ifroh & Permana, 2022). In particolare, nella fascia 0-2 anni, allattamento e svezzamento costituiscono due momenti di passaggio legati alla sfera della nutrizione che richiedono a madri e padri di assumersi la responsabilità di effettuare scelte complesse e sembrano costituire un fulcro centrale nella costruzione dell’immaginario del buon genitore (Doonan, 2022; Ristovski-Slijepcevic et al., 2010). Per rispondere a queste necessità, sui social media si sono affermati nuovi mediatori focalizzati sulla nutrizione, animati da obiettivi diversi ma non mutualmente esclusivi, fra cui branding, divulgazione scientifica, empowering dei genitori (Settle et al., 2023). Nonostante la rilevanza di questo ambito per la salute personale e collettiva, sono ancora pochi gli studi che indagano l’intreccio di questi temi. In tale scenario, questo studio mira a indagare come i contenuti divulgativi realizzati da professionisti/e sanitari/e su Instagram riguardo alla nutrizione nella fascia d’età 0-2 anni vengano mobilitati con strategie e obiettivi differenti (non necessariamente confliggenti) e contribuiscano a rappresentare le diverse fasi dello sviluppo nutrizionale, scandendo ritmi e momenti di passaggio. La ricerca si focalizza su un campione di 50 professionisti della nutrizione infantile composto da ostetriche, consulenti IBCLC, puericultrici, pediatri e nutrizionisti attivi su Instagram. Utilizzando Crowdtangle, sono stati raccolti 7170 post pubblicati nel periodo 1 luglio 2021-1 luglio 2024. L’analisi combina tecniche di Natural Language Processing (frequenze di parole e n-grammi, collocazioni) e analisi delle metriche (engagement, commenti) per individuare pattern e peculiarità nella comunicazione dei divulgatori. Infine, è stata effettuata una inductive thematic analysis del discorso e delle immagini su un sotto-campione selezionato di post. I risultati preliminari mostrano che la divulgazione effettuata dai/lle professionisti/e ha gli obiettivi di supportare i neogenitori (soprattutto le neomadri) nelle loro scelte, informarli su questioni ritenute chiave, sfatare luoghi comuni errati e promuovere la propria attività professionale. I contenuti scientifici (es. studi, ricerche) servono come fonti qualificate su cui costruire il piano editoriale. Le fonti vengono utilizzate con uno spirito anche critico, sottolineando la distanza fra le raccomandazioni evidenced-based e la complessità delle situazioni quotidiane che spesso richiedono negoziazioni e adattamenti. Ciò restituisce la percezione di un tempo compresso poiché, già dai primissimi giorni di vita, ai neogenitori è richiesto effettuare scelte di accudimento con impatti potenzialmente cruciali per lo sviluppo dei figli. L’obiettivo dei/lle professionti/e sembra, quindi, essere quello di rassicurare i genitori rispetto alle proprie responsabilità e alla conformità delle loro scelte all’immaginario del “buon genitore”, soprattutto in riferimento ai momenti e tempistiche di passaggio tra fasi della nutrizione. Essi fungono inoltre da coach per accompagnare le transizioni, traducendo le conoscenze scientifiche in consigli concreti per la gestione della quotidianità. L’analisi dei contenuti mostra però anche la tendenza a scardinare i tempi imposti dalla società, ad esempio adeguandosi ai tempi del/la bambino/a per interrompere l’allattamento e iniziare lo svezzamento. La fascia 0-2 anni emerge, quindi, come un tempo complesso. Da una parte è un tempo compresso, in cui è urgente valutare opportunità e fare le scelte migliori. Dall’altra è un tempo frammentato in diverse fasi (es. allattamento, sonno, svezzamento) in cui possono esserci problematiche e in cui possono inserirsi professionisti/e in qualità di coach. Rispetto ai temi della conferenza, il contributo mostra come i social media siano acceleratori del flusso informativo e contribuiscano a “decelerare” i ritmi imposti alla genitorialità. Adolescenti e misinformazione scientifica: Un approccio interpretativo alla comunicazione della scienza 1Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; 2Politecnico di Milano Negli ultimi anni il tema delle fake news ha ricevuto crescente attenzione nel campo dei media studies (Aïmeur et al. 2023). I media scholar hanno indagato, fra l’altro, il ruolo che i social media hanno nella circolazione della misinformazione (Ali et al. 2019); le caratteristiche formali della comunicazione fraudolenta online (Baptista & Gradim 2020); ma anche le contromisure per arginarne la diffusione, sia attraverso sistemi automatici (Shu et al. 2017), sia lavorando sulla literacy degli utenti (Dame Adjin-Tettey 2022). Soprattutto a seguito della crisi pandemica, il tema delle fake news legate alla scienza è stato fatto oggetto di attento studio (Pian et al. 2021). Qui, data la grande esposizione dei giovani ai social media, ci si è interrogati specificamente sulle vulnerabilità degli adolescenti rispetto alla misinformazione scientifica (Wang & Togher 2024, Siani et al. 2024). Tuttavia, tali indirizzi di ricerca fanno perlopiù riferimento a un paradigma comportamentista (Anderson 2021), che indaga gli effetti dei media in un ambiente sociale sempre più radicalmente mediatizzato (Tosoni 2021). Questo approccio esclude dall’analisi le pratiche interpretative dei soggetti, sottovalutando altresì l’importanza del contesto culturale in cui la misinformazione viene consumata (Lelo 2024). Tale limite è esemplificato dal concetto stesso di “fake news” (Krämer 2021): l’assegnazione aprioristica di uno statuto di verità limita l’indagine della ricezione di notizie da parte dell’audience – un lavoro interpretativo che andrebbe invece indagato empiricamente. Ci proponiamo, quindi, di adottare un approccio focalizzato sull’interpretazione che i soggetti hanno dell’informazione scientifica veicolata online, situando tale attività nel più ampio tessuto delle pratiche sociali quotidiane in cui i media sono coinvolti (Boczkowski et al. 2018). Questa prospettiva si inserisce nel filone di ricerca sulle audience (Moores 1993), con uno sguardo orientato specificamente verso la ricezione dell’informazione scientifica (Scheufele & Krause 2019). Inoltre, tiene conto del practice turn nei media studies (Couldry 2004), andando a eleggere come proprio oggetto di ricerca l’attività di ricezione dei contenuti informativi, concepita come una pratica interpretativa contestualmente situata (Schatzki 1996, Wagner & Boczkowski 2019). Assumendo questo approccio, intendiamo contribuire al dibattito sulla ricezione della misinformazione scientifica da parte degli adolescenti. I risultati che presentiamo sono frutto di una ricerca svolta in sei istituti superiori della Lombardia tra il 2022 e il 2023. Reclutando le scuole a partire da area geografica e percorso di studi, i metodi adottati comprendono: interviste semi-strutturate a testimoni privilegiati; discussioni nelle classi con studenti e due round di diari di consumo; infine, interviste semi-strutturate e focus group con alcuni studenti. I risultati evidenziano che:
In conclusione, i risultati non solo sottolineano come sia metodologicamente urgente costruire un ponte tra gli audience studies e gli studi sulla misinformazione scientifica, ma, evidenziando rischi fin qui sfuggiti a un approccio comportamentista, aprono a nuove prospettive per il contenimento del fenomeno – la ricerca ha infatti prodotto un modulo formativo per le scuole superiori. Chi informa sulla scienza? Canali, mediatori e fiducia nel contesto italiano Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Italia In un contesto di accelerazione e pluralizzazione delle fonti di informazione, i modi in cui le persone accedono al sapere scientifico sono cambiati, così come i mediatori a cui si rivolgono. Ciò ha implicazioni rilevanti per la comunicazione della scienza, che deve confrontarsi con nuove dinamiche di legittimazione e diffusione della conoscenza. Il presente intervento riporta i principali risultati di una survey CAWI condotta su un campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne (N=1000) tesa a indagare i principali canali e mediatori di informazione scientifica, la loro percezione da parte degli utenti, e la loro relazione con la diffusione di specifici orientamenti nei confronti della scienza. In particolare, oltre alla frequenza d'accesso a canali e mediatori e alla loro valutazione, sono state rilevate fiducia nella scienza (scala Trust in Science semplificata - Plohl & Musil, 2021), populismo scientifico (scala SciPop - Mede et al., 2021) e scientismo epistemico ingenuo (selezione della Scientism Scale - Lukić & Žeželj, 2023). Questi due ultimi orientamenti, oggetto d’attenzione crescente nella letteratura specializzata, consistono il primo in una diffidenza verso l’autorevolezza della comunità scientifica concepita come collusa con i poteri economici e politici contrapposta agli interessi del “popolo” ; il secondo, in una fiducia nella scienza basata su una concezione ingenua della validità del sapere scientifico come intrinsecamente non controverso e immutabile nel tempo. I canali indagati sono stati aggregati in quattro gruppi: scientifici specialistici (pubblicazioni accademiche e siti web scientifici), divulgativi specializzati (libri divulgativi, enciclopedie cartacee e digitali, manuali scolastici, podcast scientifici), generalisti (giornali digitali, giornali cartacei, radio, televisione), social (social media e messaggistica). Tali tipologie mostrano un’associazione significativa con attitudini verso la scienza dei loro fruitori. I media social sono ad esempio associati a un aumento significativo del populismo scientifico (r=.42, p<0.01) e a una diminuzione della fiducia nella scienza (r=-.29, p<0.01). Parallelamente, i media divulgativi (enciclopedie, (r=.15, p<0.01) mostrano una correlazione leggermente più forte con aumento dello scientismo ingenuo rispetto ai media generalisti (r=.13, p<0.01), suggerendo una potenziale vulnerabilità delle pratiche di divulgazione. Per quanto riguarda i mediatori, invece, quelli che vengono indicati più frequentemente come risorse informative sono - in ordine - divulgatori, scienziati, istituzioni di ricerca, giornalisti scientifici, insegnanti, istituzioni pubbliche, gente comune e infine influencer. Non sempre però il posizionamento in tale classifica riflette anche i giudizi di affidabilità e direttività. Da questo punto di vista emergono tre gruppi principali di mediatori: 1) affidabili non direttivi (istituzioni di ricerca, scienziati, divulgatori e insegnanti), che godono di alta fiducia senza essere percepiti come persuasivi; 2) affidabili direttivi (giornalisti scientifici, istituzioni pubbliche), a cui oltre a fiducia è riconosciuta anche una certa direttività della comunicazione; 3) inaffidabili persuasivi (gente comune, influencer), caratterizzati da minore affidabilità e un livello medio-alto di condizionamento percepito. Si può inoltre osservare come semplificazione non sia necessariamente sinonimo di chiarezza: i mediatori considerati più chiari sono anzi quelli che restituiscono la complessità delle tematiche affrontate e che forniscono strumenti per l’approfondimento autonomo. In tal senso spiccano scienziati, divulgatori e istituzioni di ricerca, seguiti da giornalisti scientifici e insegnanti. Nel complesso questi risultati non solo mostrano il legame tra fruizione mediale e attitudini verso la scienza, ma evidenziano anche peculiarità, e a volte potenziali vulnerabilità, del sistema di mediazione scientifica nel contesto italiano. Divulgazione scientifica e transmedialità: il caso Jacopa da Cencelle tra archeologia, digital humanities e worldbuilding Sapienza Università di Roma, Italia I processi pervasivi di convergenza, digitalizzazione e deep mediatization (Hepp 2020), che caratterizzano l’ecosistema della comunicazione, influenzano e ridefiniscono anche i diversi ambiti della ricerca scientifica. In particolare, l’adozione di nuovi formati mediali sta trasformando le modalità di divulgazione, informazione e intrattenimento, creando un contatto più diretto con il pubblico. Questo paper analizza un caso di studio in cui si intrecciano tre elementi chiave: l’innovazione nelle pratiche di divulgazione dei beni culturali (con un focus sull’archeologia), l’integrazione di tecnologie avanzate per migliorare l’interazione con gli utenti e il ruolo della comunicazione istituzionale universitaria (con specifico riferimento a Sapienza Università di Roma). Il caso analizzato è Jacopa da Cencelle: una storia virtuale di vita e salute femminile nel Medioevo, un progetto che mira a sensibilizzare il pubblico sull’interazione tra stili di vita, ambiente e benessere bio-psico-sociale. In particolare, all’interno del Museo di Storia della Medicina della Sapienza Università di Roma è stata allestita un’ala in cui i visitatori possono osservare i reperti del Grande scavo archeologico di Sapienza nella città medievale di Cencelle, fondata nella metà del IX secolo, localizzata nel territorio del comune di Tarquinia (VT). Tra questi l’elemento principale della mostra è uno scheletro di una donna di 35 anni, vissuta intorno al 1300, la cui figura è stata ricostruita narrativamente nel personaggio di Jacopa. Quest’ultima guida i visitatori attraverso video in realtà aumentata e realtà virtuale. Inoltre, il progetto include un videogioco divulgativo e un fumetto, entrambi accessibili anche online. L’intero progetto assume la forma di una narrazione transmediale (Leonzi 2022) pensata per la divulgazione scientifica, con l’obiettivo di intercettare diversi tipi di pubblico: dagli accademici agli appassionati. I contenuti sono progettati con approcci diversificati, oscillando tra rigore scientifico e modalità più immersive e interattive, adattandosi ai diversi canali di accesso e contribuendo a creare un’interfaccia transmediale per la divulgazione (Ciammella et al. 2019). Partendo da queste premesse, è stata condotta un’analisi qualitativa sui contenuti prodotti, al fine di tracciare le linee narrative che delineano il worldbuilding del progetto (Wolf 2012). Sono emerse due principali narrazioni: la prima, scientifica e divulgativa, legata alla storia archeologica della città di Cencelle; la seconda, istituzionale, connessa al progetto stesso e al brand Sapienza. L’approccio transmediale (Ciammella 2024) adottato è stato analizzato in una prospettiva ecologica, ricostruendo la mappa dei canali utilizzati, l’evoluzione dell’universo narrativo attraverso gli elementi dello storyworld (Klastrup, Tosca 2018) e le pratiche comunicative che favoriscono l’interazione e la partecipazione del pubblico. A tal fine, sono state condotte delle interviste con testimoni privilegiati, tra cui i principal investigator del progetto e specialisti nei vari ambiti coinvolti (archeologia, biologia molecolare, storia, design digitale). L’analisi mette in luce e descrive i processi e le pratiche attivate in diversi settori scientifici al fine di costruire una narrazione condivisa per valorizzare la divulgazione scientifica. Questo modello può costituire una risorsa significativa nell’ambito delle digital humanities, soprattutto quando si intende rendere accessibile al pubblico la ricerca e promuovere pratiche di citizen science. Dal click alla fiducia: tempi e dinamiche delle scelte di salute degli/delle adolescenti sui social media 1Universitas Mercatorum, Italia; 2Sapienza Università di Roma, Italia; 3Ospedale Pedriatico Bambino Gesù, Italia L'uso diffuso dei social media tra gli/le adolescenti rende piattaforme come Instagram e TikTok centrali nel plasmare percezioni e comportamenti anche in materia di salute. La letteratura, soprattutto statunitense, evidenzia il ruolo dei social media nella diffusione tra gli/le adolescenti di contenuti su salute mentale, disturbi alimentari, sessualità e fitness (Freeman et al., 2023; Lupton, 2021; Plaisime et al., 2020; O’Reilly et al., 2019; Lim et al., 2014). Il contributo si focalizza sull’Italia, dove questo tema è ancora poco esplorato, e si inserisce negli studi che analizzano le pratiche di appropriazione dei social in relazione alla salute (Goodyear et al., 2019; Zhao e Zhang, 2017; Lovari, 2017), esaminando: 1) come gli/le adolescenti italiani/e usano i social media per accedere a contenuti sulla salute; 2) i criteri adottati per valutarne la credibilità; 3) come i contenuti digitali influenzino percezioni e pratiche quotidiane in riferimento alla salute. Il tempo è un elemento centrale nei processi di crescita, relazione e costruzione identitaria degli/delle adolescenti. Le scelte sui temi di salute, con conseguenze sul presente e soprattutto sul futuro, devono essere elaborate in relazione a bisogni, aspettative in un contesto digitale caratterizzato da accesso immediato a informazioni, modelli e stili di vita spesso effimeri e da una elevata circolazione di disinformazione. Lo ricerca, finanziata da un progetto di Ateneo Sapienza, si basa su 51 interviste semi-strutturate condotte nel 2023-2024 ad Aosta, Roma e Catania con adolescenti italiani/e (15-18 anni), appartenenti a differenti percorsi scolastici. Le interviste hanno esplorato l’uso dei social media per l’informazione sanitaria, i criteri di attribuzione della credibilità e i bisogni informativi. I dati sono stati analizzati tematicamente (Braun e Clarke, 2022) secondo un codebook sviluppato induttivamente in collaborazione con studentesse magistrali di Professioni sanitarie (Sapienza). I risultati mostrano come molti/e adolescenti non cerchino attivamente informazioni sulla salute ma vi si imbattono tramite contenuti suggeriti dalle piattaforme. I temi più ricorrenti includono fitness, disturbi alimentari e salute mentale. La ricerca evidenzia come, mentre la salute mentale sia un tema trasversale, tra i ragazzi prevalga l’interesse per il fitness e tra le ragazze emergono temi quali disturbi alimentari ed educazione sessuale. L’esposizione a questi contenuti ha effetti ambivalenti: alcuni/e adolescenti dichiarano di aver modificato abitudini quotidiane (es. bere più acqua, migliorare la postura), mentre altri/e esprimono scetticismo verso questi contenuti, soprattutto se promotori di standard corporei irraggiungibili. In un contesto digitale fortemente frammentato e volatile, il contributo analizza in che modo gli/le adolescenti costruiscono processi di fiducia che necessariamente richiedono tempi più lunghi. Gli/le intervistati/e dichiarano di attribuire credibilità ai contenuti sanitari online attraverso competenza e autenticità. La competenza è associata a figure professionali della salute, valutate in base a credenziali esplicite, al linguaggio tecnico e alla qualità percepita del contenuto. L’autenticità, invece, è riconosciuta a creatori che condividono esperienze personali che promuovono identificazione. La credibilità è in parte influenzata anche dalle metriche di interazione (like, commenti, condivisioni), percepite però in modo ambivalente: per alcuni, un alto engagement conferisce autorevolezza, mentre per altri è indicativo di contenuti costruiti per il consenso. Infine un elemento interessante che agisce su tempi più lunghi è il ruolo del contesto familiare nella mediazione della fiducia nei contenuti digitali: le opinioni genitoriali influenzano la percezione della medicina, rafforzando o indebolendo la fiducia nei contenuti social. Nello specifico, lo studio evidenzia che, oltre a fornire un quadro centrale di confronto e validazione dei contenuti sanitari online – talvolta caratterizzati da informazioni contraddittorie – la famiglia modella attivamente le opinioni degli/delle adolescenti, contribuendo a definire le modalità di attribuzione del significato ai contenuti social relativi alla salute. |
10:30 - 12:30 | Sessione 4 - Panel 05: Genere, media e piattaforme digitali Luogo, sala: Aula Magna ex Facoltà di Scienze Politiche (B0-B) Chair di sessione: Federico Boni |
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C'è ancora domani, e altri racconti. Un'analisi delle rappresentazioni della violenza sulle donne nel cinema italiano contemporaneo 1Sapienza Università di Roma; 2LUMSA Università, Roma Nel 2023, per la prima volta dopo anni, il campione di incassi nelle sale è un film italiano: C’è ancora domani, di Paola Cortellesi, storia di violenza domestica ambientata nell’Italia degli anni Cinquanta. Seppure con una diffusione non paragonabile, dal 2021 al 2024 sono più di una decina le produzioni cinematografiche nazionali con il plot incentrato sul medesimo soggetto. Dopo essere assunto al mainstream della politica e dell’attualità, il tema della violenza contro le donne ha dunque cominciato a penetrare la sfera culturale (Fornari 2018; Giomi 2019, Rossi & Capalbi 2022). Il cambiamento suscita interrogativi interessanti sul ruolo che media diversi giocano nel plasmare le percezioni sociali e rinnovare gli immaginari (Couldry & Hepp 2016). Infatti, se da una parte sembra essersi ormai affermata, almeno in certi livelli della società, la concezione che le violenze di genere sono un problema culturale (Peruzzi, 2022), e dunque che i media hanno un ruolo strategico nei processi di creazione e decostruzione degli stereotipi, d’altra parte è vero che le politiche di prevenzione e contrasto del fenomeno – sia quelle promosse da enti pubblici che privati – si sono concentrate quasi esclusivamente sulle campagne pubblicitarie. E se il persistere dei femminicidi e delle violenze è un monito costante a valutare l’efficacia di tali misure, studi recenti hanno evidenziato come proprio le comunicazioni dagli spot non siano esenti da messaggi controproducenti (Lombardi 2022). Sulla base di queste considerazioni, le autrici e l’autore della presente proposta si sono interrogati sul ruolo del cinema italiano nella lotta alla violenza contro le donne: Quali narrazioni diffonde il cinema italiano contemporaneo riguardo al tema della violenza di genere? Quali ricorrenze si rintracciano nei film italiani, in termini di identità e problemi narrati, di frame e stereotipi diffusi? Come rappresentano e come interpretano la violenza sulle donne i registi e le registe italiani? Quali differenze ci sono tra le rappresentazioni cinematografiche della violenze di genere e quelle di altri media? A rendere interessante lo studio delle narrazioni cinematografiche sono alcune caratteristiche specifiche del medium e dei suoi format. Innanzitutto, il cinema è da sempre un media leader nella produzione di immaginari. In secondo luogo, esso ha un rapporto privilegiato con la modernità, di cui da sempre partecipa alla costruzione rappresentando processi fondamentali. Ma soprattutto, il cinema è un long format, che nel panorama mediale contemporaneo, dominato dai tempi accelerati e dalle forme sincopate, si distingue proprio per i tempi estesi del racconto e la struttura articolata delle narrazioni. Infine, il cinema è una forma di arte pubblica, con una vocazione irrinunciabile al dibattito, che vive di storie individuali esemplari per stimolare alla riflessione collettiva. Il corpus di riferimento è costituito da 12 pellicole di (co)produzione italiana, estratte dalle classifiche annualmente rilasciate da Cinetel sui film più visti in Italia. In particolare, si è fatto riferimento alla classifica dei 100 film italiani più visti in ciascuno dei quattro anni di riferimento (2021-2024) in cui la violenza contro le donne è l’elemento centrale della trama. L’analisi qualitativa tematica ha mirato a rintracciare figure emblematiche e/o ricorrenti nella rappresentazione delle identità di genere, dei contesti e delle interazioni sociali, con particolare attenzione all’interpretazione dei significati da parte di uomini e donne, autori e vittime delle violenze, bystanders, familiari e istituzioni. Intimità (Digitali) in Divenire: il Sexting nella Formazione Identitaria e nella Relazionalità delle Soggettività Giovani Adulte Queer in Italia Università degli Studi di Padova, Italia Le intimità digitali si creano anche nelle pratiche di sexting. Nonostante l’interesse accademico e pubblico per il sexting, pochi hanno considerato l’impatto di questa pratica su soggettività adulte emergenti queer, evitando il panico morale. Questo lavoro mira ad ampliare la conoscenza sulle intimità digitali comprendendo come le persone queer danno senso alla loro sessualità digitale, identità, e relazionalità negli scambi di sexting attraverso performance/rappresentazione multimodale e agency delle soggettività nel fenomeno. Questo studio esplora le pratiche di sexting delle soggettività giovani adulte queer (18-35 anni) in Italia impiegando metodologie di ricerca creative, tra cui workshop di fanzine, in parallelo con focus group esplorativi e interviste in profondità con tecniche di body mapping, per indagare le intersezioni tra intimità digitale, corpo e soggettività queer. In un quadro metodologico in linea con una tradizione trasformativa, l’approccio dello studio sottolinea il valore della ricerca partecipativa e art-based nel cogliere le sfumature dell’intimità digitale, considerando anche gli aspetti etici della stessa ricerca, co-costruendo il Research Brave Space. Research Brave Space (RBS) è qui proposto come posizione metodologica etica in una ottica trasformativa che fornisce uno spazio in cui vengono accolte le possibilità e le dissonanze che potrebbero essere incontrate durante la ricerca. Questo approccio abbraccia l'etica della cura nella ricerca qualitativa, consentendo una co-produzione coraggiosa di conoscenza. Integrando questo tramite metodologie creative, lo studio contribuisce a dibattiti più ampi sul consenso, l’agency digitale e la relazionalità queer, promuovendo una comprensione del sexting che vada oltre il rischio, riconoscendone invece il potenziale trasformativo ed emancipatorio per le soggettività. I risultati sono stati analizzati tramite analisi tematica, per focus group e interviste, e con analisi socio-semiotica multimodale per i contributi di fanzine e body mapping. Nella ricerca, il sexting è concettualizzato dai partecipanti come una pratica consensuale e relazionale, basata sulla fiducia e sulla reciprocità, invece di uno scambio di contenuti sessuali mediato dalla tecnologia. Questa prospettiva sfida le comprensioni ciseteromononormative della sessualità, riconoscendo il sexting come un mezzo di auto-esplorazione, negoziazione identitaria e costruzione dell’intimità, che si estende oltre le tradizionali relazioni diadiche e le concezioni normative del corpo. I risultati indicano che il sexting funge da estensione dell’intimità fisica, consentendo alle persone queer di esplorare desideri, formare e rinforzare legami relazionali e costruire forme alternative di espressione sessuale in divenire. Viene sottolineato il ruolo fondamentale del consenso nelle pratiche di sexting, rifiutando l’idea che l’intimità digitale sia intrinsecamente rischiosa o scollegata dalle esperienze corporee. I contributi della fanzine offrono ulteriori elementi sulle dimensioni relazionali e politiche del sexting, illustrandone il ruolo nel sovvertire le aspettative normative e nel favorire l’agency e formazione di soggettività queer all’interno di ambienti digitali. Attraverso interviste in profondità con soggettività queer cisgender e gender diverse (trans/non-binary/gender-queer, ecc.), il sexting viene concettualizzato come uno strumento che permette l’interazione tra la fisicità del corpo e le sue dimensioni digitali, facilitandone la comprensione nel suo sviluppo. Questa ricerca evidenzia come il sexting non sia solo un mezzo di comunicazione intima, ma una pratica che intreccia desiderio, identità e relazionalità queer all’interno dei processi di crescita e formazione delle soggettività giovani adulte. Il sexting viene vissuto non solo come uno spazio di esplorazione e affermazione di sé, ma anche come una pratica che accompagna le trasformazioni identitarie nel tempo, adattandosi alle esperienze e ai percorsi di vita delle generazioni queer. In questo senso, il sexting si configura come un elemento dinamico delle culture giovanili, contribuendo a ridefinire le concezioni dell’intimità, del corpo e delle relazioni in un contesto digitale in evoluzione. Il corpo accelerato: retoriche della cura di sé tra performatività, mercificazione e controllo del tempo Università IULM Milano, Italia L’accelerazione dei ritmi di vita e l’urgenza della performatività si inscrivono nelle pratiche quotidiane attraverso una retorica che annulla le distinzioni tradizionali tra le età della vita (giovinezza, età adulta, vecchiaia), imponendo a ogni generazione una costante tensione verso l’efficienza e l’auto-ottimizzazione. In questo scenario, i social media, e in particolare Instagram, si configurano come dispositivi biopolitici che modellano la narrazione del corpo attraverso un’estetica della salute e della produttività. Attraverso un’analisi qualitativa del contenuto di un campione di 380 immagini raccolte su Instagram (nel primo trimestre 2025) mediante hashtag specifici (quali #salutebenessere, #benesserefemminile, #wellness, #wellnessjourney), la ricerca che abbiamo svolto evidenzia come il corpo—monitorato, performante, in salute e apparentemente immortale—diventi una risorsa strategica per il mercato, in cui la cura di sé non è più un’esperienza di consapevolezza, ma un imperativo rapido e prescrittivo, un pharmakon che risponde alla logica dell’efficacia immediata. Il corpo femminile, in particolare, emerge come un campo privilegiato di questa regolazione, sottoposto a un’intensa narrazione disciplinante che lo rende oggetto di consumo e strumento di valore produttivo, persino al di fuori della sfera lavorativa. Terapie ormonali, integratori, programmi di allenamento e consigli su come evitare l’invecchiamento delineano un racconto pervasivo in cui il controllo di sé diventa sinonimo di successo e adeguatezza sociale. In questo quadro, il tempo dedicato alla cura del corpo non è più un momento di pausa o di relazione, ma si configura come uno spazio mercificato, parte della logica neoliberale che esige un sé sempre performante e ottimizzato. Il corpo, modellato dai canoni estetici dominanti, diventa un elemento chiave nei meccanismi produttivi, al pari della conoscenza e dell’esperienza accumulata nella vita extra-lavorativa, capaci di generare valore aggiunto (Morini, 2010). La richiesta costante di cura da parte dei dispositivi produttivi influenzano direttamente le pratiche di auto-cura, che si traducono in medicalizzazione cronica (antidolorifici quotidiani), obbligo estetico (bella presenza) e potenziamento fisico (palestra forzata, integratori per il benessere) (Cavicchioli, Paravagna, Vignola, 2012). Come già avevano evidenziato Morini (2010, 2012) e Benasayag (2010), la salute non è solo un obiettivo, ma un dispositivo di governo che plasma le soggettività, indirizzandole verso pratiche di sorveglianza e automonitoraggio. L’analisi del campione di immagini Instagram mette in luce come, nell’ecosistema digitale, lo storytelling del benessere enfatizzi soluzioni rapide e prescrittive, rendendo la cura di sé un atto di conformità più che di autodeterminazione. I testi contenuti nelle immagini analizzate, si rivolgono a delle audience/soggettività chiamate a massimizzare il proprio tempo, interiorizzando l’auto-sfruttamento e trasformando ogni ambito della vita— compreso quello del benessere— in uno spazio di incessante ottimizzazione e valorizzazione (Chicchi, Simone, 2017), in linea con le logiche neoliberali e con i processi di sussunzione connessi al biocapitalismo (ossia a vantaggio del sistema capitalistico di aziende farmaceutiche, professionisti medici o del fitness) (Codeluppi, 2015). In questo modo, il corpo diventa merce e macchina produttiva, ridefinendo la relazione tra tempo, età e identità nell’era della performatività continua. Quando "Breast is Bad". La critica all'ideale del "Breast is Best" nei social media italiani Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Italia Gli spazi digitali dedicati alla genitorialità sono oggi il principale terreno di scontro delle mommy wars, dove l’abbondanza di informazioni disponibili alimenta un clima di reciproca sorveglianza tra genitori e intensifica i conflitti sulle pratiche educative (Abetz, Moore, 2018). In questo contesto di crescente polarizzazione, il dibattito sull'allattamento emerge come tema particolarmente divisivo. La contrapposizione emerge tra chi aderisce alle raccomandazioni sanitarie ufficiali a sostegno dell'allattamento al seno e chi rivendica la libertà di scelta a tutela del benessere materno. Il principio medico-scientifico del breast is best contribuisce a definire uno standard genitoriale normativo che iper-responsabilizza le madri, generando sensi di colpa in chi non allatta (Murphy, 1999). Questo contributo analizza il profilo Instagram Mamme a Nudo come esempio di contronarrazione che si oppone a questo paradigma. Il lavoro metterà in luce come tale contronarrazione possa, tuttavia, riaffermare, seppur in forme diverse, una nuova normatività materna attraverso le modalità comunicative adottate sulla piattaforma social. Mamme a Nudo si inserisce in un ampio contesto di critica alla maternità intensiva (Hays, 1996), di cui l’allattamento al seno, per il suo carattere impegnativo, costituisce una pratica chiave. Questo modello impone alle madri di dedicare ingenti quantità di tempo, risorse ed energie alla crescita dei figli, affidandosi agli esperti per prendere le migliori decisioni (Ennis, 2014). La dipendenza dal sapere esperto (Giddens, 1990) nella scelta del tipo di allattamento è accentuata nell’odierna società del rischio (Beck, 1992), che attribuisce alle madri un ruolo centrale nella gestione delle incertezze e dei pericoli per la salute infantile – inclusi i rischi connessi all’alimentazione (Afflerback et Al., 2013). Definendo l’uso del latte artificiale una pratica rischiosa, il discorso medico-scientifico consolida l'allattamento al seno come standard della buona maternità (Knaak, 2010; Murphy, 2000). Le madri che ricorrono alla formula sono dunque chiamate a giustificare tale decisione, negoziando fra gli imperativi della maternità intensiva e le loro esigenze quotidiane per preservare l’immagine di buona madre (Faircloth, 2010; Lee, 2008; Marshall et Al., 2007). All’interno del quadro delineato, questo lavoro intende rispondere ai seguenti quesiti: (RQ1) In che modo Mamme a Nudo articola la critica al discorso medico-scientifico dominante sull’allattamento, e attraverso quali pratiche affettivo-discorsive viene legittimato l'uso del latte artificiale? (RQ2) In che misura tale critica ristabilisce una normatività materna? (RQ3) In che modo la critica di Mamme a Nudo alle raccomandazioni sanitarie ufficiali, attraverso l'esibizione di studi scientifici alternativi, finisce per riaffermare l’autorità del sapere medico e consolidare il paradigma del rischio, continuando a iper-responsabilizzare le madri? Le domande di ricerca saranno indagate tramite il metodo dell’etnografia digitale (Hine 2015), prendendo in esame i contenuti sull’allattamento di Mamme a Nudo e contestualizzandoli all’interno del progetto. L’analisi parte dall’ipotesi di Pedersen e Lupton (2016), secondo cui gli spazi online dedicati alla maternità sono comunità di sentimento, dove le madri, attraverso pratiche affettive (Wetherell, 2012), costruiscono collettivamente le proprie idee di genitorialità (RQ1). Tuttavia, in un contesto di competizione e parent-blaming (Jensen, 2018), pratiche affettive come l'uso ironico del beta mothering (Syler, 2008) possono emergere come meccanismi per gestire il conflitto emotivo tra le proprie scelte e l’ideale della maternità intensiva (Jensen, 2013). La critica di Mamme a Nudo al principio del breast is best potrebbe rispondere a una simile necessità affettiva: deviare consapevolmente dalla norma dimostrando comunque la propria competenza genitoriale ma, al tempo stesso, riaffermando implicitamente il modello materno dominante (RQ2). Infine, il profilo rafforza la propria posizione attraverso studi scientifici che contraddicono le raccomandazioni mediche ufficiali. Si ipotizza, quindi, che Mamme a Nudo riformuli il concetto di rischio, includendo il benessere materno come variabile chiave, pur rimanendo all’interno dello stesso paradigma iper-responsabilizzante da cui vorrebbe allontanarsi (RQ3). La resistenza algoritmica come strumento di lotta contro la violenza di genere online e offline 1Sapienza Università di Roma, Italia; 2Link Campus University; 3Università degli Studi di Padova L’obiettivo dell’intervento è analizzare la violenza di genere digitale in Italia da una prospettiva transfemminista, identificando quali sono le forme di violenza di genere digitali, verso chi sono dirette, le strategie di contrasto intraprese e le possibili azioni da intraprendere. Punto di partenza dell’analisi è che la violenza digitale di genere, declinata nelle sue diverse forme (Henry et al. 2020), può essere contrastata più efficacemente attraverso pratiche che nascono dalla riflessione femminista sulla non neutralità delle tecnologie e dei network sociotecnici, inquadrando le modalità di resistenza al potere delle piattaforme, anche attraverso una resistenza algoritmica e ai sistemi di classificazione (Bonini e Treré, 2024; D’Ignazio e Klein 2023). Considerando queste premesse, l’analisi interseca due prospettive rispetto a tali forme di resistenza, una radicata nella riflessione sull’impatto delle comunicazioni digitali sulla dimensione temporale, l’altra nella continuità tra spazio digitale e fisico. Come sottolinea Jucker (2003), la comunicazione internet-based è caratterizzata da una nuova articolazione del sincrono e dell’asincrono. Le tecnologie espandono la potenzialità di comunicazione sincrona, riarticolando il linguaggio con forme scritte, verbali e visuali. Tuttavia, il messaggio resta disponibile per un tempo maggiore, agendo a distanza di tempo su chi lo riceve/visualizza, rispetto al momento in cui è agita l’intenzione di chi lo invia. Pertanto, il messaggio può essere oggetto di ricezioni multiple, modificato e cambiato in momenti diversi del proprio quotidiano, espandendo il proprio impatto temporale, in quanto svincolato dalle tradizionali restrizioni fisiche. Tale forma di espansione temporale e dematerializzazione della comunicazione agisce sulla seconda prospettiva di analisi rispetto alla violenza digitale. Molti studi sottolineano come quest’ultima comporta ripercussioni sui corpi di chi ne è vittima, evidenziando una continuità sociale e simbolica tra lo spazio digitale e quello fisico (Wilding & Critical Art Ensemble, 1998). Pertanto, i corpi stessi sono da considerarsi portatori di messaggi – dunque strumento di ri-materializzazione del messaggio – e al contempo spazi di lotta e territori di azione (Spíndola Zago, 2017), che intersecano spazi online/offline. Queste forme incorporate di resilienza e empowerment possono essere indagate da una prospettiva transfemminista delle tecnologie (Peña e Varon 2020; Fischetti e Torrano, 2024), consentendo l’identificazione di un discorso dominante della costruzione dell’identità e delle relazioni di genere online. Se le piattaforme, infatti, possono facilitare e dilatare nel tempo e nello spazio la violenza di genere e la perpetrazione di modelli relazionali egemoni e violenti, esse possono contribuire a contrastare le diverse forme di violenza di genere digitale, attraverso strategie di decostruzione in chiave transfemminista, che interrogano la modalità di sviluppo delle tecnologie e le resistenze corporali ed algoritmiche, sfidando i limiti del modello tecnologico dominante. A partire da tali considerazioni, il contributo intende presentare e discutere i risultati preliminari emersi dalle analisi di 40 interviste qualitative condotte sul territorio nazionale nell’ambito del PRIN “Gendering Internet. Violence, Resilience and Empowerment in digital spaces - GIVRE”, il cui obiettivo principale è indagare le diverse forme di violenza di genere abilitate da tecnologie digitali e di esplorare le pratiche di resilienza, resistenza e autodeterminazione elaborate dagli/lle utenti. Le interviste hanno coinvolto un insieme diversificato di utenti in termini di identità di genere, orientamento sessuale, fasce anagrafiche, collocazione geografica e titolo di studio. L’analisi tematica ha permesso di rilevare: le abitudini online degli/lle utenti, l’esposizione alla violenza di genere (con uno sguardo anche alle differenze generazionali), le diverse forme di violenza sul web, quali hate speech a sfondo sessista, omofobo, misogino, dick pic, sexual harrassment, e le modalità di resistenza e contrasto tanto individuali quanto collettive al potere delle piattaforme, nel quale si radica la produzione stessa della violenza digitale. |
