Programma della conferenza

Sessione
Sessione 5 - Panel 05: Tempi sintetici. Come algoritmi e IA ridefiniscono identità, lavoro e conoscenza
Ora:
Venerdì, 20/06/2025:
16:15 - 17:45

Chair di sessione: Elisabetta Risi
Chair di sessione: Riccardo Pronzato
Luogo, sala: Aula Magna ex Facoltà di Scienze Politiche (B0-B)

Piano terra. Edificio B, Campus Sant'Ignazio. Via Sant'Ignazio da Laconi, 78 (CA)

Presentazioni

Tempi sintetici. Come algoritmi e IA ridefiniscono identità, lavoro e conoscenza.

Elisabetta Risi1, Riccardo Pronzato2, Maria Francesca Murru3, Donatella Selva4, Emiliana Armano5, Claudia Cantale6

1IULM, Italia; 2Università di Bologna; 3Università di Bergamo; 4Università di Firenze; 5Università degli Studi di Milano; 6Università di Catania

Il panel esplora come le piattaforme basate sull’intelligenza artificiale (IA) stiano contribuendo alla riorganizzazione della temporalità nelle dinamiche identitarie, organizzative e di (ri)produzione della conoscenza. La comprensione delle implicazioni di questi dispositivi socio-tecnici è fondamentale per comprendere come l’organizzazione dei tempi di lavoro e vita quotidiana, i sistemi organizzativi complessi e i processi di riproduzione sociale vengano impattati e rimodellati, in particolare dall’IA generativa, rinforzando dinamiche di potere egemoniche.

Focalizzandosi sull’identità, le piattaforme algoritmiche e basate sull’IA influenzano le esperienze temporali e i processi di formazione del Sè degli individui. Il risultato è quello che è possibile denominare con “algorithmic selfing” (si veda il contributo 1), un processo in cui il Sé viene continuamente costruito e ricostruito dai sistemi computazionali commerciali per favorire le logiche di datificazione e sussunzione delle grandi aziende tecnologiche. Questo solleva questioni ontologiche ed epistemologiche riguardo all’impatto sulla condizione umana dei regimi temporali imposti da queste tecnologie.

Anche il rapporto tra tempo, lavoro e vita quotidiana non è esente da dinamiche di ridefinizione legate all’IA generativa. Sembra emerge quella che potremmo definire come società dei sintetizzatori culturali, un contesto sociale quotidiano platformizzato e appiattito sul funzionamento delle macchine e il loro habitus (Airoldi, 2021), un sistema di disposizioni interiorizzate che ne guidano il funzionamento. L’IA generativa non solo produce testi, immagini, video – quindi contenuti culturali impregnati di conoscenze, visioni culturali, bias – ma ri-produce la percezione che le soggettività hanno di sé e degli altri, il senso comune, le modalità relazionali e organizzative, personali e professionali.

I sistemi basati su IA generative, infatti, non solo velocizzano i processi produttivi, ma riorganizzano la temporalità lavorativa, eliminando pause e transizioni, accelerandola, ponendo più richieste in meno tempo, secondo le retoriche neoliberiste di una tecnologia apparentemente emancipativa. Questo crea una tensione tra il guadagno apparente di tempo e la sua riorganizzazione in modalità più dense e frammentate, contribuendo alla riconfigurazione delle gerarchie occupazionali e delle forme di potere nell’economia digitale contemporanea. Anche il “tempo libero” diventa così lavorizzato (si veda il contributo 2), in società capitaliste caratterizzate dalla scarsità di tempo percepito dagli attori sociali.

L’IA generativa ha anche un impatto significativo sulla produzione culturale e sui meccanismi editoriali (si veda il contributo 3). Il cosiddetto prompting sta diventando una pratica culturale diffusa e la produzione sintetica di contenuto contribuisce alla formazione del nostro “sé estetico”. Si osserva una tendenza alla produzione rapida e massiva di contenuti, altresì incentivata da piattaforme digitali, che promuovono pratiche di “book stuffing” e “binge-reading”, ridefinendo i meccanismi editoriali in termini di velocità e accumulazione di capitale.

