Programma della conferenza

Sessione
Sessione 2 - Panel 02: Arte, performance e politiche culturali
Ora:
Giovedì, 19/06/2025:
15:15 - 17:15

Chair di sessione: Laura Gemini
Luogo, sala: Aula 2 (AO-A)

Piano terra. Edificio A (Palazzo Baffi) Campus Sant'Ignazio. Via Sant'Ignazio da Laconi, 74 (CA)

Presentazioni

Il futuro dei festival post-tradizionali: il liminale sostenibile

Monica Sassatelli, Pierluigi Musarò

Università di Bologna, Italia

Tipicamente definiti come ‘tempo fuori dal tempo’ (Falassi 1987) i festival costituiscono momenti di concentrazione dell’effervescenza collettiva e quindi del (ri)prodursi di cultura e comunità. In particolare, nei festival post-tradizionali contemporanei - sganciati dai calendari rituali o stagionali, religiosi o laici – si rileva una concretizzazione di quella ‘sfera pubblica culturale’ (Giorgi, Sassatelli, Delanty 2011) in cui le dimensioni quotidiane sono portate in primo piano. E ciò avviene attraverso un coinvolgimento affettivo ed estetico che ci consente di focalizzare il ruolo attivo dei festival, non riducibili a mero ‘riflesso’ della vita sociale (McGuigan 2011; Sassatelli 2018).

In questo contributo si propone una riflessione mirata allo spazio e tempo liminale del festival come produttivo di visioni del futuro. Il modo in cui l'idea di futuro viene articolata nelle narrazioni e nelle pratiche dei festival verrà dunque utilizzato come chiave interpretativa della sfera pubblica dei festival.

Il punto di partenza è un’analisi di alcuni dei principali concetti tramite i quali il ‘futuro’ è entrato nella teoria sociale. Da un lato, infatti, la nozione dominante di futuro nella ‘società del rischio’ è concepita in termini di calcolo delle probabilità, in un gioco a somma zero tra sicurezza e libertà (Beck 1992). Questo è particolarmente vero dal punto di vista delle istituzioni investite della responsabilità della gestione del rischio. Dall’altro lato, in particolare per quei fenomeni e istituzioni volti alla produzione di significati, cioè le istituzioni culturali, si può ipotizzare un atteggiamento verso il futuro come apertura al possibile, come capacità di immaginare e aspirare a una vita migliore (Appadurai 2013). In questo caso, il futuro è inteso come spostamento di enfasi da una politica della probabilità a una politica della possibilità, ovvero il rafforzamento dell'immaginazione e dell'aspirazione come capacità culturale. I festival contemporanei , ponendosi come spazi di nuova socialità anche utopica e di esplorazione di stili di vita, forniscono casi di ricerca privilegiati per questi temi.

Nella seconda parte del contributo, questa chiave interpretativa viene quindi associata alle tipologie comuni individuate dagli studi sui festival (Mair 2018), al fine di elaborare una riflessione che tenga conto di come i festival si propongono come piattaforme per un dibattito su futuri probabili, possibili e auspicabili. Questo porta necessariamente ad agganciarsi al sempre più centrale tema della sostenibilità nelle sue varie forme: da quelle ‘maggiori’ (economica ed ambientale), a quelle di più recente riconoscimento e spesso ancora assimilate (sociale e culturale) – come dimostrano i casi di greening dei festival musicali (Cummings 2016), e l’interesse crescente per le questioni sociali nelle ricerche sui festival (Quinn 2018). Verranno presentati casi esemplificativi di festival, a partire dal (meta)festival del turismo responsabile IT.A.CÀ Migranti e Viaggiatori (Musarò e Moralli 2019; Musarò, Cappi, Vignola 2024), in quanto realtà distribuita sul territorio nazionale e tra i primi festival a livello europeo a porsi come piattaforma di narrazioni e pratiche sperimentali. Dimensioni analitiche su cui ci si concentra sono le diverse forme di sostenibilità (ambientale, economica, sociale, culturale) che ispirano il turismo responsabile; il turismo come strumento di governance territoriale partecipata e la sua capacità di stimolare processi di sviluppo sostenibile a partire dalle reti locali che vi aderiscono; il ruolo del festival come iniziativa di innovazione sociale che contribuisce a stimolare nuove idee e a incoraggiare nuovi operatori culturali, a offrire esperienze diverse, a creare un pubblico più attento a un segmento di turismo meno considerato di quanto la sua potenziale rilevanza in una sfera pubblica culturale giustifichi. L'articolo propone quindi sia una diversa prospettiva teorica sia l'analisi approfondita di un caso empirico per illustrare il nuovo spazio interpretativo che si apre.