10:30 - 12:30 | Sessione 4 - Panel 06: Opinione pubblica, manipolazione e conflitto Luogo, sala: Aula 6 (A1-F) Chair di sessione: Augusto Valeriani |
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Tra crisi ed emergenza. L’evoluzione dei discorsi politici, giuridici e giornalistici sulle migrazioni in Toscana tra concordanze e divergenze. Università di Firenze, Italia Il Progetto Horizon 2020 Global Answer - Global social work and human mobility: comparative studies on local government and good social work, capofilato dall’Università di Granada, persegue l’obiettivo di identificare, analizzare e diffondere buone pratiche nel campo della mobilità umana (migranti, rifugiati o richiedenti asilo) in Spagna, Italia e Svezia. Per raggiungere questo obiettivo, sviluppa attività di ricerca e formazione tra università, comuni e organizzazioni del terzo settore. Uno dei molteplici fuochi di indagine del progetto consiste nella comparazione tra il sistema di accoglienza della Toscana e dell’Andalusia. I Il contributo è parte di questo fuoco di ricerca e verte sullo studio degli atti normativi della Regione Toscana, accompagnati dallo studio dei dibattiti politici interni al Consiglio Regionale della Toscana in materia di accoglienza. Nella fattispecie intendiamo portare qui l’analisi della LR 45 del 2019 e della LR 29 del 2009 per analizzare il modo in cui le amministrazioni regionali definiscono il fenomeno migratorio e la tipologia delle politiche dibattito che si è strutturato attorno alle questioni inerenti a questo fenomeno secondo le diverse appartenenze politiche. Un secondo passaggio della ricerca prevede la comparazione tra la costruzione del discorso normativo in ambito politico amministrativo e il discorso giornalistico portato avanti in concomitanza all’approvazione della Legge più recente grazie all’analisi della Rassegna Stampa della Regione Toscana. La ricerca intende evidenziare come il fenomeno sociale dell'immigrazione straniera sia costruito discorsivamente in frame discorsivi diversi ma collegati all’urgenza ed emergenza. In questa prospettiva, i discorsi assumono un enorme potere nella costruzione della realtà e determinano conseguenze immediate e concrete sulle misure, le norme e le politiche pubbliche discusse e, infine, adottate. Le domande di ricerca per questo contributo sono: esistono variazioni nell’uso di frame emergenziali nella costruzione del discorso sulla questione migratoria in ambito politico? Quali tipi di leggi e politiche derivano da dibattiti incentrati sull’emergenza e l’urgenza? In che modo il racconto della stampa del processo legislativo in materia di migrazioni riarticola la costruzione del discorso. Metodologia: Prima fase Analisi terminologica sui tre tipi di testi: discorso politico (discussioni consiliari); discorso giuridico (LR 29 del 2009 e LR 45 del 2019) e discorso giornalistico (rassegna stampa). I termini chiave relativi al concetto di accoglienza saranno identificati e classificati in connotazioni favorevoli all’accoglienza, contro l’accoglienza o che non rivelano posizioni precise. Si tratta fondamentalmente di un'analisi del contenuto, in cui i termini scelti vengono identificati, contati e valutati all’interno del discorso. Seconda fase Comparazione. L’analisi comparativa della terminologia e dell'uso del linguaggio tra le due sessioni legislative e le due Leggi dà misura dell’evoluzione dei discorsi politici, giuridici e giornalistici. La riflessione sulla vicinanza/distanza tra i dibattiti consiliari e la rappresentazione mediatica è una base ottima per l’indagine sulla ricezione pubblica delle decisioni in materia di gestione delle migrazioni. Come le leggi e le discussioni preparatorie vengono inquadrate nelle comunicazioni ufficiali e riportate dalla stampa può determinare alcuni aspetti della percezione pubblica dei migranti e delle politiche di accoglienza, influenzando infine il successo o il fallimento di tali leggi e favorire o scoraggiare comportamenti discriminatori o inclusivi nella società. This study took place in the frame of “Global social work and human mobility: comparative studies on local government and good social work practices in the Euro-Mediterranean region” (Global-ANSWER), funded from the EUs Horizon 2020 under the Marie Sklodowska-Curie grant agreement No 872209. The Agency and the Commission are not responsible for any use that may be made of the information it contains. Manipolazione e soppressione dell'informazione. Quali impatti sulle comunità diasporiche in Europa? Università di Bologna, Italia La manipolazione e l'interferenza informativa (FIMI, Foreign Information Manipulation and Suppression) rappresentano un modo di agire, generalmente non illegale, che minaccia o può influenzare negativamente valori e processi politici. Si tratta di una strategia usata da diversi attori e governi e che è sempre più diffusa nei tempi odierni di proliferazione di emergenze e conflitti globali. Alcuni esempi concreti delle minacce FIMI che impattano l'ambito della comunicazione e della vita quotidiana si riscontrano nel contesto russo e cinese, relativamente all'invasione militare russa dell'Ucraina per manipolare l'opinione pubblica e globale e giustificare l'aggressione; o della Cina, durante la pandemia da COVID-19 (EEAS, 2023). Inserendosi in un recente filone di studi transdisciplinari e nell'ambito del progetto *****, la ricerca si propone di analizzare come la manipolazione e l'interferenza informativa viene condotta da attori statali e non statali extra-europei e i relativi impatti che questa comporta su specifici gruppi target come le comunità della diaspora in Europa. Indagando in dettaglio la soppressione informativa nei contesti diasporici a diversi livelli, la ricerca esplora le dinamiche complesse tra comportamenti individuali, comunità della diaspora, democrazie europee e regimi autocratici. Nello specifico, la ricerca qualitativa si basa sui dati raccolti nel corso di 55 interviste semi-strutturate realizzate con membri delle comunità europee delle diaspore cinese, russa, iraniana, turca, venezuelana e nicaraguense. In particolare sono state investigate le minacce (le potenziale fonte di danno) e rischi (le probabilità che si verifichi un evento dannoso) ai livello macro (Unione Europea come sistema politico), meso (riferito ai gruppi diasporici letti come gruppi non omogenei o comunità organizzate ma come numero di individui arrivati in Europa da specifici Paesi) e micro (riferito a rischi e minacce percepiti a livello individuale e personale). L'analisi dei dati identifica a livello macro l'indebolimento della democrazia, l'erosione della fiducia nelle istituzioni, la riduzione della partecipazione e l'apatia civica, e l'instabilità politica. A livello meso e micro emergono invece paura, autocensura e sospetto di essere sottoposti a sorveglianza come fattori-chiave che incidono sulla libertà di espressione e partecipazione pubblica con conseguente limitazione dei diritti fondamentali. I risultati preliminari mostrano dunque complessivamente una crescente sfiducia nei confronti dei media e delle istituzioni politiche, alimentata dalla disinformazione e dall’intimidazione extraterritoriale, aspetti che a loro volta riducono la partecipazione civile e rafforzano l'autocensura. Referendum artificiale? L’impatto di ChatGPT sul referendum “Cittadinanza Italiana” University of Urbino, Italia L’emergere e l’affermazione dei social media rappresentano un elemento di rilievo nell’attuale sistema mediatico ibrido (Chadwick, 2017), caratterizzato dall’interazione tra attori politici, mezzi di comunicazione e pubblico (Boccia Artieri, 2022a). L’evoluzione di tali dinamiche, unitamente alle innovazioni tecnologiche che ne facilitano la diffusione e il consolidamento, ha determinato una ridefinizione delle condizioni sociali, politiche e tecno-comunicative alla base della formazione dell’opinione pubblica (Lachapelle, 2005; Boccia Artieri, 2022b). L’ampia influenza di strumenti di intelligenza artificiale generativa nella sfera pubblica digitale ha segnato un punto di svolta nelle modalità di accesso e fruizione delle informazioni da parte dei cittadini (Gutiérrez, 2024). L’interazione con tali sistemi ha trasformato – e sta trasformando – profondamente i processi comunicativi e, di conseguenza, le dinamiche di partecipazione sociale, culturale e politica (Haque & Li, 2024). Tuttavia, seppur in crescita l’attenzione della ricerca scientifica verso l’impiego dell’intelligenza artificiale generativa in diversi ambiti sociali e decisionali (Rogers & Zhang, 2024), studi specifici sulle implicazioni politiche e, in particolare, sull’utilizzo di questi strumenti nel processo decisionale elettorale risultano ancora limitati. Ad oggi, infatti, non sono disponibili analisi sistematiche che quantifichino in che misura i modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) vengano utilizzati nelle votazioni di democrazia diretta o nel processo decisionale relativo al voto. Eppure, con l’aumento della familiarità con queste tecnologie, è plausibile ipotizzare che la loro influenza nei processi decisionali e nella ricerca di informazioni continui a crescere, soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione, che tendono a percepirle come strumenti intuitivi e di facile accesso (Williams, 2025). Inoltre, l’esposizione passiva alle risposte generate dall’intelligenza artificiale potrebbe contribuire a consolidare bias preesistenti, producendo un effetto sottile ma pervasivo sulle opinioni e sulle attitudini degli utenti. Il presente studio si inserisce nel più ampio dibattito sulle trasformazioni del concetto di Stato-nazione in relazione all’innovazione tecnologica e alle sue implicazioni sulla percezione e sulle decisioni degli attori coinvolti nei processi democratici. In particolare, l’analisi si propone di esaminare l’impatto della personalizzazione algoritmica sulla formazione dell’opinione pubblica in Italia, concentrandosi sul ruolo di ChatGPT nel contesto di un evento di democrazia diretta: il referendum sulla “Cittadinanza Italiana”, previsto per la primavera del 2025. Al momento dell’analisi, tale referendum non è ancora stato sottoposto a votazione, configurandosi così come un caso di studio utile per valutare in che modo gli elettori possano ricorrere all’intelligenza artificiale generativa per informarsi su questioni politiche complesse. Sebbene le votazioni referendarie presentino una struttura binaria, le decisioni che le sottendono richiedono un livello di riflessione articolato, che potrebbe indurre gli elettori a utilizzare strumenti come ChatGPT nella logica di un’interazione domanda-risposta, al fine di facilitare la propria scelta (Revehilac & Morselli, 2025). Per indagare questo fenomeno, il presente studio adotta una metodologia combinata. Da un lato, verrà somministrato un questionario dinamico volto a comprendere se e in che modo i cittadini facciano uso di ChatGPT per informarsi su eventi politici, con particolare riferimento al referendum. Dall’altro, seguendo la metodologia proposta da Revehilac e Morselli (2025), è stato richiesto a ChatGPT di adottare specifici profili ideologici, al fine di analizzare le differenti modalità con cui si posiziona rispetto al quesito referendario. Tale analisi consente di esaminare la reiterazione di determinati argomenti in funzione della prospettiva ideologica assunta dal modello e di individuare eventuali bias informativi. L’obiettivo principale dello studio è, quindi, di indagare tre aspetti fondamentali: a) in che misura le decisioni di voto simulate da ChatGPT variano in base al profilo ideologico adottato; b) se e quanto sia pervasivo il ruolo di ChatGPT nel processo decisionale referendario degli italiani; nonché c) in che modo l’evoluzione tecnologica delle piattaforme di comunicazione influenzi le strutture dello Stato-nazione contemporaneo. Simulating Grassroots Support: The Role of Coordinated Networks in Pro-Putin Information Operations Università di Urbino, Italia The rise of coordinated online behavior in disseminating content to shape political discourse has become a focal point of academic inquiry. Social media platforms facilitate both authentic political engagement and manipulative strategies to influence public opinion. This interplay is evident during elections and geopolitical crises, where information operations exploit social media affordances to spread deceptive content (Giglietto et al., 2020a; 2020b; 2023). While text-based coordination has been extensively studied, contemporary challenges necessitate a closer focus on visual media—particularly short-form videos and AI-generated imagery, which pose detection difficulties. This study employs the Vera AI Alerts system, developed as part of a European research initiative, to detect coordinated link-sharing activities on Facebook. Using CrowdTangle API data (October 2023–August 2024), 7,068 coordinated posts, 10,681 coordinated links, and 2,126 new accounts were identified. Among the detected networks, three notable cases emerged: exploited large groups sharing sexual content, casino engagement bait, and pro-Putin fan groups. This paper focuses on the latter, investigating key themes emerging from the coordinated sharing of posts and images in these groups. Findings highlight 15 public Facebook groups promoting Russian geopolitical interests. This is the most traditional form of strategic information operation to promote political propaganda, resonating with Chadwick and Stanyer’s (2022) framework of deception driven by political motivations. These groups blend neutral and polarizing content to shape narratives, embedding urban development posts alongside ridicule of Western leaders. Their structural similarities—including naming conventions, identical group descriptions, and synchronized name changes—suggest systematic coordination. Notably, some groups altered names in early 2022, preceding Russia’s invasion of Ukraine, indicating strategic adaptation. Thematic content falls into two categories: (1) posts disparaging Western leaders and Ukraine and (2) content bolstering Putin’s image. A widely circulated meme, posted simultaneously across groups on February 12, 2024, mocks Ukrainian President Zelenskyy, coinciding with battlefield developments. AI-generated images portray Putin in heroic poses, reinforcing his appeal. Nationalist symbols—such as a Russian bear wielding a Kalashnikov rifle—further amplify ideological messaging. The deliberate integration of apparently benign material, such as posts celebrating Moscow’s urban development, alongside more explicitly politically polarising content, such as mocking the Ukrainian President, exemplifies the gaslighting nature of these strategic information operations, fostering confusion and advancing a specific agenda (Jack, 2017). Amplification strategies exploit Facebook’s platform affordances to maximize engagement. Coordinated posting ensures identical content appears in multiple groups within short intervals, creating an illusion of organic popularity and increasing algorithmic prioritization. "WorldRusWorld,” a group managed by Bulgarian and Russian administrators, exemplifies this strategy, posting identical pro-Putin content across ten groups within minutes. Multilingual dissemination extends reach, with content appearing in Russian, English, and Arabic, aligning with broader cross-cultural disinformation tactics. Engagement metrics reveal variations in effectiveness. While some posts attracted minimal interaction, others exceeded 1.1 million views, demonstrating the hybrid nature of these campaigns. Initial coordination relies on a small group of actors, but broader amplification depends on organic user participation, blurring the distinction between orchestrated and authentic engagement. This study contributes to research on political information warfare by examining the mechanisms behind visual content coordination. Findings highlight state-aligned actors simulating grassroots support while exploiting social media affordances. These insights underscore the need for further research into AI-generated content and multimodal disinformation detection in the evolving digital landscape. Quale Pace ? I movimenti pacifisti in Italia tra mobilitazione e comunicazione Luiss Guido Carli, Italia Negli ultimi anni abbiamo osservato molti cambiamenti nell’ambito della contentious politics, che riguardano le modalità di mobilitazione, organizzazione e comunicazione dei movimenti sociali. Tuttavia, la letteratura ha toccato solo in modo limitato il fenomeno dei movimenti che si mobilitano per la pace. L’intervento si basa su un più ampio progetto di ricerca PRIN sul ruolo dei media nell’articolazione dei movimenti pacifisti emersi in Italia negli anni immediatamente successivi alla pandemia di Covid-19, prima relativamente all’invasione russa dell’Ucraina e poi relativamente alla guerra a Gaza. In questa occasione verranno presentati i risultati preliminari di questo progetto, con particolare riferimento ai movimenti che si sono mobilitati nel corso del 2023. La scelta del periodo è utile a far emergere le similarità e le differenze tra le proteste incentrate sulla richiesta della pace in Ucraina e quelle emerse sulla questione di Gaza. Il disegno della ricerca si focalizza sulla triangolazione di due prospettive di analisi sui movimenti di protesta: la mediatizzazione e l’auto-rappresentazione. Da una parte, attraverso tecniche di protest event analysis e di analisi del contenuto, è stata presa in considerazione la copertura dei movimenti da parte della stampa italiana. La protest event analysis sui lanci d’agenzia dell’Ansa ha permesso di rilevare 92 eventi di protesta nel periodo considerato. Attraverso quest’ultima, è stato possibile anche identificare gli attori protagonisti delle mobilitazioni, che sono stati oggetto di un’analisi in profondità in una fase successiva. Dall’altra, attraverso una critical discourse analysis, sono state analizzate le modalità di auto-rappresentazione da parte degli attori protagonisti di questi eventi di protesta, con particolare riferimento a tre dimensioni: a) la definizione dell’identità politica; b) la motivazione per la mobilitazione; c) gli obiettivi politici dichiarati della mobilitazione. Il cosiddetto “doppio standard” che si usa per descrivere (e denigrare) le risposte della governance internazionale rispetto ai due terreni di conflitto viene in questo caso utilizzato come frame interpretativo per leggere i risultati. Nelle rivendicazioni dei movimenti per la pace rispetto alle due questioni, cambiano non solo i significati attribuiti alla parola “pace” ma anche gli attori in campo, i simboli provenienti dall’immaginario sociale e mediatico italiano, le strategie di mobilitazione e di auto-rappresentazione. |
10:30 - 12:30 | Sessione 4 - Panel 07: Tempo e teoria sociale Luogo, sala: Aula 7 (A1-G) Chair di sessione: Emiliana Mangone |
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“Oltre la fine: ripensare la crisi per una connessione al mondo post-umano” Università degli studi di Cagliari, Italia «Non abbiamo poco tempo, ne perdiamo molto» (Sᴇɴ. 𝐷𝑖𝑎𝑙. X 1) Domanda di ricerca Seneca ammonisce: il tempo è ciò che dà valore alle azioni e alla nostra stessa esistenza. Se è una risorsa mal gestita, abbiamo il dovere di darne un nuovo valore e significato. In un’epoca segnata dal tramonto dell’antropocentrismo, in un sistema globalizzato tecno-capitalista, siamo “diversamente schizoidi” alla deriva dell’accelerazione del tempo “verso il presente continuo” (Ragone, 2015:66). Bisogna infatti considerare la doppia spinta temporale della crisi: verso un rallentamento (lockdown, crolli dei mercati lavorativi ed economici) e verso un’ulteriore accelerazione di strategie emergenziali per contenere i margini di danni che sembrano prevedibili ma inarrestabili. L’intento di questo contributo è di promuovere un dialogo interdisciplinare tra sociologia degli immaginari e filosofia per esplorare come le crisi che caratterizzano la contemporaneità, legate a scenari catastrofici, possano essere lette in chiave positiva: promotrici di pratiche di cura e di nuove relazioni. Dunque, non solo come la fine di un sistema estremizzato in termini economici o produttivi, ma come un processo lento di trasformazione. In particolare, si vuole partire dalla concezione del post-umano di R. Braidotti che propone di ripensare la resilienza come un movimento relazionale, verso il recupero di modalità lente, significative e interconnesse. Quadro metodologico “Non si può dunque partire dall’idea che ci sia un linguaggio della crisi, ma diversi linguaggi” (Corrado, 2023:249). In questo momento storico in cui domina quello del mercato e della tecnologia, bisogna promuovere un’intersezionalità che apra a nuovi immaginari. Il concetto di crisi è una parola alla quale siamo assuefatti e andrebbe sostituto da nuove parole contenitrici di prospettive: come quella di cura, un insieme di pratiche per ripensare la quotidianità dai piccoli gesti. Va preservata perché a sua volta non diventi un’etichetta di dinamiche e sistemi industriali o monetizzanti. Secondo Braidotti, come esseri umani (troppo umani) siamo dominati dalla paura e dal panico dell’estinzione. La sfida centrale posta dalla convergenza post-umana è quella di riposizionare l’umano e ridefinire il soggetto del sapere e del potere, abbandonando il modello unitario, umanistico, eurocentrico che ha dominato per secoli. I soggetti postumani stabiliscono relazioni su tre livelli: con sé stessi, con gli altri e con il mondo. Quest'ultimo livello si intende come un insieme complesso di ecologie, non solo ambientali, ma anche sociali e affettive. Dobbiamo coniugare la razionalità con la capacità di affetto, per questo bisogna ripartire da relazioni che evidenziano la natura sfaccettata e differenziale del “noi” collettivo, inteso come “zoe/geo/tecno”, verso un’apertura multidirezionale. Le fasce diseredate e oppresse della popolazione mondiale non hanno avuto davvero accesso ai benefici delle Rivoluzioni Industriali. Bisogna cercare delle strategie di cambiamento quotidiano, facendo i conti con la nostra realtà e con i sistemi in cui siamo inseriti, attraverso una continua negoziazione di risorse e di tempi. Risultati attesi L’intento di questo lavoro è di ripensare alle dinamiche della contemporaneità. Si vuole proporre una concezione del tempo, liberato dalla mercificazione e dal dominio dell’efficienza neoliberista, per condurre una riflessione attorno alle seguenti domande: quando si parla di crisi e, dunque di fine, si pensa davvero alla globalità del mondo o si tratta del crollo di valori e sistemi dominanti? Come possiamo costruire un’etica della sopravvivenza che non sia solo resilienza, ma anche immaginazione e trasformazione del futuro? L’era della schizofrenia può lasciare spazio ad un’era della cura, che si basa sul mutuo soccorso, lo spazio pubblico, la condivisione di risorse. Va ripensata la nostra percezione del tempo, esplorando modi per riconnetterci. “I soggetti cosmopoliti, letteralmente i cittadini del mondo, sono quelli che hanno a cuore il mondo” (The care Collective, 2021:101). Notes from webground. Il futuro della memoria Università del Salento, Italia In Notes from underground, Fëdor Dostoevskij (1993 [1864]) affronta il nesso costitutivo tra memoria e identità, descrivendo l’identità come uno spazio sommerso e separato da quello della razionalità: un underground, appunto. Quasi un secolo dopo, Michel Foucault conia invece il neologismo eterotopia per indicare, letteralmente, uno spazio altro, una utopia localizzata, un fuori-luogo che trova luogo, ma fuori dai tòpoi, cioè dai luoghi comuni. Le eterotopie vanno intese, insomma, come dei “contro-spazi”, delle “contestazioni mitiche e reali dello spazio in cui viviamo” (Foucault 2011 [1966]: 12-14). A partire dalle suggestioni letterarie di Dostoevskij e filosofiche di Foucault, si intende descrivere il web-ground come una delle più grandi eterotopie contemporanee, uno spazio-altro che si è costituito progressivamente come un under, poi un over e infine come un inside-ground. Il web ha destabilizzato, o addirittura frantumato, le vecchie strutture sociali, producendo una inevitabile crisi della società e dei suoi tradizionali modelli di interpretazione. L’ipotesi è che questa crisi, ancor prima di emergere, sia stata immaginata dai pionieri del web - e non solo - come una trasformazione rivoluzionaria, una utopia (della disintermediazione), una contestazione mitica, rivoluzionaria per la costruzione indipendente delle identità e per la realizzazione di una contro-memoria sociale; una volta realizzato e diffuso capillarmente, il web ha di fatto localizzato quell’iniziale utopia, rendendola una eterotopia: il web si è così costituito come un over-ground, perché ha rimosso le vecchie strutture sociali, sovrastandole; nel tempo però, esso è stato assorbito dalle strutture che intendeva rimuovere, perdendo così la sua stessa natura di spazio-altro e trasformandosi in un inside-ground: la crisi non viene più osservata come una opportunità ma come un pericolo, perché l’iniziale utopia della disintermediazione sembra essere diventata – almeno per molti – una distopia della ipermediazione, che sta modificando drasticamente le modalità di costruzione della memoria e riducendo gli spazi di autonomia delle identità. Sebbene le utopie tecnologiche non siano affatto sparite e anzi sembrano aver raggiunto i palcoscenici a stelle e strisce del cuore dell’Occidente, la società sembra sempre più disorientata e in crisi. Le memorie del futuro (Jedlowski 2017) dei pionieri del web sembrano dissolte di fronte a nuove questioni sociali, come quella del del futuro della memoria e delle identità. Algoritmi e big data, infatti, rappresentano un potere in grado di archiviare e processare una copia digitale del mondo e così di costruire una memoria artificiale. La progressiva espansione di una memoria sistemica può però favorire la atrofizzazione della memoria umana. Il webground diventerebbe così la macchina antropogenica (Jesi 1979) degli individui iper-moderni, perché capace di avviare nuovi processi di soggettivazione che conducono a un uomo nuovo, perché semplificato (Besnier 2009). Tra l’hybris utopica che le tecnologie rendano l’uomo un dio-protesi (Freud 2010 [1930]) e il catastrofismo distopico di un uomo-cyborg con una memoria e una identità atrofizzate, credo si possa aprire la possibilità di una eterotopia sociologica: lo spazio-altro di un pensiero critico, posizionato sul confine, né utopico, né distopico, ma aperto alla complessità e ai paradossi di un futuro che è già cominciato (Luhmann 1998). Elogio dei tempi grigi.Sulla cromatica postmoderna dell’accelerazione sociale 1Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali (SPGI), Università degli Studi di Padova.; 2Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna. " (il grigio) più diventa scuro, più accentua la sua desolazione e dà un senso di soffocamento, se diventa più chiaro comincia a racchiudere una segreta speranza. Il contributo riprende ed elabora il lavoro seminale Thomas Hylland Eriksen (1962-2024, d’ora in poi THE) che ha avuto la capacità di leggere la contemporaneità attraversando i confini dell’antropologia e della sociologia. THE non si concentra tanto sulla nuova struttura sociale che genera incandescenza del sociale (Eriksen e Visentin 2019), ma sulla presenza simultanea e sbilanciata di scale, tempi, dimensioni diverse e asimmetriche che si intrecciano nella società dell’“accelerazione accelerata” (Eriksen 2015). Presentiamo quindi una riflessione sulla presenza simultanea e squilibrata di processi contraddittori, fuori controllo e double binded (Eriksen 2015) quali: crescita e decrescita; globalizzazione e localizzazione; razionalizzazione e irrazionalità; ricerca e abbandono dell’identità; standardizzazione e personalizzazione; prevedibilità e imprevedibilità; e così via, tutti letti mediante il “filtro” della duplice fenomenologia del tempo che caratterizza la contemporaneità: accelerazione e la decelerazione, sincronizzazione e de-sincronizzazione (e talvolta, l’impasse). Questi processi si manifestano a diversi livelli – dal micro al macro-sociale – e sono strettamente legati all’idea di un mondo o troppo veloce (incandescente, che prende “fuoco”: in una parola “rosso”, iperattivo) o troppo lento (rallentato, incapace di adattarsi agli eventi: in una parola un tempo “grigio”, iperpassivo). Entrambi i mondi creano una sensazione paradossale in cui il soggetto è spinto verso agency contrapposte (Eriksen 2001): fra il dover stare al passo con i tempi, agendo in emergenza e la sensazione di rimanere sempre fermi, nel presente, nella tirannia dell’istante e di un futuro che non riesce mai ad iniziare veramente, con conseguenti sindromi da “depressione e ansia” (Ehrenberg 1999). Molte riflessioni hanno provato a contrapporre a questi processi fuori controllo, una strategia di rallentamento intenzionale (es. la contro-retorica dello slow). Questa strategia è estremamente difficile da attuare, e sembra piuttosto offrire solo la possibilità, per attori sociali che se lo possono permettere, di vivere con una maggiore consapevolezza il tempo accelerato (Eriksen Visentin 2024, 103). THE specifica che la “decelerazione/lentezza”, necessiterebbe di condizioni sociali estremamente improbabili e da aspettative condivise che andrebbero istituzionalizzate nei diversi sottosistemi sociali. Dopo aver presentato fenomenologie di queste temporalità, introduciamo un secondo filone di analisi, quello della “cromatica postmoderna” elaborato da Peter Sloterdijk (2023, d’ora in poi S.). S. descrive un mondo postmoderno in cui il cambiamento costante e la frammentazione culturale generano un senso di spaesamento. Come THE vede l’accelerazione come una condizione di destabilizzazione continua, che erode le certezze, nonchè le identità. Ma, S. contrappone al colore “rosso” dell’accelerazione, non il “verde” tipicamente associato a un’idea di equilibrio e tranquillità, bensì il “grigio” storicamente associato alla mediocrità, alla tristezza, ma anche alla prudenza. S. elogia il grigio come forma di passività vincente dentro all’accelerazione sociale. A differenza di Eriksen che nelle sue opere finali, invita ad apprendere come equilibrare l’alternanza fra accelerazione (overheating, “rosso”) e raffreddamento (cooling down, “bianco”), fra fast e slow time, per trovare un punto di equilibrio, S. invita a pensare il grigio come all’effetto emergente tra il rosso – di un agire capace di vera trasformazione sociale – e il verde della speranza che sa attendere i tempi adatti per farlo. Non tanto quindi un equilibro personale, che lascerebbe agli individui tutto lo sforzo di crearselo e proporlo in contesti sociali che non si aspettano nulla di ciò – trasformandosi solo in uno stile di vita per l’élite di chi ha le risorse per permetterselo – quanto una prospettiva collettiva che sappia stimolare una temporalità diversa dentro ai diversi sottosistemi sociali. L’emergenza come risorsa educativa ovvero sul divenire come dover essere Università di Pisa, Italia Esplorando l’ambivalenza insita nel concetto di “emergenza”, che da un lato indica una situazione critica caratterizzata da urgenza, discontinuità e una rottura della stabilità esistenziale (emergency) e dall’altro, rimanda alla generazione di qualcosa di nuovo, irriducibile agli elementi preesistenti (emergence), il contributo analizza criticamente l’emergere di prospettive che guardano all’emergenza come “risorsa educativa”. Una chiave interpretativa che si colloca nell’ambito della “svolta neo-esistenzialista” nelle teorie educative, in cui la tendenza delle società attuali all’esistenzializzazione del sociale si fa paradigma d’azione. Un paradigma che delinea una pedagogia delle forme discontinue in cui il riconoscimento della crisi/emergenza come una “rottura esistenziale” (Biesta 2015) fonda l’esigenza di ripensare radicalmente obiettivi e pratiche pedagogiche orientandole a fare dell’esperienza educativa un percorso volto a trasformare l’emergency in emergence, ossia in un’occasione di crescita e ridefinizione del sé. L’educazione, in questa prospettiva, non è un semplice trasferimento di conoscenze, ma il processo attraverso il quale gli individui imparano a rimanere nella zona liminale della crisi (Oliverio 2020), gestendo le implicazioni emotive dell’emergency senza cadere nella distruzione del sociale o nell’auto-distruzione. La relazione proporrà un approfondimento volto ad identificare le implicazioni di questo mutato paradigma che, in linea con più ampie trasformazioni societarie, pone al centro l’individuo e la sua soggettività spostando le istanze dell’educazione dal polo della socializzazione, concepita come trasmissione di conoscenze e saperi, a quello della soggettivazione, declinata come “sviluppo” autonomo del “soggetto”. E se all’interno di questa cornice la scuola torna ad assumere un ruolo centrale per la costruzione di un soggetto tardo moderno, capace di performare, nella vita politica, culturale ed economica, un’identità inclusiva, critica e aperta capace di costruire un nuovo e autentico progetto democratico; si deve considerare attentamente come questa capacità performativa si fondi su una precisa pedagogia non più proiettata al futuro (secondo un progetto incrementale di acquisizione di nozioni, conoscenze e competenze) ma radicata nel presente, nel qui ed ora dell’esistenza individuale del soggetto in formazione, quale attuale e concreta esperienza di cittadinanza (Lawy, Biesta, 2006). Il recupero della tradizione azionista francese, da Touraine a Dubet fino a Martuccelli, e i più recenti sviluppi della tradizione tedesca, da Simmel a Reckwitz attraverso la scuola francofortese, consentirà di tematizzare in chiave sociologica l’emergere dell’esistenza individuale come misura del sociale, per problematizzare la centralità che, nell’epoca contemporanea, assumono i turning points, le milestones esistenziali o le “prove-sfide” che costruiscono, scandiscono e danno senso alle esistenze individuali (Martuccelli, 2017; Baert et al., 2022; Inglis, 2022; Flisbäck, Bengtsson, 2024) delineando, al contempo, la trama delle società tardo moderne. Il convergere delle due tradizioni attorno all’emergere del singolare come logica sociale emergente verrà utilizzato – dopo aver evidenziato le differenze tra singolarismo (Martuccelli) e singolarizzazione (Reckwiz) – per leggere la concezione del soggetto e della soggettività così come delineata dalle teorie educative, assumendo una specifica torsione performativa che va a ridefinire profondamente le pratiche scolastiche e la stessa relazione pedagogica. L’emergente logica del singolare, intesa come processo attraverso cui l’individuo costruisce la propria unicità all’interno di una società sempre più frammentata, rappresenta, in sintesi, la cornice culturale e teorica all’interno della quale la torsione esistenzialista-performativa delle più recenti teorie educative vengono ad essere problematizzati come una focalizzazione sul divenire che delinea un dover essere (in termini di singolarità performate), sollevando interrogativi sulla possibilità che alimentino percorsi individuali capaci di resistere alle logiche neoliberiste o al rischio di isolamento o precarietà. Cronotopi del contemporaneo. Tempo dell’apocalisse, del disconoscimento, dell’eccezione. Università Milano-Bicocca, Italia Il contributo si propone di interrogare alcuni fra i cronotopi che caratterizzano il multiverso temporale dell’attualità (Boltanski, Esquerre). Al centro dell’analisi si colloca la specifica costruzione sociale del regime di temporalità (Elias 1983) sottesa a una certa tipologia di narrazioni rubricate sotto la voce “complottismo”. L’ipotesi è quella dell’adesione a un cronotopo incentrato sull’Apocalisse, intesa non tanto in termini escatologici o catastrofici quanto nel suo significato originario di momento di “rivelazione” e “svelamento”. Si tratta di una temporalità orientata a una cesura fra un tempo della menzogna e un tempo del disoccultamento in cui la “verità”, tenuta in ostaggio da potenti meccanismi di manipolazione, emergerebbe nella sua integralità conducendo alla restaurazione di un ordine perduto o all’adeguamento fra piano delle rappresentazioni e piano della realtà. Ad aderire a un simile schema sono non solo le componenti del milieu “cospirazionista” più immediatamente partecipi di una dimensione religiosa (dal sionismo cristiano di matrice evangelica al tradizionalismo cattolico) ma anche quelle più “secolarizzate” o sincretiche fino a giungere agli ambienti culturali maggiormente orientati in senso Dark Enlightment o transumanista. Per analizzare il cronotopo del “complottismo ci si rivolgerà da una parte alla letteratura critica che negli ultimi decenni si è raccolta intorno al tema della conspiracy theory, con particolare riferimento a fenomeni tipo QAnon o il “Great Replacement (Butter, Knight 2020; Uscinski 2018; Harambam 2021; Navarini 2025), sia a un’analisi empirica condotta su materiali legati agli outlet informativi più influenti dell’ecosistema “complottista” italiano (BioBlu, Cruna dell’ago ecc.). In termini di comparazione, l’analisi si estenderà a due ulteriori cronotopi che segnano altri tentativi di comprensione dello scenario di policrisi della contemporanità. Da una parte ci si soffermerà sul tempo “immobilizzato” di quello che Alenka Zupancic definisce come il rovescio dialettico e funzionale del complottismo, ossia il “disconoscimento” (Zupancic 2024), dall’altra sul tempo “sospeso” delle narrazioni sullo “stato di eccezione” come chiave di interpretazione di un presente collocato all’insegna della deroga (Guareschi, Rahola 2011). Dal punto di vista metodologico, si farà riferimento in primo luogo al concetto di “cronotopi” di Michail Bachtin (Bachtin 2001), trasferendolo dall’ambito letterario a quello della sociologia culturale e dell’analisi del discorso. Altri riferimenti fondamentali sono costituiti dalle ricerche di Norbert Elias sulle strutture sociali della temporalità (Elias 1983), di Johannes Fabian sul tempo e la scrittura antropologica (Fabian 2021), di Jacques Le Goff sulla coesistenza/alternanza di orientamenti temporali nel corso della storia (Le Goff 2000), di Eric Alliez sulla strutturazione delle “conduites des temps” (Alliez 1991-1999). |
10:30 - 12:30 | Sessione 4 - Panel 08: Ageing e relazioni intergenerazionali Luogo, sala: Aula 11 (A0-B) Chair di sessione: Elisabetta Carrà |