Tali piattaforme, inoltre, alimentano narrazioni politiche egemoniche, dando o negando visibilità a specifiche categorie sociali e privilegiando alcune strutture di significato rispetto ad altre. Le ricerche recenti convergono in quello che sono i processi di rappresentazione sociale ri-mediati dalle IA generative, basate su LLM. Il risultato sono rappresentazioni (stereotipate) che ri-generano un certo tipo di senso comune. Dall’analisi degli output di alcune piattaforme basate su generative AI (si veda il contributo 4) su temi polarizzanti e politicamente controversi, si rivela una parvenza di pluralismo politico ma anche la riproduzione di narrazioni politiche cristallizzate.

In questo scenario, i sistemi basati su IA sembrano dunque profondamente ridefinire le dinamiche temporali, e quindi identitarie, culturali e lavorative all’interno dei sistemi organizzativi complessi. L’influenza delle piattaforme digitali sulla percezione del tempo e sulla formazione dell’identità, i bias di rappresentazione e le narrazioni politiche associate, così come la trasformazione dei meccanismi editoriali e della produzione culturale mostrano come questi artefatti socio-tecnici stiano contribuendo a specifici meccanismi di riproduzione sociale egemonici, rimodellando i processi organizzativi della società e il suo senso comune.

1. Algorithmic selfing: An existential media analysis of time and identity

Riccardo Pronzato

This paper conducts an existential media analysis of users’ temporal experiences and identity-formation processes on digital platforms. Drawing on a critical review of empirical studies on users’ temporal experiences and identity-formation processes, the philosophical works of Heidegger and Simondon, and media and communication theory, I examine how digital platforms impose temporal and experiential regimes on individuals, thus enabling forms of algorithmic individuation. Specifically, I argue that this recursive and value-laden process nurture instances of “algorithmic selfing”, with which I indicate a form of Self that is temporarily constructed and incessantly reconstructed by commercial computational systems and conflated with their goals, logic and operations. In this scenario, I highlight the ontological and epistemological implications, raising critical concerns regarding the impact of imposed temporal regimes and exploitative digital environments on the human condition.

Digital platforms play a systematic role in moulding how individuals experience time. Different contributions have focused on how temporal regimes are experienced by users (Baym et al., 2020; Ytre-Arne et al., 2020; Lupinacci, 2024), and designed by tech companies (Wajcman, 2019; Nagy et al. 2021), highlighting that algorithmic media aim to direct users’ temporal experiences by fostering a continuous and seamless engagement that contribute to shaping the rhythm of everyday life (Finn, 2019). Further reinforcing and complicating these processes is their recursivity, as digital platforms constantly adapt to users’ behaviours through data collection and feedback loops (Airoldi, 2021; Beer, 2022).

The perception and experience of time play a key role in identity formation processes (Giddens, 1991; Flaherty, 2011), as do the relationships that are developed with networked media. Studies of digitally-mediated identity, such as those by Annette Markham (2013; 2021), Cheney-Lippold (2017) and Prey (2018) have shown that identities are transient configurations of meaning within a globally interconnected network of relationships, including machinic elements, which contribute to the formation of “algorithmic identities” and a sense of selfhood.

In this regard, Prey (2018: 1095) argues that digital platforms can be considered as key contemporary “enabler[s] of individuation”, a concept derived by Gilbert Simondon. (1992; 2009). The French philosopher rejected the notion of the individual as a stable, preexisting entity, instead considering it a temporary and relational outcome of the process of individuation (Simondon, 2013), i.e., the result of ongoing interactions with one’s environment, including both humans and technologies (Simondon, 2017). For Simondon, humans are continuously “becoming individuals”, temporary assemblages, rather than a priori constituted beings. Simondon’s ontological theory of individuation has been highly influential for philosophers of technology (De Boever et al., 2012), feminist theorists (Grosz, 2012) and media and communication scholars (Prey, 2018).

This interest in ontological issues related to identity formation processes is reflected in Lagerkvist’s (2017: 97) argument that digital media are “existential media” and “spaces for the exploration of existential themes and the profundity of life”. Specifically, by adopting an existential philosophical framework informed by Heidegger, she contended that scholars should consider the user as “the exister” and conduct “existential media” analyses that can account for “the thrownness of the digital human condition”. Subsequent works have followed Lagerkvist (2022) and focused on the ontological aspects of digital experience (Clemens and Nash, 2018; T. Markham, 2020). Within this scenario, digital selfing processes are characterised and ought to be studied with a register that can be defined “existential”, i.e., concerned with our being.