Dalla “presenza assente” alla presenza/presente. Il “qui e ora” della performance teatrale

Federico Boni

Università degli Studi di Milano, Italia

A partire dalla tematica del convegno, soprattutto in relazione all’accelerazione dei ritmi della vita sociale e alla compressione del tempo, che porta a inedite forme di alienazione, l’intervento si propone – attraverso lo strumento dell’etnografia sociale – di considerare il ruolo della performance teatrale come riflessione sull’importanza del “qui e ora” e della “presenza”, intesa nel duplice senso di “essere presente” e di “essere nel presente”.

Il “qui e ora” dell’evento teatrale si apre, soprattutto in un ambiente sociale dominato dalla mediatizzazione, a diversi gradi e livelli di presenza. Da sempre il teatro si pone come riflessione sullo statuto della presenza (in entrambe le accezioni indicate), decostruendolo, de-naturalizzandolo, mettendolo in crisi, giocandoci, rendendolo ambiguo (cfr. Power 2008). I pubblici più giovani, poco abituati alla fruizione di teatro ma grandi consumatori di risorse digitali, possono imparare molto dai modi in cui il teatro mette in scena e rappresenta la “presenza”, rendendo straordinario un concetto sempre meno ordinario nella stessa quotidianità di chi si muove nell’ecosistema mediatico digitale.

Il senso del titolo dell’intervento sta nella contrapposizione tra quella che Kenneth J. Gergen (2002) definisce una “presenza assente” – ovvero la situazione di trovarci in compagnia di familiari e amici assorbiti dal loro smartphone – e una forma di presenza che indica non solo una attenzione nei confronti dell’interlocutore, ma anche una esperienza consapevole del “tempo presente”.

Per verificare come il teatro possa contribuire a tale consapevolezza, si procederà alla presentazione dei risultati di una ricerca etnografica basata sull’osservazione partecipante delle pratiche di realizzatori e pubblici di tre recenti produzioni dirette da Gabriele Vacis con la compagnia PoEM (Potenziali Evocati Multimediali): Prometeo (2022), Antigone e i suoi fratelli (2022) e Sette a Tebe (2023). Le tre produzioni sono state realizzate all’interno della stagione del Teatro Stabile di Torino dal 30 novembre 2023 al 17 dicembre 2024, riunite in quella che è stata presentata come una Trilogia della guerra. L’etnografia ha riguardato tutte le fasi della realizzazione dei tre spettacoli, e si è concretizzata nell’osservazione partecipante con attori, regista e tecnici da una parte, e con i pubblici dall’altra.

Dall’osservazione partecipante emerge un quadro piuttosto composito dove la presenza e l’importanza del “qui e ora” della performance teatrale vengono sottolineate attraverso numerose pratiche: tra le altre, la tecnica della “schiera”, che consiste in un esercizio drammaturgico e pedagogico dell’ascolto, dello sguardo e dell’azione; o il diretto coinvolgimento del pubblico in alcune scene degli spettacoli (soprattutto laddove si vogliano sottolineare alcuni momenti particolarmente significativi); ancora, l’impiego di intermezzi narrativi, dove gli attori (e, idealmente, i pubblici) si riuniscono attorno al narratore trasformando la performance narrativa in evento rituale, contrapponendo così il senso di una comunità che celebra un “rito della narrazione” alla community dello storytelling dei social media (che è la versione mercificata e “accelerata” della comunità). Gli stessi intermezzi narrativi, nel loro fornire possibili chiavi di lettura di quanto viene rappresentato, contribuiscono anche a rendere “presenti” (nel senso di contemporanee, attuali) circostanze e azioni, come quelle delle tragedie dell’Atene del V secolo a.C., che sono troppo lontane rispetto al vissuto e all’esperienza del pubblico.

La descrizione di queste e altre pratiche mostra che il teatro riesce a porsi come l’arte della presenza; non tanto per “avere una presenza” (in senso ontologico), ma per come gioca con le diverse possibilità di questa, mettendo in discussione e decostruendo le sue accezioni di senso comune, date per scontate. Se Sherry Turkle (2016), nel lamentare l’alienazione derivante dalla compressione temporale delle relazioni quotidiane, invita a una “conversazione necessaria”, la Trilogia della Guerra risponde invitando a una “consapevolezza necessaria”.