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Tempi e Pratiche di cura tra le generazioni e supporto sociale: uno studio qualitativo con caregiver giovani -adulti nel contesto italiano Università Cattolica di Milano, Italia La letteratura sul caregiving e sul supporto sociale sottolinea il ruolo critico delle reti sociali nel benessere dei caregiver. Il caregiving, in particolare per le persone con malattie croniche, disabilità e non autosufficienti, può essere un'esperienza estremamente impegnativa e impattare negativamente sulle reti sociali del caregiver, soprattutto se si tratta di un giovane. Gli studi evidenziano che il supporto sociale percepito può influenzare in modo significativo la salute mentale e la qualità di vita complessiva dei caregiver. Le dinamiche del sostegno sociale sono complesse e possono variare in modo significativo a seconda della fase della vita del caregiver e del suo coinvolgimento nella cura della persona che assiste. Questo compito spesso coinvolge giovani e adulti: i caregiver giovani-adulti (Young Adult Carers) sono persone tra i 18 e i 24 anni che prestano cure e assistenza a un altro membro della famiglia gratuitamente e in modo continuativo (Bramanti, Bosoni 2023). La persona bisognosa di assistenza è spesso un genitore, un fratello, un nonno o un altro parente disabile, affetto da una malattia cronica, da un problema di salute mentale o da un'altra condizione legata alla necessità di cure, supporto o supervisione. Questo comporta dei rischi rispetto alla transizione alla vita adulta poiché i caregiver sperimentando una forte ambivalenza tra organizzare la propria vita in modo autonomo (costruzione di una propria famiglia, investimento sul lavoro…) e il mantenimento della responsabilità di cura (Dearden, Becker 2004; Warren 2007; Casu et al. 2021). Un ruolo decisivo nella buona riuscita della transizione alla vita adulta è giocato dalle reti di supporto formali e informali, disponibili per i giovani carers. Il presente contributo discute i risultati di uno studio sul supporto ricevuto dai giovani carers, attraverso interviste diadiche condotte nel 2024 ad un campione di 10 caregiver di età compresa tra 18 e 37 anni, che in modo differente si prendono cura di un familiare (un figlio piccolo, un fratello/sorella, un genitore, un nonno/a). La metodologia utilizzata (interviste diadiche in cui viene coinvolto il caregiver e una persona da cui riceve aiuto da lui indicata) ha consentito di evidenziare le dinamiche relazionali dello scambio e del supporto sociale. In generale viene sottolineata la necessità di un maggior riconoscimento del ruolo del caregiver, in primis, ed anche un maggior supporto dalla rete formale dei servizi e dalle istituzioni, per consentire ai giovani che si trovano a vivere questa esperienza di alleggerire i loro compiti permettendogli di concentrarsi su sé stessi e sulle proprie aspirazioni. Rilevanti sono le ricadute sulla salute mentale e il benessere: essere un giovane caregiver è un fattore di rischio per la salute mentale e, in generale, per il benessere delle persone. Celebrity e Nostalgia nel pubblico senior. Primi risultati di una analisi field 1Università di Bologna, Italia; 2Università di Salerno, Italia La (ri)scoperta della terza età a livello mediale, fortemente connessa al mutamento sociale contemporaneo, chiama in causa una riflessione sui discorsi e i prodotti dedicati al tema che vanno dai programmi di approfondimento, alle questioni politiche, fino allo spettacolo e allo sport. Protagonisti di questi momenti di visibilità sono soprattutto le celebrità anziane che sempre di più si configurano come indici e catalizzatori di tendenze, ma anche come motori o creatori di contro-tendenze, con effetti rilevanti a livello collettivo. Obiettivo del nostro intervento è quello di presentare i primi dati della ricerca ****, focalizzata sulla celebrità sia in quanto dispositivo socio-culturale, sia come possibile elemento valorizzatore dell’esperienza di fruizione nel pubblico senior. Le domande che hanno guidato la nostra ricerca possono essere così sintetizzate: in che modo la presenza di “vecchie” celebrità favorisce la ricontestualizzazione dei prodotti mediali da parte degli spettatori più anziani? In quali forme e attraverso quali processi questi prodotti - e i relativi significati - vengono riadattati al presente (Mason, 1996)? Quanto la nostalgia associata alla fruizione dei prodotti mediali funziona da meccanismo di attivazione di una visione del futuro (Smith e Campbell, 2017)? La tensione a recuperare e rivivere nostalgicamente il proprio passato può alimentare percorsi di auto-formazione mediale per riuscire ad utilizzare in modo pieno e consapevole dispositivi e ambienti digitali, per accedere a materiali audiovisivi e per condividerli e socializzarli? La nostalgia per un passato che, tuttavia, resta “a portata di clic”, può favorire la condivisione intergenerazionale delle proprie passioni, conoscenze e miti (Bolin, 2016; Baxter, 2016; Wildschut et al., 2018)? Attraverso una serie di focus group con persone di più di 65 anni, svolti a Bologna e Salerno, il nostro obiettivo è stato quello di intercettare che tipo di ricordi, meccanismi, processi vengono attivati dalle celebrità del passato sul pubblico senior. Il quadro metodologico è stato progettato in funzione della capacità dei focus group di restituire una notevole quantità di informazioni rispetto alle forme di conservazione e rielaborazione della memoria collettiva (Coupland, 2015; Obradović, 2016). Se è vero, infatti, che la nostalgia apre “uno spazio di negoziazione tra memoria personale e collettiva” (Fortunati, 2008), attraverso i focus group abbiamo cercato di mettere a fuoco in che misura questo sentimento possa essere considerato di natura sociale, richiamando un passato comune e un’attenzione al presente che tenga conto di quel passato (Espinoza et al. 2014). Attraverso l’analisi dei dati empirici è possibile affrontare le dimensioni ambivalenti della nostalgia: da un lato, si evidenziano i processi e le dinamiche socio-culturali che trasformano il passato in una fonte di valore per il presente e il futuro (“nostalgia per un futuro a sua volta perduto: ciò a cui quel passato aveva teso” (Jedlowski, 2017; Laks 2021, Niemeyer e Siebert, 2023); dall’altro, c’è sempre il rischio che la rievocazione del passato possa generare bolle nostalgiche, in cui il pubblico più anziano si sente protetto e a suo agio (comfort zone), ma che lo rendono più chiuso verso il presente e il futuro (Zannoni, 2023). Continuità e fratture: growing older together Università del Molise, Italia «Il tempo è la sostanza di cui un sé umano è costruito» (Luckmann 1983). Il contributo che si intende presentare si pone l’obiettivo di documentare da una parte la validità di questo assunto (quello cioè del legame strutturale tra tempo/tempi e costruzione dell’identità), e, dall’altra parte, le condizioni nuove in cui questo processo deve essere attentamente gestito dal soggetto in “tempi moderni”. Uno dei problemi fondamentali, in questo quadro di ricerca, è certamente la questione della “continuità”, fattore essenziale per una definizione stessa di identità: occorre poter far affidamento su un nesso, anche minimo, tra le circostanze presenti e passate, sul fatto che tale nesso sia destinato a una certa durata, sulla fiducia che esista un ordine che assicura una stretta somiglianza tra le cose come sono ora e come erano solite essere in passato (Giddens 1979). Questo ordine è variabile in quanto esito di processi culturali che danno forma e nutrimento alle idee del passato e del futuro (Appadurai 2004). Nella modernità il rapporto tra il passato il futuro si è palesemente trasformato (Koselleck 1979): un passato più lontano, così come un futuro più lontano, diventano per noi oggi “irrilevanti” per lasciare spazio a una forma peculiare di “accelerazione” che caratterizza i tempi moderni. Da questa trasformazione degli stili temporali collettivi prende forma la “cultura dell'immediatezza”: mode, stili di vita, cicli di produzione, lavoro, relazioni matrimoniali e partner sessuali, convinzioni politiche e religiose diventano sempre più contingenti e instabili (Rosa e Scheuerman 2009). Comincia così ad affermarsi la sorprendente idea che possa esistere una strategia razionale e persino sicura per preferire l’insicuro al sicuro (Luhmann 1976). Il tempo cambia la sua definizione metaforica: non è più un fiume, ma un insieme di pozzanghere e piscine (Bauman 1999). Conseguentemente, la biografia come dimensione unitaria cede il passo a una narrazione per frammenti: la grande impresa identitaria non è più quella di scoprire o inventare un’identità, ma evitare che questa “si appiccichi”. Due fenomeni legati alle nuove prassi narrative e comunicative possono dare spunti riflessivi sugli sviluppi attuali di questi mutamenti, in merito alla dimensione della “continuità” nei processi identitari . Sulla piattaforma Tik Tok si sta diffondendo a macchia d’olio la prassi del cosiddetto Reality Shifting, un passaggio della coscienza dalla “realtà corrente” alla “realtà desiderata” (opportunità che, secondo molti osservatori, esploderà nel Metaverso): si tratta, al fondo, di una forma di evasione durante la quale il soggetto che la pratica si astrae dalla realtà per catapultarsi in un mondo immaginifico, plasmato sui propri desideri e le proprie fantasie, rendendo “disponibile” la dimensione temporale. Il secondo fenomeno è quello altrettanto diffuso su tutti i social network, particolarmente quelli frequentati dai più giovani: il ghosting è la pratica attraverso la quale, nonostante i vari modi di connetterci l’uno all’altro, diventa più facile sparire, non rispondere più, soprattutto nelle relazioni “calde”. Identità cancellabili. Una riflessione finale su questo stato di cose ci suggerisce di riconsiderare una intuizione diametralmente opposta: Alfred Schütz (1951) analizzando una particolare esperienza temporale (quella legata alla performance musicale), aveva individuato in essa particolari forme di rapporti sociali “which necessarily precede” ogni tipo di comunicazione. In quell’esperienza, esecutore e ascoltatore sono “sintonizzati” l'uno con l'altro, vivono insieme attraverso lo stesso flusso: con una sola espressione, “they are growing older together”. Questo “invecchiare insieme”, questa “mutual tuning-in relationship” coincide con la relazione sociale precomunicativa sulla quale è fondata ogni comunicazione: «It is precisely this mutual tuning-in relationship by which the “I” and the “Thou” are experienced by both participants as a “We”», attraverso la semplice “condivisione del tempo”. Divario digitale e alfabetizzazione sanitaria negli anziani: strategie di mediazione intergenerazionale Univesità degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, Italia La presente proposta si inserisce nel progetto PRIN PNRR 2022 Ageing, Health Literacy and Digital Skills Through the Pandemics, condotto dall’Università degli Studi di Cassino e dall’Università di Verona. Questa ricerca indaga la relazione tra il divario digitale, inteso come disuguaglianza nell’accesso e nell’uso delle tecnologie digitali (Van Dijk, 2020), e le tensioni temporali che caratterizzano la società contemporanea. In particolare, si analizza come la trasformazione digitale determini le dinamiche di inclusione ed esclusione, con un focus specifico sulle fasce di popolazione più vulnerabili. La pandemia da Covid-19 ha ulteriormente esacerbato tali disuguaglianze (Esposito, 2022), accelerando un processo di digitalizzazione che ha contribuito a rafforzare le barriere di accesso, accentuando la discrepanza tra il ritmo dell’innovazione tecnologica e le capacità di adattamento della popolazione anziana. In questo quadro, il tempo si configura come una variabile analitica centrale per la comprensione delle dinamiche di esclusione digitale e della crescente vulnerabilità sociale. In particolare, si intende indagare in che modo il divario digitale in ambito sanitario possa rappresentare un’espressione di marginalizzazione temporale determinata dall’accelerazione sociale (Rosa, 2013; 2019), dai processi digitali e dall’urgenza nell’accesso ai servizi sanitari online. Tale fenomeno risulta ulteriormente aggravato dalla carenza di percorsi di apprendimento adeguati alle esigenze della popolazione anziana, contribuendo ad amplificare le disuguaglianze nell’uso delle tecnologie e nell’accesso alle risorse sanitarie digitali. In dettaglio, l’analisi si articola intorno a due interrogativi:
La presente proposta si basa su una prima analisi qualitativa condotta attraverso 20 interviste a testimoni privilegiati in due regioni italiane (Lazio e Veneto), coinvolgendo operatori sanitari, assistenti sociali e formatori digitali. I risultati evidenziano due principali frame concettuali:
L’analisi delle interviste evidenzia come la principale barriera all’inclusione digitale non risieda unicamente nell’accesso alle tecnologie, ma anche nel tempo necessario per apprenderle che diventa un elemento di disallineamento sociale rispetto alle scadenze istituzionali e alle urgenze sanitarie, accentuando le difficoltà della popolazione anziana. La continua evoluzione delle piattaforme digitali in ambito sanitario, unita alla necessità di aggiornamenti costanti, contribuisce a generare insicurezza, ansia e quel senso di alienazione poco funzionale al processo di adattamento alle innovazioni tecnologiche. In risposta a questa accelerazione, la formazione intergenerazionale emerge come una strategia efficace per mitigare il disallineamento. L’apprendimento mediato da giovani formatori non solo contribuisce alla riduzione delle disuguaglianze digitali (Marmot, 2006), ma si configura anche come un modello di accompagnamento che consente agli anziani di acquisire competenze digitali in modo più sostenibile e rassicurante. In questa prospettiva, la ricerca propone un cambio di paradigma: il tempo non deve funzionare da vincolo, ma come una risorsa educativa essenziale. La rapidità delle trasformazioni tecnologiche e l’urgenza di accesso ai servizi digitali generano nuove forme di esclusione, rendendo imprescindibile l’adozione di modelli di inclusione funzionali ai tempi di apprendimento delle fasce più vulnerabili della popolazione. I risultati della ricerca evidenziano la necessità di politiche pubbliche mirate a promuovere un’alfabetizzazione digitale sostenibile (Esposito E. et al., 2021), prevenendo così la trasformazione del divario digitale in una frattura strutturale. Ciò risulta cruciale per garantire un accesso equo e inclusivo ai servizi sanitari pubblici, riducendo le disuguaglianze e favorendo l’autonomia digitale della popolazione anziana. Inattivi o iperconnessi? Superare l'ageismo digitale durante e dopo l’emergenza Covid-19 Università Cattolica del Sacro Cuore, Italia Il concetto di “active ageing” (invecchiamento attivo) è emerso nel discorso pubblico come una strategia valida per affrontare le sfide socio-economiche poste dall'invecchiamento della popolazione, incoraggiando una visione della vecchiaia come un periodo che può/deve essere ancora produttivo e attivo. Tuttavia, come hanno notato diversi studiosi (Cappellato - Mercuri, 2023), i discorsi istituzionali spesso promuovono un modello liberista di "invecchiamento di successo," dove la responsabilità individuale degli anziani nel "dover essere attivi" è celebrata con poca considerazione per i fattori contestuali (Colombo, 2017) ed è sintomo del tentativo di scaricare sugli anziani le difficoltà del welfare nel garantire a tutti i servizi essenziali: a fronte di una rischiosa crescita della spesa pubblica e di arretramento dello Stato, emerge la necessità di avere anziani sempre più produttivi (e sani) e che badino in primis individualmente al proprio benessere. L'invecchiamento attivo è una narrazione culturale che prescrive anche come gli anziani dovrebbero usare le tecnologie della comunicazione e i servizi pubblici digitali (Bonifacio, 2021). A partire dalle premesse delle ricerche sul divario digitale, che sostengono che una maggiore alfabetizzazione digitale dovrebbe migliorare il benessere e l'inclusione sociale degli anziani (Ragnedda, 2018), un numero crescente di studi empirici ha esaminato l'adozione delle tecnologie digitali come strumento per promuovere il buon invecchiamento. Il modello normativo dell'invecchiamento attivo e dell'uso della tecnologia tra le persone anziane ha favorito la diffusione di una serie di discorsi che hanno visto gli "anziani non digitalizzati" come una categoria "per sé" svantaggiata e, possibilmente, da superare. Infatti, se le tecnologie digitali aiutano a mitigare alcuni problemi legati all'età, le persone anziane non tecnologizzate rischierebbero di perdere queste opportunità (Sagong - Yoon, 2022). L'emergenza Covid-19 ha moltiplicato la pressione sugli anziani per l'uso dei media e dei servizi digitali, con un brusco cambiamento nel discorso pubblico nel nostro Paese: gli anziani sono passati rapidamente dall'essere “strutturalmente” inadatti a usare le tecnologie all'essere costretti a usarle per dimostrare di essere ancora attivi e connessi nonostante le restrizioni dovute alla pandemia. La nostra ricerca qualitativa longitudinale (2020-2024), condotta intervistando un panel di 40 anziani italiani, cerca di ricostruire le strategie adottate dagli anziani per sfidare gli stereotipi che collegano l'uso/non uso delle tecnologie digitali ai processi di invecchiamento. In particolare, la ricerca porta alla luce il tentativo degli anziani di trovare una propria “strada” nell'uso delle ICT, che superi sia gli stereotipi ageistici di anziani naturalmente lontani dal mondo digitale, sia gli stereotipi di anziani che per rimanere attivi, affrontare l'emergenza Covid-19, vivere a pieno la propria vita hanno bisogno di essere iperconnessi. Nonostante la generale spinta all’inclusione digitale degli individui anziani, la ricerca mostra una interessante capacità di resistenza della popolazione anziana, in grado spesso di scegliere tempi e modi di utilizzo delle ICT, nonostante la pressione alla digitalizzazione. Le forme di disconnessione volontaria, negoziazione, rifiuto da parte della popolazione anziana all’utilizzo di tecnologie digitali hanno reso le traiettorie di utilizzo delle ICT da parte degli over 65 spesso sorprendenti e non scontate. |
10:30 - 12:30 | Sessione 4 - Panel 09: Culture digitali Luogo, sala: Aula 12 (A1-B) Chair di sessione: Tiziana Terranova |
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Piattaformizzazione della camorra su TikTok Università degli studi di Napoli Federico II, Italia La diffusione delle piattaforme di social media ha permesso alle organizzazioni criminali italiane di partecipare attivamente alla costruzione degli immaginari criminali, affiancandosi a giornalisti, scrittori e sceneggiatori che per oltre un secolo ne hanno modellato la rappresentazione (Ravveduto, 2024). Se le piattaforme di prima generazione, come Facebook e Instagram, hanno offerto un primo spazio di auto-rappresentazione, è attraverso le logiche algoritmiche delle piattaforme di seconda generazione come TikTok (Gerbaudo, 2024) che la cultura criminale sembra trovare una nuova forma di legittimazione nella sfera pubblica digitale. Questo studio analizza le modalità di piattaformizzazione della cultura criminale su TikTok, interrogandosi sia su come le affordances della piattaforma influenzino la costruzione dell’immaginario criminale attraverso la codifica e decodifica dei significati culturali vernacolari (Burgess, 2006), sia su come gli obiettivi di comunicazione definiscono la relazione tra le pratiche di utilizzo e le logiche memetiche della piattaforma. Per rispondere a questi interrogativi, è stato condotto un caso di studio sui clan di camorra attivi nella città e nella provincia di Napoli, attraverso un’etnografia digitale focalizzata su 20 account TikTok riconducibili a membri delle organizzazioni criminali. Gli account sono stati selezionati mediante due strategie complementari: un campionamento opportunistico in collaborazione con un key-informant e l’adozione dell’approccio metodologico ‘follow the user’ (Caliandro, 2024). I risultati preliminari evidenziano come la piattaformizzazione della cultura criminale camorristica su TikTok si articola lungo tre dimensioni principali. La prima riguarda la reputazione e il consenso sociale che si strutturano attraverso pratiche di produzione culturale e performance pubbliche della violenza e di consumo vistoso. La seconda dimensione è quella economica. Le donne delle organizzazioni promuovono la creazione di circuiti economici dal basso (sia legali che illegali) attraverso strategie di social commerce monetizzando il proprio capitale simbolico criminale. Infine, le affordances, l’effemerità della viralità, la geolocalizzazione e la modularità dei contenuti sembrano favorire la diffusione e il consolidamento di simboli e narrative camorristiche attraverso memetic publics (Zulli & Zulli, 2022). Questi risultati suggeriscono che TikTok non è solo un canale di rappresentazione della criminalità organizzata, ma un vero e proprio spazio di intermediazione economico, in cui la cultura camorristica assume la forma di un meta-brand digitale: un ecosistema di significati e pratiche sociali negoziate tra utenti, algoritmi e affordances della piattaforma. Inoltre, l’uso strategico delle grammatiche digitali rivela come la camorra su TikTok sviluppa sofisticate strategie di adattamento per sfuggire al controllo sociale e algoritmico, ridefinendo continuamente la propria presenza sulla piattaforma. Rifiuta, pretendi, memifica: nuove significazioni del lavoro nei meme su Instagram Università degli Studi di Milano, Italia Le trasformazioni strutturali che si sono verificate alla fine dello scorso secolo hanno alterato in maniera inequivocabile il sistema economico e quello lavorativo, rendendo la precarietà una caratteristica fondante delle esperienze professionali.. Ne deriva una condizione di precarietà non solo lavorativa, ma anche sociale ed esistenziale, che vede riconfigurata non solo la cultura del lavoro ma anche la percezione del futuro personale. (Standing, 2011; Neilson, 2015; Berry e McDaniel, 2020; Worth, 2019) Le aspettative di successo individuale, radicate nel discorso neoliberale, generano spesso un senso di inadeguatezza, ansia e frustrazione (Hoge et al., 2017; Achdut e Refaeli, 2020) che porta le persone ad accettare lavori non retribuiti come investimento per future opportunità occupazionali , contribuendo a normalizzare lo sfruttamento e la svalutazione delle competenze. (Mackenzie e McKinlay, 2021) (). Di tutta risposta, le generazioni più giovani mostrano un crescente sentimento di rifiuto verso il lavoro, sempre più percepito come una costruzione sociale del neoliberismo (Weeks, 2011; Frayne, 2015; Graeber, 2019; Coin, 2023), intrisa di dinamiche patriarcali (Anzaldúa, 1987) e che andrebbe respinta (Berardi, 2016). Fenomeni come la great resignation e il quiet quitting emergono come risposte al disincanto verso il lavoro salariato e le promesse capitalistiche, spesso radicalizzandosi in visioni post-capitaliste che auspicano la piena automazione e il reddito di base universale (Srnicek e Williams, 2015). Con queste premesse, questo studio mira a indagare le percezioni del lavoro in Italia attraverso un’analisi quantitativa e qualitativa di un corpus di meme a tema lavoro. La ricerca esplora due domande principali: come si distribuiscono le rappresentazioni del lavoro nei meme? e in che modo l’estetica visiva si intreccia con i temi trattati? L’obiettivo è evidenziare come i meme, attraverso umorismo e ironia, contribuiscono alla costruzione collettiva di significati sul lavoro contemporaneo. Per rispondere a queste domande, abbiamo condotto un’etnografia digitale su Instagram per individuare pagine o utenti che fossero affini al nostro oggetto di studio, identificandone un totale di 26 da cui abbiamo raccolto un totale di 3500 post. Utilizzando il pacchetto Instaloader abbiamo ottenuto un dataset di circa 10000 immagini. L’analisi visuale dei meme è stata condotta tramite Pixplot (Duhaime, 2021), un tool in grado di creare una “mappa visiva” del dataset raggruppando le immagini in cluster visivamente simili. La visualizzazione ottenuta è stata la base per un’analisi delle immagini in gruppo (si veda Rogers, 2021) per individuare pattern visivi, cluster tematici, e estetiche dominanti. L’analisi preliminare evidenzia l’emergere di diversi cluster tematici, tra cui spiccano quelli legati all’automazione, a precarietà, rifiuto del lavoro, critiche verso aziende e capitalismo. Dal punto di vista visivo, si osserva una predominanza di immagini con estetica low-effort, caratterizzati da semplicità e immediatezza comunicativa. Nel complesso, emerge una narrazione ironica e profondamente critica del lavoro, che non si limita a descrivere le dinamiche occupazionali, ma sfida esplicitamente il discorso dominante mettendo in discussione la retorica produttivista. Attraverso ironia e cinismo, si smascherano le contraddizioni insite nelle narrazioni mainstream sul lavoro, rivelando come spesso esse nascondano alienazione, sfruttamento e precarietà sotto la patina del merito, della realizzazione personale e della flessibilità. In questo contesto, l’ironia diventa uno strumento di resistenza simbolica, capace di smontare le logiche di colpevolizzazione individuale che spesso accompagnano il fallimento nel raggiungimento di parametri imposti dal mercato del lavoro. In questa prospettiva, la narrazione ironica e critica non è solo un riflesso del malessere contemporaneo, ma anche un invito a immaginare forme diverse e più o meno utopiche di organizzazione sociale ed economica: modalità lavorative più eque, sostenibili e rispettose delle esigenze umane. TikTok e la mediatizzazione della vita quotidiana: narrazione e performatività come agency dal basso Università degli studi di Napoli Federico II, Italia Questo contributo esplora le forme emergenti di mediatizzazione della vita quotidiana connesse alle trasformazioni della cultura partecipativa dei media digitali e all’adozione popolare della piattaforma TikTok. La diffusione di TikTok, e la distribuzione della visibilità dei content creator dovuta al funzionamento dell’algoritmo di raccomandazione, hanno infatti favorito la circolazione di contenuti che rappresentano aspetti ordinari, ma anche triviali, scabrosi o mondani, della vita quotidiana. La spettacolarizzazione della vita quotidiana, può essere concepita come un’articolazione specifica e distinta della “piattaformizzazione delle culture di consumo” (Caliandro et al., 2004), oltre che come uno sviluppo di alcuni tratti della “vetrinizzazione sociale” (Codeluppi, 2007). Questi elementi costituiscono tratti caratteristici della configurazione culturale e tecnologica dello short video come medium (di cui TikTok è un vettore di popolarizzazione) di specifico interesse socioculturale. L’intervento presenta i risultati parziali di un’indagine empirica sulle pratiche di utilizzo e fruizione della piattaforma nel contesto urbano di Napoli, focalizzandosi su esempi e casi studio che mostrano come le dimensioni ordinarie della vita quotidiana (spazio domestico, famiglia, affetti, lavoro, intimità, etc.), sono mobilitate soggettivamente come risorse rappresentative, in particolare da parte di gruppi sociali subalterni o convenzionalmente rappresentati in modo passivo. Lo studio combina etnografia digitale, analisi dei contenuti, osservazione partecipante e interviste semi-strutturate per inquadrare tali pratiche come “forma culturale” (Williams, 1974). L’analisi dei contenuti mette in relazione forme di creatività spontanea e vernacolare con l’uso professionale della piattaforma, rilevando una combinazione di repertori, registri, tecniche comunicative, narrazioni, simboli, che compenetra cultura pop mainstream e sottoculture. L’intervento propone alcune riflessioni critiche su come tali pratiche interrogano il tema della costruzione delle identità culturali e della riproduzione sociale, evidenziando come tali processi possano modificare in maniera significativa la cultura partecipativa del panorama mediatico, e le convenzionali asimmetrie di visibilità e capacità di auto-rappresentazione dei gruppi sociali. (Introduzione) Dalla pandemia in poi, la piattaforma di origine cinese è stata vettore della diffusione su larga scala della fruizione, riproduzione e circolazione del video breve come forma culturale. La percezione diffusa della sua straordinaria accessibilità e versatilità, ha alimentato un processo di appropriazione popolare del medium. In pochi anni, la piattaforma si è affermata come un’infrastruttura commerciale e socio-culturale fortemente incorporata nella vita quotidiana e nella cultura popolare, con un particolare coinvolgimento, in qualità di creator e di audience, di gruppi sociali subalterni, convenzionalmente marginalizzati o esclusi. Attraverso le pratiche d’uso delle piattaforma, gli utenti si riappropriano della capacità di rappresentare il proprio quotidiano, sperimentando nuove modalità espressive e sottraendo le dinamiche comuni della propria vita all’invisibilizzazione e all’oggettificazione stereotipata. In tale contesto, le dinamiche ordinarie o triviali della vita quotidiana diventano una risorsa performativa e riflessiva molto accessibile, ma anche fortemente esposta e visibile. La particolare combinazione tra le funzionalità tecniche, la attitudini espressive degli utenti e il funzionamento dell’algoritmo di raccomandazione di TikTok, ha contribuito ad alimentarne la percezione di accessibilità e versatilità, e dunque alla formazione di pubblici con sensibilità estetiche meno elitarie. Questo ha favorito un processo di appropriazione popolare da parte di soggetti e gruppi sociali subalterni, tradizionalmente marginalizzati o sottoesposti, ritenuti convenzionalmente incapaci di rappresentare sé stessi e i propri interessi attraverso i media, nonché dotati di capitale culturale, simbolico e relazionale di diversa entità. Ciò ha contribuito a sovvertire le convenzionali asimmetrie di visibilità, stimolando la diversificazione e la distribuzione della capacità di rappresentazione e del capitale reputazionale, favorendo la sua effimerità piuttosto che la sua accumulazione. La creazione e la circolazione dei contenuti costituiscono non solo un mezzo espressivo, di rappresentazione e un’opportunità di guadagno, ma anche uno spazio di negoziazione delle identità e degli stereotipi, di riflessività sociale e transculturale. Cottagecore: le contraddizioni dell'estetica nostalgica Università degli Studi di Bari, Italia Il termine cottagecore è comparso nei mesi di espansione della pandemia da Covid-19 (Slone 2020; Jennings 2020) come hashtag per etichettare contenuti social caratterizzati da un’estetica che celebra la vita agreste, ispirandosi ad una visione idealizzata della natura e del passato pre-industriale. I post su Tumblr, Instagram e Tik Tok poggiano il loro successo sulla condivisione di attività manuali (lavori a maglia, confezione di abiti, preparazione di cibi tradizionali) in case di campagna immerse nei boschi, producendo una “fantasia escapista” (Brand 2021) che permette agli utenti di allontanarsi seppur brevemente dalle emergenze del contemporaneo. Quale idea del passato emerge dalla circolazione spontanea di questi contenuti? Che tipo di rifugio cercano gli user nella condivisione di un immaginario idilliaco? Il paper muove da queste domande per esporre i risultati di una content analysis esplorativa su un campione di post con maggiore engagement su Tumblr. Il cottagecore sembra perfettamente inserito nella “epidemia globale di nostalgia” (Boym 2002) che caratterizza anche la produzione mediale dell’ultimo decennio (Reynolds 2011; Morreale 2009), centrata sulla rievocazione di retrotopie che surrogano le aspettative deluse del futuro (Bauman 2020; Fisher 2009), attraverso il richiamo ad un passato idealizzato o, come nel caso di studio, mai esistito. I valori veicolati sembrano affiancare, a quella riflessiva, una nostalgia “progressista” (Gandini 2021) ovvero un’intenzione critica marcatamente anticapitalista e anticonsumistica in cui il passato si fa strumento per affermare nel presente la necessità di comportamenti di consumo più inclini a sensibilità ecologica (rispetto per l‘ambiente, gli animali, riciclo) ed immaginario slow (consumo sostenibile, recupero del “saper fare”). L’insistenza sul crafting, ad esempio, mostra i valori della semplicità e della lentezza promuovendo il rifiuto del ricorso al mercato e valorizzando attività tradizionalmente soggette a pregiudizi di genere. L’analisi dei contributi video e fotografici ha permesso di individuare alcune contraddizioni sottese all’idealizzazione della vita rurale: la romanticizzazione astorica della vita contadina, che ne rimuove le difficoltà reali come l'isolamento, la mancanza di opportunità e la durezza del lavoro; la promozione di un lifestyle elitario che abbraccia un immaginario rurale accessibile solo a chi gode di privilegi socioeconomici; l’utilizzo del trend al servizio di operazioni di marketing o gentrification (Johnstone 2022) che incentivano comportamenti di consumo diametralmente opposti ai valori veicolati dall’estetica. Sembra rivelarsi dunque uno scollamento netto tra le istanze di critica sociale da cui il cottagecore ottiene parte del suo fascino e la propensione all’organizzazione di un pensiero e di un’azione collettiva per potervi porre rimedio. Visibilità al lavoro: TikTok tra difesa dei diritti e strategia d’influenza Università LUMSA, Italia La presentazione illustra i risultati avanzati di una ricerca che ha preso avvio nei primi mesi del 2024, avente a oggetto l’uso dei social media basati su contenuti visuali da parte dei gruppi di interesse dei lavoratori in Italia. In particolare, l’analisi si concentra in questa fase sulle strategie comunicative adottate dagli attori più attivi e visibili su TikTok e sull’intreccio che le loro attività manifestano tra identità professionale e identità sociale (Melucci 1985). Lo studio considera tale fenomeno come espressione della più ampia relazione tra i processi di mediazione sociale della voice (Bertarelli e Faccioli, 1999; Morcellini, 2003) e le dinamiche peculiari della comunicazione digitale (Murru e Vicari 2021). L’analisi tiene dunque conto sia delle opportunità di community empowerment offerte dai social media (Sarrica et al. 2018) ai movimenti sociali (Abidin e Lee 2022), sia dei rischi connessi all’intreccio tra cultura dell'influenza e attivismo digitale (e alla risultante logica di partecipazione egocentrata – Fenton e Barassi 2011). Questo lavoro indaga perciò il fenomeno delle microcelebrities del lavoro (Senft, 2013) basandosi su un’analisi dei profili di 225 utenti di TikTok, e intende rispondere alle seguenti domande:
L’identificazione dei profili TikTok attivi su tematiche lavorative è avvenuta tramite una ricerca per parole chiave, registrando i primi 100 risultati per ciascuna e affinando il campione con specifici criteri di esclusione. Dopo l’eliminazione dei contenuti privi di hashtag rilevanti, il dataset è stato ridotto a 2.852 righe e 225 profili unici. Gli account sono stati classificati in base all’engagement (rapporto interazioni/follower), alla tipologia (persona, pagina, organizzazione), all’identità professionale e/o sociale dichiarata nella bio, ai temi trattati (lavoro quotidiano, meme/POV, diritti) e al registro comunicativo (ludico-espressivo, identitario-espressivo, enfatico-rivendicativo, neutrale-informativo). L’analisi evidenzia un panorama eterogeneo, caratterizzato dalla presenza di profili altamente attivi sui temi lavorativi. Il dato più interessante riguarda la centralità dei professionisti del lavoro – avvocati, consulenti del lavoro, commercialisti e consulenti aziendali – tra i principali produttori di contenuti. Questi profili, che rappresentano microcelebrities nel dominio tematico considerato, evidenziano la tensione tra cultura dell’influenza e attivismo, integrando la comunicazione sui diritti del lavoro con strategie promozionali tipiche del personal branding. Questi soggetti si propongono come fonti di informazione e supporto per lavoratori e lavoratrici (e, in minor misura, per imprenditori e liberi professionisti), sollecitandoli a far valere i propri diritti. Quanto alla dimensione collettiva espressa dai profili individuati, si osserva come i profili sindacali ufficiali risultino numerosi ma scarsamente influenti, con un’area tipologica più dinamica rappresentata dai CAF e patronati, che offrono consulenza sui diritti dei lavoratori. Si osserva inoltre come i risultati qui ottenuti siano analoghi a quelli riscontrati attraverso uno studio analogo già condotto nel contesto spagnolo e sudamericano (Nespoli 2024). Il contributo evidenzia in conclusione un debole legame tra associazionismo e attivismo digitale in Italia nel contesto di una piattaforma ancora dominata da un’utenza giovane, ma dove sono presenti utenti la cui domanda di contenuto sostiene la visibilità di figure professionali impegnate nella divulgazione dei temi lavoristici. Questa relazione può essere interpretata come espressione di una domanda di tutela dei diritti on-demand, alla quale corrisponde una rappresentanza individualizzata, abilitata dai media digitali espressivi del sé. I quali, almeno nello specifico dominio delle tematiche lavoristiche, paiono riflettere – e al contempo sollecitare – tendenze individualistiche anziché svolgere il ruolo di catalizzatori di spinte solidaristiche e di dinamiche partecipative intersoggettive. |
10:30 - 12:30 | Sessione 4 - Panel 10: Immagini e rappresentazioni dell'IA Luogo, sala: Aula 13 (A1-C) Chair di sessione: Patrizia Calefato |
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Il tempo passa ma gli stereotipi restano: l’ageismo nei sistemi di IA generativa 1Università degli Studi dell'Aquila, Italia; 2Università LUMSA, Italia; 3Universitat Oberta de Catalunya, Spagna Questo paper indaga il fenomeno del AI Ageism, ovvero l’insieme di pratiche e ideologie che operano nei sistemi di intelligenza artificiale (IA) discriminando, stigmatizzando o trascurando le persone anziane in ragione della loro età (Chu et al., 2022; Stypinska, 2023). Mentre le ricerche sui pregiudizi di genere incorporati e riprodotti dalle IA si stanno già avvicendando (Leavy, 2018; Walker, 2020; Browne et al., 2023 tra altri), c’è ancora poca letteratura su quelli basati sull’età (finora Putland et al., 2023; Byrne et al., 2024; Loos et al., 2024). La nostra ricerca mira a colmare questa lacuna dando conto, nello specifico, di come i chatbot di IA generativa (genAI) rappresentano le persone anziane e l’invecchiamento nei loro output testuali. La moda nel Metaverso: AI e percezione del tempo, tra accelerazione e sostenibilità eCampus, Italia
Le crisi ecologiche ed economiche cambiano la percezione del tempo e delle pratiche quotidiane, trasformando il modo in cui le persone consumano, producono e si relazionano con i beni materiali e digitali. In questo scenario, la moda digitale e l’AI generativa emergono come nuove frontiere di consumo, ridefinendone la temporalità e modificando la produzione e la fruizione. Questa trasformazione si inserisce nel contesto odierno di grave crisi ambientale, in cui il fast fashion è al centro del dibattito sulla sostenibilità (Mortara et al., 2024; Calefato, 2021). In questa direzione, la moda digitale e generativa avanza con la promessa di una smaterializzazione dell’abbigliamento come soluzione sostenibile agli sprechi e al consumo di risorse fisiche. Tuttavia, tale forma di produzione, anziché mitigare l’impatto ambientale, rischia di alimentare ulteriormente l’iperconsumo, sollevando interrogativi sulla sostenibilità dell’hyper-fast fashion digitale e sulla dilatazione della percezione del tempo nelle pratiche di consumo. Questa riflessione si inserisce nel quadro teorico della teoria accelerazionista di Hartmut Rosa (2015), per il quale la modernità è segnata da un’accelerazione che comprime la percezione del tempo e rende il presente sempre più breve e instabile. La moda digitale, e in particolare quella generativa, con la sua produzione istantanea, esemplifica questa logica, spazzando via la stagionalità e promuovendo il consumo iperveloce, con un forsennato turnover di modelli, tendenze e pratiche comunicative. Al contempo, il paper si basa sulle riflessioni di Zygmunt Bauman (2012) che consentono di interpretare le pratiche mediali e socioculturali della moda digitale nel contesto della postmodernità, segnata da consumo volatile e identità mutevoli. In questa prospettiva, per esempio, è possibile inquadrare l’acquisto e l’impiego di abiti solo per la durata di un post sui social o per un avatar temporaneo nel metaverso. Attraverso l’analisi del caso studio di DressX, che invita gli utenti a “non comprare meno, ma ad acquistare moda digitale”, come risposta alle crisi ambientali e ai cambiamenti nei comportamenti dei consumatori, l’intervento intende esaminare i processi e le modalità attraverso cui il metaverso e l’AI generativa non solo riscrivono le regole della produzione e del consumo di moda, ma anche la nostra relazione con il tempo, la sostenibilità e l’identità digitale. L’assenza di fisicità della moda virtuale modifica, infatti, il ciclo temporaneo del consumo e il concetto di possesso e di durata, portando a un’esperienza sempre più effimera e disancorata dalla materialità tradizionale. A questo proposito, l’approccio del materialismo digitale (Gottlieb, 2018; Tirino, 2017), che solleva interrogativi critici sulla reale sostenibilità e sulla capacità di rispondere alla crisi ambientale. Bias di genere ed etnici nell’IA. Un’analisi critica attraverso il paradigma della slow technology Sapienza, Università di Roma, Italia I sistemi di Intelligenza Artificiale (IA) e Machine Learning (ML) si inseriscono in un contesto socio-tecnico caratterizzato da una crescente accelerazione che influenza le strutture temporali della società (tardo)moderna e si articola in tre dimensioni interconnesse: accelerazione tecnologica, dei mutamenti sociali e del ritmo di vita (Rosa, 2015).