Within this framework, I conduct an existential media analysis of how digital platforms impose temporal and experiential regimes on users, enabling forms of algorithmic individuation. Specifically, I advance the concept of “algorithmic selfing” to indicate a form of processual Self that is temporarily constructed and incessantly reconstructed by algorithmic media, their datafication and subsumption process.

2. Accelerazione, immersione e Generative AI, tra free time e free labour. Riflessioni e ricerche

Emiliana Armano; Elisabetta Risi

L’Intelligenza Artificiale (AI) sta ridefinendo il rapporto tra tempo, lavoro e vita quotidiana, accelerando i processi produttivi e ristrutturando le dinamiche dell’attività umana. Seguendo la prospettiva storico-materialista di Edward Thompson (1967) sul tempo disciplinato e confrontandosi con la teoria accelerazionista di Nick Srnicek (2015), questo contributo indaga come le IA generative – come ChatGPT – non si limitino a introdurre discontinuità sovversive, ma operino attraverso logiche immersive che rafforzano e trasformano i meccanismi esistenti di produttività e controllo.

Se l’utopia accelerazionista evocava una spinta sovversiva, l’AI generativa sembra invece favorire logiche immersive, producendo una continuità senza soluzione di continuità tra tempo di lavoro e tempo privato. Attraverso una analisi critica e interpreativa della principale letteratura teorica ed empirica, questo contributo esplora il modo in cui l’AI (soprattutto quelle generative) non solo velocizza i processi produttivi, ma riorganizza la temporalità lavorativa in modo pervasivo, eliminando pause e transizioni. In un contesto in cui sintetizzatori veloci e strumenti di ottimizzazione, emerge una tensione tra l’apparente guadagno di tempo e la sua riorganizzazione in modalità sempre più dense e frammentate.

Seguendo la sociologia del tempo di Barbara Adam (1995) e la teoria della compressione spazio-temporale di David Harvey (1989), la ricerca si interroga su come l’accelerazione digitale impatta sulle modalità organizzative del lavoro, contribuendo alla riconfigurazione delle gerarchie occupazionali e delle forme di potere nell’economia digitale contemporanea.

Il contributo presenta un’analisi articolata su due livelli. In primo luogo, viene svolta una rassegna critica delle ricerche più recenti (provenienti da database accademici come Google Scholar e JSTOR) sul concetto di time saving nell’adozione dell’AI. La letteratura esistente mostra una doppia narrazione: da un lato, l’IA viene descritta come uno strumento di liberazione dal lavoro ripetitivo, favorendo un guadagno di tempo per le attività più creative e strategiche; dall’altro, alcuni studi critici evidenziano come il tempo risparmiato venga rapidamente riassorbito in nuove forme di lavoro intensificato e frammentato. A questa prospettiva si affiancano dati statistici (es. ISTAT) che suggeriscono un’erosione progressiva del tempo libero, a testimonianza della crescente integrazione del tempo privato nei ritmi della produttività digitale.

In secondo luogo, viene analizzato il fenomeno della lavorizzazione del tempo risparmiato attraverso l’uso delle IA generative da parte dei knowledge workers (docenti, ricercatori, creatori di contenuti, blogger, ecc.). Attraverso un’analisi dei dati di ricerca sull’impatto dell’IA nei processi lavorativi digitali, emergono due tensioni fondamentali. Da un lato, l’AI intensifica la velocità operativa e ottimizza le pratiche lavorative, contribuendo alla nascita di nuovi modelli produttivi “iperindustriali”. Dall’altro, se in un primo momento si è pensato che la digitalizzazione potesse destabilizzare le strutture lavorative tradizionali, oggi il suo impatto appare sempre più orientato verso un processo di normalizzazione e interiorizzazione dell’accelerazione temporale, con conseguenze significative sul benessere sociale e sulle gerarchie occupazionali.

Seguendo il ragionamento di Tiziana Terranova (2000) sul free labor, si evidenzia come l’uso dell’IA non generi una riduzione del carico di lavoro, bensì una sua intensificazione: il tempo liberato dall’automazione viene impiegato per produrre ulteriore contenuto, alimentando il ciclo di accumulazione delle piattaforme digitali. Questo fenomeno si colloca in una logica di estrazione del valore che Pasquinelli (2015) descrive come un’estensione del capitalismo cognitivo, in cui il contributo umano diventa invisibile ma indispensabile per l’addestramento e l’ottimizzazione degli algoritmi.