Rischio performativo e agenti artificiali: AI liveness e live coding a confronto

Alex Dellapasqua

Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Italia

Il panorama mediale contemporaneo sembra interessato da una particolare tensione riguardante il rapporto con il rischio. Nel contesto quotidiano, gli agenti algoritmici svolgono un ruolo attivo nel mitigare la pressione esercitata dall’incertezza della scelta, favorendo una dinamica di de-responsabilizzazione che sottrae gli individui al rischio del presente. Dall’altra parte, nell’attuale centralità e pervasività della liveness nelle espressioni culturali, artistiche e dell’intrattenimento contemporaneo (Gemini, Brilli, 2023), l’incertezza e il rischio dell’imprevedibilità assumono piuttosto un valore creativo e comunicativo desiderabile. Nonostante gli agenti algoritmici e le forme dal vivo siano al centro di numerosi dibattiti, le possibili intersezioni tra questi due ambiti sono rimaste finora poco esplorate, soprattutto in ambito sociologico.

Il presente studio intende dunque indagare la funzione performativa degli algoritmi nel contesto della “società del rischio” (Beck, 1992). A partire dalla considerazione per cui il rischio non costituisce un evento futuro, bensì una condizione del presente generata dalla sovrabbondanza di possibilità (Luhmann, 1991), i sistemi di IA non solo filtrano e riducono le opzioni disponibili, ma alimentano un processo di outsourcing decisionale che sottrae la società dalla responsabilità del “qui e ora”. Mentre il rischio viene quindi socialmente percepito come un fattore da evitare e da cui sottrarsi per mezzo degli algoritmi, nelle pratiche performative che integrano gli agenti artificiali dal vivo esso viene invece riabilitato come componente essenziale del processo creativo: l’esibizione dell’incertezza e dell’imprevedibilità diventa una risorsa espressiva e comunicativa.

Per indagare questo fenomeno, la ricerca si concentra sul confronto tra due diverse forme performative di interazione con gli algoritmi: da un lato, le performance artistiche che incorporano sistemi di IA, dall’altro, le pratiche di live coding. Nella collaborazione creativa con l’IA, l’esito dell’opera assume infatti un grado di imprevedibilità e autonomia, poiché alcuni aspetti del processo sfuggono necessariamente al controllo diretto degli artisti. Il ruolo del software, quindi, non è meramente assistivo, ma diventa un agente attivo e determinante (McCormack, D’Inverno, 2012), che può intervenire tanto nella fase di creazione quanto nell’interazione con altri elementi della performance (Pearlman, 2020).

Gli eventi di live coding consistono invece in performance in cui il codice algoritmico viene scritto e modificato in tempo reale per generare output visivi e sonori immediati (Rain, Ramson, Lincke, Hirschfeld, Pape, 2019). Nata in ambito informatico e musicale, la specificità di questa pratica risiede nell’interazione diretta con il codice durante l’esecuzione, dove l’imprevedibilità degli output algoritmici diventa un elemento espressivo ed estetico.

L’analisi comparata di questi due tipi di performance permette di individuare due diverse modalità di gestione dell’imprevedibilità: da un lato, troviamo performance basate sulla comunicazione dal vivo con un’IA già precedentemente addestrata e codificata; dall’altro, è il processo stesso di scrittura e programmazione dell’algoritmo a venire eseguito in tempo reale. In entrambi i casi, la dimensione della liveness assume un ruolo centrale: quando gli algoritmi vengono performati dal vivo, essi, anziché sottrarre l’individuo dalla responsabilità del “qui e ora”, generano un’esperienza time-specific che, sfruttando la specificità della presenza, diventa in grado di valorizzare la gestione del rischio (Esposito, 2022).

Il divario generato dall’agency algoritmica tra contesti mediali dal vivo e non solleva dunque un interrogativo centrale: in che modo la dimensione performativa dal vivo incide sull’attribuzione di responsabilità creativa all’agente artificiale? Per approfondire tale questione, oltre all’analisi dei meccanismi comunicativi delle performance prese in esame, la ricerca si avvale anche di dodici interviste con artisti, organizzatori e spettatori. Le diverse prospettive raccolte permettono di comprendere come si configurino – tecnicamente e metodologicamente – l’addestramento e la scrittura degli algoritmi, e di verificare se l’esperienza dal vivo induca effettivamente lo spettatore a confrontarsi con la gestione del rischio e con le dinamiche di responsabilità algoritmica.