Così, integrando il paradigma della slow technology e gli approcci socio-tecnici esistenti, il contributo evidenzia come l’adozione di una prospettiva riflessiva e interdisciplinare possa costituire un’alternativa alle logiche di accelerazione favorite dai sistemi algoritmici, offrendo spunti per la progettazione di sistemi di ML/IA in direzione di una maggiore equità, trasparenza e responsabilità. I TEMPI DELL’IA: UN’ANALISI DELL’IMMAGINARIO GIOVANILE Università degli Studi dell'Aquila, Italia Il contributo presenta i risultati di uno studio che analizza la rappresentazione dell’Intelligenza Artificiale (IA) nell’immaginario giovanile, con particolare riferimento alla sua applicazione nei servizi pubblici. Nel discorso comune, così come nelle policy pubbliche in materia, l'IA è considerata uno strumento rivoluzionario nella società (Opromolla, Di Rocco, Parisi, 2024; Opromolla, Parisi, De Matteis, Pizolli, e Trodini, 2024); la sua applicazione ai servizi pubblici risulta ancora più determinante perché crea un terreno fertile per la sua introduzione anche in altri contesti (van Noordt, e Misuraca, 2022; Wirtz, Weyerer, Geyer, 2018). L’immaginario giovanile sull’IA è particolarmente analizzato nella letteratura scientifica sull'argomento (Ciofalo, Pedroni, Setiffi, 2024; Van Brummelen, Tabunshchyk, and Heng, 2021; Benevento, 2023): i giovani rappresentano gli utenti futuri dei servizi basati sull’IA, nonché gli attori principali del cambiamento tecnologico e sociale. Essi hanno sviluppato un’immagine dell’IA che oscilla tra visioni ottimistiche e prospettive più critiche, che fanno emergere la necessità di processi formativi mirati e politiche pubbliche adeguate. L’analisi del contributo è stata condotta attraverso quattro focus group, coinvolgendo 40 studenti e studentesse equamente distribuiti per genere e suddivisi in due fasce d’età (14-18 e 19-24 anni). I risultati evidenziano che, sebbene l’IA venga utilizzata quotidianamente, esiste una mancanza di conoscenza sul suo funzionamento, accompagnata da timori e sfiducia. La percezione dell’utilità degli strumenti è ambivalente: da un lato, l’IA è considerata utile, dall’altro emergono preoccupazioni legate ai rischi di dipendenza. Le maggiori criticità riguardano la possibile perdita di controllo nell’utilizzo, i rischi per la privacy – specialmente per i dati sensibili – e un appiattimento cognitivo dovuto all’eccessiva personalizzazione. Emerge dunque la necessità di un controllo umano sugli strumenti di IA per migliorare la sua trasparenza, oltre che di un’educazione teorica e pratica sull’argomento. La dimensione temporale occupa un ruolo centrale nell'immaginario giovanile riguardo l'IA. Di seguito sono riportate alcune parole chiave che meglio rappresentano le diverse sfaccettature di questa dimensione, applicabili a diversi livelli e momenti di sviluppo dell’IA. Il primo livello di analisi riguarda gli aspetti operativi. La parola che emerge in questo ambito è accelerazione. I partecipanti evidenziano, infatti, come l’IA possa aumentare la velocità di alcuni compiti, attraverso l’utilizzo di dati raccolti in real time, in grado di fornire informazioni e di automatizzare i servizi, rendendoli più efficienti. Di contro, alcuni partecipanti evidenziano l’effetto frenante dell’IA: essa porterebbe ad un impigrimento cognitivo capace di diminuire le capacità umane di risolvere i problemi. In termini di impatto dell’IA sulla vita delle persone, emerge, inoltre, il suo effetto di puntualità: poiché uno dei pericoli percepiti dell’IA è la tendenza a fossilizzare gli utenti su posizioni sempre identiche, è come se ogni momento si ripetesse uguale al precedente, bloccando il cambiamento e l’evoluzione del pensiero. Spostando il focus sugli aspetti implementativi, emerge la lentezza, in particolare in termini di applicazione dell'IA al settore pubblico, dal momento che le organizzazioni pubbliche sono percepite come poco aperte alla volontà di cambiamento. Una lentezza che, a sua volta, si applica agli stessi servizi, rendendoli complicati, e ai cittadini, culturalmente legati a modalità di interazione più tradizionali. Inoltre, in merito alle caratteristiche dell’IA desiderate, emerge il carattere della duratività, legata alla necessità di rendere manifesti, nel corso dell’esperienza di interazione, i diversi stati dell’IA in modo semplice e accessibile: tale carattere di continuità offrirebbe, infatti, maggiore consapevolezza, controllo e conoscenza. Tuttavia, emerge al contempo l’aspetto dell’incoatività: l’integrazione dell’IA nei servizi pubblici è infatti considerato un processo ancora in fase iniziale, elemento che fa emergere la necessità di definire modalità di coinvolgimento delle persone nella fase di progettazione e implementazione dei sistemi di IA. La temporalità della genericità nell'IA visiva University of Milan, Italia Nel 2019, il sociologo dei media Henrik Bodker e i suoi coautori hanno scritto che la società stava “assistendo a una crescente divergenza tra i meccanismi di ritardo insiti nella democrazia liberale e una ‘politica dell'impazienza’ che fa parte di uno stile comunicativo populista più ampio. Inoltre, i social media, in particolare Twitter, contribuiscono a spianare la strada a questa crescente impazienza populista, creando quello che può essere definito come “tempo populista” (Bodker et al. 2019). Questa analisi tipologica è solo una parte di una gamma molto più ampia di studi che indagano il rapporto tra il cambiamento tecnologico e il tempo, che vanno dall’analisi di Eisenstein sul tempo e la stampa (Eisenstein 1966), alla discussione di Barnhurst (2011) sul tempo e le notizie, fino alla più familiare teorizzazione del tempo e dell’accelerazione (Wajcman 2014, Virilio 1977, Sharma 2014). Negli ultimi anni le tendenze individuate da tutti questi autori hanno subito un’accelerazione (senza giochi di parole). Uno dei cambiamenti più importanti riguarda i meccanismi dei social media stessi, che sono stati sempre più dominati da tre forme di media visivi: immagini di eventi reali (Zelizer 2007), meme (Schifman 2014, Mazzoleni e Bracciale 2021) e fotografie stock (Author et al. 2022). Ognuna di queste forme visive, a sua volta, ha un proprio pregiudizio temporale incorporato. Ma l’ascesa dell'intelligenza artificiale dedicata alla produzione di immagini e l’integrazione di questi formati in varie forme di media complicano la differenziazione temporale stabilita dalle forme visive discusse finora. L’IA visiva può rappresentare contemporaneamente “il qui e ora”, un meme e una realtà generalizzata e senza tempo. In questo contributo sosteniamo che l’ascesa dell’IA visiva è meglio intesa come l’ascesa di una particolare forma di “immaginario generico” (Author et. al. 2025, Meyer 2025) che solleva interrogativi sulla relazione fra genericità e temporalità. Per iniziare a esaminare questa questione, questo contributo è suddiviso in quattro parti. La prima parte esamina il rapporto tra immagini, tempo e “pubblico” in generale. La seconda parte si focalizza sull’ascesa dell’IA visiva e sostiene che questa forma visiva è meglio compresa come una varietà di immagini generiche, ma con proprietà insolite. Una di queste proprietà insolite è il suo orientamento temporale, che è l’argomento della terza parte del contributo. La parte finale della presentazione offre una discussione critica sulla politica accademica di una comprensione temporale dell’IA. |
10:30 - 12:30 | Sessione 4 - Panel 11: Ucronie contemporanee: la letteratura come rifugio temporale Luogo, sala: Aula 11bis (A0-C) Chair di sessione: Andrea Lombardinilo |
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Ucronie contemporanee: la letteratura come rifugio temporale Università degli Studi Roma Tre, Italia Ucronie contemporanee: la letteratura come rifugio temporale
La letteratura come scrittura del possibile o dell’irrealizzabile. Questo il focus di ricerca che si prefigge il panel, incentrato su alcune declinazioni letterarie ispirate al concetto di ucronia e alla scelta di raccontare i fatti sociali secondo traiettorie narrative alternative, immaginarie o fantastiche, distopiche o utopiche. La letteratura può configurarsi come rifugio temporale, nella misura in cui la scrittura può dare forma ad aspettative mancate e ad attese sepolte, svelando così mondi possibili e mai realizzati, sospesi tra finzione e iperrealtà. Lo studio delle ucronie contemporanee consente di analizzare l’evoluzione della produzione letteraria del Novecento, secolo che ha assistito a due guerre mondiali, all’olocausto, alla guerra fredda e ad infinite altre lacerazioni, individuali e collettive. Artisti e scrittori vi hanno reagito attraverso la costruzione di mondi alternativi, da Aldous Huxley a Emmanuel Carrère, fruttando la dialettica tra utopia e distopia, senza trascurare il ricorso all’ucronia. L’idea di letteratura come cronorifugio, proposta da Georgi Gospodinov, disegna curvature narrative accattivanti, che pongono il lettore di fronte all’incognita del futuro, mescolando satira e nostalgia, storia e ironia, in un irresistibile viaggio nello sconfinato paradigma del passato. Di qui l’opportunità di approfondire l’impegno letterario di alcuni scrittori, noti e meno noti, che hanno definito paradigmi ucronici e innovato il genere del romanzo grazie ad una visionarietà dai tratti stranianti, calibrata sui segreti dei rifugi temporali. Sullo sfondo, si palesa il mondo come avrebbe potuto o dovuto essere, insieme alle vite possibili e alternative che si agognano o si temono. Si pensi al premio Nobel Sinclair Lewis, a Philip k. Dick e Philip Roth, che da versanti letterari differenti hanno ispirato alcuni loro testi alle vicende storiche del Nazismo. Si pensi a Neal Stephenson e George Jewsbury, che in Interface analizzano le dinamiche del complotto da una prospettiva tecnocratica e ucronica. Si pensi anche alla riscrittura della biografia di Cristo da parte di José Saramago, secondo un processo di riscrittura della storia che si presta a re-interpretazioni e desacralizzazione. Si pensi infine al crono-rifugio come espediente letterario, sul modello proposto da Mircea Cặrtặrescu. Si disegnano così alcune possibili declinazioni ucroniche del nostro presente, irrealizzato e vagheggiato, secondo un processo di riallineamento del tempo perduto e il recupero delle temporalità vagheggiate. La letteratura e l’alterazione del tempo. Un intanto nostalgico dell’assenza “Vorrei vivere a pagina 17 di Cronorifugio, a pagina 17 di ogni romanzo, dove tutti sono ancora felici. Voglio vivere negli inizi dei libri, quando tutto è appena iniziato e tutto deve ancora succedere”. Sono le parole di Georgi Gospodinov, tratte da una recente intervista su Cronorifugio (Voland, 2021). Se ne coglie in pieno una tensione di attesa del futuro. Eppure con questo romanzo Gospodinov offre il passato alla memoria, soprattutto di chi non ha attraversato certi eventi. Vi si narra un tempo che, mentre viene ricordato nella sua complessità storica, assume una tonalità del tutto singolare: l’idea, quasi nostalgica, che di fronte a una non-esperienza del passato, una assenza, si possa scegliere di tornare a viverlo, in base alle proprie attitudini. Un passato che può diventare un rifugio per chi, come lo stesso Gospodinov ha dichiarato più volte, essendo cresciuto nell’ex Urss ha dovuto fare i conti con un discorso pubblico che ha tradito le promesse di futuro, facendone oggetto di una strumentalizzazione, qualcosa con cui barattare il presente totalitario. E probabilmente è per questo stesso corpo a corpo con la dittatura che ritroviamo questa “poetica della non esperienza” anche in un altro autore, Mircea Cărtărescu. In maniera più radicale, lo scrittore rumeno, oltre a fare del romanzo un mezzo per risarcire l’esperienza dell’assenza, porta in primo piano il tema della letteratura: “avevo cominciato a soffrire per il mio aspetto, che mi sembrava miserevole, per il fatto che non avevo soldi… Ma, in primo luogo, odiavo la mia mentalità di sognatore sbandato che, lo sapevo, mi avrebbe sempre impedito di vivere come avrei desiderato…Durante tutto quel periodo di vacanza di tre settimane Gina non ha più chiamato. Io non le ho più telefonato. L’orgoglio non mi permetteva di fare il primo passo. Di sera soffrivo come un cane, ma di mattina non stavo così male…Leggevo moltissimo, sette, otto ore al giorno…Scrivevo, se non ricordo male, il 10 gennaio: ‘Vita orientata verso l’esterno’… Leggo Thanatos, di Ion Biberi e la monografia del sogno di Popoviciu. Ho finito Orlando di Virginia Woolf” (Nostalgia, Voland, 2003, pp.128-129). Con Cartarescu in maniera più esplicita è la letteratura il cronorifugio, nelle vite anguste di chi magari si è dovuto misurare anche con la censura. Un romanzo come Nostalgia, ricco di numerosissimi riferimenti agli immaginari letterari, molti dei quali occidentali, integra la vocazione realista della letteratura, esaltandone la dimensione di compensazione fantastica e immaginifica dell’esperienza mancata. In questo contributo, dunque, partendo da questi due autori, dalla loro storia socio-biografica e letteraria, si guarda alla letteratura come un rifugio, vera e propria via di fuga, dall’orinaria opprimente quotidianità di certi contesti. Uno spazio di elaborazione della malinconia (Traverso, 2016) e della nostalgia (cfr. Modrzejewski, Sznajderman, 2003; Boym, 2001) come consapevolezza della potenzialità del passato. Quella sorta di intanto del pensiero che, di fronte a un mondo nuovo e misurandosi con il bisogno di un nuovo “cronotopo” (cfr. Bachtin, 2001, p.353), riesce a mettere a nudo il suo tempo e a proiettarvi la possibilità di un altro tempo, di un possibile altrimenti. Un campo, quello letterario che, nel momento in cui riesce ad “alterare” ciò che si sa, conduce in una temporalità magari ambigua, popolata di personaggi, sfondi, ambienti, immaginari ma dietro l’angolo della quale, come scrive Carrère (2024) si affaccia l’ucronia. Riferimenti bibliografici
Due ucronie e una (vecchia) distopia per i nostri tempi Analisi, in tre romanzi di speculative fiction degli approcci narrativi sociopolitici come anatomie della società americana di fronte all'ipotesi dell'istituzione di governi autoritari e totalitari. I tre romanzi, It can't happen here (1935), del premio Nobel Sinclair Lewis, The Man in the high castle (1962), di Philip k. Dick e The plot against America (2004), di Philip Roth, svolgono le loro trame ispirati alle vicende storiche del Nazismo. Lewis scrisse quattro anni prima dello scoppio della II Guerra, narrando scenari repressivi, perdita di diritti civili e deportazioni in campi di concentramento degli oppositori politici. Il romanzo ucronico di Dick è ambientato dopo la fine della II Guerra, mettendo in scena il domino degli Stati Uniti da parte del Reich e dell'Impero giapponese. In ambedue le opere è in atto una Resistenza, il cui cento si localizza nel Midwest. L’ucronia di Roth, invece, si concentra sull'effetto dell'ideologia nazista nel quotidiano della comunità ebraica di Newark. Gli autori si soffermano sulla rappresentazione sociale degli effetti della dominazione, anche culturale, e sulla costruzione della figura del Leader. Riferimenti bibliografici
L’opinione pubblica all’epoca della sua riproducibilità tecno-politica: analisi mediologica di Interface di Stephen Bury (1994) Il contributo si propone di esplorare il potenziale della letteratura, e in particolare del romanzo fantascientifico, come medium utile a individuare e comprendere i grandi fenomeni socio-politici e tecnologici del nostro tempo. Partendo dall'analisi de Interface (1994) di Stephen Bury (pseudonimo della coppia di autori Neal Stephenson e George Jewsbury, si evidenzia come il testo fantascientifico, lungi dall’essere un mero esercizio di immaginazione narrativa, rappresenti una sorta di “ucronia” – una realtà alternativa che, pur non corrispondendo al futuro realmente accaduto, offre spunti di riflessione sulle dinamiche sociali e politiche emergenti. La sociologia della letteratura ha già evidenziato come la narrativa possa essere utilizzata per comprendere i mutamenti sociali e le rappresentazioni collettive della realtà (tra gli altri, Williams, 1977; Griswold, 1987). In Interface, il racconto si sviluppa in un contesto futuro in cui le trasformazioni tecnologiche e le evoluzioni politiche assumono connotati radicali, evidenziando contrasti e convergenze con le problematiche attuali. L’intervento si focalizzerà su tre filoni principali:
Attraverso un confronto tra il futuro immaginato da Bury all’inizio degli anni ’90 del XX secolo e le trasformazioni reali verificatesi negli ultimi decenni, l’intervento intende dimostrare come la narrativa fantascientifica possa servire non solo da specchio distorto della realtà, ma anche da finestra aperta su possibili scenari futuri. In questo senso, Interface viene letta come un laboratorio di idee, in cui la tensione tra il possibile e l’improbabile diventa strumento per interrogarsi sulle logiche di potere, sul ruolo dei media e sulla funzione della tecnologia nella ridefinizione degli spazi pubblici e privati. L’analisi proposta si avvale di un approccio interdisciplinare, che integra teorie sociologiche, studi culturali e prospettive critiche sull’evoluzione tecnologica, per mettere in luce come le opere letterarie possano offrire chiavi interpretative alternative rispetto ai tradizionali paradigmi di analisi sociale. In particolare, si sottolinea come la “ucronia” operi da catalizzatore per una riflessione critica, capace di mettere in discussione le narrazioni ufficiali e di rivelare tensioni e contraddizioni insite nella contemporaneità. Tale prospettiva consente di considerare il romanzo non solo come un prodotto artistico, ma come un vero e proprio documento culturale che testimonia e, al contempo, plasma il dibattito su temi quali la crisi della democrazia rappresentativa, l’ineguaglianza socio-economica e l’impatto pervasivo della tecnologia sulla vita quotidiana. L’analisi di Interface si configura così come un esempio emblematico di come, attraverso il dialogo tra immaginario letterario e realtà storica, sia possibile individuare spunti per comprendere e interpretare le trasformazioni che stanno ridefinendo il mondo contemporaneo, offrendo materiale prezioso sul rapporto tra media, tecnologia e potere. Riferimenti bibliografici
Cronorifugi della fede: Josè Saramago e il Vangelo secondo Gesù Cristo (1991) Riscrivere la vita di Gesù significa non solo reinventare l’esistenza terrena del figlio di Dio, ma soprattutto scrutare la storia da una prospettiva altra, possibile e immaginaria, che dia forma alle vicende secondarie di Cristo e alle sue traversie quotidiane, talvolta soltanto evocate dai Vangeli, secondo un processo narrativo che colga nel soprannaturale un tratto saliente della sua vicenda umana. La dialettica tra il padre e il figlio è riletta da Josè Saramago da una prospettiva narrativa in cui l’umano prende il sopravvento sul trascendente, con l’accento posto sulla condizione universale dell’uomo e sul suo anelito di immortalità, senza ridimensionare i cortocircuiti profani degli umani e senza ritrarsi dinanzi allo spettro della blasfemia. Da questo punto di vista, Il vangelo secondo Gesù Cristo (1991) offre una prospettiva diegetica alternativa, declinata da una prospettica ucronica, che sfrutta il dato storico in chiave trans-biografica, secondo un processo di rivisitazione testuale ispirato all’idea di cronorifugio, alle istanze di analisi psicologica e ai dettami dell’indagine ecdotica. La fede nei miracoli lascia il posto alla fenomenologia del quotidiano, vissuto in rapporto con il bene e il male, con il giusto e l’ingiusto, sullo sfondo del mistero del soprannaturale e del divino. Una vita di Cristo alternativa, mai vissuta o forse mai raccontata, secondo un approccio metatemporale che vede nella scrittura un medium proiettivo. Del resto, la riflessione di Saramago sul senso universale della fede si innesta sull’indagine sociologica sulla religione, che in anni recenti Ulrich Beck ha descritto attraverso la metafora del “dio personale” e Marc Augé mediante la metafora del “dio oggetto”, con l’accento posto sulle modalità di rappresentazione della religiosità postmoderna, sospesa tra aneliti confessionali e innovazioni narrative. In definitiva, la vita di Cristo si presenta come uno script, un codice narrativo di base suscettibile di continue variazioni e appropriazioni narrative, assurgendo per questo a un certo grado di universalità. Riferimenti bibliografici
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12:30 - 14:00 | Light lunch 2 |
14:00 - 16:00 | Keynote 2 - Nico Carpentier: Media and Democracy in Europe. Nico Carpentier, Charles University, Institute of Communication Studies and Journalism Prague, Czech Republic Luogo, sala: Aula A (B0-A) Chair di sessione: Giovanna Mascheroni |
16:00 - 16:15 | Coffee break 2 |
16:15 - 17:45 | Sessione 5 - Panel 01: Le sfide della fringe democracy: la crisi del mainstream vista dai margini del discorso pubblico Luogo, sala: Aula A (B0-A) Chair di sessione: Sara Bentivegna Chair di sessione: Giovanni Boccia Artieri Chair di sessione: Rossella Rega |
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Le sfide della fringe democracy: la crisi del mainstream vista dai margini del discorso pubblico 1Università di Urbino Carlo Bo, Italia; 2Sapienza Università di Roma; 3Università degli Studi di Siena Introduzione al panel Il rapporto tra politica, media e dibattito pubblico è interessato da una serie di trasformazioni che riguardano la qualità dell’informazione e le modalità della comunicazione politica. Oggi, fake news, disordine informativo e un linguaggio emotivo e polarizzante segnano il discorso pubblico, mettendo in atto strategie che sfruttano immagini, meme – spesso generati dall’IA, come visto dal video di Trump su Gaza – e che mirano a mobilitare l’elettorato, riuscendo ad evocare dinamiche simili ai fandom e consolidando il consenso attraverso retoriche mirate. Questo avviene in un ecosistema mediale ibrido, dove media tradizionali e piattaforme online si intrecciano, amplificando la polarizzazione. La “piattaformizzazione della sfera pubblica” ridefinisce i luoghi del dibattito: social network, motori di ricerca e siti di condivisione centralizzano la comunicazione. Gli algoritmi curano i contenuti, privilegiando l’engagement e i ricavi pubblicitari, spesso a scapito della veridicità. Se questo democratizza la partecipazione, apre però a disinformazione e contenuti nocivi, sollevando questioni su regolamentazione e responsabilità. I media tradizionali, costretti ad adattarsi, competono in un sistema che altera profondamente la struttura del discorso pubblico e le sue implicazioni democratiche. In questo contesto emerge la “fringe democracy”, un concetto che descrive l’ascesa di voci marginali – alternative o anti-mainstream – che, grazie alle piattaforme digitali, entrano nel dibattito pubblico e influenzano la politica istituzionale. Questi attori sfruttano la distribuzione dei social media per amplificare posizioni dissonanti, modificando la natura delle discussioni democratiche. Il panorama digitale, in un mix di spazi pubblici, semi-pubblici e privati, facilita la migrazione tra ambienti fringe e mainstream, alimentandone tossicità e polarizzazione. Studi recenti collegano le piattaforme fringe alla disinformazione, al cospirazionismo e alla normalizzazione di ideologie estremiste, evidenziando una possibile relazione con la crescita dell’estrema destra. Questi spazi, dunque, sembrano fungere da laboratori per idee radicali che penetrano nel mainstream, ma, in realtà, offrono anche voce a comunità marginali. La fringe democracy, dunque, è un modo per esplorare come le voci sottorappresentate o anti-democratiche vengano amplificate, come le ideologie radicali si normalizzino e come la polarizzazione affettiva possa costruire reti transnazionali di odio. Al contempo, invita a riflettere sulle categorie di “fringe”, “alternative” o “anti-mainstream”: benché utili come punti di partenza per comprendere questo scenario, rischiano di accentuare la distanza tra centro e periferia della sfera pubblica. Questo panel intende indagare tali dinamiche, cruciali per capire il presente e il futuro del dibattito democratico. Le ricerche presentate nel panel fanno parte del progetto di ricerca ******, riguardante la circolazione di narrazioni tra fringe e mainstream in grado di “intossicare” il sistema dei media ibrido italiano. Il primo paper indaga le strategie di monetizzazione delle comunità fringe su Telegram in Italia, evidenziando come tali pratiche oscillino tra approcci simili alle piattaforme mainstream e modalità alternative volte a rafforzare l’identità anti-mainstream. Pur adottando strumenti analoghi ai creator più diffusi, il framing della monetizzazione sottolinea una tensione costante tra attivismo e interesse personale. Il secondo paper esamina il modo in cui la stampa italiana ha inquadrato Telegram dal 2013 a oggi, evidenziando i picchi di copertura e i principali frame attraverso cui la piattaforma è narrata, dalla app innovativa che favorisce la sicurezza e indirizzata agli appassionati di tecnologia, allo spazio dove proliferano contenuti illegali tra pirateria e attività criminale, fino all’idea della piattaforma come luogo preferito per la diffusione di disinformazione, movimenti anti-sistema e di estrema destra. L’analisi mostra come, anche in base alle diverse linee editoriali, la piattaforma venga presentata alternativamente come uno spazio pericoloso e deregolamentato o come un’opportunità di libertà e indipendenza. Il terzo contributo esplora il fenomeno della “toxicity” nel contesto della fringe democracy, identificando tre dimensioni (manipolativa, polarizzante e algoritmica) che contribuiscono a radicalizzare il discorso politico. L’analisi rivela come le logiche di amplificazione dei contenuti estremi nei contesti digitali alternativi possano influire negativamente sulla qualità della partecipazione e sulla stessa tenuta delle democrazie contemporanee. Paper 1 Monetizzazione ai margini: pratiche di guadagno e sostentamento nella telegramsfera fringe italiana Giovanni Boccia Artieri, giovanni.bocciaartieri@uniurb.it Il panorama digitale contemporaneo è caratterizzato da una costellazione di spazi pubblici, semi-pubblici e privati (Boccia Artieri et al. 2021) interconnessi da dinamiche di migrazione reciproca. Ciò che rimane ancora poco studiato è il rapporto che intercorre tra piattaforme fringe, piattaforme “mainstream” e media tradizionali. Le fringe platforms, secondo la definizione di de Winkel (2023), sono servizi digitali alternativi che contestano le norme ideologiche, regolative e tecniche delle piattaforme mainstream. Non si limitano a rappresentare ideologie politiche estreme, ma abbracciano un’ampia varietà di obiettivi che vanno dall’informazione alla manipolazione, dalla propaganda all’attivismo. Queste comunità, caratterizzate da una forte coesione ideologica e polarizzazione affettiva, facilitano spesso la rapida diffusione di contenuti problematici e movimenti reazionari, che possono successivamente espandersi nei media tradizionali (Schulze et al., 2022). I pubblici attorno a questi spazi adottano frequentemente strategie di promozione e monetizzazione mutuate dalle piattaforme mainstream, rendendo meno nette le distinzioni tra questi due ecosistemi mediali e informativi. Al contempo, però, si riscontrano anche strategie di monetizzazione alternative (Zeng & Schäfer, 2021) per supportare la produzione di contenuti e intensificare il coinvolgimento degli utenti. Questo studio, inserito nel progetto *****, analizza le strategie di monetizzazione delle comunità fringe nel contesto del panorama digitale ibrido italiano, con particolare attenzione alla “Telegram-sfera” italiana di orientamento anti-mainstream. Il paper esplora quindi il modo in cui tali comunità si relazionano con i media e le piattaforme tradizionali, sia adottando tattiche di monetizzazione analoghe, sia sviluppando approcci alternativi (Hua et al., 2022) per sostenere la creazione di contenuti, promuovere l’engagement e consolidare la propria identità distintiva. La ricerca si basa su due domande principali: R.Q. 1: Quali metodi di monetizzazione vengono impiegati da queste comunità marginali? R.Q. 2: Come viene declinata la monetizzazione all’interno dei discorsi di queste comunità? A partire da un elenco iniziale di canali Telegram fornito dal noto sito di debunking BUTAC, abbiamo ampliato il campione sfruttando la funzione “canali consigliati” di Telegram. Attraverso uno script Python ad-hoc, abbiamo raccolto tre iterazioni di canali consigliati, raggiungendo un totale di 558 canali. Tramite un’analisi qualitativa del contenuto - in particolare nelle descrizioni dei canali e nei messaggi in evidenza, è stato possibile individuare le strategie di monetizzazione e il loro inquadramento discorsivo. I canali monetizzati registrano in media quasi il doppio degli iscritti e risultano più frequentemente consigliati. Tuttavia, quelli che utilizzano piattaforme di monetizzazione alternative o di nicchia non si distinguono per una maggiore centralità o numerosità di follower rispetto al corpus complessivo. Sono emerse otto principali strategie di monetizzazione, collocabili lungo un continuum tra ricompense materiali e immateriali: vendita di prodotti generici e offerte promozionali, articoli di “salute alternativa”, libri, servizi professionali, eventi dal vivo, contenuti a pagamento, partecipazione retribuita a cause affini e donazioni finalizzate a rafforzare il senso di appartenenza alla comunità. Sebbene Telegram offra strumenti di monetizzazione più limitati rispetto alle piattaforme mainstream, tali strategie riflettono tendenze più ampie della produzione culturale digitale e dell’aspirational labour (Duffy 2016). Sono stati, inoltre, individuati cinque frame discorsivi usati per legittimare le richieste economiche, riconducibili a due approcci retorici principali: uno affine al concetto di “azione connettiva” (Bennett & Segerberg 2012) e l’altro orientato al perseguimento di benefici individuali, simbolici o materiali. In conclusione, lo studio rileva che, da un punto di vista tecnico, le strategie di monetizzazione osservate non si discostano in modo significativo da quelle dominanti tra le piattaforme e i creator mainstream. Tuttavia, il significato attribuito alla monetizzazione riflette un ethos anti-mainstream, contraddistinto da una duplice retorica che intreccia attivismo e interesse personale, evidenziando una tensione costante tra modelli economici alternativi e le logiche della platformization. Riferimenti bibliografici Bennett, W. L., & Segerberg, A. (2012). The logic of connective action: Digital media and the personalization of contentious politics. Information, communication & society, 15(5), 739-768. Boccia Artieri, G., Brilli, S., & Zurovac, E. (2021). Below the radar: Private groups, locked platforms, and ephemeral content—Introduction to the special issue. Social Media+ Society, 7(1), 2056305121988930. de Winkel, T. (2023). Fringe platforms: An analysis of contesting alternatives to the mainstream social media platforms in a platformized public sphere (Doctoral dissertation, Utrecht University). Duffy, B. E. (2016). The romance of work: Gender and aspirational labour in the digital culture industries. International journal of cultural studies, 19(4), 441-457. Hua, Y., Horta Ribeiro, M., Ristenpart, T., West, R., & Naaman, M. (2022). Characterizing alternative monetization strategies on YouTube. Proceedings of the ACM on Human-Computer Interaction, 6(CSCW2), 1-30. Schulze, H., Hohner, J., Greipl, S., Girgnhuber, M., Desta, I., & Rieger, D. (2022). Far-right conspiracy groups on fringe platforms: A longitudinal analysis of radicalization dynamics on Telegram. Convergence: The International Journal of Research into New Media Technologies, 28(4), 1103-1126. Zeng, J., & Schäfer, M. S. (2021). Conceptualizing “dark platforms”. Covid-19-related conspiracy theories on 8kun and Gab. Digital Journalism, 9(9), 1321-1343. Paper 2 Nerd, criminali e disinformatori: il framing giornalistico di Telegram in Italia dalla 2013 ad oggi Sara Bentivegna, sara.bentivegna@uniroma1.it Negli ultimi anni, Telegram si è affermata come una piattaforma di comunicazione sempre più rilevante, suscitando l’attenzione dei media italiani per il suo utilizzo in contesti che spaziano dall’intrattenimento all’informazione alternativa. Mappando i contenuti diffusi su Telegram, diversi studi hanno evidenziato posizioni anti-sistema, anti-democratiche ed estremiste diffuse da reti di canali e gruppi, soprattutto a seguito dell’epidemia di Covid-19 (Schulze et al. 2022; Jost & Dogruel 2023; Buehling, K., & Heft 2023; Zehring & Domahidi 2023). Sebbene nel contesto accademico si sia consolidata la reputazione di Telegram come spazio privilegiato per la disinformazione e l’estremismo di destra, pochi studi si sono occupati di indagare il ruolo della stampa nella percezione pubblica di Telegram come spazio “alternativo”. Il paper presenta i risultati della ricerca sui framing giornalistici di Telegram in Italia, al fine di comprendere se e in che modo i news media partecipino al processo di “fringification”, ossia alla deriva materiale, discorsiva e sociale della piattaforma in “ecosistema mediale alternativo”. Nello specifico le domanda di ricerca che guidano l’analisi sono: RQ1: A quali temi e fatti di cronaca è legata la copertura giornalistica di Telegram in Italia? RQ2: Quali frame e narrazioni giornalistiche posizionano Telegram come spazio alternativo? Nella prima fase della ricerca è stata effettuata una prima indagine esplorativa tramite la piattaforma Media Cloud la copertura giornalistica negli ultimi cinque anni di tutte le piattaforme solitamente denominate come “fringe”. Da questa fase è risultato chiaro come le altre piattaforme fringe siano state scarsamente coperte dalla stampa italiana, mentre la presenza di Telegram è risultata consistente e crescente nel tempo (43.996 risultati da gennaio 2020 a gennaio 2025). Nella seconda fase della ricerca, tramite lo strumento di monitoraggio Volopress, sono stati raccolti tutti gli articoli online pubblicati da testate nazionali e locali italiane contenenti la parola chiave “Telegram”, dalla creazione della piattaforma (2013) fino a febbraio 2025. Attraverso una combinazione di analisi del frame qualitativa (Linström & Marais, 2012) e computazionale (Walter & Ophir 2019; Yu & Fliethmann, 2022), sono stati esaminati diversi aspetti: il tema principale degli articoli e la sezione tematica in cui compaiono (ad esempio cronaca, tecnologia o politica); la distinzione tra articoli in cui Telegram è il fulcro della narrazione e quelli in cui funge soltanto da contesto per altri eventi; il legame tra Telegram e i fatti di cronaca, con particolare riferimento alla presenza di attività illecite; infine, le modalità in cui la piattaforma viene inquadrata rispetto ad altre piattaforme digitali, valutando se sia presentata come centrale o periferica nel panorama comunicativo. A picchi d’interesse incentrati su grandi eventi (estate/autunno 2021 relativi alla pandemia, ai gruppi novax e alla compravendita di green pass falsi nonché la primavera 2022 in corrispondenza dell’invasione Russa in Ucraina), si alternano picchi dovuti a scandali e fatti di cronaca legati alla diffusione di contenuti illeciti. I risultati preliminari evidenziano che, nella costruzione reputazionale della piattaforma, longitudinalmente si sono succedute narrazioni differenti sul piano temporale e, al contempo, si sono scontrate diverse prospettive sincronicamente in base all’orientamento politico delle testate. Nei casi in cui Telegram è l’oggetto della narrazione, emerge un framing che oscilla tra la fascinazione per le sue caratteristiche di privacy e sicurezza (specialmente nella fase dal 2013 al 2018) alla stigmatizzazione per il suo utilizzo in contesti problematici. Sebbene l’Italia sia uno dei Paesi in cui Telegram è più diffuso, con una penetrazione che interessa circa un terzo della popolazione, le narrazioni giornalistiche continuano a insistere sull’ “alterità” della piattaforma. Questa caratteristica, infatti, viene talvolta descritta come una pericolosa mancanza di regolamentazione che merita cautela, mentre altre volte viene presentata come un modello di libertà cui gli attori dell’informazione scelgono di aderire per rafforzare la propria reputazione “indipendente”. Riferimenti bibliografici Buehling, K., & Heft, A. (2023). Pandemic protesters on telegram: How platform affordances and information ecosystems shape digital counterpublics. Social Media+ Society, 9(3), 20563051231199430. Jost, P., & Dogruel, L. (2023). Radical mobilization in times of crisis: Use and effects of appeals and populist communication features in Telegram channels. Social Media+ Society, 9(3), 20563051231186372. Linstrõm, M., & Marais, W. (2012). Qualitative news frame analysis: a methodology. Communitas, 17, 21-38. Schulze, H., Hohner, J., Greipl, S., Girgnhuber, M., Desta, I., & Rieger, D. (2022). Far-right conspiracy groups on fringe platforms: A longitudinal analysis of radicalization dynamics on Telegram. Convergence: The International Journal of Research into New Media Technologies, 28(4), 1103-1126. Walter, D., & Ophir, Y. (2019). News frame analysis: An inductive mixed-method computational approach. Communication Methods and Measures, 13(4), 248-266. Yu, Q., & Fliethmann, A. (2022). Frame detection in German political discourses: How far can we go without large-scale manual corpus annotation?. Journal for Language Technology and Computational Linguistics, 35(2), 15-31. Zehring, M., & Domahidi, E. (2023). German corona protest mobilizers on Telegram and their relations to the far right: A network and topic analysis. Social Media+ Society, 9(1), 20563051231155106. Paper 3 Toxicity e fringe democracy: manipolazione, polarizzazione e amplificazione algoritmica Giovanni Boccia Artieri, giovanni.bocciaartieri@uniurb.it, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo La tossicità nella comunicazione politica contemporanea non è solo un effetto collaterale dell’interazione online, ma un elemento strutturale che influisce sulla qualità della partecipazione democratica, soprattutto in ambienti che sfidano le norme del discorso pubblico mainstream. Nel contesto della fringe democracy, spazi digitali alternativi diventano laboratori di sperimentazione politica, dove dinamiche discorsive estreme si intrecciano con le logiche economiche e tecniche delle piattaforme digitali. Qui, la toxicity non è semplicemente un prodotto spontaneo del dibattito, ma una strategia attiva di manipolazione, mobilitazione e disintermediazione, che può favorire il rafforzamento identitario di gruppi politici e la polarizzazione del discorso pubblico. Non esiste una definizione univoca di tossicità: gli approcci empirici-operativi, come quello di Google Perspective API, la inquadrano come manifestazione di maleducazione, mancanza di rispetto o irragionevolezza, mentre altri studi ne sottolineano la dipendenza da fattori contestuali, dalle affordance delle piattaforme e dalle dinamiche di gruppo. Nel contesto della fringe democracy, la tossicità è stata esaminata dagli studiosi attraverso tre principali forme che si sovrappongono e si rafforzano a vicenda:
Questi livelli di tossicità si intrecciano nei contesti fringe, dove il discorso politico si radicalizza e si allontana dalle regole della deliberazione democratica, normalizzando la violenza discorsiva e alterando il funzionamento della sfera pubblica. Tuttavia, la fringe democracy non rappresenta più un semplice processo di inclusione dal basso dei margini nella sfera politica, ma diventa un campo di battaglia in cui le forze di rinnovamento alimentano (e sono alimentate da) dinamiche di polarizzazione (soprattutto di tipo affettivo) e manipolazione. Questa trasformazione solleva questioni cruciali: in che misura l’amplificazione delle voci marginali, pur essendo teoricamente volta a una maggiore democratizzazione, può compromettere la qualità e la legittimità dei processi democratici in un’epoca fortemente mediatizzata e platformized? Il dibattito attuale deve confrontarsi con questa sfida: come conciliare l’aspirazione a una democrazia che abbraccia i “margini” (fringe) con la necessità di preservare la coerenza e la solidità dei principi democratici, in un panorama in cui attori e narrazioni fringe sfruttano le logiche del sistema mediale ibrido per attaccare le fondamenta della democrazia stessa?. Questo paper esplorerà il ruolo della toxicity nella fringe democracy, analizzando – mediante una ricognizione teorica sul tema – come essa venga costruita, amplificata e sfruttata nei diversi ambienti digitali e quali conseguenze abbia sulla partecipazione politica e sulla tenuta della sfera pubblica democratica. Riferimenti bibliografici Hanley & Durumeric, 2023, Sub-Standards and Mal-Practices: Misinformation’s Role in Insular, Polarized, and Toxic Interactions on Reddit. Hoseini, M., Melo, P., Benevenuto, F., Feldmann, A., & Zannettou, S. (2023, April). On the globalization of the QAnon conspiracy theory through Telegram. In Proceedings of the 15th ACM Web Science Conference 2023 (pp. 75-85). Jakob, J., Dobbrick, T., Freudenthaler, R., Haffner, P., & Wessler, H. (2023). Is constructive engagement online a lost cause? Toxic outrage in online user comments across democratic political systems and discussion arenas. Communication Research, 50(4), 508-531. Kim, J. W., Guess, A., Nyhan, B., & Reifler, J. (2021). The distorting prism of social media: How self-selection and exposure to incivility fuel online comment toxicity. Journal of Communication, 71(6), 922-946. Park, J., Yang, J., Tolbert, A., & Bunsold, K. (2024). You change the way you talk: Examining the network, toxicity and discourse of cross-platform users on Twitter and Parler during the 2020 US Presidential Election. Journal of Information Science Recuero, R. (2024). The platformization of violence: Toward a concept of discursive toxicity on social media. Social Media+ Society, 10(1), 20563051231224264. Sheth, A., Shalin, V. L., & Kursuncu, U. (2022). Defining and detecting toxicity on social media: context and knowledge are key. Neurocomputing, 490, 312-318. Villate-Castillo, G., Del Ser, J., & Urquijo, B. S. (2024). A systematic review of toxicity in large language models: Definitions, datasets, detectors, detoxification methods and challenges. |
16:15 - 17:45 | Sessione 5 - Panel 02: Cronotopie del cambiamento climatico: narrazioni temporali, utopie, distopie e l'immaginario sociale del futuro Luogo, sala: Aula 2 (AO-A) Chair di sessione: Gianmarco Navarini Chair di sessione: Lorenzo Domaneschi |
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Cronotopie del cambiamento climatico: narrazioni temporali, utopie, distopie e l'immaginario sociale del futuro. 1Università Milano-Bicocca, Italia; 2Università di Milano Statale; 3Università di Pavia; 4Università di Trento Nota introduttiva Il panel presenta un'indagine che mette in questione la visione della crisi climatica come crisi dell'immaginazione temporale, secondo cui una contrazione delle capacità di concepire futuri alternativi e desiderabili conduce a rimanere intrappolati tra narrazioni distopiche paralizzanti e utopie tecnologiche irrealistiche. Attraverso l’analisi di differenti modalità empiriche di immaginare il futuro, gli interventi qui raccolti mirano a mostrare la complessità delle forme di temporalità generate a partire dalla sollecitazione del discorso sul climate change, le quali – ad esempio le combinazioni tra “urgenza” di intervenire, “non c’è più tempo”, “il futuro è adesso” – non sembrano riducibili alla sola dicotomia tra utopia e distopia, ma conducono invece alla scoperta di una molteplicità di forme di "piegamento" della narrazione del tempo. Il dibattito classico sulla sociologia del tempo ci insegna che il tempo non è una categoria neutrale, ma un costrutto sociale che esprime ed è plasmato da rapporti di forza, rappresentazioni dominanti e una molteplicità di pratiche sociali situate. L'analisi delle cronotopie – la fusione di spazio e tempo nelle narrazioni – ci permette di comprendere come il cambiamento climatico rimodelli le nostre percezioni del futuro con la tensione – non esente da conflitti – a retroagire sul presente. In un'epoca segnata da crisi ecologiche, accelerazioni tecnologiche e trasformazioni sociali e politiche inedite, il modo in cui concepiamo il futuro si mostra ormai non più come un esercizio meramente speculativo, ma come un elemento chiave delle nostre possibilità e capacità di agire sul presente. In particolare, le forme utopiche e distopiche sollecitate dal climate change rivelano il legame cruciale tra immaginazioni temporali e nuove forme di agency sociale. Questo panel, quindi, si inserisce nel solco di una sociologia del tempo che esplora come le rappresentazioni del futuro influenzino il presente e viceversa. I quattro interventi offrono un'analisi empirica di questo tema da prospettive diverse, tenute insieme dal filo conduttore dell'analisi del rapporto tra immaginazione temporale e agency sociale. Utopia e distopia, così come le molteplici forme cronotopiche che emergono dai campi analizzati (letteratura, politica e scienza), si mostrano come qualcosa di più di semplici rappresentazioni del futuro, ma come strumenti per orientare l'azione presente. Dall’approfondimento di nuovi fenomeni letterari tramite l’analisi della "climate-fiction" in cui si sperimentano modalità di narrare futuri più o meno lontani e si modula la percezione del rischio; all’analisi di nuove forme di attivismo giovanile per indagare l’uso strategico dell’immaginazione del futuro per mettere in campo alternative per le generazioni future; dall’esame delle forme di argomentazione scientifica legate ai fenomeni climatici che elaborano attivamente nuove narrazioni temporali in chiave predittiva; fino all’esame di progetti collaborativi per affrontare le sfide della transizione ecologica, come laboratori per la costruzione di futuri alternativi. Il panel mira, quindi, non solo a presentare l’analisi in profondità di differenti mondi sociali in cui si sperimentano e in cui ci si confronta con una molteplicità di cronotopie, bensì si propone di portare alla luce l'intreccio tra questi diversi campi empirici (letteratura, politica e scienza) e delle loro narrazioni temporali, per mettere in questione come le forme di immaginazione del futuro si trasformino e generino temporalità inedite nel loro viaggiare da un mondo sociale all’altro. Le narrazioni distopiche, ad esempio, possono nascere dalla letteratura e diffondersi nel discorso politico, alimentando la paura e la rassegnazione. Allo stesso tempo, le visioni utopiche possono emergere dall'attivismo giovanile e influenzare la ricerca scientifica, stimolando lo sviluppo di tecnologie sostenibili e di modelli di società più resilienti. La circolazione di queste narrazioni tra diversi ambiti sociali crea un ecosistema complesso di immaginazione temporale, in cui il futuro viene costantemente negoziato, contestato e rimodellato. Comprendere questo ecosistema è essenziale per affrontare la sfida del cambiamento climatico e per costruire un futuro più giusto e sostenibile. Bibliografia di riferimento Adam, Barbara. (1990). Time and Social Theory. Temple University Press. Adam, Barbara. (2008). Climate Change, Social Time, and the Acceleration of Modernity. Time & Society, 17(2-3), 263-283. Agathangelou Anna M. and Killian, Kyle D. (Eds., 2022). Time, Climate Change, Global Racial Capitalism and Decolonial Planetary Ecologies. Routledge. Appadurai, A. (2013). The Future as Cultural Fact: Essays on the Global Condition. Verso Books. Beck, U. (1992). Risk Society: Towards a New Modernity. Sage. Berlant, L. (2011). Cruel Optimism. Duke University Press. Bødker, Henrik, and Morris, Hanna E. (Eds., 2022). Climate Change and Journalism. Negotiating Rifts of Time. Routledge. Elias, N. (1992). Time: An Essay. Blackwell. Ghosh, A. (2016). The Great Derangement: Climate Change and the Unthinkable. University of Chicago Press. Heise, Ursula K. (2008). Sense of Place and Sense of Planet: The Environmental Imagination of the Global. Oxford University Press. Hulme, Mike. (2009). Why We Disagree About Climate Change: Understanding Controversy, Inaction and Opportunity. Cambridge University Press. Jameson, F. (2005). Archaeologies of the Future: The Desire Called Utopia and Other Science Fictions. Verso. Koselleck, R. (2004). Futures Past: On the Semantics of Historical Time. Columbia University Press. Latour, B. (2013). An Inquiry into Modes of Existence. Harvard University Press. Loorbach, Derk, Patteeuw, Véronique, van Stein, Saskia, Szacka Léa-Catherine, & Veenstra, Peter (2023). It’s About Time. The Architecture of Climate Change. nai010 Publishers. Mörner, Magnus, and Wilson, Emma. (2023). Narrating Climate Futures: Utopias, Dystopias, and Ideology. Palgrave Macmillan. Morton, T. (2013). Hyperobjects: Philosophy and Ecology after the End of the World. University of Minnesota Press. Oppermann, Serpil, Iovino, Serenella (2014) Environmental Humanities: Voices from the Anthropocene. Rowman & Littlefield International. Rosa, Hartmut. (2003). Social Acceleration: A New Theory of Modernity. Columbia University Press. Schneider-Mayerson, Samuel, & Le Billon, Philippe. (2022). A Future We Can Live With: Confronting Climate Crisis with Hope. University of California Press Wouter Vasbinder, Jan, and Sim, Jonathan Y H (2021). Buying Time for Climate Action. Exploring Ways around Stumbling Blocks. World Scientific Publishing. Zerubavel, E. (1981). Hidden Rhythms: Schedules and Calendars in Social Life. University of Chicago Press. 1. Apocalypse tomorrow. Rappresentazioni temporali e immaginari sociali della climate fiction italiana. Lorenzo Zaffaroni (Università di Milano-Bicocca); Simone Turco (Università di Milano-Bicocca)
Il contributo ha l'obiettivo di indagare il complesso legame tra le forme di temporalità connesse alle pratiche letterarie — considerate come modalità empiriche di immaginazione del futuro (Whiteley et al., 2016) — e il racconto del cambiamento climatico come processo sociale soggetto a diverse rappresentazioni (Yusoff & Gabrys, 2011; Milkoreit, 2017). L’analisi ha come oggetto il campo della climate fiction in Italia, che offre diverse opportunità per studiare le modalità narrative eterogenee che si sviluppano in esso e le diverse condizioni di produzione di immaginari sociali del futuro (Jasanoff, 2010). Se, nella sua prima definizione, la climate fiction è emersa come un sottogenere della fantascienza che attraverso la descrizione del “futuribile” mirasse a criticare gli agenti attuali del cambiamento climatico, le declinazioni letterarie del tema climatico a oggi disponibili sono risultate molto diversificate (Andersen, 2019; Milner & Burgman, 2020), anche in Italia: si va dalla fantascienza speculativa al romanzo familiare a sfondo climatico, dal futuro prossimo distopico alla narrazione intimista e contemplativa di afflato ecologista. In questo contesto giocano un ruolo chiave le cronotopie in quanto modalità di elaborare e raffigurare il presente attraverso il futuro e, conseguentemente, di mostrare mediante la creazione di nuovi immaginari nuove forme di mobilitazione politica per il prossimo futuro. In particolare, il contributo si sviluppa a partire da 20 interviste qualitative condotte da settembre 2024 a marzo 2025 in Italia con scrittori, editori, giornalisti e critici, orientate a ricostruire il campo discorsivo attraverso cui si sviluppano le tematiche narrative di tipo ambientale. Inoltre, l’analisi include un campione ragionato di opere letterarie analizzate con l’obiettivo di contestualizzare le molteplici forme cronotopiche in relazione alle storie e agli immaginari sociali in esse mobilitati. Le temporalità del racconto — dal futuro fantascientifico a quello apocalittico, a quello verosimile e anticipatorio perché consequenziale con il presente — sono plasmate sia da considerazioni di natura ‘estetica’ associate alle pratiche letterarie organizzate in un campo (Bourdieu, 2022), sia tensioni associate all’immaginazione del futuro come arena discorsiva condivisa con gruppi sociali e politici eterogenei. Il campo della climate fiction, quindi, si struttura nell’incontro tra diverse raffigurazioni di futuri possibili, così come tra diverse forme di ‘attualizzazione’ del futuro nel presente, negoziate alla luce di uno spazio di possibilità in evoluzione (Altstaedt, 2024). Mostrando che la narrazione del cambiamento climatico configura un ventaglio di strategie temporali diverse, il contributo sottolinea l’interdipendenza e la co-costruzione delle temporalità dei racconti in riferimento ad altri aspetti endogeni ed esogeni al campo, come il funzionamento sociale di generi e categorizzazioni (prodotte sia dalla critica sia dal mercato), così come l’habitus di autori e autrici e la sua sincronizzazione con i discorsi sul cambiamento climatico — evidente, ad esempio, in un atteggiamento di urgenza associato all’impegno civile-letterario. Altrettanto centrale è la connessione tra le cronotopie del racconto e l’uso narrativo della scienza, che stabiliscono distinzioni interne al campo tra le opere che presentano elementi plausibili, quindi spesso associati al presente o al futuro più prossimo, opere che contengono forme di “ante-scienza” (una scienza davvero anticipatoria di sviluppi già altamente plausibili), e infine opere speculative che adottano una longue durée narrativa e configurano scenari ipotetici ma estremizzati nelle loro conseguenze sociali. Scopo dell’intervento sarà, quindi, quello di illustrare come i vari ‘gradienti’ di temporalità siano rivelatori delle diverse strategie di gestione del problema attuale, sollecitando così nuove forme di agency sociale all’interno e al di fuori del campo letterario tramite un ampio range di approcci temporali, dal (fanta)scientifico al contemplativo. Riferimenti bibliografici Altstaedt, S. (2024). Future-cultures: How future imaginations disseminate throughout the social. European Journal of Social Theory, 27(2), 279–297. https://doi.org/10.1177/13684310231212732 Bourdieu, P. (2022). Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario (E. Bottaro, Trans.). Il Saggiatore. Andersen, G. (2019). Climate Fiction and Cultural Analysis: A new perspective on life in the anthropocene. Routledge. Jasanoff, S. (2010). A New Climate for Society. Theory, Culture & Society, 27(2–3), 233–253. https://doi.org/10.1177/0263276409361497 Milkoreit, M. (2017). Imaginary politics: Climate change and making the future. Elementa: Science of the Anthropocene, 5, 62. https://doi.org/10.1525/elementa.249 Milner, A., & Burgmann, J. R. (2020). Science Fiction and Climate Change: A Sociological Approach. Liverpool University Press. https://doi.org/10.2307/j.ctvzsmck6 Whiteley, A., Chiang, A., & Einsiedel, E. (2016). Climate Change Imaginaries? Examining Expectation Narratives in Cli-Fi Novels. Bulletin of Science, Technology & Society, 36(1), 28–37. https://doi.org/10.1177/0270467615622845 Yusoff, K., & Gabrys, J. (2011). Climate change and the imagination. WIREs Climate Change, 2(4), 516–534. https://doi.org/10.1002/wcc.117 2. Parresiastes del clima: le antropotecniche di giovani attivisti e dottorandi per adattarsi alla crisi ecologica Paola Rebughini (Università degli Studi di Milano Statale) Enzo Colombo (Università degli Studi di Milano Statale) Mirco Costacurta (Università degli Studi di Milano Statale) Camille Allard (Università degli Studi di Milano Statale)
In seguito all’accordo internazionale di Parigi per attenuare il riscaldamento globale al di sotto dei 1,5 °C (Watts et al., 2018), diversi giovani in tutto il mondo si sono costituiti in mobilitazioni, collettivi e associazioni di protesta contro i governi e le classi dirigenti, designati come i maggiori responsabili dell’emergenza climatica in atto (Bowman, 2019). Abbiamo indagato l’uso strategico dell’immaginazione sociale (Taylor, 2004) del futuro nei giovani. Essi pongono al centro dell’attenzione pubblica una crisi sociale ancor prima che climatica, una lotta al sistema produttivo capitalista. Sono state condotte 60 interviste dialogiche in profondità (La Mendola, 2009), con persone attiviste in ambito ecologico e PhD scholar di età compresa tra i 18 e i 30 anni su tutto il territorio italiano. Attraverso un’analisi dei dati empirici raccolti sono emersi dei temi che ci possono aiutare a comprendere in che modo il futuro delle giovani generazioni sia percepito come insicuro, difficile e in alcuni casi addirittura catastrofico. La comunicazione dei giovani attivisti e dei dottorandi che sono sensibili al tema può essere vista in termini foucaultiani come un esempio di parresia (Foucault, 2009), un parlar franco, un dire la verità così come deve essere detta e senza mezzi termini, senza paura delle ripercussioni, a costo in alcuni casi di mettere a rischio la stessa libertà individuale per il bene comune. D’altro canto, le giovani generazioni sono sottoposte a dispositivi di controllo, ortopedia e punizione da parte del sistema socio-produttivo in cui sono inseriti. I soggetti che combattono per un futuro più giusto, quindi, rimangono intrappolati in pratiche quotidiane del loro contesto che forniscono loro una protezione dal valore più simbolico che pratico. Queste pratiche possono essere definite antropotecniche (Sloterdijk, 2009 1998) ecologiche, cioè modalità di sopravvivenza immateriale dell’umano dinnanzi alla catastrofe. Sebbene la loro efficacia non sia in grado di cambiare lo status quo, le antropotecniche avrebbero la capacità di svelare la verità del dispositivo capitalista attraverso focolai di esperienze dissidenti e impopolari, atte a immunizzare le coscienze individuali e collettive. Riferimenti bibliografici Bowman, B. (2019) Imagining future worlds alongside young climate activists: a new framework for research. Fennia 197(2) 295–305. Foucault, M. (2009). Il governo di sé e degli altri. Feltrinelli Editore. La Mendola, S. (2009). Centrato e aperto. Dare vita a interviste dialogiche. Utet. Sloterdijk, P. (2009 [2010]). Devi cambiare la tua vita: sull'antropotecnica. R. Cortina. Taylor, C. (2004). Modern social imaginaries. Duke University Press. Watts, N., Amann, M., Ayeb-Karlsson, S., Belesova, K., Bouley, T., Boykoff, M., ... & Costello, A. (2018). The Lancet Countdown on health and climate change: from 25 years of inaction to a global transformation for public health. The Lancet, 391(10120), 581-630. 3. Il ruolo della coerenza nella scienza predittiva del cambiamento climatico: una proposta metodologica Fiammette Corradi (Università degli Studi di Pavia)
La diffusione del fenomeno del negazionismo climatico, che contesta l’ormai prevalente teoria del surriscaldamento globale antropogenico divulgata e difesa dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change of the United Nations) dimostra che anche le argomentazioni scientifiche possono essere contestate (ed eventualmente strumentalizzate) su basi diverse dalla loro pretesa di verità. Ciò non vale solo per la scienza del cambiamento climatico, che si occupa di lavorare sulle previsioni del futuro di un oggetto ipercomplesso in modi altamente tecnici ed interdisciplinari, ma anche per altri ambiti scientifici recentemente oggetto di dibattito e di accese polemiche (non ultima, la medicina, con la pandemia da Coronavirus). Sembra quindi che, in un contesto di insicurezza i cui la componente predittiva del mondo scientifico gioca un ruolo cruciale nel generare narrazioni credibili sl futuro, la posta in gioco del dibattito tra gli esperti non sia più tanto o soprattutto la verità di una teoria, quanto il suo potere persuasivo nell'offrire una narrazione del futuro. Insomma, diventa centrale la capacità di generare narrazioni temporali dotate di verosimiglianza (Fischer 2021). Questo lavoro si interroga quindi sui fattori che possono contribuire a rendere verosimile, credibile, o perfino persuasiva una “narrazione” scientifica sul futuro climatico, che al di là di pregiudizi ed oltre alle emozioni, e si focalizza in particolare sul ruolo della coerenza, come posta in gioco specifica dei discorsi scientifici. Del resto, già T. Kuhn (1962), aveva sostenuto che le rivoluzioni scientifiche si verificano quando un paradigma esplicativo non regge più dinnanzi ad un eccessivo accumulo di evidenze contrarie. In questo caso, la coereza diventa insomma la posta in gioco per trasformare le narrazioni predittive sul futuro climatico dalla forma utopica o distopica delle forme letterarie alla forma argomentativa di un report scientifico. Per studiare il ruolo della coerenza come criterio della predizione scientifica in modo sistematico, standardizzato, ma non automatizzato, si propone una metodologia di ricerca innovativa, che prende le mosse da una rivisitazione del modello per l’analisi dell’argomentazione proposto da Stephen Toulmin (1959). L’applicazione del modello alle diverse fasi di una narrazione scientifica – descrizione, spiegazione, previsione – permette di individuare in modo sistematico l’esistenza di eventuali contraddizioni, e quindi di punti di debolezza di una teoria. Applicando questo metodo ai testi di scienziati scettici o negazionisti prodotti dalla organizzazione internazionale CLINTEL, firmataria della dichiarazione mondiale intitolata “There is No Climate Change Emergency”, ma anche a una selezione di saggi prodotti in Italia in un volume a cura di Alberto Prestininzi (2022), il lavoro mostra che la maggior parte delle obiezioni negazioniste si riferisce proprio alla presenza di contraddizioni, incoerenze o discordanze che renderebbero la teoria mainstream relativa al cambiamento climatico non solo poco verosimile, ma completamente falsa e, in questo senso, assimilabile semmai ad altre narrazioni letterarie distopiche e, quindi, fuorviante per le politiche climatiche. Riferimenti bibliografici CLINTEL, Global Climate Intelligence Group, There is no Climate Change Emergency, delivered January 2025, from https://clintel.org/wp-content/uploads/2025/01/WCD-250104.pdf Fisher, F. (2021), Truth and Post-Truth in Public Policy. Interpreting the Arguments, Cambridge University Press. INTERGOVERMENTAL PANEL ON CLIMATE CHANGE, https://www.ipcc.ch/synthesis-report/ Analysed Reports: 1990 (FAR); 1995 (SAR); 2001 (TAR); 2007 (AR4); 2014 (AR5); 2021 (AR6); 2023 (WG3). Kuhn, T. (1962), The structure of scientific revolutions, trad. It. La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 2009, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino. Prestininzi, A. (a cura di), Dialoghi sul clima. Tra emergenza e conoscenza. Rubettino. 2022 Toulmin, St. (1959) The Uses of Argument, Cambridge University Press, Cambridge. 4. Narrazioni utopistiche e transizione ecologica nei progetti di apprendimento collaborativo di Futures Literacy Francesca Odella – University of Trento
L'alfabetizzazione al futuro (o ai futuri) rappresenta un'attività tanto semplice quanto complessa da realizzare. La cultura occidentale e la visione scientifica tendono a collocare il discorso sul futuro in due categorie opposte: le previsioni (foresight) e le utopie/distopie. Secondo Claval (2007), la marginalizzazione del futuro nella cultura occidentale deriva dall'evoluzione delle scienze storiche. Passato e futuro, entrambi inaccessibili all’esperienza diretta, possono essere compresi solo attraverso narrazioni. Ad esempio, l’archeologia interpreta il passato, ricostruendo l’uso degli oggetti e le convenzioni sociali, e in tal modo offre indirettamente una lettura del futuro (Holtorf, 2018). Tuttavia, gli aspetti del passato non spiegabili con queste tracce costituiscono una sfida e una minaccia per il futuro, poiché potrebbero rovesciare visioni consolidate della società. Le narrazioni che coinvolgono diversi attori sociali rappresentano una strategia per affrontare le immagini del futuro radicate nella percezione e nelle azioni delle persone. Queste riflessioni sui modelli culturali dominanti nella società globalizzata (Palmer, 2014) mostrano come l’interpretazione del futuro sia legata alla nostra concezione della realtà attuale e alla percezione dell’organizzazione del mondo. L’influenza del passato sul presente determina il modo in cui immaginiamo il futuro. L’alfabetizzazione al futuro, attraverso la progettazione di scenari, permette ai partecipanti di sospendere la propria razionalità critica, aprendo uno spazio per sperimentazione e immaginazione. Questo processo rappresenta una sfida al pensiero comune, poiché il futuro non è più percepito come complesso o inaccessibile, ma diventa un momento dialettico in cui costruire narrazioni sulla sostenibilità e sulle trasformazioni socio-economiche. Esprimere punti di vista sul futuro e speculare su scenari possibili restituisce ai partecipanti una capacità di agency, spesso limitata dal presente. Inoltre, permette di esplorare contesti storici, geografici e sociali da prospettive diverse, ad esempio immaginando il futuro di una persona anziana, di un giovane o di un disabile. Nei laboratori di futuro, i partecipanti possono creare intersezioni tra la loro esperienza locale e la cultura globale, sviluppando oggetti culturali che evocano il futuro o compiono azioni innovative (ad esempio, una caffettiera che germoglia o un abito diagnostico). Possono anche impegnarsi in dibattiti sul ruolo della scienza e sulla sua relazione con le istituzioni, interrogandosi sul rapporto tra caos, mutazioni e conoscenza scientifica. Quando si esplorano scenari futuri legati alle trasformazioni ecologiche, emerge la sfida di immaginare nuovi paradigmi per il coordinamento sociale. Creare immaginari alternativi aiuta a comprendere le trasformazioni fisiche e culturali in modo olistico e complesso, includendo anche categorie non umane. Questo stimola la riflessione sul ruolo ecologico dell’uomo e sulla crescente interdipendenza tra ambiente e società. La costruzione di futuri alternativi porta a includere una varietà di scenari ambientali, alcuni ottimistici, altri tecnologizzati o catastrofisti. Il confronto con la società contemporanea induce i partecipanti a riflettere sui propri pregiudizi cognitivi e sulla loro influenza nell’immaginare il futuro. La percezione della temporalità legata all’ambiente varia: può essere vista come un passato naturale superato dalla tecnologia o come un elemento di sovversione dell’ordine sociale. L’Antropocene, come episteme narrativa, contiene sia un seme distopico, che spinge a considerare il cambiamento climatico come inevitabile, sia un seme utopico, che anticipa cambiamenti radicali nelle strutture sociali. Nei progetti di alfabetizzazione al futuro, queste dinamiche convergono nella narrazione di molteplici futuri, che i partecipanti esplorano e valutano attraverso la piacevolezza narrativa (Karaiskou, 2024). Ampliare i confini di ciò che è percepito come normale, fattibile e atteso socialmente diventa una scelta consapevole. Questo approccio condiviso favorisce una maggiore familiarità con la dimensione temporale e cognitiva del futuro, incoraggiando una mentalità aperta e non giudicante sulle sue potenzialità. Bibliografia Appadurai Arjun. Il futuro come fatto culturale. Saggi sulla condizione globale, Raffaello Cortina, Milano, 2014. Angheloiu Corina, Leila Sheldrick, Mike Tennant. Future tense: Exploring dissonance in young people’s images of the future through design futures methods, Futures, 1, 117, 102527,2020 Barnes Jessica J. and Michael R. Dove. Climate Cultures. 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Past remarkable: Using life stories to trace alternative futures, Futures, 64, pp. 29–37, 2014. Salazar Juan F., Sarah Pink, Andrew Irving, Johannes Sjöberg. Anthropologies and Futures: Researching Emerging and Uncertain Worlds, Bloomsbury, Londra, 2017. Poli Roberto. The challenges of Futures literacy, Futures, 132, 102800, 2021. Rasa Tapio and Antti Laherto. Young people’s technological images of the future: implications for science and technology education, European Journal of Futures Research, 10, 4, pp. 1-15, 2022. Raudsepp-Hearne, C., Peterson, G. D., Bennett, E. M., Biggs, R., Norstrom, A.V., Pereira, L., Vervoort, J., Iwaniec, D. M., McPhearson, T., Olsson, P., et al. Seeds of good anthropocene: developing sustainability scenarios for Northern Europe, Sustainability Science, 15, pp. 605–617, 2020. |
16:15 - 17:45 | Sessione 5 - Panel 03: Mala tempora. Il racconto del presente nelle teorie della cospirazione Luogo, sala: Aula Magna Baffi (A0-F) Chair di sessione: Francesco Piraino Chair di sessione: Nicola Pannofino |