L’analisi condotta suggerisce che l’AI generativa non si configuri come un semplice strumento di ottimizzazione del lavoro, ma come un meccanismo che contribuisce a una nuova forma di temporalità lavorativa, caratterizzata dalla continuità senza soluzione di continuità tra produzione e vita privata. Piuttosto che promuovere un futuro emancipativo, l’AI conduca ad un consolidarsi delle dinamiche di immersione e controllo che intensificano la frammentazione temporale, ridefinendo le condizioni di lavoro nel capitalismo digitale avanzato. Questo studio solleva dunque nuove sfide per le categorie sociologiche tradizionali legate al tempo e al lavoro, interrogandosi sulle forme di resistenza e regolazione necessarie per affrontare il futuro dell’automazione e del lavoro immateriale.

3. Quando le macchine scrivono libri. Come l’AI ri-definisce tempo, cultura e i meccanismi di produzione del contenuto.

Claudia Cantale

Manovich sostiene che con la diffusione mainstream dei sistemi di LLM, il prompting sia divenuto una vera e propria pratica culturale (Manovich 2020), come tale il suo ruolo della formazione dell’immaginario e dei modi di produrre contenuti culturali è trasformativo. L’editoria sintetica come combinazione di cultura algoritmica, nel senso del complesso rapporto tra i gusti, decisioni estetiche, selezione di contenuti, e Ai culturale, ovvero delle produzioni realizzate con l’intelligenza artificiale, è destinata a contribuire alla formazione del nostro “sé estetico”, vale a dire il nostro modo di produrre e consumare praticamente la cultura.

Subito dopo il loro esordio, infatti, tecnologie come ChatGPT, Claude, DeepL sono state ampiamente impiegate nella produzione di testi nell’ambito del marketing aziendale, giornalismo e accademico, sia come strumento metodologico che assistente alla scrittura (vedi Pavlik 2023; Misra, Chandwar 2023). Nel campo letterario (Bourdieu, 2005) l’intelligenza artificiale si è rivelata un’ottima assistente alla scrittura a supporto delle attività di traduzione, revisione, nell’elaborazione di storytelling. “La letteratura combinatoria” ha l’opportunità di rompere con la tradizione letteraria classica (Calvino 1967) perché gli algoritmi sono in grado di illuminare i segreti, far apparire gli “spettri delle culture contemporanee” e proporne una versione sintetica alla quale sarà possibile attribuire un valore (vedi Esposito 2022). Tuttavia, a fronte di un dibattito mediatico che prende in considerazione la possibilità apocalittica della morte dell’autore “naturale” a favore di quello artificiale, i primi impieghi dell’AI come co-autore o autore di libri di fiction, non fiction, poesia, fiabe e novel sembrano seguire la logica dell’ ottimizzazione del tempo usato per la stesura ai fini di una massimizzazione di eventuali ricavi anche in termini di capitale digitale. In questo senso il “tempo liberato” dall’AI, mito fondativo dell’automazione, non è investito nella direzione della creatività e dell’avanguardia, quanto piuttosto dell’accumulazione attraverso produzione accelerata.

La riflessione è dunque relativa al campo letterario e alla cultura del libro (Bourdieu, 2005; Cantale 2024) che suggerisce una futura ridefinizione dei meccanismi editoriali, in cui la velocità di produzione di opere a basso costo costituiscono elementi strategici per il raggiungimento di capitale economico e culturale (digitale). In questa fase non sembra esserci spazio per quell’anelito di innovazione o d’avanguardia letteraria. Un esempio interessante è rappresentato dal modello economico adottato da piattaforme come Amazon Kindle Unlimited, in cui la remunerazione, basata sul numero di pagine lette, incentiva una pubblicazione massiva e rapida – fenomeno che si traduce in pratiche di “book stuffing”, secondo logiche neoliberiste. Attraverso l’analisi dei discorsi mediatici (es. Google News) e l’esame del catalogo di Amazon Libri, la ricerca evidenzia una tendenza alla diffusione di contenuti di produzione e consumo rapido, più propriamente definiti page-turning che ricalcano e alimentano modi di consumo come il binge-reading (Cantale, 2025).