Il tempo della creazione e il tempo della cura: welfare culturale e giovani nella società della crisi

Giulia Allegrini1, Teresa Carlone2

1Università di Bologna, Italia; 2Università di Bologna, Italia

In Italia, un primo contributo definitorio al Welfare Culturale è stato elaborato dal CCW che lo ha definito “un nuovo modello integrato di promozione del benessere e della salute e degli individui e delle comunità, attraverso pratiche fondate sulle arti visive, performative e sul patrimonio culturale”. Al centro delle azioni di welfare culturale viene posta un’“integrazione di scopo” tra professionistз di diverse discipline e ambiti di competenze, tra pratiche, linguaggi e politiche. Questa prospettiva include le pratiche che promuovono l’empowerment, il benessere soggettivo, il capitale sociale, il contrasto alle diseguaglianze di salute, opponendosi al declino psicofisico dei soggetti e delle comunità che partecipano alle iniziative.

La genesi del WC può essere rintracciata nei programmi di Arts on Prescription, avviati in Inghilterra negli anni ’90 sull’impatto della partecipazione culturale sul benessere sociale, a partire dalla convinzione che partecipare ad attività artistiche possa promuovere la salute e il benessere, inserendosi all’interno di strategie più ampie di prescrizioni sociali da parte di professionisti della sanità e del welfare. Negli ultimi anni, il concetto di CW ha acquisito una crescente rilevanza anche grazie a politiche e programmi europei e internazionali che ne evidenziano il ruolo nell’intersezione non solo tra arti e promozione della salute, ma anche tra arti e democrazia e coesione sociale. Il concetto di WC ha cominciato a diffondersi anche nel panorama italiano, tanto nei programmi di finanziamento quanto nel dibattito accademico. In questo quadro si colloca la ricerca Prin 2022 PNRR Cultural Welfare Ecosystems for Wellbeing: Mapping semantics and practices, co-designing tools and raising awareness, che ha l’obiettivo di problematizzare il concetto stesso di Welfare culturale, indagandone le semantiche emergenti nella letteratura nazionale e internazionale, ed approfondendolo come campo di pratiche nei territori sui cui si realizzano le ricerche, esplorando le possibili criticità e potenzialità che in esse prendono forma. Il presente contributo prende le mosse da questa ricerca analizzata in dialogo con un ecosistema di progettualità che esplorano orizzonti di senso, rischi, ambivalenze, ma anche effetti trasformativi che emergono nelle pratiche indagate.

Dall’analisi di queste molteplici progettualità, emergono diverse questioni legate all’evoluzione del concetto di WC nel contesto di “policrisi” evidenziando il rischio di una deriva di stampo neoliberista e una reinterpretazione del welfare culturale come una possibile soluzione alla crisi, con un’enfasi sull’arte intesa come servizio.

Il presente contributo si focalizzerà sulla dimensione della cura e del benessere e sul ruolo dell’arte entro questo quadro sociale e culturale, con un affondo sui giovani e il ruolo delle pratiche di partecipazione culturale. Il contesto contemporaneo, attraversato da numerose crisi, costituisce un terreno fertile sul quale attecchiscono livelli diversi di disagio giovanile che compromettono la dimensione progettuale finalizzata al conseguimento dell’identità, sostenuta da capacità di aspirare che permette di connettere orizzonti di tempo presenti e futuri attraverso processi di immaginazione sociale. Diventa da questo punto di vista rilevante comprendere se e in che senso le pratiche artistiche possono agire in termini trasformativi, sostenendo lo sviluppo di queste capacità e ridefinendo concetti, pratiche e spazi di cura e generazione di benessere nella prospettiva del welfare culturale.

La ricerca ha permesso da mettere a fuoco attorno al tema della temporalità alcune polarità di lettura che tracciano un campo di tensione ma anche di possibili trasformazioni: a. tempo produttivo vs tempo improduttivo della pratica artistica; b. Rilevanza del processo di creazione vs prodotto; c. tempi e spazi connotati e codificati vs “tempi e spazi di scoperta” ; d. dimensione strumentale - che rischia di trasformare le pratiche artistiche in una risorsa neoliberista vs capacità trasformativa delle medesime nell’articolare spazi di partecipazione e di attraversabilità delle pratiche e dei luoghi in cui si realizzano.