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Mala tempora. Il racconto del presente nelle teorie della cospirazione 1Università di Bologna; 2Università di Torino; 3Università Pegaso di Napoli; 4Università di Torino “Non c’è più tempo. Crisi ed emergenze nella società contemporanea” Convegno SISCC, Cagliari, 19-20 giugno 2025 Proposta di panel per lo STREAM I. Comunicazione: organizzazioni, istituzioni e media alla sfida della cronemica Titolo del panel: Mala tempora. Il racconto del presente e del futuro nelle teorie della cospirazione in Italia Abstract Il cospirazionismo ha guadagnato negli ultimi anni una crescente visibilità nel discorso pubblico, resa possibile soprattutto dalla circolazione virale attraverso i canali mediatici e le piattaforme digitali di narrazioni alternative e anti-establishment che hanno come principale bersaglio polemico le istituzioni scientifiche e politiche. La diffusione sociale delle teorie del complotto ha introdotto un immaginario culturale della crisi che fa leva sulla paura e sulle incertezze percepite su scala globale, fomentate dall’attuale fase storica di transizione legata alla recente emergenza pandemica, ai conflitti internazionali, ai rischi climatici, alle applicazioni della tecnologia, per non citare che alcuni esempi. L’immaginario della crisi veicolato dalle narrazioni complottiste è costruito su peculiari concezioni del tempo che adombrano una rappresentazione drammatica del presente e del prossimo futuro. Questo panel raccoglie tre contributi che mostrano le diverse visioni del tempo che informano il pensiero complottista contemporaneo. Il primo lavoro descrive due diverse forme di complottismo nel panorama mediatico italiano. Da un lato, un complottismo proveniente dall’estrema destra che racconta la fine del tempo, ossia un’escatologia esoterica basata sulle dottrine di Guénon ed Evola. Dall’altro un complottismo di matrice liberale che si basa una concezione opposta di tempo, dove l’Occidente rappresenta la fine della storia, ma in chiave positiva, in quanto apogeo dell’umanità. Queste due forme di complottismo e di concettualizzazioni del tempo sono analizzate attraverso l’approccio del programma forte della sociologia culturale di Alexander. Il secondo intervento si concentra sul “grande reset”, una recente teoria complottista secondo cui la pandemia da Covid-19 sarebbe l’ultimo di ripetuti tentativi messi in atto nei secoli da parte di un’élite di potere per condizionare lo sviluppo storico e instaurare un governo totalitario volto al controllo della popolazione mondiale. Questa teoria, diffusa nel discorso dei partiti populisti e all’interno di comunità online su social media come YouTube, Reddit e Telegram, elabora in modo condiviso uno storytelling seriale improntato a una rappresentazione del tempo futuro di tipo apocalittico, che prefigura l’avvento di una prossima società distopica. Il terzo paper si sofferma sulla diffusione delle teorie del complotto e della disinformazione tra sfera digitale e mondo offline in un tempo di crisi in cui si radica la sfiducia verso le autorità tradizionali. All’interno di questa cornice, il contributo interpreta le teorie del complotto come una forma di conoscenza stigmatizzata, soffermandosi sul caso della “conspiritualità” - un concetto relativo al rapporto tra pensiero cospirazionista e campo spirituale -, e alla pratica dello yoga in Italia, quale esempio di campo spirituale che si qualifica per un grado di tensione nei confronti della società mainstream rispetto alle concezioni della salute, del sacro e della cura del corpo. ABSTRACT DEI CONTRIBUTI Abstract 1 È solo la fine del mondo: opposte concezioni del tempo nel complottismo italiano Francesco Piraino, Università di Bologna Questo paper discute due forme di complottismo nei media italiani che riflettono concezioni antitetiche riguardo la politica, la religione e l’escatologia. Il primo caso analizzato riguarda la produzione editoriale di Claudio Mutti, fondatore dell’Edizioni All’Insegna del Veltro e della rivista Eurasia. Mutti, figura chiave dell’estrema destra italiana ed europea, è riuscito negli anni a uscire dalla nicchia dell’estrema destra per coinvolgere intellettuali antimodernisti, stalinisti e complottisti. La sua rivista Eurasia è oggi acquistata da diverse università italiane. Questo processo di mainstreamizzazione è stato possibile grazie ad uno stile pseudoscientifico che unisce analisi geopolitiche con il complottismo riguardo le lobby ebraiche, gay e massoniche. La visione filosofica, religiosa e politica di Mutti e di molti degli autori di Eurasia, si basa sulle letture esoteriche di René Guénon e Julius Evola, secondo i quali siamo giunti alla fine del mondo. La modernità, democratica, liberale, umanista rappresenta l’ultimo stadio di un degrado morale e politico. Secondo questa visione, stiamo vivendo un momento di accelerazione escatologica verso la fine dei tempi. Questa visione si riflette nella produzione editoriale che racconta una crisi perpetua prima dello scontro finale tra forze del bene e forze del male. Il secondo caso preso in considerazione è quello che potrebbe essere chiamato “complottismo liberale” dei giornalisti come Oriana Fallaci e Federico Rampini. Secondo questi giornalisti, prestigiose firme del Corriere della Sera, ci sarebbero diversi complotti che minacciano l’Occidente. Oriana Fallaci ha reso celebre le teorie di Eurabia, ossia il presunto complotto delle istruzioni europee per l’arabizzazione e islamizzazione dell’Europa, favorita anche dalla superficialità e dal buonismo di una certa sinistra e di un certo Cattolicesimo. Rampini ha ampliato il complottismo raccontando un occidente, vittima di diversi complotti, come 1) l’immigrazione clandestina favorita da alcune élite tecnocratiche, 2) un’ecologia neopagana che minaccia continuamente un cataclisma imminente, ma privo di fondamento scientifico e 3) un attacco ai valori morali occidentali da parte di una élite di intellettuali di sinistra, caratterizzata dal pensiero postcoloniale e woke. Il complottismo dei liberali si basa su una concezione del tempo radicalmente diversa rispetto a quello prima descritto. Secondo Rampini, che riprende le tesi di Francis Fukuyama e Samuel Huntington, l’Occidente rappresenta la fine della storia, la fine del tempo, l’apogeo della civiltà umana. Rampini non si limita a negare le critiche postcoloniali, woke ed ecologiche verso l’Occidente, come fanno molti intellettuali conservatori, ma le trasforma in complotti orditi da diverse organizzazioni. Il complotto dell’estrema destra e quello dei liberali rappresentano due visioni opposte della società e della politica. Inoltre, si basano su due concezioni antitetiche del tempo, la prima basata sull’idea della fine imminente del mondo a causa della degenerazione moderna, la seconda sulla fine del tempo, dovuta al contrario, alla modernità occidentale come apogeo dell’umanità. Nonostante queste differenze abissali, le due visioni condividono la produzione di teorie del complotto che contribuiscono a polarizzare il dibattito politico italiano, identificando nemici nascosti e onnipotenti, verso i quali si può provare solo un senso di impotenza, e contribuendo a produrre un senso di emergenza perpetua. Il framework teorico utilizzato per lo studio di questi due casi è la sociologica culturale del “programma forte” delineato da Jeffrey Alexander, che mette al centro i fenomeni culturali come variabile principale dell’analisi sociologica. Attraverso questa lente, possiamo considerare il complottismo non come il frutto di gruppi socialmente ed epistemologicamente marginali, ma al contrario, come dimostra anche questo paper come al centro del dibattito intellettuale e mediatico italiano. La metodologia è qualitativa, basata sull’analisi del discorso e sul ragionamento induttivo. Abstract 2 Anno zero. Il “grande reset” e la teoria complottista dei cicli temporali Nicola Pannofino - Università Pegaso di Napoli Le teorie della cospirazione stabiliscono un rapporto costitutivo con la dimensione del tempo: per un verso, queste teorie emergono e circolano soprattutto nei periodi storici di cambiamento, per l’altro tentano di rispondere alle incertezze che tali periodi ingenerano a livello individuale e sociale (van Prooijen e Douglas 2017), risultando particolarmente persuasive per chi ha un atteggiamento fatalista rispetto al futuro (Zajenkowski et al. 2022). Uno degli esempi più eloquenti e influenti di narrazione complottista incentrata sulla temporalità è offerto dalla teoria del great reset - il grande “ripristino” o “azzeramento” -, termine introdotto nel 2021 durante il World Economic Forum di Davos per indicare un programma di trasformazione politica e socio-economica con cui fronteggiare le conseguenze della pandemia da Covid-19. Questo programma è riletto dai teorici della cospirazione come strategia per realizzare su scala globale un governo totalitario volto al controllo della popolazione, giustificato dallo stato di emergenza sanitaria (Roth 2021; Van der Tak e Harambam 2024). La tesi del grande ripristino trova largo impiego nel milieu complottista, secondo cui quello annunciato a Davos sarebbe solo l’ultimo di ripetuti reset messi in atto ciclicamente - ma espunti dalla storiografia ufficiale - da un’élite di potere per indirizzare il corso degli eventi nei secoli. Questa tesi si ritrova anche nelle narrazioni dei portavoce dei partiti populisti, particolarmente in chiave di salvaguardia dei diritti democratici che si ritiene siano stati messi in discussione nella fase di gestione dell’emergenza pandemica. Ma si ritrova, in alcuni casi, anche nelle narrazioni di importanti attori della propaganda nazionalista russa con la funzione di delegittimare le élite degli stati espressione dell’attuale ordine internazionale e prospettare la possibilità di realizzare un ordine nuovo, con nuove potenze egemoni. Non solo per questi aspetti, le teorie del complotto hanno una rilevanza politica molto forte. Infatti, esse possono diventare efficaci forme d’espressione di carattere culturale per diffusi problemi sociali. In quanto canali espressivi riescono a dare agevolmente voce a sentimenti riconducibili al disagio sociale interiorizzato dagli individui. In particolare, al tempo del disagio che stanno vivendo. L’uso delle narrazioni complottiste, e quella del great reset è un esempio paradigmatico, conferma una linea di tendenza particolarmente accentuata ma soprattutto acquista rilevanza per l’indagine sociologica nella misura in cui si tenga conto che tali formazioni discorsive germogliano e si diffondono al tempo della profonda crisi epistemica in cui si trovano le società contemporanee (Christensen e Au 2023) e che naturalmente investe gli individui nella loro quotidianità. L’intervento si propone di analizzare la comunicazione sui social media riguardante la teoria del grande reset, con speciale attenzione al forum di Reddit, ad alcuni canali YouTube e gruppi Telegram, tre fra le piattaforme che maggiormente contribuiscono alla circolazione delle odierne teorie del complotto. L’analisi testuale del materiale selezionato evidenzia come il discorso complottista veicoli credenze, paure e attese improntate a una concezione del tempo di tipo implicitamente o esplicitamente millenaristico (Barkun 2003). Tra le diverse comunità online si costruisce in modo interattivo e condiviso uno storytelling seriale che articola l’interpretazione e la memoria collettiva degli utenti attorno a uno schema narrativo incentrato sul topos del “declino” (Gergen e Gergen 1984; Zerubavel 2003). Questa narrazione, che riflette e alimenta l’immaginario della fine dei tempi proprio della cultura popolare contemporanea (Albrecht e Sturm 2024), prefigura uno scenario di decadenza marcato da imminenti cambiamenti catastrofici per l’umanità. La teoria del grande reset si inscrive nella più generale visione cospirativa per la quale è in atto la transizione epocale verso una futura società distopica, secondo un piano segreto finalizzato a instaurare un “nuovo ordine mondiale” (Spark 2000). Abstract 3 Conspiritualità: La costruzione sociale e discorsiva della conoscenza stigmatizzata nel campo spirituale e religioso italiano Marco Castagnetto Le teorie del complotto stanno progressivamente muovendo dalla periferia epistemica della comunicazione al suo mainstream, imponendo riflessioni sul loro impatto sociale all’intersezione tra il ruolo delle istituzioni pubbliche e la gestione dei flussi comunicativi nella sfera digitale, la relazione tra informazione e disinformazione nonché i confini porosi tra l’online – dove le teorie del complotto prosperano – e l’offline. Questo processo è in larga parte il risultato di fattori interconnessi, tra cui la presenza pervasiva di Internet e la crescente sfiducia nei confronti delle autorità tradizionali; le teorie del complotto, infatti, non sono più confinate ai margini del sociale, ma hanno guadagnato visibilità e legittimità nel discorso pubblico, rappresentando una sfida – ancora in gran parte tutta da decifrare – per le istituzioni educative, il mondo dei media – sia tradizionali che social – e naturalmente per gli attori sociali che, a diverso titolo (e.g., producers, carriers e/o consumers), prendono parte a questo processo. Sulla scorta di Michael Barkun (2013), le teorie del complotto possono essere interpretate come “conoscenza stigmatizzata”, ovvero quelle forme di sapere – o meglio affermazioni di conoscenza – che non sono accettate dalle istituzioni alle quali le società – tradizionalmente – si affidano per la convalida della verità. Attraverso questa lente ermeneutica, esploreremo il fenomeno della cospiritualità – l'adozione, l'adattamento e l'uso strategico del pensiero cospirazionista all'interno del campo religioso e spirituale – come un concetto sociologico emergente coniato per affrontare le profonde ripercussioni sulla costruzione sociale e discorsiva di ciò che conta come conoscenza stigmatizzata e/o legittima in riferimento al sacro. Da un lato, le costruzioni sociali e discorsive che sottendono alle teorie del complotto sono stigmatizzate dai paradigmi considerati più autorevoli all’interno del frame epistemico dell’Italia contemporanea, ancora largamente basato su istituzioni tradizionali. Dall’altro lato, questi stessi paradigmi dominanti sono però percepiti come parziali, e quindi a loro volta stigmatizzati, dalla prospettiva emica di chi crede in alcune forme di conspiritualità. Secondo questa prospettiva, le narrative e i sistemi di conoscenza mainstream sarebbero manchevoli, fuorvianti e deliberatamente orchestrati per sopprimere punti di vista alternativi, in una dialettica di delegittimazione reciproca. In secondo luogo, partendo dal caso studio dello yoga in Italia – inteso come esempio paradigmatico degli sviluppi contemporanei del campo spirituale e religioso italiano – esploriamo il modo in cui le principali istituzioni di yoga in Italia, le scuole più affermate e i loro praticanti posizionano le loro rivendicazioni – riguardanti salute, sacro e cura del corpo – in riferimento alle più ampie tendenze scientiste delle società pluralizzate, al ruolo ancora influente della Chiesa cattolica e a una varietà di spiritualità nuove e/o alternative. Attraverso questa analisi mostreremo quindi alcune delle tensioni esistenti tra diverse visioni di cosa sia lo yoga – e a che cosa serva – e di come queste, di volta in volta, possano essere considerate come conoscenza stigmatizzata o socialmente riconosciuta a seconda del posizionamento degli attori sociali presi in considerazione. |
16:15 - 17:45 | Sessione 5 - Panel 04: "Alla ricerca del tempo perduto": vita quotidiana e disconnessione digitale Luogo, sala: Aula 5 (A1-D) Chair di sessione: Francesca Ieracitano |
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"Alla ricerca del tempo perduto": vita quotidiana e disconnessione digitale 1Sapienza, Italia; 2Università degli Studi di Bergamo; 3Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano; 4Universitat de València (Spagna) e Cardiff University (Regno Unito); 5Università degli Studi di Siena I cambiamenti culturali e le crisi della società contemporanea hanno portato gli individui a mettere in discussione il rapporto con uno dei pilastri sui quali le società capitalistiche occidentali tardo moderne hanno fondato il loro impianto economico, sociale, culturale e tecnologico: la digitalizzazione. Alcuni autori evidenziano una trasformazione sociale e culturale in atto che si basa sulla messa in discussione della normalizzazione della digitalizzazione (Kuntsman & Miyake, 2019; Andersson et al., 2021). Ciò ha gettato i presupposti per la configurazione di una post-digital era (Pepperell & Punt, 2000; Cramer, 2015; Andersson, 2016) caratterizzata da un bisogno di rallentamento anche dei ritmi e dei tempi di vita connessi, che non è più esclusivo appannaggio di alcuni gruppi sociali (es. gli hipster). È in questo scenario di profondi cambiamenti che si affermano pratiche come la disconnessione digitale, che si configurano come un vero e proprio cambiamento culturale. La digital disconnection può essere intesa come “qualsiasi tipo di non utilizzo, temporaneo o indefinito, (dei digital media) a condizione che tale non utilizzo avvenga con il consenso dell'agente che si disconnette” (Bagger, 2024, p. 113). Se da un lato gli studi nel settore della digital disconnection evidenziano come la disconnessione sia una risposta ai contraccolpi generati dalla digitalizzazione (Albris et al., 2024), dall’altro sottolineano le ambiguità, le ambivalenze, le diseguaglianze e i paradossi che rendono sfidante le pratiche di disconnessione digitale e di “digital detox” nel presente (Kuntsman & Miyake, 2019). La disconnessione è infatti un processo flessibile nel quale la decisione di disconnettersi può essere ambivalente (Kania-Lundholm, 2021), perché non dipende mai completamente solo dall’esercizio di agency degli utenti (Kuntsman & Miyake, 2019:910). Per tale ragione, la digital disconnection presenta dei lati oscuri in parte connessi alle situazioni, non solo di carattere macrosociale (Trerè et al., 2020), nelle quali la disconnessione digitale viene esercitata e che meritano di essere indagati. Partendo da questi presupposti, il panel si propone di proseguire anche nel contesto italiano riflessioni sviluppate (anche dagli stessi autori coinvolti) nel contesto europeo, mirando a rappresentare un momento di consolidamento degli studi italiani sulla digital disconnection. Tali riflessioni intersecano in modo significativo le tematiche della temporalità e della crisi, con riferimento specifico alla dimensione temporale della vita quotidiana. Se, infatti, alla crescente digitalizzazione sono associate forme di accelerazione di molte delle pratiche quotidiane, la digital disconnection si pone come un momento di riorganizzazione (quando non di rallentamento) della struttura temporale delle nostre vite. In particolare, il contributo di apertura, “Un’agenda di ricerca per gli studi sulla disconnessione: lezioni fondamentali, sfide e direzioni future”, tratteggia lo stato dell’arte del campo di studi, proponendo, in un’ottica anche critica, le più rilevanti questioni di ricerca da affrontare nel prossimo futuro. Il secondo contributo, “Ricalibrare il proprio tempo attraverso la disconnessione: una strategia alla portata di tutti?”, contestualizza gli studi sulla disconnessione nell’ambito della riflessione sui tempi della vita quotidiana. Al rapporto tra disconnessione e temporalità nella vita quotidiana è dedicato anche il terzo contributo, “Pressione temporale e pratiche di disconnessione. Per una fenomenologia della digital disconnection in Italia, tra vecchie e nuove disuguaglianze”, che presenta i risultati di una ricerca condotta con tecnica CAWI su campione rappresentativo della popolazione internet italiana, contestualizzandoli nell’ambito di una riflessione sulle diseguaglianze. Infine, il quarto contributo, “Il lato oscuro della disconnessione digitale: il ruolo del tempo nella gestione delle pratiche di digital detox da parte di giovani utenti”, propone un’analisi situazionale della disconnessione digitale, riflettendo sul ruolo che la variabile tempo esercita nelle pratiche di disconnessione digitale. Contributo 1: Un'agenda di ricerca per gli studi sulla disconnessione: lezioni fondamentali, sfide e direzioni future Emiliano Treré, Universitat de València (Spagna) e Cardiff University (Regno Unito)
Questo contributo si propone di analizzare le principali lezioni emerse dagli studi sulla disconnessione digitale nell’ultimo decennio, evidenziandone le sfide, i limiti e le direzioni future. Attraverso un approccio critico, vengono esplorate le implicazioni sociali, politiche e culturali della disconnessione, con particolare attenzione alle sue pratiche, disuguaglianze e connessioni interdisciplinari. Negli ultimi 10-15 anni, gli studi sulla disconnessione digitale si sono evoluti da un campo emergente e dirompente a un'area più consolidata all'interno della ricerca sui media digitali, con un'attenzione alle dimensioni sociali, politiche e culturali del rifiuto, della resistenza e della negoziazione della connettività digitale. Anche se diverse valide revisioni della letteratura hanno già mappato il campo (es. Nassen et al., 2023; Altmaier et al., 2024), questo contributo mira a sviluppare un'analisi critica e approfondita su alcuni dei temi più urgenti del settore, facendo il punto sulle lezioni apprese e delineando un'agenda per la ricerca futura. In primo luogo, la ricerca su resistenza e attivismo ha dimostrato che la disconnessione digitale non è semplicemente una scelta individuale, ma spesso una strategia organizzata e collettiva. Dai movimenti che promuovono il "digital detox" alle pratiche di rifiuto dei media digitali da parte degli attivisti che cercano di sfuggire al capitalismo della sorveglianza, la disconnessione è stata concettualizzata come una forma di resistenza politica e sociale (Kaun & Treré, 2020; Jurgenson, 2013). Tuttavia, l'interazione tra disconnessione digitale e attivismo rimane un dibattito in evoluzione, richiedendo ulteriori indagini sulle tensioni tra resistenza e partecipazione alle infrastrutture digitali. In secondo luogo, gli studiosi hanno esaminato la disconnessione come repertorio di pratiche incorporate in diverse ecologie mediali (Wilcockson et al., 2019; Syvertsen, 2020). Il modo in cui le persone si impegnano nella disconnessione è altamente contestuale, modellato dalle affordance dei dispositivi digitali, delle piattaforme e delle infrastrutture. Ad esempio, gli studi sulla disconnessione dagli smartphone evidenziano come gli individui si scollegano selettivamente pur rimanendo immersi in ecosistemi digitali più ampi. Ciò evidenzia la necessità di analisi più sfumate su come la disconnessione interagisce con forme ibride e fluide di coinvolgimento mediatico. In terzo luogo, la ricerca ha sempre più evidenziato le disuguaglianze e i privilegi insiti nella disconnessione digitale (Selwyn & Pangrazio, 2018; Light, 2014; Treré, 2021). Mentre gli individui benestanti possono abbracciare la disconnessione volontaria come un lusso, le comunità marginalizzate spesso sperimentano la disconnessione involontaria a causa di vincoli infrastrutturali, economici o politici. Gli studi futuri dovrebbero esplorare ulteriormente come classe sociale, razza, genere e geografia mediano l'accesso alla disconnessione, evitando la generalizzazione eccessiva dei discorsi sul digital detox. In quarto luogo, gli studi sulla disconnessione devono approfondire le loro connessioni interdisciplinari con campi adiacenti, come gli studi sulle infrastrutture critiche, gli studi sulle piattaforme e l'economia politica. Collegare la disconnessione alla ricerca sulla data justice, sulla governance delle piattaforme e sulla cultura algoritmica può fornire nuove intuizioni sulle implicazioni del rifiuto della connettività in un mondo datificato (Lomborg, 2020; Madianou, 2024). Infine, eventi dirompenti e contingenze, come la pandemia di COVID-19, hanno profondamente ridefinito il panorama della disconnessione digitale (Treré, 2021; Nguyen et al., 2020; Vlachantoni et al., 2023). Mentre i dibattiti pre-pandemia inquadravano spesso la disconnessione come una scelta personale, la crisi ha evidenziato le dipendenze infrastrutturali che rendono la disconnessione sempre più difficile, se non impossibile. La ricerca futura dovrà considerare come le crisi ricalibrano l'impegno e la disconnessione digitale, rivelando nuove vulnerabilità e rafforzando le disuguaglianze digitali esistenti. Queste riflessioni suggeriscono che gli studi sulla disconnessione debbano superare le semplicistiche opposizioni tra connessione e disconnessione, adottando prospettive più articolate e contestualizzate. Per avanzare nel campo, sarà essenziale un dialogo interdisciplinare capace di affrontare le lacune della ricerca attuale e di stimolare nuove direzioni teoriche e metodologiche. Contributo 2: Ricalibrare il proprio tempo attraverso la disconnessione: una strategia alla portata di tutti? Leonardo Bindi, Università degli Studi di Siena
In una contemporaneità caratterizzata dall'accelerazione e dalla frammentazione temporale, questo contributo analizza la disconnessione digitale come risposta critica alla mediatizzazione (Couldry e Hepp, 2013) della vita quotidiana. Come evidenzia Christoffer Bagger (2024), parallelamente all’ascesa della Platform Society (van Dijck et al., 2018), si è assistito ad un crescente interesse nel resistere o rifiutare l'uso delle tecnologie digitali. Definire il termine “disconnessione digitale” si rivela però un compito complesso. La letteratura ha affrontato questa sfida da diverse prospettive, concentrandosi sulla definizione di tipologie e oggetti di disconnessione (Altmaier et al., 2023), sulla mappatura degli studi sulla disconnessione (Pasquali et al., 2023) e sulla genealogia di questo concetto nell’ambito dei media studies (Moe e Madison, 2021). Questo contributo adotta quindi una definizione di disconnessione come “risposta critica alle condizioni mediatiche che caratterizzano le nostre società e permeano la nostra quotidianità” (Lomborg e Ytre - Arne, 2021, p. 1530). Tra queste pratiche di disconnessione esistono diverse sfumature. La disconnessione, intesa come “politica di lifestyle” (Kaun e Trerè, 2018), cerca quindi di presentarsi come una risposta critica alle sfide della contemporaneità, attraverso una serie di pratiche estremamente individualizzanti e caratterizzate da una retorica influenzata da una ricerca dell’autenticità personale. Tuttavia, in un’epoca in cui la disconnessione non è semplicemente un lusso ma anche un obbligo (Fast, 2021), è necessario evidenziare le possibili criticità e le eventuali contraddizioni di questi comportamenti di “vistoso non – consumo” (Portwood – Stacer, 2013). Come notano Bozan e Treré (2024), nel corso degli ultimi anni le logiche capitalistiche hanno portato la maggioranza delle pratiche di disconnessione a subire un processo di mercificazione: in particolare, i prodotti e i servizi per la disconnessione progettati per favorire l'autocontrollo nella gestione del tempo. All’interno di un’ottica neoliberista i risultati attesi della disconnessione, come ad esempio il well – being o la gestione del sé e del proprio tempo (Jorge, 2022), rappresentano un prerequisito della produttività. Tale mercificazione, tuttavia, presenta una serie di interrogativi riguardo l'autenticità e l'efficacia di tali pratiche. Il rischio, infatti, è quello di trasformare la disconnessione da strumento di emancipazione a mero supporto della produttività capitalistica. Diventa pertanto fondamentale interrogarsi sulla capacità della disconnessione di fungere da strategia di resistenza, ovvero sulla possibilità di “circoscrivere un luogo proprio in un mondo stregato dai poteri invisibili” (de Certeau, 2010, p. 72), in un'epoca di crescente pressione temporale, e se tale possibilità sia equamente accessibile a tutti. Questo contributo, attraverso una revisione sistematica di 431 studi scientifici sulla disconnessione digitale pubblicati dal 1998 al 2024, esplora le strategie fin qui prese in considerazione dalla letteratura e adottate dagli utenti per ricalibrare la gestione del tempo. Un aspetto fondamentale dell'analisi è quello di evidenziare come la dimensione temporale delle pratiche di disconnessione, in termini di durata, influenzi significativamente le possibilità di accesso ad esse. Le disconnessioni prolungate, difatti, pur offrendo maggiori benefici in termini di recupero del tempo, sono spesso un privilegio limitato a chi dispone delle adeguate risorse economiche e sociali (Kratel, 2023). Al contrario, le micro-disconnessioni quotidiane, pur nella loro maggiore accessibilità, potrebbero non essere sufficienti per contrastare le pressioni della Platform Society. Tuttavia, dall’analisi sistematica della letteratura emerge come la disconnessione presenti, oltre alla dimensione individuale, anche azioni di natura collettiva. Tali pratiche vanno quindi ad inserirsi all’interno di contesti temporali più ampi, come il dibattito sul diritto alla disconnessione o la ricerca di nuovi modelli di strutturazione del lavoro. Nel confrontare le dimensioni individuali e collettive emerge quindi una diversa comprensione delle strategie di resistenza offerte dalla disconnessione, rendendo evidente la necessità di esplorare come queste pratiche possono essere ripensate in modo inclusivo e consapevole, anche in relazione alla dimensione temporale. Contributo 3: Pressione temporale e pratiche di disconnessione. Per una fenomenologia della digital disconnection in Italia, tra vecchie e nuove disuguaglianze Piermarco Aroldi*, Marina Micheli*, Francesca Pasquali+, Barbara Scifo*
Tra le forme di pressione temporale che caratterizzano l’esperienza quotidiana delle società contemporanee, la capacità dimostrata dalle piattaforme digitali di colonizzare porzioni sempre più ampie del tempo dei loro utenti costituisce un fenomeno diffuso e generalizzato. Più che i dati relativi al tempo speso utilizzando internet (in Italia mediamente 5 ore e 49 minuti al giorno) (We are social 2024), sono i discorsi sociali relativi alla necessità di contenere questa pressione temporale a rivelarne la criticità: basti pensare al dibattito sullo screen time di bambini e adolescenti, al diritto alla disconnessione reclamato come forma di tutela della privacy dei lavoratori e del bilanciamento tra tempi di vita e tempi di lavoro, al fiorente mercato delle terapie di ‘digital detox’ per favorire il benessere mentale e sociale o aumentare la produttività, alla promozione di alcune località turistiche digital free al fine di preservare tempi e luoghi dell’esperienza di viaggio, per fare solo alcuni esempi. A fronte di questa pressione temporale, programmaticamente perseguita dall’economia dell’attenzione delle piattaforme digitali, si diffondono comportamenti che sono stati inquadrati nella logica del “digital backslash”, «una sorta di zeitgeist: un momento storico in cui le norme relative al comportamento, al consumo e alle abitudini digitali vengono problematizzate e in cui si mette in discussione l'entusiasmo iniziale dell'era digitale » (Albris et al., 2024). In questa stessa logica si iscrivono le molte e varie forme di disconnessione digitale intesa come «autoregolazione consapevole dell'uso dei media digitali attraverso strategie che limitano selettivamente la connettività degli utenti» (Geber et al., 2024). Il paper intende approfondire la conoscenza delle pratiche attraverso le quali gli utenti esercitano la disconnessione digitale mediante l’analisi avanzata dei dati raccolti nel corso di una rilevazione CAWI somministrata a un panel rappresentativo della popolazione italiana adulta di utenti internet nel giugno del 2024. La descrizione fenomenologica delle pratiche verrà messa in relazione con le caratteristiche sociodemografiche degli utenti, con le loro abitudini di utilizzo dei media digitali, con le motivazioni che li spingono a contenere la propria connettività e con le difficoltà che queste pratiche di contenimento comportano. Particolare attenzione sarà dedicata all’analisi di alcune differenze che si traducono facilmente in disuguaglianze dal punto di vista dell’appartenenza generazionale, della posizione nel corso di vita, dell’impegno nei lavori di cura, e che contribuiscono a esporre in modo variabile alla pressione temporale della network society. Sulla scorta dei dati sarà così possibile compiere alcune riflessioni in merito ad alcuni snodi cruciali del dibattito contemporaneo sulle contraddizioni della società digitale. Contributo 4: Il “lato oscuro” della disconnessione digitale: il ruolo del tempo nella gestione delle pratiche di digital detox da parte di giovani utenti Francesca Ieracitano e Francesca Comunello, Sapienza Università di Roma
Il presente contributo mira ad offrire un’analisi situazionale della disconnessione digitale, con specifico riferimento al peso e al ruolo che la variabile tempo esercita nelle pratiche di disconnessione digitale, inibendole, favorendole o rendendole sfidanti. Il framework teorico utilizzato è quello proposto da Schnauber-Stockmann e colleghi (2024), che evidenzia i fattori situazionali che possono intervenire nel comportamento mediale, al fine di poterlo meglio comprendere e soprattutto coglierne la variabilità. Il framework teorico mette in evidenza come a intervenire nel comportamento mediale - caratterizzato dalle fasi di selezione, elaborazione e media disengagement - ci siano fattori situazionali che possono dipendere dal contesto oggettivo e soggettivo in cui le audience/utenti si trovano, dal loro stato psicologico e dal contesto mediale (Schnauber-Stockmann et al., 2024). Tra le componenti del contesto oggettivo, il tempo occupa un ruolo significativo, insieme allo spazio e alle norme sociali. Per dare applicazione empirica a questo framework teorico, è stato condotto uno studio basato sul coinvolgimento di 54 studenti/esse (13-24 anni) in un’esperienza di disconnesione dallo smartphone per una settimana. Lo studio, di carattere qualitativo, è stato condotto attraverso la tecnica della compilazione di diari giornalieri. In una sezione del diario è stato chiesto di tracciare i momenti in cui la mancanza del dispositivo veniva avvertita di più o di meno, consentendo di identificare le situazioni specifiche connesse alla dimensione della temporalità nelle quali la gestione dell’assenza del cellulare ha richiesto cambiamenti di ritmi di vita, percezioni del tempo e (ri)organizzazione dei tempi. I diari sono stati analizzati attraverso un’analisi qualitativa del contenuto. Lo studio ha evidenziato come il tempo rappresenti una variabile che agisce in modo nascosto nelle pratiche di disconnessione digitale, rendendole particolarmente difficili da gestire: la percezione dell’esperienza da parte dei partecipanti è connessa alla dimensione temporale delle situazioni vissute nella settimana di privazione dallo smartphone. In particolare, l’esperienza di disconnessione digitale ha rivelato ai partecipanti l’esistenza di ritmi e tempi, prima, nascosti (Zerubavel, 1985) dalla condizione dell’essere sempre connessi: “Mi rendo conto della mancanza dello smartphone principalmente nei momenti in cui sono da solo senza nulla da fare” (S_24, m) “(O)ggi mi è mancato il telefono più del solito in quanto anche in fila dal medico gli anziani 2.0 avevano tutti (chi per più tempo chi per meno, chi prima chi dopo) il telefono” (L_20_m). I partecipanti hanno dovuto sviluppare strategie e modalità alternative di controllo del tempo oggettivo, facendo loro avvertire una limitazione nell’esercizio della propria agency: “Mentre mi preparavo chiedevo spesso a lei (la madre) che ore fossero per darmi una regolata” (F_19_f) “Non avevo al polso neanche l’orologio e ho dovuto chiedere l’ora a un passante inventandomi la scusa che mi si fosse scaricato il telefono” (L_22_f) Quello che la disconnessione ha inoltre fatto emergere è un’alterazione della percezione soggettiva dello scorrere del tempo oggettivo, rispetto a come si era abituati a percepirlo prima: “Mi sento bene e mi sembra di essermi goduta di più la giornata. Il tempo è passato in fretta” (R_20_f) I risultati evidenziano come la digitalizzazione ha abbia strutturato aspettative di azione e di risposta immediata che non potendo essere soddisfatte dagli utenti durante la disconnessione digitale generano senso di impotenza e frustrazione. Allo stesso tempo, la rinegoziazione dei tempi ha costretto i partecipanti ad accettare i ritardi e a ricalibrare la loro reattività alle situazioni e alla risoluzione di problemi ad esse connessi. Lo stesso senso dell’urgenza è stato ripensato. La percezione soggettiva dei tempi nella condizione di disconnessione dà forma alle emozioni (la noia) e impone un ripensamento del peso che la gestione e l’esperienza del tempo digitalizzate hanno sulle possibilità di esercizio della nostra agency. Riferimenti bibliografici Albris. K., Fast, K., , Karlsen, F., Kaun, A., Lomborg, S., & Syvertsen, T. (Eds.) (2024). The digital backlash and the paradoxes of disconnection (pp. 109–128). Nordicom, University of Gothenburg. https://doi.org/10.48335/9789188855961-6. Altmaier, N., Kratel, V. A., Borchers, N. S. & Zurstiege, G. (2024). Studying digital disconnection: A mapping review of empirical contributions to disconnection studies. First Monday, 29(1), pp. 1-20. 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16:15 - 17:45 | Sessione 5 - Panel 05: Tempi sintetici. Come algoritmi e IA ridefiniscono identità, lavoro e conoscenza Luogo, sala: Aula Magna ex Facoltà di Scienze Politiche (B0-B) Chair di sessione: Elisabetta Risi Chair di sessione: Riccardo Pronzato |