A partire da questo prime considerazioni, si propone quindi di ragionare sul modo in cui gli algoritmi e LLM possano reiterare meccanismi di distinzione, non solo perché governano la circolazione di contenuti culturali (Airoldi, 2024), ma anche perché ne stanno plasmando la forma.

4. Forme di conoscenza generata. Intelligenza artificiale e senso comune

Maria Francesca Murru; Donatella Selva

Recenti studi hanno evidenziato il rapporto ricorsivo che le piattaforme di intelligenza artificiale alimentano con le narrazioni politiche egemoniche. Evidenze empiriche eterogenee hanno messo in luce la presenza di bias 4sistematici nella rappresentazione politica. Ci riferiamo ai cosiddetti “danni di rappresentazione” (Katzam et al. 2023) che l’IA può causare dando o negando visibilità a specifiche categorie sociali e privilegiando alcune strutture di significato rispetto ad altre. Più in generale, Gillespie (2024) documenta come, nel tentativo di sembrare umana, l’IA aderisca a modelli “generici” di rappresentazione sociale e politica, con la conseguenza di riprodurre il senso comune egemonico in un dato momento storico o in un determinato contesto socio-culturale.

Seguendo questa linea di ricerca, il nostro studio intende concettualizzare meglio i significati e le risonanze culturali dei contenuti prodotti dall’IA generativa soprattutto in relazione a temi polarizzanti e politicamente controversi. Sebbene i dati disponibili sugli usi più comuni dei grandi modelli linguistici siano finora frammentari e incompleti, possiamo ritenere plausibile che essi vengano sempre più utilizzati come strumenti per integrare, e persino sostituire, il lavoro di produzione culturale, sia dal lato della creazione sia da quello del consumo. Ci interessa in particolare indagare il rapporto tra gli output dell’IA generativa e i modelli di rappresentazione cui fa ricorso, prestando particolare attenzione alla temporalità che il testo propone a partire dai riferimenti all’attualità innestati su un substrato di senso comune che si presuppone stabile e immutato. Il nostro approccio si articola su tre livelli:

  • Una prospettiva sperimentale, che prevede la creazione di prompt per interrogare due modelli linguistici (ChatGPT e Claude);
  • Una prospettiva performativa, che consiste nello sviluppo di tre tipi ideali di interrogante – il cittadino, il giornalista e il politico – in quanto lettori e produttori tipici del discorso politico, per comprendere come l’IA varia le risposte in base alle loro caratteristiche (ad es. genere, nazionalità, status professionale e orientamento politico);
  • Una prospettiva discorsiva, che analizza le strategie logico-argomentative, i temi e il vocabolario impiegati dai modelli linguistici nella generazione del discorso politico.

La ricerca si basa su 32 interrogazioni ai modelli di IA generativa effettuate nel novembre 2024 sul tema della gestazione per altri. I risultati evidenziano come i due modelli testati scelgano strategie diverse per rispondere alle interrogazioni, pur mantenendo alcune similarità nella scelta delle logiche argomentative e dei frame discorsivi. La differenziazione tra tipi di interroganti è la dimensione di variazione più significativa, dal momento che i due modelli offrono letture diverse di cosa possa essere un discorso “tipico” della destra e della sinistra a seconda del soggetto che le richiede. In particolare, le differenze più importanti si riscontrano nella relazione con le posizioni radicali, che sono evitate quando si interroga in qualità di politico ma sono invece fortemente marcate con i giornalisti. Benché a uno stadio iniziale, la ricerca rivela che l’IA mantiene una parvenza di pluralismo politico, riproducendo rappresentazioni sicuramente convenzionali ma al contempo articolate. All’interno di questa articolazione, tuttavia, si possono intravedere delle forme cristallizzate di narrazioni politiche: le narrazioni di destra si orientano costantemente verso posizioni conservatrici, enfatizzando i valori tradizionali ma assorbendo (specialmente nel caso dei giornalisti) il repertorio discorsivo e retorico della destra radicale nella sua forma più attuale; i discorsi di sinistra si concentrano su giustizia sociale e diritti umani, con un ricorso minimo, scarsamente attualizzato e molto definito in termini di interroganti, al repertorio discorsivo del femminismo.