Il tempo mediatizzato della partecipazione: WhatsApp come strumento di co-progettazione e di ricerca-azione e nelle arti performative

Laura Gemini, Lorenzo Giannini, Francesca Giuliani, Chiara Spaggiari

Università di Urbino Carlo Bo, Italia

Il tempo è una delle variabili chiave negli studi sulla partecipazione culturale, artistica e mediale. Come sottolinea Carpentier (2011) la partecipazione viene ridotta a interazione questa essa diventa un atto puntuale o a un semplice momento di coinvolgimento - come spesso favorito dalle retoriche dell’empowerment. L’analisi dei progetti partecipativi ha sin dall’origine posto la dimensione temporale come discrimine fondamentale tra la partecipazione come “ornamento” e la partecipazione come processo capace di generare un impatto a lungo termine sulle persone (Matarasso 1997).

Anche il tempo della “sola” esperienza spettatoriale non può essere relegato alla durata compressa del testo mediale o della performance. Se ciò è vero in generale, perché l’esperienza riflessiva anticipa e si protrae oltre il tempo transitorio dello spettacolo (Reason 2010), lo diventa più nettamente con l’intensificarsi della performatività delle audience (Abercrombie, Longhurst 1998) e della mediatizzazione della liveness (Gemini, Brilli 2023), che estende il tempo del “dal vivo” oltre l’evento effimero.

Questa prospettiva converge con la temporalità di progetti culturali nell’ambito delle arti performative contemporanee non più necessariamente dirette alla creazione di un prodotto finale della ricerca ma piuttosto orientate a promuovere progetti di arte partecipativa, di community engagement e di welfare culturale. Tale convergenza richiede metodologie di ricerca appropriate, capaci di cogliere il tempo espanso dell’esperienza di spettatrici e spettatori che spesso entrano a far parte della progettazione stessa delle iniziative culturali e artistiche alle quali partecipano.

Un ulteriore elemento di analisi, coerente con il processo di mediatizzazione, riguarda gli utilizzi delle tecnologie digitali e la piattaformizzazione culturale (Poell et al. 2021). App di messaggistica come WhatsApp e Telegram hanno assunto negli ultimi anni un ruolo interessante sia come tool per l’audience engagement, sia come spazi organizzativi, sia come strumenti per la ricerca qualitativa (Chen, Neo 2019; Colom 2022). Più limitato, invece, lo studio sull’impatto di questi strumenti nella facilitazione della discussione e nel confronto intorno a tematiche legate alle performing art e alla partecipazione culturale.

Nel quadro che osserva la stratificazione della temporalità nel contesto della partecipazione culturale e della ricerca alla luce del processo di mediatizzazione del sociale, il presente contributo si propone di analizzare le funzioni di WhatsApp come strumento di coordinamento, coinvolgimento dei partecipanti e per la ricerca qualitativa in tre progetti di arti performative partecipative selezionati come casi di studio in un più ampio progetto Prin in corso. I progetti BAT - Bottega Amletica Testoriana, Sognando Apiria, Dance Well - molto diversi tra loro per entità, organizzazione, modalità partecipativa – sono stati oggetto di una fase di ricerca-azione che ha previsto l’analisi del contenuto del materiale postato sul gruppo BAT Spettatori/trici formatosi spontaneamente durante il progetto e la moderazione, raccolta, analisi delle conversazioni nei gruppi WhatsApp istituite dall’équipe di ricerca. Alla luce delle domande di ricerca di questa fase dell’indagine, volte a comprendere 1. quali siano i limiti e le potenzialità delle chat di WhatsApp nella ricerca-azione su progetti artistici partecipativi e 2. in che modo le possibilità offerte dalle chat danno forma alle esperienze pre- e post-performance, è possibile preliminarmente affermare come WhatsApp si riveli uno strumento efficace per la ricerca-azione e la co-progettazione, in particolare per ampliare le esperienze e i processi di riflessione dei partecipanti che hanno bisogno di essere sedimentate in temporalità espanse.

Tuttavia, emergono delle sfide nel bilanciare le discussioni mirate con le conversazioni fuori tema, la libertà di espressione con l’inibizione dovuta alla presenza del gruppo di ricerca e le dinamiche tra utenti attivi e lurker. Se da un lato l’asincronicità delle chat offre più spazio per la riflessione sull’esperienza, dall’altro può generare un’aspettativa di “performatività competitiva” tra partecipanti che merita di essere approfondita.