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Tempi sintetici. Come algoritmi e IA ridefiniscono identità, lavoro e conoscenza. 1IULM, Italia; 2Università di Bologna; 3Università di Bergamo; 4Università di Firenze; 5Università degli Studi di Milano; 6Università di Catania Il panel esplora come le piattaforme basate sull’intelligenza artificiale (IA) stiano contribuendo alla riorganizzazione della temporalità nelle dinamiche identitarie, organizzative e di (ri)produzione della conoscenza. La comprensione delle implicazioni di questi dispositivi socio-tecnici è fondamentale per comprendere come l’organizzazione dei tempi di lavoro e vita quotidiana, i sistemi organizzativi complessi e i processi di riproduzione sociale vengano impattati e rimodellati, in particolare dall’IA generativa, rinforzando dinamiche di potere egemoniche. Focalizzandosi sull’identità, le piattaforme algoritmiche e basate sull’IA influenzano le esperienze temporali e i processi di formazione del Sè degli individui. Il risultato è quello che è possibile denominare con “algorithmic selfing” (si veda il contributo 1), un processo in cui il Sé viene continuamente costruito e ricostruito dai sistemi computazionali commerciali per favorire le logiche di datificazione e sussunzione delle grandi aziende tecnologiche. Questo solleva questioni ontologiche ed epistemologiche riguardo all’impatto sulla condizione umana dei regimi temporali imposti da queste tecnologie. Anche il rapporto tra tempo, lavoro e vita quotidiana non è esente da dinamiche di ridefinizione legate all’IA generativa. Sembra emerge quella che potremmo definire come società dei sintetizzatori culturali, un contesto sociale quotidiano platformizzato e appiattito sul funzionamento delle macchine e il loro habitus (Airoldi, 2021), un sistema di disposizioni interiorizzate che ne guidano il funzionamento. L’IA generativa non solo produce testi, immagini, video – quindi contenuti culturali impregnati di conoscenze, visioni culturali, bias – ma ri-produce la percezione che le soggettività hanno di sé e degli altri, il senso comune, le modalità relazionali e organizzative, personali e professionali. I sistemi basati su IA generative, infatti, non solo velocizzano i processi produttivi, ma riorganizzano la temporalità lavorativa, eliminando pause e transizioni, accelerandola, ponendo più richieste in meno tempo, secondo le retoriche neoliberiste di una tecnologia apparentemente emancipativa. Questo crea una tensione tra il guadagno apparente di tempo e la sua riorganizzazione in modalità più dense e frammentate, contribuendo alla riconfigurazione delle gerarchie occupazionali e delle forme di potere nell’economia digitale contemporanea. Anche il “tempo libero” diventa così lavorizzato (si veda il contributo 2), in società capitaliste caratterizzate dalla scarsità di tempo percepito dagli attori sociali. L’IA generativa ha anche un impatto significativo sulla produzione culturale e sui meccanismi editoriali (si veda il contributo 3). Il cosiddetto prompting sta diventando una pratica culturale diffusa e la produzione sintetica di contenuto contribuisce alla formazione del nostro “sé estetico”. Si osserva una tendenza alla produzione rapida e massiva di contenuti, altresì incentivata da piattaforme digitali, che promuovono pratiche di “book stuffing” e “binge-reading”, ridefinendo i meccanismi editoriali in termini di velocità e accumulazione di capitale. Tali piattaforme, inoltre, alimentano narrazioni politiche egemoniche, dando o negando visibilità a specifiche categorie sociali e privilegiando alcune strutture di significato rispetto ad altre. Le ricerche recenti convergono in quello che sono i processi di rappresentazione sociale ri-mediati dalle IA generative, basate su LLM. Il risultato sono rappresentazioni (stereotipate) che ri-generano un certo tipo di senso comune. Dall’analisi degli output di alcune piattaforme basate su generative AI (si veda il contributo 4) su temi polarizzanti e politicamente controversi, si rivela una parvenza di pluralismo politico ma anche la riproduzione di narrazioni politiche cristallizzate. In questo scenario, i sistemi basati su IA sembrano dunque profondamente ridefinire le dinamiche temporali, e quindi identitarie, culturali e lavorative all’interno dei sistemi organizzativi complessi. L’influenza delle piattaforme digitali sulla percezione del tempo e sulla formazione dell’identità, i bias di rappresentazione e le narrazioni politiche associate, così come la trasformazione dei meccanismi editoriali e della produzione culturale mostrano come questi artefatti socio-tecnici stiano contribuendo a specifici meccanismi di riproduzione sociale egemonici, rimodellando i processi organizzativi della società e il suo senso comune. 1. Algorithmic selfing: An existential media analysis of time and identity Riccardo Pronzato
This paper conducts an existential media analysis of users’ temporal experiences and identity-formation processes on digital platforms. Drawing on a critical review of empirical studies on users’ temporal experiences and identity-formation processes, the philosophical works of Heidegger and Simondon, and media and communication theory, I examine how digital platforms impose temporal and experiential regimes on individuals, thus enabling forms of algorithmic individuation. Specifically, I argue that this recursive and value-laden process nurture instances of “algorithmic selfing”, with which I indicate a form of Self that is temporarily constructed and incessantly reconstructed by commercial computational systems and conflated with their goals, logic and operations. In this scenario, I highlight the ontological and epistemological implications, raising critical concerns regarding the impact of imposed temporal regimes and exploitative digital environments on the human condition. Digital platforms play a systematic role in moulding how individuals experience time. Different contributions have focused on how temporal regimes are experienced by users (Baym et al., 2020; Ytre-Arne et al., 2020; Lupinacci, 2024), and designed by tech companies (Wajcman, 2019; Nagy et al. 2021), highlighting that algorithmic media aim to direct users’ temporal experiences by fostering a continuous and seamless engagement that contribute to shaping the rhythm of everyday life (Finn, 2019). Further reinforcing and complicating these processes is their recursivity, as digital platforms constantly adapt to users’ behaviours through data collection and feedback loops (Airoldi, 2021; Beer, 2022). The perception and experience of time play a key role in identity formation processes (Giddens, 1991; Flaherty, 2011), as do the relationships that are developed with networked media. Studies of digitally-mediated identity, such as those by Annette Markham (2013; 2021), Cheney-Lippold (2017) and Prey (2018) have shown that identities are transient configurations of meaning within a globally interconnected network of relationships, including machinic elements, which contribute to the formation of “algorithmic identities” and a sense of selfhood. In this regard, Prey (2018: 1095) argues that digital platforms can be considered as key contemporary “enabler[s] of individuation”, a concept derived by Gilbert Simondon. (1992; 2009). The French philosopher rejected the notion of the individual as a stable, preexisting entity, instead considering it a temporary and relational outcome of the process of individuation (Simondon, 2013), i.e., the result of ongoing interactions with one’s environment, including both humans and technologies (Simondon, 2017). For Simondon, humans are continuously “becoming individuals”, temporary assemblages, rather than a priori constituted beings. Simondon’s ontological theory of individuation has been highly influential for philosophers of technology (De Boever et al., 2012), feminist theorists (Grosz, 2012) and media and communication scholars (Prey, 2018). This interest in ontological issues related to identity formation processes is reflected in Lagerkvist’s (2017: 97) argument that digital media are “existential media” and “spaces for the exploration of existential themes and the profundity of life”. Specifically, by adopting an existential philosophical framework informed by Heidegger, she contended that scholars should consider the user as “the exister” and conduct “existential media” analyses that can account for “the thrownness of the digital human condition”. Subsequent works have followed Lagerkvist (2022) and focused on the ontological aspects of digital experience (Clemens and Nash, 2018; T. Markham, 2020). Within this scenario, digital selfing processes are characterised and ought to be studied with a register that can be defined “existential”, i.e., concerned with our being. Within this framework, I conduct an existential media analysis of how digital platforms impose temporal and experiential regimes on users, enabling forms of algorithmic individuation. Specifically, I advance the concept of “algorithmic selfing” to indicate a form of processual Self that is temporarily constructed and incessantly reconstructed by algorithmic media, their datafication and subsumption process. 2. Accelerazione, immersione e Generative AI, tra free time e free labour. Riflessioni e ricerche Emiliana Armano; Elisabetta Risi
L’Intelligenza Artificiale (AI) sta ridefinendo il rapporto tra tempo, lavoro e vita quotidiana, accelerando i processi produttivi e ristrutturando le dinamiche dell’attività umana. Seguendo la prospettiva storico-materialista di Edward Thompson (1967) sul tempo disciplinato e confrontandosi con la teoria accelerazionista di Nick Srnicek (2015), questo contributo indaga come le IA generative – come ChatGPT – non si limitino a introdurre discontinuità sovversive, ma operino attraverso logiche immersive che rafforzano e trasformano i meccanismi esistenti di produttività e controllo. Se l’utopia accelerazionista evocava una spinta sovversiva, l’AI generativa sembra invece favorire logiche immersive, producendo una continuità senza soluzione di continuità tra tempo di lavoro e tempo privato. Attraverso una analisi critica e interpreativa della principale letteratura teorica ed empirica, questo contributo esplora il modo in cui l’AI (soprattutto quelle generative) non solo velocizza i processi produttivi, ma riorganizza la temporalità lavorativa in modo pervasivo, eliminando pause e transizioni. In un contesto in cui sintetizzatori veloci e strumenti di ottimizzazione, emerge una tensione tra l’apparente guadagno di tempo e la sua riorganizzazione in modalità sempre più dense e frammentate. Seguendo la sociologia del tempo di Barbara Adam (1995) e la teoria della compressione spazio-temporale di David Harvey (1989), la ricerca si interroga su come l’accelerazione digitale impatta sulle modalità organizzative del lavoro, contribuendo alla riconfigurazione delle gerarchie occupazionali e delle forme di potere nell’economia digitale contemporanea. Il contributo presenta un’analisi articolata su due livelli. In primo luogo, viene svolta una rassegna critica delle ricerche più recenti (provenienti da database accademici come Google Scholar e JSTOR) sul concetto di time saving nell’adozione dell’AI. La letteratura esistente mostra una doppia narrazione: da un lato, l’IA viene descritta come uno strumento di liberazione dal lavoro ripetitivo, favorendo un guadagno di tempo per le attività più creative e strategiche; dall’altro, alcuni studi critici evidenziano come il tempo risparmiato venga rapidamente riassorbito in nuove forme di lavoro intensificato e frammentato. A questa prospettiva si affiancano dati statistici (es. ISTAT) che suggeriscono un’erosione progressiva del tempo libero, a testimonianza della crescente integrazione del tempo privato nei ritmi della produttività digitale. In secondo luogo, viene analizzato il fenomeno della lavorizzazione del tempo risparmiato attraverso l’uso delle IA generative da parte dei knowledge workers (docenti, ricercatori, creatori di contenuti, blogger, ecc.). Attraverso un’analisi dei dati di ricerca sull’impatto dell’IA nei processi lavorativi digitali, emergono due tensioni fondamentali. Da un lato, l’AI intensifica la velocità operativa e ottimizza le pratiche lavorative, contribuendo alla nascita di nuovi modelli produttivi “iperindustriali”. Dall’altro, se in un primo momento si è pensato che la digitalizzazione potesse destabilizzare le strutture lavorative tradizionali, oggi il suo impatto appare sempre più orientato verso un processo di normalizzazione e interiorizzazione dell’accelerazione temporale, con conseguenze significative sul benessere sociale e sulle gerarchie occupazionali. Seguendo il ragionamento di Tiziana Terranova (2000) sul free labor, si evidenzia come l’uso dell’IA non generi una riduzione del carico di lavoro, bensì una sua intensificazione: il tempo liberato dall’automazione viene impiegato per produrre ulteriore contenuto, alimentando il ciclo di accumulazione delle piattaforme digitali. Questo fenomeno si colloca in una logica di estrazione del valore che Pasquinelli (2015) descrive come un’estensione del capitalismo cognitivo, in cui il contributo umano diventa invisibile ma indispensabile per l’addestramento e l’ottimizzazione degli algoritmi. L’analisi condotta suggerisce che l’AI generativa non si configuri come un semplice strumento di ottimizzazione del lavoro, ma come un meccanismo che contribuisce a una nuova forma di temporalità lavorativa, caratterizzata dalla continuità senza soluzione di continuità tra produzione e vita privata. Piuttosto che promuovere un futuro emancipativo, l’AI conduca ad un consolidarsi delle dinamiche di immersione e controllo che intensificano la frammentazione temporale, ridefinendo le condizioni di lavoro nel capitalismo digitale avanzato. Questo studio solleva dunque nuove sfide per le categorie sociologiche tradizionali legate al tempo e al lavoro, interrogandosi sulle forme di resistenza e regolazione necessarie per affrontare il futuro dell’automazione e del lavoro immateriale. 3. Quando le macchine scrivono libri. Come l’AI ri-definisce tempo, cultura e i meccanismi di produzione del contenuto. Claudia Cantale
Manovich sostiene che con la diffusione mainstream dei sistemi di LLM, il prompting sia divenuto una vera e propria pratica culturale (Manovich 2020), come tale il suo ruolo della formazione dell’immaginario e dei modi di produrre contenuti culturali è trasformativo. L’editoria sintetica come combinazione di cultura algoritmica, nel senso del complesso rapporto tra i gusti, decisioni estetiche, selezione di contenuti, e Ai culturale, ovvero delle produzioni realizzate con l’intelligenza artificiale, è destinata a contribuire alla formazione del nostro “sé estetico”, vale a dire il nostro modo di produrre e consumare praticamente la cultura. Subito dopo il loro esordio, infatti, tecnologie come ChatGPT, Claude, DeepL sono state ampiamente impiegate nella produzione di testi nell’ambito del marketing aziendale, giornalismo e accademico, sia come strumento metodologico che assistente alla scrittura (vedi Pavlik 2023; Misra, Chandwar 2023). Nel campo letterario (Bourdieu, 2005) l’intelligenza artificiale si è rivelata un’ottima assistente alla scrittura a supporto delle attività di traduzione, revisione, nell’elaborazione di storytelling. “La letteratura combinatoria” ha l’opportunità di rompere con la tradizione letteraria classica (Calvino 1967) perché gli algoritmi sono in grado di illuminare i segreti, far apparire gli “spettri delle culture contemporanee” e proporne una versione sintetica alla quale sarà possibile attribuire un valore (vedi Esposito 2022). Tuttavia, a fronte di un dibattito mediatico che prende in considerazione la possibilità apocalittica della morte dell’autore “naturale” a favore di quello artificiale, i primi impieghi dell’AI come co-autore o autore di libri di fiction, non fiction, poesia, fiabe e novel sembrano seguire la logica dell’ ottimizzazione del tempo usato per la stesura ai fini di una massimizzazione di eventuali ricavi anche in termini di capitale digitale. In questo senso il “tempo liberato” dall’AI, mito fondativo dell’automazione, non è investito nella direzione della creatività e dell’avanguardia, quanto piuttosto dell’accumulazione attraverso produzione accelerata. La riflessione è dunque relativa al campo letterario e alla cultura del libro (Bourdieu, 2005; Cantale 2024) che suggerisce una futura ridefinizione dei meccanismi editoriali, in cui la velocità di produzione di opere a basso costo costituiscono elementi strategici per il raggiungimento di capitale economico e culturale (digitale). In questa fase non sembra esserci spazio per quell’anelito di innovazione o d’avanguardia letteraria. Un esempio interessante è rappresentato dal modello economico adottato da piattaforme come Amazon Kindle Unlimited, in cui la remunerazione, basata sul numero di pagine lette, incentiva una pubblicazione massiva e rapida – fenomeno che si traduce in pratiche di “book stuffing”, secondo logiche neoliberiste. Attraverso l’analisi dei discorsi mediatici (es. Google News) e l’esame del catalogo di Amazon Libri, la ricerca evidenzia una tendenza alla diffusione di contenuti di produzione e consumo rapido, più propriamente definiti page-turning che ricalcano e alimentano modi di consumo come il binge-reading (Cantale, 2025). A partire da questo prime considerazioni, si propone quindi di ragionare sul modo in cui gli algoritmi e LLM possano reiterare meccanismi di distinzione, non solo perché governano la circolazione di contenuti culturali (Airoldi, 2024), ma anche perché ne stanno plasmando la forma. 4. Forme di conoscenza generata. Intelligenza artificiale e senso comune Maria Francesca Murru; Donatella Selva
Recenti studi hanno evidenziato il rapporto ricorsivo che le piattaforme di intelligenza artificiale alimentano con le narrazioni politiche egemoniche. Evidenze empiriche eterogenee hanno messo in luce la presenza di bias 4sistematici nella rappresentazione politica. Ci riferiamo ai cosiddetti “danni di rappresentazione” (Katzam et al. 2023) che l’IA può causare dando o negando visibilità a specifiche categorie sociali e privilegiando alcune strutture di significato rispetto ad altre. Più in generale, Gillespie (2024) documenta come, nel tentativo di sembrare umana, l’IA aderisca a modelli “generici” di rappresentazione sociale e politica, con la conseguenza di riprodurre il senso comune egemonico in un dato momento storico o in un determinato contesto socio-culturale. Seguendo questa linea di ricerca, il nostro studio intende concettualizzare meglio i significati e le risonanze culturali dei contenuti prodotti dall’IA generativa soprattutto in relazione a temi polarizzanti e politicamente controversi. Sebbene i dati disponibili sugli usi più comuni dei grandi modelli linguistici siano finora frammentari e incompleti, possiamo ritenere plausibile che essi vengano sempre più utilizzati come strumenti per integrare, e persino sostituire, il lavoro di produzione culturale, sia dal lato della creazione sia da quello del consumo. Ci interessa in particolare indagare il rapporto tra gli output dell’IA generativa e i modelli di rappresentazione cui fa ricorso, prestando particolare attenzione alla temporalità che il testo propone a partire dai riferimenti all’attualità innestati su un substrato di senso comune che si presuppone stabile e immutato. Il nostro approccio si articola su tre livelli:
La ricerca si basa su 32 interrogazioni ai modelli di IA generativa effettuate nel novembre 2024 sul tema della gestazione per altri. I risultati evidenziano come i due modelli testati scelgano strategie diverse per rispondere alle interrogazioni, pur mantenendo alcune similarità nella scelta delle logiche argomentative e dei frame discorsivi. La differenziazione tra tipi di interroganti è la dimensione di variazione più significativa, dal momento che i due modelli offrono letture diverse di cosa possa essere un discorso “tipico” della destra e della sinistra a seconda del soggetto che le richiede. In particolare, le differenze più importanti si riscontrano nella relazione con le posizioni radicali, che sono evitate quando si interroga in qualità di politico ma sono invece fortemente marcate con i giornalisti. Benché a uno stadio iniziale, la ricerca rivela che l’IA mantiene una parvenza di pluralismo politico, riproducendo rappresentazioni sicuramente convenzionali ma al contempo articolate. All’interno di questa articolazione, tuttavia, si possono intravedere delle forme cristallizzate di narrazioni politiche: le narrazioni di destra si orientano costantemente verso posizioni conservatrici, enfatizzando i valori tradizionali ma assorbendo (specialmente nel caso dei giornalisti) il repertorio discorsivo e retorico della destra radicale nella sua forma più attuale; i discorsi di sinistra si concentrano su giustizia sociale e diritti umani, con un ricorso minimo, scarsamente attualizzato e molto definito in termini di interroganti, al repertorio discorsivo del femminismo. |
16:15 - 17:45 | Sessione 5 - Panel 06: Post-medialità e emergenze educative: urgenza, tempo e responsabilità per la cittadinanza attiva Luogo, sala: Aula 6 (A1-F) Chair di sessione: Mario Pireddu |
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Post-medialità e emergenze educative: urgenza, tempo e responsabilità per la cittadinanza attiva 1Università degli Studi della Tuscia, Italia; 2Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia; 3Università degli Studi di Torino; 4Università degli Studi di Bologna Negli ultimi decenni, il dibattito accademico e pubblico sulla cittadinanza digitale si è intensificato, evidenziando la necessità di un approccio critico e consapevole all’uso delle tecnologie. L’alfabetizzazione critica, intesa come la capacità di interpretare, analizzare e rispondere ai media digitali in modo informato e autonomo, si configura come una competenza chiave per affrontare le sfide della società contemporanea. Tuttavia, le attuali crisi – dalle emergenze climatiche alle crisi sanitarie, dalla disinformazione alla velocità delle trasformazioni tecnologiche – rendono ancora più necessaria una riflessione su come il tempo, la velocità e l’urgenza modellano le pratiche di alfabetizzazione digitale e la partecipazione civica. Questo panel si propone di esplorare le intersezioni tra alfabetizzazione critica, culture digitali e la percezione del tempo in periodi di crisi, mettendo in dialogo prospettive teoriche e studi empirici che analizzano pratiche, metodologie e strategie educative per la formazione di cittadini attivi e consapevoli. La discussione si inserisce in un ampio quadro di riferimenti teorici che spaziano dagli studi sulla media education (Buckingham, 2003; Jenkins et al., 2015; Rivoltella, 2020; UNESCO 2021), i media studies e le culture algoritmiche (Manovich 2020; Floridi, Cabitza 2021; Cristianini 2023; Moriggi 2023) alle ricerche sulla cittadinanza digitale (Mossberger et al., 2008; Unesco 2021; Pireddu, 2022), fino alle analisi sulle tecnologie educative e le piattaforme digitali (Selwyn, 2016; Williamson, 2017; Perrotta, Pangrazio 2023; UNESCO 2023; Wodui Serwornoo 2024). In un contesto segnato dalla pervasività dell’informazione accelerata e dalla gestione dell’urgenza, è essenziale adottare un approccio che integri l’analisi critica dei media con una riflessione sulle dinamiche temporali e sulla loro influenza nella sfera pubblica digitale. I paper che compongono questo panel si articolano attorno a tre assi principali:
Attraverso l’analisi di questi tre ambiti, il panel mira a offrire un contributo originale alla riflessione accademica e sociale sull’alfabetizzazione critica in tempi di crisi, proponendo modelli teorici e pratiche che possano supportare la formazione di cittadini capaci di navigare la complessità del panorama mediale contemporaneo con consapevolezza, autonomia e capacità di gestione dell’urgenza. Il panel si rivolge a studiosi, educatori, policy maker e professionisti dell’ambito della comunicazione e dell’educazione, con l’obiettivo di stimolare un confronto interdisciplinare e generare nuove prospettive di ricerca e intervento. Riferimenti Bibliografici Biseth, H., Hoskins, B., & Huang, L. (2021). Civic and Citizenship Education: From Big Data to Transformative Education, in H. Biseth, B. Hoskins, L. Huang (eds.), Northern Lights on Civic and Citizenship Education, A Cross-national Comparison of Nordic Data from ICCS. Council of Europe (2019). 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La pervasività delle tecnologie digitali, la velocità con cui le informazioni si diffondono e le nuove dinamiche dell'intelligenza artificiale pongono sfide inedite per la costruzione di una cittadinanza consapevole. Questo panel si propone di esplorare come la temporalità, l'urgenza e l'accelerazione incidano sui processi educativi, sulle pratiche di alfabetizzazione critica e sulle modalità di partecipazione civica nel contesto della post-medialità. Le quattro relazioni che compongono il panel si articolano attorno a un nucleo concettuale comune: la necessità di ripensare il rapporto tra tecnologia, apprendimento e responsabilità civica alla luce delle trasformazioni epistemologiche e metodologiche in corso. Esse si inseriscono in un quadro teorico che dialoga con gli studi sulla media education (Buckingham, 2003; Rivoltella, 2020; UNESCO, 2021), sulle culture algoritmiche (Manovich, 2020; Cristianini, 2023) e sulle nuove forme di cittadinanza digitale (Mossberger et al., 2008; Pireddu, 2022). Il primo intervento, "Agentività e temporalità nella ricerca: accelerazione, deep research e sfide epistemologiche", analizza l'impatto dell'intelligenza artificiale nei processi di ricerca e produzione della conoscenza. L'adozione di agenti di deep research ridisegna i tempi e le pratiche della costruzione epistemologica, ponendo interrogativi sulla capacità di mantenere un equilibrio tra rapidità analitica e profondità critica. La riflessione si estende alla necessità di nuove competenze per una cittadinanza attiva capace di navigare un ecosistema informativo sempre più automatizzato e interconnesso. Il secondo paper, "Un nuovo approccio per la verifica delle fonti nell'era dell’Intelligenza Artificiale Generativa", affronta il problema dell'affidabilità dell'informazione e delle nuove sfide poste dalla produzione automatizzata di contenuti. Il lavoro evidenzia come la tradizionale distinzione tra fonti primarie e secondarie sia messa in crisi dall’AI generativa e propone due strategie educative per affrontare questa trasformazione: l'"assertive provenance", che si affida a marcatori digitali, e l'"inferred context", che valorizza le competenze critiche dell’utente. La riflessione si inserisce nel dibattito sulla Media Literacy e sull’importanza di sviluppare alfabeti nuovi per comprendere un panorama informativo in continua evoluzione. Il terzo contributo, "Festina lente. Società dell’accelerazione ed educazione alla risonanza", problematizza la tensione tra velocità e profondità nell'apprendimento, mettendo in discussione la logica della performance e dell'efficienza che caratterizza la formazione contemporanea. Attraverso il concetto di "risonanza" (Rosa, 2010), il paper invita a ripensare l'educazione non solo come acquisizione di competenze misurabili, ma come esperienza di senso, in cui il tempo diventa una dimensione pedagogica essenziale. Infine, il contributo "Fast, pop e not-supervised: le sfide dell’IA alla creatività visuale" esplora il rapporto tra intelligenza artificiale, produzione culturale e immaginario collettivo. Attraverso un'analisi empirica delle dinamiche di creazione assistita da IA nei contesti artistici e visuali, il paper indaga i rischi di omologazione e perdita dell’originalità, sottolineando al contempo il ruolo dell'AI literacy come strumento di consapevolezza critica. L’indagine empirica proposta nei workshop di prompting reflexivity mostra come i partecipanti si confrontino con la co-creatività mediata dagli algoritmi, rivelando le tensioni tra espressione individuale e vincoli tecnologici. Questi quattro contributi, pur affrontando aspetti distinti, convergono nel delineare un panorama in cui l'educazione critica ai media e alla cittadinanza digitale deve confrontarsi con il tempo come variabile centrale: tempo dell'apprendimento, tempo della ricerca, tempo della verifica dell'informazione e tempo della creazione culturale. Attraverso una prospettiva interdisciplinare, il panel mira a stimolare una riflessione su come la gestione dell'urgenza e della velocità possa essere riconciliata con una formazione capace di sviluppare senso critico, autonomia e responsabilità sociale. L'obiettivo è quindi offrire un contributo originale al dibattito accademico sulla post-medialità e sulle emergenze educative, proponendo modelli teorici e pratiche che possano supportare la formazione di cittadini in grado di navigare la complessità del panorama mediale contemporaneo con consapevolezza e capacità di gestione dell'urgenza. Il panel si rivolge a studiosi, educatori, policy maker e professionisti della comunicazione e dell'educazione, con l'intento di avviare un confronto interdisciplinare e generare nuove prospettive di ricerca e intervento. --- Paper 1 Agentività e temporalità nella ricerca: accelerazione, deep research e sfide epistemologiche Stefano Moriggi (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) L’avvento dell’Intelligenza Artificiale e, in particolare, lo sviluppo di agenti per la deep research stanno trasformando radicalmente le dinamiche temporali della produzione, circolazione e fruizione della conoscenza. L’automazione della ricerca avanzata, attraverso modelli in grado di analizzare e sintetizzare enormi quantità di dati in tempi ridotti, solleva questioni cruciali sul rapporto tra velocità, approfondimento critico e processi decisionali (Erduran, Levrini 2024; Chubb et al. 2022). Riferimenti bibliografici Chubb, J., Watermeyer, R., & Wakeling, P. (2022). “Speeding up to keep up: Exploring the use of AI in the research process”. AI & Society, V. 37. Cristianini N. (2024). Machina sapiens. L’algoritmo che ci ha rubato il segreto della conoscenza. Bologna, Il Mulino. Erduran, S., & Levrini, O. (2024). “The impact of artificial intelligence on scientific practices: an emergent area of research for science education”. International Journal of Science Education, 46(18), 1982–1989. https://doi.org/10.1080/09500693.2024.2306604 Karpatne, A., Kannan, R., & Kumar, V. (Eds.). (2022). Knowledge guided machine learning: Accelerating discovery using scientific knowledge and data. CRC Press. Luckin R., Holmes, W., Griffiths, M., & Forcier, L. B. (2016). Intelligence Unleashed: An Argument for AI in Education. Pearson. Moriggi S., Pireddu M., (2024), “Apprendere (con) l’intelligenza artificiale. Un approccio media-archeologico” (con S. Moriggi), in Journal of Educational, Cultural and Psychological Studies (ECPS Journal), 30/2024 - Special Issue on The Contribution of Artificial Intelligence to the Qualification of Educational Processes, ISSN 2037-7924. Pasquinelli M. (2023). The Eye of the Master: A Social History of Artificial Intelligence. London, Verso. Nielsen M. (2011). Reinventing Discovery: The New Era of Networked Science, Princeton University Press, Princeton. Tr. it. Le nuove vie della scoperta scientifica. Come l’intelligenza collettiva sta cambiando la scienza, Einaudi, Torino, 2012. Riffert, F., & Petrov, V. (Eds.). (2022). Education and learning in a world of accelerated knowledge growth: Current trends in process thought. Cambridge Scholars Publishing. 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Esiste già un interessante dibattito scientifico su come diverse forme di IA generativa, in particolare l'IA text-to-image, possano interagire e modificare i processi creativi e le pratiche di produzione culturale nell'ambito delle arti visive (Mazzone et al. 2018; Manovich & Arielli 2024), producendo forme di creatività alimentata dall'IA (Miller 2019), di co-creatività (Wingström et al. 2023) o, più criticamente, di creatività artificiale (Runco 2023). Riferimenti bibliografici Grassini, S. (2023). Shaping the future of education: Exploring the potential and consequences of AI and ChatGPT in educational settings.Education Sciences, 13(7), 692. https://doi.org/10.3390/educsci13070692 Haase, J., & Hanel, P. H. P. (2023). Artificial muses: Generative artificial intelligence chatbots have risen to human-level creativity. Journal of Creativity, 33(3), 100066. https://doi.org/10.1016/j.yjoc. 2023.100066 Lee, E. (2011). Digital originality. Vanderbilt Journal of Entertainment and Technology Law, 14, 919. https://scholarship.law.vanderbilt.edu/ jetlaw/vol14/iss4/5 Long, D., & Magerko, B. (2020). What is AI Literacy? Competencies and Design Considerations. Proceedings of the 2020 CHI Conference on Human Factors in Computing Systems, 1–16. https://doi. org/10.1145/3313831.3376727 Manovich, L., & Arielli, E. (2024). Artificial aesthetics. https://manovich.net/index.php/projects/artificial-aesthetics Mazzone, M., & Elgammal, A. (2019). Art, Creativity, and the Potential of Artificial Intelligence. Arts, 8(1), 26. https://doi.org/10.3390/arts8010026 Miller, A. I. (2019). The artist in the machine: The world of AI-powered creativity. Mit Press. Oppenlaender, J. (2022). The Creativity of Text-to-Image Generation. In Proceedings of the 25th International Academic Mindtrek Conference (Academic Mindtrek '22). Association for Computing Machinery, New York, NY, USA, 192–202. https://doi.org/10.1145/3569219.3569352 Taddeo G. (2024) “Artificial intelligence literacy: aspetti sociali e educativi di una nuova frontiera Runco, M. A. (2023). AI can only produce artificial creativity. Journal of Creativity, 33(3), 100063. Wingström, R., Hautala, J., & Lundman, R. (2024). Redefining creativity in the era of AI? Perspectives of computer scientists and new media artists. Creativity Research Journal, 36(2), 177-193. UNESCO (2024) AI competency framework for students. https://doi.org/10.54675/JKJB9835 Zhou E. & Dokyun L. (2024), Generative artificial intelligence, human creativity, and art, PNAS Nexus, Volume 3, Issue 3, March 2024, https://doi.org/10.1093/pnasnexus/pgae052 --- Paper 3 Festina lente. Società dell’accelerazione e educazione alla risonanza Pier Cesare Rivoltella (Università degli Studi di Bologna)
In una società dominata dall’accelerazione e dall’imperativo della performance, i media digitali non solo amplificano la logica della velocità e della frammentazione, ma contribuiscono anche a ridefinire i processi educativi in termini di efficienza e produttività. Il rischio è quello di ridurre la formazione a una mera ottimizzazione delle competenze, svuotandola della sua dimensione esperienziale e trasformativa. L’apprendimento diventa così un’operazione funzionale, orientata a risultati misurabili, piuttosto che un percorso di crescita e di costruzione del senso. Di fronte a questa potenziale deriva, emergono due posizioni opposte ma ugualmente problematiche: da un lato, l’accettazione passiva del modello imposto dalla cultura della performance; dall’altro, strategie di radicale disconnessione che si rivelano insostenibili poiché implicano una rinuncia al vivere sociale e alle forme di partecipazione che i media stessi rendono possibili. In questo scenario, la nozione di risonanza, così come proposta da Hartmut Rosa, offre una prospettiva alternativa per ripensare il rapporto tra media, educazione e sviluppo personale. La risonanza implica un’interazione profonda e significativa con il mondo, un’esperienza che non si esaurisce nella reazione immediata o nella prestazione efficiente, ma che si struttura come un processo di reciprocità, ascolto e trasformazione. Educare alla risonanza significa allora promuovere un uso critico e consapevole dei media, non come strumenti di accelerazione, ma come spazi di relazione e di costruzione del senso. In questo quadro, diventa essenziale ridefinire il ruolo dell’educazione e dei media per contrastare la logica dell’efficienza e restituire valore all’esperienza formativa come momento autentico di crescita e di sviluppo della persona. L’obiettivo non è semplicemente rallentare, ma riscoprire una temporalità più densa di significato, capace di restituire agli individui la possibilità di un rapporto più equilibrato e consapevole con la tecnologia e con la propria esperienza nel mondo. Riferimenti bibliografici Accoto,S. (2017). Il mondo dato. Cinque brevi lezioni di filosofia digitale. Milano, EGEA. Elliott,A. (2019). The Culture of AI. Everyday Life and the Digital Revolution. New York, Taylor & Francis. Eugeni,R. (2021). Capitale algoritmico. Cinque dispositivi postmediali (più uno).Brescia, Morcelliana. Floridi,L. (2014). The Fourth Revolution: How the Infosphere is Reshaping Human Reality. Oxford, Oxford University Press Houdé, O. (2017), Imparare a resistere. Educazione al pensiero. Tr. it., Scholé, Brescia 2023. Rivoltella, P. C. (2020). “Smart families. Tecnologie, tempo, relazioni”. In C. Manzi, S. Mazzucchelli (ed.), Famiglia e lavoro: intrecci possibili. Milano: Vita e Pensiero. Rivoltella, P.C. (2021). Nuovi alfabeti. Educazione e culture nella società post-mediale. Brescia, Scholé. Rosa, H. (2016). Resonanz: Eine Soziologie der Weltbeziehung. Suhrkamp, Berlin. Rosa, H. (2016). Pedagogia della risonanza. Conversazione con W. Endres. Tr. it. Scholé, Brescia 2019. Serres, M. (2017). Contro i bei tempi andati. Tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2018. Tisseron, S. (2013). 3-6-9-12. Diventare grandi all’epoca degli schermi digitali, nuova edizione aggiornata e ampliata. Tr. it. Scholé, Brescia 2024. --- Paper 4 Un nuovo approccio per la verifica delle Fonti nell'era dell’Intelligenza Artificiale Generativa Nicola Bruno (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)
L’emergere dell’intelligenza artificiale generativa sta ridefinendo i paradigmi della Media Literacy education, mettendo in discussione concetti fondamentali come la verifica delle fonti (Frau-Meigs, 2024). Tradizionalmente, gli interventi di Information Literacy hanno adottato una distinzione gerarchica tra fonti primarie, secondarie e terziarie per guidare i processi di validazione dell’informazione. Tuttavia, questo schema diventa problematico quando i contenuti vengono prodotti da modelli di AI che non “citano” fonti, ma generano informazioni attraverso processi probabilistici. Di fronte a questa sfida, la comunità scientifica ha individuato due approcci metodologici complementari (Hebbar et al., 2024). Il primo, noto come “assertive provenance”, si basa sull’integrazione di marcatori (watermark, filigrane digitali, metadati), che vengono applicati al momento della generazione del contenuto con strumenti AI. Questo approccio top-down presuppone un sistema di certificazione che attesti l’origine artificiale dell’informazione, ma la sua efficacia dipende da meccanismi di fiducia e interoperabilità ancora in fase di consolidamento. Il secondo approccio, definito “inferrend context”, enfatizza invece il ruolo delle competenze critiche degli utenti nel riconoscere indizi di artificialità e valutare la credibilità delle fonti attraverso un’analisi contestuale. Questa metodologia bottom-up ricorda molto da vicino il "paradigma indiziario" di Carlo Ginzburg (2023), basato sull’interpretazione di tracce e dettagli marginali, e si allinea con le più recenti strategie di lateral reading dimostratesi efficaci per il contrasto della disinformazione (Caulfied et al., 2023). La sfida educativa attuale è integrare questi due approcci in percorsi formativi che rafforzino le capacità interpretative. È fondamentale sviluppare curricula che insegnino a riconoscere i marcatori della provenienza assertiva, ma che al tempo stesso affinino le competenze di lettura critica e inferenza contestuale. L’obiettivo non è solo saper individuare contenuti generati artificialmente, ma comprendere le implicazioni educative di un ecosistema informativo in cui la distinzione tra umano e artificiale, tra originale e derivato, richiede alfabeti del tutto nuovi (Rivoltella, 2020). Riferimenti bibliografici Caulfield, M., Weinberg, S. (2023). Verified: How to Think Straight, Get Duped Less, and Make Better Decisions about What to Believe Online. University of Chicago Press Frau-Meig, D. (2023). User empowerment through Media and Information Literacy to the evolution of generative Artificial Intelligence. Report UNESCO Ginzburg, C. (2023). Miti emblemi spie. Morfologia e storia. Adelphi Hebbar, N., Wolf, C. (2024). Determining trustworthiness through provenance and context. Google Policy Paper. Available here: https://static.googleusercontent.com/media/publicpolicy.google/it//resources/determining_trustworthiness_en.pdf Rivoltella, P. C. (2020). Nuovi alfabeti. Educazione e culture nella società post-mediale. Scholé. |
16:15 - 17:45 | Sessione 5 - Panel 07: Agenti Sintetici, Dinamiche Sociali e Temporalità nelle Relazioni Parasociali Luogo, sala: Aula 7 (A1-G) Chair di sessione: Davide Bennato |
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Agenti Sintetici, Dinamiche Sociali e Temporalità nelle Relazioni Parasociali 1Università di Catania, Italia; 2Università di Roma La Sapienza; 3Università telematica Niccolò Cusano; 4Università di Teramo; 5Università di Teramo Le relazioni parasociali descrivono legami emotivi unilaterali che gli individui sviluppano con figure pubbliche o personaggi fittizi nei media. Con l'avvento delle tecnologie digitali, queste relazioni si sono trasformate, evolvendo da forme tradizionali di interazione mediata a connessioni con agenti sintetici, come chatbot e influencer virtuali (Horton, Wohl, 1956; Dibble et al., 2016). Questo panel esplorerà come l'interazione con intelligenze artificiali modifichi le dinamiche relazionali, influenzi la percezione del tempo nelle interazioni sociali e sollevi questioni etiche e psicologiche (Giles, 2002; Andrejevic, Volcic, 2024). Attraverso un'analisi interdisciplinare, il panel si propone di discutere gli effetti di queste interazioni sulle emozioni, sulla costruzione dell’identità e sul benessere sociale. Le relazioni parasociali sono state inizialmente concettualizzate come attaccamenti unidirezionali tra il pubblico e le figure mediatiche (Horton, Wohl, 1956). Con la digitalizzazione, il fenomeno si è ampliato, includendo interazioni con agenti artificiali che simulano comportamenti sociali umani. Studi recenti dimostrano che le interazioni con chatbot e influencer virtuali possono suscitare risposte emotive simili a quelle delle relazioni interpersonali tradizionali (Derrick et al., 2008; Appel et al., 2020). Un aspetto chiave di questa trasformazione è la compressione temporale delle interazioni sociali. Le piattaforme digitali accelerano la costruzione dei legami sociali, sostituendo le fasi tradizionali con connessioni istantanee e spesso superficiali (Baym, 2015). Le IA generano un'illusione di reciprocità che sfida la distinzione tra interazione umana e artificiale (Guzman, 2020). Tematiche del Panel Il panel analizzerà il ruolo degli agenti sintetici nelle relazioni parasociali attraverso tre prospettive principali: Chatbot emotivi e la simulazione della relazione umana Chatbot come Replika sono progettati per offrire supporto emotivo e compagnia simulando empatia e personalizzando le interazioni (Possati, 2023). Tuttavia, il loro utilizzo solleva questioni critiche:
Virtual influencer: autenticità e coinvolgimento degli utenti Gli influencer virtuali come Lil Miquela e Imma stanno ridefinendo il marketing digitale, generando engagement simile a quello delle celebrità reali (Lou et al., 2023). Tuttavia, il loro utilizzo solleva interrogativi sull'autenticità e sull'impatto sulla costruzione dell’identità:
Temporalità e interazione sociale con le IA L’interazione con agenti artificiali modifica la percezione del tempo sociale, creando un senso di immediatezza e simultaneità che riduce la distinzione tra interazione umana e sintetica (Andrejevic, Volcic, 2024). Questo fenomeno solleva domande critiche:
Queste tematiche verranno affrontate da diverse prospettive. In primo luogo l'analisi teorica delle dinamiche parasociali usando il punto di vista delle relazioni intime con agenti digitali. Poi si affronterà il tema della mimesi dei chatbot emotivi nelle app di incontri come Tinder e Hinge attraverso una osservazione netnografica degli utenti. Un settore molto ampio di opportunità di studio è quello degli influencer virtuali che saranno affrontati sia in un'ottica di costruzione dell'autenticità e dell'identità politica e di genere, sia il modo con cui essi costruiscono la propria peculiarità insistendo sulla dimensione dell'artificialità, anche per differenziarsi dagli influencer tradizionali. Bibliografia Andrejevic, M., Volcic, Z. (2024). Automated parasociality: From personalization to personification. Television & New Media, 25(4), 359-375. Appel, M., Marker, C., Gnambs, T. (2020). Are social media ruining our lives? Psychological Science, 31(3), 234-248. Baym, N. K. (2015). Personal connections in the digital age. Polity. Bessière, K., Seay, A. F., Kiesler, S. (2008). The ideal elf: Identity exploration in World of Warcraft. CyberPsychology & Behavior, 11(5), 735-739. Bryant, J., Vorderer, P. (2006). Psychology of entertainment. Routledge. Derrick, J. L., Gabriel, S., Hugenberg, K. (2008). Social surrogacy: How favored television programs provide the experience of belonging. Journal of Experimental Social Psychology, 44(2), 352-359. Dibble, J. L., Hartmann, T., Rosaen, S. F. (2016). Parasocial interaction and parasocial relationship: Conceptual clarification and a critical assessment of measures. Human Communication Research, 42(1), 21-44. Giles, D. C. (2002). Parasocial interaction: A review of the literature and a model for future research. Media Psychology, 4(3), 279-305. Guzman, A. L. (2020). Human-machine communication: Rethinking communication, technology, and ourselves. Peter Lang. Horton, D., Wohl, R. R. (1956). Mass communication and para-social interaction. Psychiatry, 19(3), 215-229. Lou, C., Kiew, S. T. J., Chen, T., Lee, T. Y. M., Ong, J. E. C., Phua, Z. (2023). Authentically fake? How consumers respond to the influence of virtual influencers. Journal of Advertising, 52(4), 540-557. Possati, L. M. (2023). Psychoanalyzing artificial intelligence: The case of Replika. AI & Society, 38(4), 1725-1738. Turkle, S. (2011). Alone together: Why we expect more from technology and less from each other. Basic Books. Zuboff, S. (2019). The age of surveillance capitalism. Public Affairs. . Corpi virtuali, agende reali: genere, autenticità e posizionamento politico nel tempo nella persona virtuale di Francesca Giubelli Selenia Anastasi, La Sapienza università di Roma, Dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale (CORIS)
. Negli ultimi anni, gli influencer virtuali hanno suscitato un crescente interesse accademico. Tuttavia, la ricerca sull’identità di queste figure, in particolare da una prospettiva di genere che integri approcci femministi e studi sui media visivi, è ancora limitata. In effetti, gli influencer generati al computer sono prevalentemente figure femminili che promuovono prodotti culturali e commerciali, oltre a estetiche, stili di vita e diverse tematiche sociali sulle piattaforme digitali. Queste figure occupano uno spazio comunicativo interessante, posizionandosi in una dimensione ontologicamente liminale. In questo studio, mi propongo di analizzare la costruzione dell’identità politica e di genere di Francesca Giubelli, un'influencer italiana basata su intelligenza artificiale, che dal 2021 ha raccolto oltre 12.000 follower. La figura di Francesca Giubelli presenta alcune peculiarità rispetto alle sue colleghe italiane. In primo luogo, è possibile interagire con lei tramite un chat-bot; in secondo luogo, la sua identità politica è esplicitamente vicina al partito di destra Fratelli d’Italia. Questo studio si propone di rispondere a tre domande di ricerca principali:
Per rispondere a questi interrogativi, la ricerca adotta due metodologie principali. In primo luogo, un’analisi multimodale dei contenuti dell’account Instagram di Francesca fin dall’inizio della sua attività, concentrandosi sull’interazione tra contenuti visivi, didascalie testuali e commenti. Questa analisi permette di tracciare le trasformazioni nel coinvolgimento del pubblico, dal momento della sua creazione fino alla successiva fase di propaganda politica. In secondo luogo, si utilizza una tecnica innovativa di intervista basata sul chat-bot, che simula interazioni con l’IA per comprendere come i suoi creatori abbiano progettato le sue risposte al fine di costruire credibilità e coinvolgimento con il pubblico. I risultati dell’approccio interattivo tramite chat-bot evidenziano i meccanismi attraverso cui l’identità virtuale viene comunicata simultaneamente come autentica e artificiale, mettendo in luce le strategie retoriche utilizzate per sfumare questi confini. L’analisi del profilo Instagram di Francesca mostra che, nel tempo, la sua estetica si è sempre più allineata agli standard della “bellezza italiana”: da un lato, perpetuando stereotipi di genere tradizionali; dall’altro, capitalizzando sulla novità della sua natura artificiale. L’analisi mette in luce le implicazioni culturali e politiche della partecipazione di Francesca a eventi pubblici di carattere politico, suggerendo il potenziale degli influencer basati su IA nella promozione di un’agenda politica che combina sviluppo tecnologico e rappresentazioni tradizionali dell’identità italiana. Bibliografia Conti, M., Gathani J., e Tricomi P.P. (2022). Virtual Influencers in Online Social Media. IEEE Communications Magazine, 1-7. Portanova, S., & Panarese, P. (2023). Virtual influencer in una prospettiva di genere. I gender displays e le estetiche di Lil Miquela tra social fiction e cyberspace. In Communication and Gender. Debates in English, Italian and Spanish (pp. 485-506). Sette Città. Gundle, S. (1997). Bellissima: feminine beauty and the idea of Italy. Yale University Press. . Sesso, simulazioni e tecnologia. Una prospettiva sociologica sulle relazioni intime digitalmente mediate Davide Bennato, Università di Catania, Dipartimento di Scienze Umanistiche . Questo paper teorico analizza l’impatto delle tecnologie digitali sulla sessualità, proponendo un’analisi sociologica delle nuove forme di interazione e rappresentazione del desiderio. Attraverso una tassonomia articolata in tre categorie – digital sex, synthetic sex e virtual sex – viene esplorato come il digitale ridefinisca l’immaginario erotico, l’interazione corporea e l’esperienza immersiva delle relazioni sessuali. Il digital sex si riferisce alla rappresentazione erotica attraverso le tecnologie digitali, mettendo in evidenza come il desiderio venga modellato dallo sguardo digitale. Fenomeni come i sexfluencer e gli avatar ipersessualizzati amplificano l’estetica del desiderio, ridefinendo il concetto di attrattività (Lee, Yuan, 2023). Attraverso il concetto di male gaze (Mulvey, 1975), si analizza come gli influencer virtuali riproducano schemi sessualizzati, consolidando stereotipi di genere e rafforzando la logica del consumo visivo (Reeves, Nass, 1996). La crescente capacità di simulazione realistica permette inoltre la diffusione di figure erotizzate interamente digitali, come il caso di Cl4udia e Milla Sofia, modelle virtuali create da intelligenze artificiali generative (Dickson, 2023; Raiken, 2023). Il synthetic sex analizza l’interazione con simulacri corporei artificiali, evidenziando il ruolo dell’intelligenza artificiale e dei sexbot. Il fenomeno è esemplificato da dispositivi come Gatebox, che permette interazioni romantiche con personaggi fittizi, o sexbot avanzati come Harmony, progettati per rispondere emotivamente agli utenti (Richardson, 2016; Malinowska, 2020). Questi fenomeni si intrecciano con il concetto di effetto Eliza (Weizenbaum, 1976), che descrive la tendenza umana a proiettare emozioni su entità digitali. Studi sulla comunità otaku dimostrano che l’affinità per il mondo anime e videoludico predice un maggiore interesse verso le relazioni con intelligenze artificiali erotiche (Appel et al., 2019). Parallelamente, le fidanzate virtuali come Xiaoice mostrano come le interazioni parasociali possano sfumare i confini tra affettività e simulazione, creando dinamiche relazionali alternative (Fragkoulidi, 2017). Il virtual sex introduce la dimensione immersiva dell’esperienza sessuale digitale, resa possibile dalle tecnologie di realtà virtuale e dai metaversi. Il corpo, in questo contesto, diventa un elemento fluido, plasmabile secondo desideri e fantasie individuali. Il Proteus effect (Yee & Bailenson, 2007) spiega come l’auto-rappresentazione virtuale influenzi il comportamento e la percezione di sé nei mondi digitali. Tuttavia, l’espansione del virtual sex solleva questioni etiche e giuridiche, come dimostrano i casi di violenze sessuali digitali nel metaverso e nei mondi virtuali testuali, a partire dallo storico episodio dello stupro di LambdaMOO (Dibbell, 1993) fino ai più recenti casi di aggressioni virtuali in piattaforme VR (Sales, 2024). La sessualità digitale si configura, dunque, come una mutazione antropologica, che non sostituisce le relazioni tradizionali ma le amplia, creando nuovi paradigmi di interazione e desiderio. Lungi dal rappresentare una rivoluzione, essa si inserisce in un continuum storico che ridefinisce il rapporto tra desiderio, immaginario e corpo (Bourdieu, 1998). La sfida sociologica è comprendere come il digitale trasformi la sessualità, influenzando i significati culturali, le pratiche relazionali e le dinamiche economiche emergenti. Bibliografia Appel, M., Marker, C., Mara, M. (2019). Otakuism and the appeal of sex robots. Frontiers in Psychology, 10, 569. Bourdieu, P. (1998). Il dominio maschile. Milano: Feltrinelli. Dickson, E. J. (2023). They’re Selling Nudes of Imaginary Women on Reddit – and It’s Working. Rolling Stone. Dibbell, J. (1993). A rape in cyberspace. The Village Voice. Fragkoulidi, N. (2017). Posthuman relationships: Social assistants as virtual (girl) friends. Junctions: Graduate Journal of the Humanities, 2(2). Lee, Y. H., Yuan, C. W. T. (2023). I’m not a puppet, I’m a real boy! Gender presentations by virtual influencers and how they are received. Computers in Human Behavior, 149, 107927. Malinowska, A. (2020). Sexbots and posthuman love. The International Encyclopedia of Gender, Media, and Communication, 1-6. Mulvey, L. (1975). Visual Pleasure and Narrative Cinema. Screen, 16(3), 6-18. Raiken, A. (2023). People are obsessed with a 24-year-old AI influencer – this is why her developer created her. The Independent. Reeves, B., Nass, C. I. (1996). The media equation: How people treat computers, television, and new media like real people and places. Cambridge University Press. Richardson, K. (2016). Sex robot matters: slavery, the prostituted, and the rights of machines. IEEE Technology and Society Magazine, 35(2), 46-53. Sales, N. J. (2024). A girl was allegedly raped in the metaverse. The Guardian. Weizenbaum, J. (1976). Il potere del computer e la ragione umana. Torino: Edizioni del Gruppo Abele. Yee, N., Bailenson, J. (2007). The Proteus effect: The effect of transformed self-representation on behavior. Human Communication Research, 33(3), 271-90. . Incontri virtuali e il tempo del rapido appagamento Edvige Danna . Questo contributo esplora il ruolo crescente dei chatbot emotivi nelle app di incontri, come Tinder e Hinge, e l’emergere di profili falsi generati dall’intelligenza artificiale, ponendo particolare attenzione alle implicazioni di questi fenomeni sulla percezione del tempo e delle relazioni interpersonali. La riflessione si inserisce in un dibattito ampio sulla trasformazione della temporalità nell’era digitale, dove la connessione costante e l’accessibilità immediata a un ampio spettro di interazioni sociali modificano il modo in cui viviamo e sperimentiamo il tempo. L’introduzione di chatbot emotivi nelle piattaforme di incontri digitali non solo riflette l’evoluzione delle interazioni mediate dalla tecnologia, ma solleva anche interrogativi profondi circa l’autenticità e la superficialità delle relazioni in un contesto di virtualizzazione crescente (Turkle, 2011). La ricerca, basata su un’analisi netnografica condotta su Tinder e Hinge, esplora le modalità di interazione degli utenti attraverso osservazione diretta e partecipazione attiva. In un mondo in cui il “time is money” e l’efficienza prevale, le dinamiche di incontro online sono dominate da un consumo rapido, caratterizzato dallo scorrere incessante di immagini e biografie che riducono la complessità delle relazioni a stimoli visivi ed emotivi istantanei (Cohen, 2020). L’iperaccelerazione del contatto sociale, facilitata da algoritmi sempre più sofisticati, fa emergere una nuova condizione temporale in cui il desiderio di appagamento immediato prevale su quello di costruire legami autentici e duraturi. Un aspetto centrale di questa riflessione è la sfida nella distinzione tra attori reali e identità artificiali, un fenomeno amplificato dalla diffusione di profili falsi generati dall'intelligenza artificiale. Si sono raccolti un numero considerevole di profili falsi a partire da un account maschile e un account femminile, per poi clusterizzarli e individuare le principali caratteristiche delle immagini e le principali biografie utilizzate per adescare papabili partner. Il rischio in questo contesto è l’anomia digitale, concetto che trova eco nelle teorie sociologiche di Durkheim (1893), che ha descritto l'anomia come una condizione in cui le norme sociali sono inadeguate o distorte, portando a una perdita di senso di autenticità nelle connessioni umane. Il “fake self” che emerge attraverso l’utilizzo di chatbot emotivi o profili falsificati contribuisce a una crescente difficoltà nell’attribuire significato alle relazioni digitali, alimentando una ricerca di gratificazione futura, che rimanda costantemente l’esperienza di connessione al presente. Le piattaforme di incontri rischiano di diventare spazi dove il concetto di tempo è svuotato di valore, costringendo gli utenti a un’attività di continua ricerca di “l’occasione perfetta”, senza mai fermarsi a costruire relazioni nel qui e ora (Rosen, 2019). In parallelo, il concetto di "retrotopia" di Zygmunt Bauman (2017) offre una chiave di lettura utile per interpretare l’impasse sociale ed esistenziale in cui le relazioni moderne sembrano precipitare. In una società dove la velocità è spesso vista come un valore positivo, le interazioni virtuali si trovano a essere esperite come un "supermercato" delle emozioni, dove i legami vengono ridotti a scelte rapide e disimpegnate, in un contesto di preoccupazione costante per la performance emotiva e la visibilità sociale. Le piattaforme di incontri, come Tinder, infatti, si prestano ad una lettura attraverso il paradigma della “società dell’accelerazione” (Rosa, 2013), dove la velocità e la disponibilità immediata di opzioni influenzano la qualità dell’esperienza relazionale e il significato del tempo trascorso nell’interazione. L’esito di questo contributo è quindi quello di stimolare una riflessione critica su come la tecnologia modelli l’esperienza del tempo nelle interazioni sociali digitali. Questo studio mira a comprendere le implicazioni culturali e psicologiche di una società sempre più orientata alla velocità, alla gratificazione istantanea e alla costante connessione, cercando di evidenziare le trasformazioni nella concezione del tempo, nel legame tra autenticità e tecnologia e nell’evoluzione delle relazioni affettive nell’era digitale. Bibliografia Accoto, C. (2017), Il mondo dato. Cinque brevi lezioni di filosofia della programmazione, Milano: EGEA. Bauman, Z. (2018), Retrotopia, Bari: Laterza, Tempi Nuovi. Codeluppi, V. (2013), L’occhio del replicante e il nuovo capitalismo in Mediascapes journal, 1/2013. Codeluppi, V. (2021), Vetrinizzazione. Individui e società in scena, Torino: Bollati Boringhieri. Ferrarotti, F. (1981), Storia e storie di vita, Roma: Laterza. Florindi F, Fedele P, Dimitri G.V. (2024), A novel solution for the development of a sentimental analysis chatbot integrating ChatGPT, in Personal and Ubiquitous Computing, doi: https://doi.org/10.1007/s00779-024-01824-6 Kozinets, R.V. (2019), Netnography: The Essential Guide to Qualitative Social Media Research, New York: SAGE. Moriggi, S. e Pireddu, M. (2024), L’intelligenza artificiale e i suoi fantasmi. Vivere e pensare con le reti generative, Trento: Il Margine. Poell, T. Nieborg D.B. (2022), Piattaforme digitali e produzione culturale, Roma: Minimux Fax. Rosa, H. (2021), Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità, Torino: Einaudi. Sestino A, D’Angelo A. (2023) My doctor is an avatar! The effect of anthropomorphism and emotional, in Technological Forecasting & Social Change, doi: https://doi.org/10.1016/j.techfore.2023.122505 Turkle, S. (2011), Alone together. Why we expect more from technology and less from each other, New York: Basic Books. . Oltre l'umano: l'influenza dei personaggi AI nelle interazioni umane sempre più veloci al tempo dei social Franco Campitelli . Lo sviluppo delle IA ha portato alla creazione di personaggi ‘artificiali’ che stanno diventando “virtual influencer”. Queste entità stanno guadagnando popolarità e followers e sono entrati in competizione con influencer umani. Lo scopo dell’intervento è l’analisi e la nascita di questo fenomeno, i motivi della crescita in popolarità sulle varie piattaforme social anche analizzando la letteratura esistente e i commenti delle persone reali sui loro profili. La presenza sui social media di questi personaggi virtuali è molto curata e simula l’autenticità degli influencer umani. Questo crea una stretta connessione con i follower cercando di indirizzare le loro percezioni e i loro comportamenti. Uno studio sulle motivazioni del perché sia i giovani che gli adulti seguono i social influencer è stato condotto da Croes e Bartels (2021). Le conclusioni hanno dimostrato che i giovani adulti li vedono come degli “amici” che li fanno divertire e non perché sono “cool”. Un’ulteriore attrattiva degli influencer virtuali è che essendo interamente costruiti in maniera artificiale hanno caratteristiche idealizzate e promuovono messaggi di marketing con una coerenza migliore degli umani. Come riportato in uno studio da Lou et. al. (2023) ci sono sei ragioni per cui questi influencer virtuali hanno successo e sono “novelty, information, entertainment, surveillance, esthetics, and integration social integration”. Tuttavia, la natura virtuale di questi personaggi solleva questioni etiche sulla costruzione dell’identità e come questo possa influenzare la conservazione dei valori sociali negli spazi online. Inoltre, la creazione di “nudi creati dall’intelligenza artificiale” su piattaforme per adulti può portare a derive pericolose come la mercificazione del corpo e standard di bellezza irrealistici. Un’altra problematica dovuta alla natura “quasi umana” di questi personaggi è la cosiddetta “uncanny valley”, in breve, secondo Mori (1970) la risposta di una persona ad un robot umanoide si sarebbe spostata dall’empatìa alla repulsione se l’aspetto del robot raggiungeva un aspetto eccessivamente realistico. Di conseguenza, il successo dei virtual influencer richiede un’analisi sociologica approfondita sia dal punto dell’etica che del futuro delle relazioni umane nell’era digitale in cui il tempo della comunicazione diventa sempre più veloce. In particolare la ricerca in corso approfondisce le dinamiche di interazione tra consumatori e personaggi AI analizzando i commenti e le interazioni pubbliche sui social network. Sono stati presi in esame nove influencers distinti in tre categorie: mega influencer, macro-micro influencer e influencer virtuali. L'analisi ha considerato elementi quantitativi (numero di commenti, risposte dell'influencer, commenti con emozioni positive, coinvolgimento personale e interazioni tra utenti) e qualitativi (tono e contenuto dei commenti, interazione tra utenti e influencer, struttura della comunità e percezione di autenticità). Da questa prima analisi si nota che gli influencer reali generano maggiore emotività nei commenti, una maggiore interazione tra utenti e un'elevata percezione di autenticità. L'interazione con gli influencer virtuali, invece, è più simile a quella con i mega influencer. La comunicazione dei follower tende a esprimere "fanatismo" verso le star reali e "divertimento e curiosità" verso gli influencer virtuali. Lo studio è ancora in corso e prevede l’analisi di un campione più ampio di influencer distinti per categorie, un maggior numero di post e di interazioni nel tempo. Bibliografia Croes, E., Bartels. (2021). Young adults’ motivations for following social influencers and their relationship to identification and buying behavior. Computers in Human Behavior. https://doi.org/10.1016/j.chb.2021.106910 Lou, C., Kiew, S. T. J., Chen, T., Lee, T. Y. M., Ong, J. E. C., Phua, Z. (2023). Authentically fake? How consumers respond to the influence of virtual influencers. Journal of Advertising. Mori, M. (2012). The uncanny valley [From the field]. IEEE Robotics & Automation Magazine, 19(2), 98–100. (Original work published 1970). |
16:15 - 17:45 | Sessione 5 - Panel 08: Convivio : Selezionare, Valutare, Ottimizzare La governance dell’educazione tra processi di accelerazione temporale e produzione di disuguaglianze Luogo, sala: Aula 11 (A0-B) |
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Convivio : Selezionare, Valutare, Ottimizzare La governance dell’educazione tra processi di accelerazione temporale e produzione di disuguaglianze 1Università degli Studi di Napoli Federico II; 2Università degli Studi di Milano; 3Università Roma Tre; 4Università di Parma; 5Università di Genova; 6Università Sapienza di Roma; 7Université Paris Est Créteil; 8Università di Cagliari, Italia; 9Università degli Studi di Milano-Bicocca La nostra proposta intende porre al centro della discussione, attraverso la forma del convivio, il modo in cui il tempo sia sociologicamente e politicamente ‘costruito’ e influenzi non solo la struttura fisica e organizzativa degli ambienti educativi, ma anche le modalità di apprendimento, le dinamiche relazionali e i processi pedagogici. Riconoscendo come le dimensioni della spazialità e della temporalità siano indissolubilmente intrecciate e agiscano simultaneamente (May e Thrift, 2003), il tempo sarà analizzato come parte dei nuovi dispositivi di governance dell’istruzione (all’intersezione con il costante aumento di strumenti di quantificazione e datificazione), in un quadro in cui la creazione e l’imposizione di regimi di temporalità si intreccia profondamente con la produzione di forme tradizionali e ‘nuove’ di disuguaglianza (Madsen, Lunde et al., 2025). I principali focus intorno ai quali la discussione intende articolarsi sono: ● Tempo e governo delle transizioni lavorative: Nell’ultimo trentennio, la ristrutturazione dell’economia globale ha portato al centro dell’attenzione una ‘compressione spazio-temporale’ (Harvey, 1990) che ha investito molteplici sfere dell’esistenza. Alle nuove figure del lavoro interinale e just-in-time, si è accompagnato un incremento nella produzione e nell’uso della quantificazione al fine di controllare, ‘ottimizzare’ e governare le istituzioni e il vivere quotidiano (Sadin, 2015). In questo contesto, l’ingiunzione alla performance e la moltiplicazione di dispositivi di valutazione hanno profondamente modificato l’esperienza del tempo vissuto, amplificando sentimenti di precarietà e generando vissuti di disagio psicologico. ● Tempo e progettualità: In un clima culturale dominato dall’incertezza (Castel, 2019), dall’istantaneità e dall’idea della scarsità del tempo, la capacità di sfuggire dalla presentificazione e di proiettarsi nell’avvenire assume un ruolo cruciale nella costruzione delle traiettorie educative. Gli studenti e le studentesse sono oggi chiamati a svolgere un time working (Flaherty, 2003), vale a dire un lavoro più o meno consapevole volto a modificare la propria esperienza temporale adattandola alle logiche istituzionali. Tenuto conto delle storiche differenze nel rapporto al tempo tra classi popolari e classi medio-alte, si tratta di riflettere sul modo in cui esse si siano riconfigurate oggi, in una congiuntura storico-politica dominata dalla retorica del capitale umano. ● Velocità e pensiero critico: In un sistema educativo accelerato, dove si chiede agli studenti di produrre e di essere visibili, si generano tensioni tra il tempo compresso dei risultati e quello espanso dell’apprendimento. Hartmut Rosa (2015) descrive questo processo come un ‘paradosso della velocità’: pur essendo in un'epoca che permette di fare sempre più cose in tempi brevi, le competenze complesse e il pensiero critico richiedono ancora tempi lenti. La velocità diventa quindi un ostacolo per l'approfondimento, dando forma ad un contrasto tra l'esigenza di produrre velocemente e il bisogno di consolidare la conoscenza nel tempo. ● Temporalità multiple: Oggi più che nel passato, dicotomie come ‘tempo povero/tempo ricco’ e ‘accelerazione/lentezza’ dominano il dibattito sul tempo a scuola. Sfidando una visione tradizionale del tempo come lineare e oggettivo, e concettualizzando il tempo come una costruzione sociale e culturale che può variare a seconda delle pratiche e degli spazi (Hassan 2009), intendiamo discutere delle diverse esperienze temporali nei contesti educativi. Esperienze che, anche grazie al pervasivo ruolo della tecnologia, non possono che essere lette come multiple e variabili. Si tratta di una lista indicativa, aperta a ulteriori contributi (vedi, ad esempio, i temi della ricerca universitaria e della lifelong guidance), il cui obiettivo principale resterà tuttavia quello di considerare il tempo come un concetto capace di mostrare il modo in cui la disuguaglianza prende forma oggi nella struttura educativa, all’intersezione tra genere, classe e ‘razza’ (Crenshaw, 1989). In tal senso, si terrà conto sia di come venga elaborato all’interno delle politiche europee e nazionali, sia di come esso si iscriva, quotidianamente, nei vissuti soggettivi. Riferimenti bibliografici Castel, R. (2019) La metamorfosi della questione sociale. Una cronaca del salariato, Milano: Mimesis. Crenshaw, K. (1989) “Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics”, University of Chicago Legal Forum, (8). Flaherty, M. G. (2003). “Time work: Customizing temporal experience”, Social Psychology Quarterly, 66(1), 17–33. Henderson, L., Honan E., Loch S. (2016) “The production of the academic writing machine”, Reconceptualizing Educational Research Methodology, 7(2). May, J., Thrift, N. (2003) “Introduction.” In Timespace: Geographies of Temporality, a cura di J. May and N. Thrift, 1–45. London: Routledge. Rosa, H. (2015) Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità, Torino: Einaudi. Harvey, D. (1990) The condition of postmodernity: An enquiry into the origins of cultural change, London: Wiley-Blackwell. Hassan, R. (2009) Empires of speed: Time and the acceleration of politics and society (1 ed. Vol. 4). BRILL. Madsen M., Lunde I. M., Piattoeva N., Karseth B. (2025) “Introduction: time and temporality in the datafied governance of education”, Critical Studies in Education, 1-16. Sadin É., La Vie algorithmique. Critique de la raison numérique, Paris: L'Échappée. |
18:00 - 18:30 | Saluti finali Luogo, sala: Aula A (B0-A) |
20:00 | Buon Vento: Serata di reading e musica dedicata a FaustoColombo Luogo, sala: Hublot Nautic Club Portus Karalis https://maps.app.goo.gl/AXJzw683mK6rwMeR6 |
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